1

Il Governo svedese affida alle aziende statali il compito di guidare il settore verso la sostenibilità

Il governo svedese è tra i più grandi datori di lavoro della nazione. Esso controlla oltre 50 società e detiene rilevanti quote di partecipazione  in aziende importanti  come la società elettrica Vattenfall , la società di telecomunicazioni TeliaSonera , Scandinavian Airlines e LKAB,  azienda  produttrice di minerale di ferro .
La Svezia è stata  il primo paese al mondo ad imporre alle società controllate dallo stato nel 2007  di rendicontare sulle proprie attività socio ambientali secondo le linee guida del Global Reporting Initiative ( GRI ) . Ora il governo ” alza l’asticella”  chiedendo alle stesse aziende di mettere la sostenibilità al centro dell’attività aziendale.
Le aziende che sono interamente o parzialmente proprietà dello Stato sono tenute a dare l’esempio “, dichiara Peter Norman , ministro svedese per i mercati finanziari , “ il prossimo passo del governo consisterà nel coinvolgere ogni società a formulare i propri obiettivi di sostenibilità . Gli obiettivi saranno diversi ma le azioni in programma all’interno delle attività aziendali dovranno essere concrete e rilevanti. “
L’iniziativa richiede che tutte le 54 imprese che rientrano nell’ambito dell’influenza governativa  fissino obiettivi misurabili  di sostenibilità a seconda dei diversi modelli industriali e commerciali . È importante sottolineare che questi devono essere definiti dai Consigli di Amministrazione. A partire dal secondo trimestre del 2014 , ciascuna azienda deve riportare i propri obiettivi al governo e fornire annualmente  aggiornamenti sui progressi ottenuti. Amministratori delegati e presidenti sono tenuti a presentare i propri report alla riunione annuale con il Ministro dei Mercati Finanziari  Peter Norman incaricato di seguirne gli sviluppi.
Il ragionamento, secondo Norman, è semplice . ” Come proprietari , vediamo un evidente legame tra pratiche di business sostenibili e la creazione di valore , ” -Norman ha dichiarato nel suo discorso di lancio nel maggio 2012-, “per sopravvivere e garantire una forte crescita del valore a lungo termine , le aziende devono quindi dare la priorità agli aspetti della sostenibilità.”
In effetti, nel lungo termine , la sostenibilità è un prerequisito per il profitto e il governo, da investitore ,  interpreta come un suo dovere di fiduciario inserire la sostenibilità nei mandati dei consigli di amministrazione. Le aziende di proprietà pubblica rappresentano un investimento netto di circa 70 miliardi di euro che per la popolazione svedese rappresenta un valore proprietario equivalente a  12.000 corone di partecipazioni pro-capite. I rischi e le opportunità legati alla sostenibilità devono essere pertanto identificati e gestiti per garantire la creazione di valore a lungo termine e stabilità nei rendimenti.
La gestione della sostenibilità e la comunicazione sui risultati possono avere un impatto rilevante sul rischio d’impresa e sul valore per gli azionisti . E’ istruttivo vedere la differenza tra le aziende che mettono queste azioni in pratica e quelle che non lo fanno.
Imparare dalle difficoltà
Negli ultimi anni, il governo svedese ha dovuto affrontare alcune situazioni critiche che sono state determinanti per “imparare”  come gestire al meglio le sue aziende e società partecipate.
TeliaSonera, operatore di telecomunicazioni partecipato dai governi svedese e finlandese, è ancora scosso dalle accuse di aver pagato 300 milioni dollari in tangenti ai familiari di Islam Karimov, presidente dell’Uzbekistan per poter  sbarcare nel mercato uzbeko della telefonia mobile.
Questa fatto ha avuto ripercussioni enormi sul nome dell’azienda, con conseguenze dirette sul valore delle azioni della società. I grandi fondi comuni di investimento hanno venduto le loro quote della società e clienti importanti, tra cui la città di Stoccolma , hanno deciso di rinegoziare i loro contratti .
Per un governo come quello svedese che ha una visione carbon low,  l’azienda statale Vattenfall, uno dei maggiori produttori europei di elettricità e calore, costituisce una vera spina nel fianco. L’azienda è stata oggetto di aspre critiche  nel 2009 nei suoi mercati principali in Germania e Svezia a causa di mancanza di trasparenza, cattiva gestione delle sue partecipazioni nel nucleare e per l’ostinata dipendenza dal carbone. Vattenfall che doveva guidare lo sviluppo di un sistema energetico sostenibile, non è stata all’altezza del suo mandato. Nel 2012 , infatti, il 46% di energia elettrica prodotta è stata generata attraverso combustibili fossili.
Ma lo stato svedese ha anche una serie di storie di successo da raccontare. Come il caso di LKAB , uno dei maggiori produttori di minerale di ferro in Europa che, consuma il 1,5% di energia elettrica della Svezia ed emette l’1% delle emissioni di gas a effetto serra del paese. Nella sua ricerca per ridurre l’impatto ambientale, l’azienda ha sviluppato un processo che richiede la metà dell’energia per la produzione di pellet di minerale di ferro utilizzati dai produttori di acciaio in tutto il mondo. Al momento c’è una  forte domanda  per questo pellet che ha registrato un enorme successo di vendite. La società ha anche abilmente gestito il dialogo con gli stakeholder su alcuni aspetti correlati a  scelte aziendali che avrebbero potuto innescare proteste tra la popolazione.
Tornando all’azione governativa, la Svezia ha richiesto in modo efficace alle aziende di integrare la sostenibilità nelle loro attività, di fissare obiettivi che siano anche misurabili e rilevanti per le operazioni di business e ha demandato ai consigli di amministrazioni l’assunzione di responsabilità sulle decisioni prese.
La decisione della Svezia è interessante per due ragioni. La prima è che l’assegnazione  di obiettivi e responsabilità precise al consiglio di amministrazione diventa uno strumento di cui possono avvalersi investitori a lungo termine come i fondi pensione,  o governi che vedono nella sostenibilità un fattore di miglioramento sia per la gestione del rischio che per la strategia aziendale .
L’approccio svedese rappresenta anche uno strumento politico innovativo per i governi che cercano  una leadership sui temi della sostenibilità perché esclude al contempo approcci regolamentativi  ” tradizionali” che possono essere percepiti negativamente o rifiutati dagli elettori .
Mettere la sostenibilità al centro è il futuro – è la modalità attraverso la quale il settore pubblico può guidare il mercato.
 




Se anche Uncle Scrooge diventa Sri

Paperon de’ Paperoni ha creato una divisione Csr (corporate social responsibility) nel suo impero, e ha lanciato un programma di investimenti Sri (Socially responsible investment) che copre una buona quota delle sue fantastiliardarie risorse. Non solo. Ha anche tirato fuori dalle tasche – quante lacrime, per la sua anima tirchia di finanziere con gli occhi a dollaro! – un bel mucchio di quattrini per un piano di comunicazione che trasformi l’immagine del suo blindato e invalicabile deposito, in un punto di riferimento per le esigenze della città di Paperopoli.
Fantasia?
Chissà. Lasciando ai creativi della Walt Disney la sfida con il miliardario a fumetti più famoso del mondo, è interessante ragionare sulla nascita di una rivista quadrimestrale, chiamata Sri Chronicles, il cui numero d’esordio porta la data del primo maggio. Niente di fondamentale: in tutto 8 pagine, e per giunta inaccessibili dal sito del gruppo finanziario che la propone. Eppure, la pubblicazione si è guadagnata un lancio nella newsletter di luglio di Eurosif, dove, appunto, ne viene annunciata l’uscita e sintetizzati gli argomenti (la governance, tema piuttosto caldo a maggio, tempi di assemblee).
La ragione di tale attenzione sta nel nome di chi ha lanciato l’iniziativa: Edmond de Rothschild Asset Management. Dunque, abbandonati i fumetti, questa è la realtà dei miliardari più famosi al mondo. Rothschild è il nome di una famiglia che ha tenuto le redini della finanza mondiale per gli ultimi tre secoli (si veda la sintesi di Wikipedia). Non è necessario tentare di esprimere giudizi di valore sugli accadimenti della storia. Ciò che importa è che Rothschild è un simbolo. Come il deposito di Paperopoli.
L’esempio è utile per sottolineare un paio di aspetti.
Il primo, è che la finanza responsabile è un business. La citata Edmond de Rothschild Asset Management ha una propria divisione Sri dedicata agli investimenti che rispettano i criteri Esg (environmental, social, governance). E questo in linea con le scelte di numerosi colossi del risparmio gestito europeo (vedi il caso Mirova, forse il più conosciuto).
Il secondo aspetto è che la finanza responsabile comincia a richiedere investimenti di comunicazione. Anzi, di wikicomunicazione. La rivista di Edmond de Rothschild Asset Management è ancora a un livello piuttosto basic, ma dimostra l’obiettivo di creare un canale di fidelizzazione e condivisione, oltre che di auto-presentazione. In questo campo, gli esempi sono assai rari anche nelle società finanziarie che hanno creato le proprie divisioni Sri (nella stessa Mirova, per esempio, non c’è traccia della possibilità di iscriversi a newsletter sul sito)
Insomma, anche la finanza Sri è un mercato competitivo. E impone un vantaggio di posizione e di posizionamento. Chi arriva prima, può vantarsene e goderne i benefici di immagine, di status, di riconoscibilità dei clienti e degli stakeholder attuali e potenziali.
L’Italia appare in ritardo su entrambi i fronti indicati. Sia nella creazione di team specifici e identificati. Sia nella creazione di strumenti di divulgazione e condivisione.
Il rischio, anche per chi da anni ha preso posizioni coraggiose e controcorrente, è che poi arrivi Uncle Scrooge (il personaggio di Charles Dickens da cui è nato Paperone), che si ravveda la notte di Natale, e con una sapiente strategia di posizionamento diventi il riferimento della finanza responsabile d’Italia.




TESI DI LAUREA: Il bilancio integrato in Italia e l’analisi di alcune best practice

Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano- Facoltà di Economia – Corso di Laurea Magistrale in Management per l’Impresa.
A.A. 2012/13

Il bilancio integrato in Italia e l’analisi di alcune best practice

Tesi di Francesco Placanica – Relatore Chiar.mo Prof. Matteo Pedrini

Leggi qui il testo integrale (219 pagine), qui di seguito, il testo dell’Introduzione della tesi:


INTRODUZIONE

Quando si scopre qualcosa di nuovo in un determinato settore, si sviluppa in parallelo una sorta di sentimento collettivo relativo al modo migliore di risolvere un qualche problema importante. Molte persone si trovano dunque a lavorare simultaneamente nella stessa direzione. Il risultato è che, molto spesso, un traguardo significativo è raggiunto in contemporanea, o quasi, da più soggetti, anche se ognuno potrebbe arrivarci tramite percorsi leggermente diversi

Joshua D. Margolis, Hillary Anger Elfenbein e James P. Walsh hanno condotto una meta-analisi esaminando la relazione tra performance sociale aziendale (CSP) e performance finanziaria aziendale (CFP) e hanno concluso che “la maggior parte delle prove indica una relazione lievemente positiva, ela CSP non sembra penalizzare le imprese dal punto di vista finanziario, né danneggiare le loro funzioni economiche”.
Hanno anche scoperto che “se si agisce male, e si è scoperti, ciò ha un effetto più marcato sulla performance finanziaria rispetto all’agire bene”.
Con l’andare del tempo la letteratura sulla CSR si è notevolmente ampliata e sono stati coniati numerosi termini per indicare gli stessi concetti o concetti simili.
Tutti questi tentativi cercano di ampliare gli obblighi delle aziende portandole a includere nei loro bilanci anche considerazioni non finanziarie attraverso una rendicontazione integrata.
Praticare la rendicontazione integrata apporta quattro benefici principali all’impresa.
Primo, fornisce maggiore chiarezza sulle relazioni e sugli impegni. Secondo, aiuta a prendere decisioni migliori. Terzo, aumenta il livello di coinvolgimento di tutti gli stakeholder e facilita un dialogo interstakeholder su nuovi temi e interessi comuni: in  questo modo l’impresa è in grado di cogliere sin dall’inizio il seme del cambiamento riguardante quelle aspettative che, nel corso del tempo, tenderanno ad affermarsi con più vigore. Quarto, riduce il rischio reputazionale.
Insieme, questi benefici fanno sì che lo sviluppo, l’implementazione e la rendicontazione di una strategia sostenibile per una società sostenibile e si sforzino reciprocamente.
Bloomberg e Thomson Reuters per rispondere alle crescenti aspettative informative degli investitori, relativamente alle performance ambientali e sociali delle imprese, hanno aggiunto alle loro analisi dati relativi alle ESG performance. Per far fronte a tali richieste, le imprese dovrebbero ampliare il loro spettro informativo inserendo nell’informativa di bilancio una serie di dati relativi alle ESG performance. A tal fine, il
format per rispondere in modo appropriato a tali esigenze è proprio il bilancio integrato: documento che incorpora al proprio interno il bilancio d’esercizio, il bilancio di sostenibilità e l’informativa aggiuntiva sulla corporate governance.
Tale documento, essendo ricco di informazioni finanziarie e non, si rivolge ad un pubblico ampio e risponde alle principali esigenze informative dei vari stakeholder. Il
bilancio integrato si differenzia infatti dagli altri documenti di comunicazion societaria per la sua duplice valenza informativa: da un lato, infatti, risponde ai quesiti degli operatori finanziari e degli shareholder (detentori di capitale), dall’altro intende
interpretare le aspettative degli altri stakeholder siano essi interni o esterni.
L’obiettivo di questa tesi è analizzare questo modello di rendicontazione, quali sono i
principi utilizzati nella sua redazione e revisione e illustrare uno scorcio di tre organizzazioni che, in Italia, si impegnano a livelli diversi nell’applicazione di tali standard; un obiettivo che si è provato a raggiungere attraverso il confronto empirico tra tre approcci diversi al tema della sostenibilità, e della trasparenza, qui intesa come la facoltà di semplificare il più possibile agli utenti la comprensione delle performance già realizzate da un’azienda e delle prospettive future.




CSR: quanto sarebbe utile applicare l'analisi economica costi benefici?

Uno dei maggiori limiti dell’attuale approccio delle imprese che si avviano lungo il percorso di una maggior responsabilità sociale (CSR) riguarda la difficoltà di valutare con criteri quantitativi le performances d’impresa lungo i tre principali assi della sostenibilità: quello economico, sociale e ambientale. Di recente, si sono verificati alcuni sviluppi verso una standardizzazione degli indicatori di performance, come dimostrato, ad esempio, dall’iniziativa ISTAT-CSR Network.
Eppure, si è ancora lontani da una valutazione unitaria dell’apporto dell’impresa al benessere della collettività, magari capace di integrarsi pienamente con gli indicatori economici di redditività aziendale. Gli indicatori di CSR, infatti, spesso sono espressi con unità di misura non dialoganti fra di loro e, soprattutto, sono parziali, in quanto guardano maggiormente all’impegno dell’impresa in determinate aree di miglioramento (la riduzione delle disparità di genere, le elargizioni liberali sul territorio), piuttosto che a una misura unitaria del benessere economico, sociale e ambientale apportato dalle attività aziendali.
Un approccio di questo tipo per la misurazione dell’utilità collettiva di un progetto, però, esiste già, ed è l’analisi costi benefici (ovviamente estesa alle componenti più intangibili, come gli effetti sanitari e ambientali dell’inquinamento). Può essere utile applicare le metodologie costi benefici per fornire una valutazione unitaria dei costi esterni e dei benefici esternidell’attività d’impresa? Quali i rischi da evitare, quali le opportunità da cogliere?
Francesca Magliulo, responsabile CSR Edison. “E’ un argomento di cui si parla da molto tempo nel settore. Si tratta, in realtà, di una domanda che spesso i manager rivolgono agli esperti aziendali di CSR, ma il problema è che finora non ho ancora visto un sistema realmente adeguato che vada in questa direzione. C’è da dire, comunque, che non tutto può essere sempre ridotto a un’analisi costi benefici, data la complessità dei temi della CSR. Penso a tutto il discorso della relazioni sul territorio con le comunità locali, a cui sarebbe difficile applicare questa metodologia, che possono sì rappresentare un costo nel momento in cui, ad esempio, implicano un ritardo nella realizzazione di un impianto, ma in realtà rappresentano una questione molto più complessa”.
Andrea Molocchi, partner di ECBA Project. “Un approccio unificante, capace di valutare in termini economici e comparare fra di loro diverse categorie di effetti ambientali e di valore economico per la collettività creato dall’impresa, esiste già da anni, ed è l’Environmental Cost Benefit Analysis (ECBA), implementata soprattutto per la valutazione pubblica di politiche incentivanti, di piani e di progetti, a partire dai progetti con co-finanziamento pubblico. Anche in Italia, in base al DPCM 3 agosto 2013 tutte le opere pubbliche finanziate dai ministeri devono essere sottoposte ad analisi costi benefici, allo scopo di misurare il valore del beneficio netto per la collettività dei singoli progetti e di migliorare la programmazione della spesa pubblica, evitando il finanziamento di opere non sufficientemente utili. Se lo fa lo Stato, lo può fare anche l’impresa: oggi si può misurare il benessere netto per la collettività creato dalle attività d’impresa, dato dalla differenza fra il valore aggiunto e il valore delle esternalità ambientali generate dall’impresa stessa. Si può iniziare a valutare perlomeno l’ordine di grandezza dell’esposizione economica di un’azienda ai principali rischi ambientali e confrontarlo rispetto al benchmark di settore. Lo chiedono i cittadini, iniziano a chiederlo le banche e gli azionisti. E’ un percorso da compiere gradualmente, ma di grande efficacia per guidare la politica di responsabilità sociale delle imprese verso uno sviluppo più sostenibile, ed eventualmente ri-direzionarne le priorità, gli sforzi finanziari e di innovazione verso più promettenti obiettivi di miglioramento, secondo criteri quantitativi e trasparenti”.
Alessandro Beda, Consigliere d’Indirizzo di Fondazione Sodalitas. “Ogni azienda ha specificità uniche e deve impostare una politica di CSR riferita al modello d’impresa che desidera realizzare: è cioè fondamentale, in altre parole, che ogni impresa consideri il proprio IMS – Impatto di Materialità Specifica perché, a parità di investimenti, gli impatti possono essere fortemente diversi. La misurazione e la comunicazione dell’impatto saranno un fattore di credibilità determinante. anche in Italia, come già in corso negli USA, andranno ben presto definite delle mappe di materialità settoriali per facilitare la scelta delle allocazioni prioritarie dei settori di intervento”.
Anna Villari, Responsabile Csr A2A. “Standardizzare le metodologie è un aspetto importante per la Corporate Social Responsibility. Sicuramente l’analisi-costi benefici può essere una via. Tra i pro la possibilità di utilizzare un metro economico per misurare degli aspetti intangibili, come la salute o l’integrità dell’ambiente , e quindi di parlare con un linguaggio familiare al management di una azienda. Tra i contro la difficoltà di trovare criteri oggettivi per valutare l’intangibile e soprattutto il rischio di allontanarsi da quello che deve essere il focus primario della Sostenibilità, il dialogo e il coinvolgimento degli stakeholder”.




Anche la Csr ha la sua wikipedia

UN PROGETTO CREATO DAI CONSULENTI DI KOINÈTICALa novità sta già nel nome: wikiCsr. L’unione tra il concetti “wiki” e “corporate social responsibility”, suggerisce l’obiettivo di create una sorta di wikipedia della sostenibilità. A lanciare la sfida è stata la società milanese Koinètica che ha creato, nel 2012, la prima piattaforma online “aperta” dedicata alla responsabilità sociale. Grazie alle potenzialità del sistema wiki, l’enciclopedia ha l’obiettivo, spiega il presidente di Koinètica Rossella Sobrero, di «condividere, partecipare, costruire» l’universo della Csr.
La nuova creatura mette al centro l’utente, per questo è un po’ blog e un po’ enciclopedia: dal primo prende la possibilità di commentare gli articoli. Mentre eredita dall’altro l’opportunità di aggiungere notizie e arricchire il glossario, «il tutto – spiega Sobrero – in maniera semplice, grazie all’organizzazione intuitiva dei contenuti e alla facilità della procedura d’inserimento». Un clic sul link dedicato ed ecco la password via mail, con cui accedere a tutti i servizi.
La presenza online permette di avere uno strumento aperto a categorie diverse: professionisti, organizzazioni no profit, imprese, ma anche singoli cittadini.
Da “accountability” a “zeroemission”, 109 sono le voci attualmente presenti nell’enciclopedia, ognuna arricchita dalla possibilità di condivisione nei social network. Anche gli articoli permettono di spaziare nel mondo Csr: dai bilanci sociali al volontariato, passando per la sostenibilità, che conta già 103 contributi.
Mentre l’enciclopedia cresce, i suoi motivi ispiratori animano un’altra iniziativa: “Il Salone della Csr e dell’innovazione sociale”, che si svolgerà l’1 e il 2 ottobre in Bocconi. Tra i promotori spicca Koinètica insieme a Csr Manager Network, Fondazione Sodalitas e la stessa Università milanese. Attraverso tavole rotonde, convegni e workshop si potranno conoscere e confrontare le esperienze di Csr italiane e straniere.