Digitale e sostenibilità

Una giornata dell’orgoglio digitale,con ospiti di calibro internazionale:questo è Nuvolaverde Day, a Milano il 25 giugno. Gli interventi di tecnici, scienziati, uomini d’impresa,ricercatori, artisti 2.0, padri della robotica e intellettualiapprofondiscono alcuni aspetti del mondo della tecnologia digitale sostenibile.
Qui puoi leggere il programma e tutti i dettagli dell’evento.
 


Camillo Ricordi, una rock star in laboratorio

Dai Rolling Stones alla cura del diabete. Sul magazine in edicola, la storia di Camillo Ricordi, rampollo ribelle e scienziato in odore di Nobel
C’è chi nasce con la camicia. Camillo Ricordi è nato con uno spartito musicale in mano, ma dato che le imposizioni non gli sono mai piaciute – nemmeno quelle del destino – ha deciso di buttarlo via e impugnare il bisturi della ricerca medica. Partiamo dal cognome: Ricordi. Camillo è proprio il figlio di quel Ricordi lì, Carlo Emanuele, uno dei più grandi produttori musicali italiani di sempre. Il padrino di Camillo è stato Leonard Bernstein. Earl McGrath, produttore dei Rolling Stones, un amico. Con una famiglia del genere Camillo aveva due repertori da scegliere: rock star maledetta o accademico da conservatorio. Ha spiazzato tutti. Ha scelto la via del pancreas. Capito che la sua strada era la medicina, ancora Borsista all’Università del Miussouri, contro le imposizioni del suo superiore, Camillo recupera letteralmente dalla spazzatura un pancreas per comprovare la sua teoria rivoluzionaria in merito all’estrazione dell’insulina dalle cellule pancreatiche. Il metodo allora in uso consiste nel frullare l’organo in questione per poi estrarre dalla poltiglia rimanente la preziosissima sostanza indispensabile ai malati di diabete, il tutto con un rendimento abbastanza scarso. Il processo ideato da Camillo Ricordi si basa, al contrario, su una reazione chimica: attraverso degli enzimi si sciolgono le cellule pancreatiche da cui si estrae l’insulina, tutto ciò con un rendimento assai maggiore del metodo  frullatore. Il suo professore riconosce talento nel ragazzo e in tempi brevi arrivano i fondi necessari per la sperimentazione. La vita di Camillo è una costante disattesa delle aspettative comuni, una continua scelta della via meno ovvia che lo porta a risultati notevoli, come racconta l’articolo che Wired, in edicola, gli ha dedicato. Ad esempio, sempre riguardo al pancreas, il problema che tutt’ora persiste nei trapianti è il rigetto. Il procedimento attuale prevede che le isole estratte da un donatore vengano impiantate nel fegato del malato dove, attecchendo, riprendono a produrre l’ormone mancante. Una cura definitiva che però continua ad avere ampi margini di fallimento. L’idea di Camillo, ancora una volta rivoluzionaria, che potrebbe rappresentare una soluzione definitiva al problema è l’ autotrapianto: sfruttando le capacità di alcune cellule staminali adulte – tra cui quelle adipose di cui siamo tutti ben forniti – che vengono riportate ad una sorta di stato embrionale, si trapiantano nel paziente le sue stesse cellule, eliminando completamente il rischio del rigetto.  Per sviluppare la sperimentazione di questo processo, Ricordi non ha puntato su mega studi medici che costano un sacco di soldi, ma su una rete di centri collegati tra loro attraverso Internet che consente ai ricercatori di lavorare assieme anche se distanti. Una sorta di ricerca delocalizzata e in open source. Questo progetto di collaborazione basato sul networking si chiama Cure for All (Cure Focus Reserch Alliance). Partito da una famiglia di musicisti, invece della scorciatoia del rampollo agiato o la via maestra già spianata dagli avi – una via che parte dal lontano 1805 quando Giovanni Ricordi fondò la casa editrice musicale – Camillo ha scelto percorsi alternativi. Ora c’è chi pensa che la prossima destinazione sia il Nobel.
Alla fine la musica è sempre quella: ribelle.
 


Invito alla presentazione di mercoledì

Scarica l’invito alla presentazione 30 maggio


Assalto alla reputazione

Eventi imprevedibili o cause prevedibili ma sottovalutate possono provocare stati di crisi che mettono a dura prova la reputazione delle aziende. Queste stanno affinando le armi per affrontare il campo di battaglia, sia organizzandosi internamente con la creazione di reparti dedicati, sia con l’utilizzo di più chiavi e mezzi per comunicare all’esterno, con il contributo di Barilla, Renault e Unicredit
‘Ci vogliono vent’anni per costruire una reputazione e 5 minuti per distruggerla’. Nessun tentativo di disegnare un quadro apocalittico, ma la frase dell’imprenditore ed economista statunitense Warren Buffett riassume perfettamente il nocciolo del problema. Il legame di fiducia reciproca tra i diversi soggetti economici è diventato oggi un requisito indispensabile per l’economia e per la sopravvivenza delle imprese: per operare nella moderna società industriale un’azienda deve godere di un alto consenso da parte di tutta la comunità. Questa fiducia, costruibile nel tempo solo attraverso comportamenti e comunicazioni coerenti e senza macchie, viene seriamente minacciata quando un’azienda si trova coinvolta in una crisi. La risposta che l’organizzazione saprà dare e comunicare all’interno e all’esterno risulterà fondamentale per preservare il legame di fiducia con i suoi interlocutori chiave. Ma se infinito è l’elenco delle cause che possono portare un’azienda in uno stato di crisi e che il web non è sempre l’origine dei guai ma ne aumenta la potenza, è denominatore comune che ‘un’organizzazione in crisi non è un’organizzazione. E’ un insieme di individui in preda al panico, motivati dall’istinto di conservazione’, secondo Eric B. Dezenhall, uno dei massimi esperti americani di crisis management. Ora il concetto di ‘conservazione’ è diventato sinonimo di ‘reputazione’ perché i danni che può provocare una crisi non sono solo economici, ma anche di immagine. “Nell’ultimo decennio grandi aziende, multinazionali, banche d’affari e altre organizzazioni sono cadute vittime della loro intrinseca arroganza, incapaci di strutturare anticorpi efficaci per far fronte a situazioni di crisi”, spiega Luca Poma, consulente in Responsabilità Sociale di Impresa e Comunicazione di Crisi, che ha recentemente scritto insieme a Giampietro Vecchiato, direttore di PR Consulting, il libro ‘Crisis management’, una guida edita dal Sole 24 Ore, che affronta case history che hanno lasciato traccia sia in Europa sia negli Stati Uniti. I responsabili delle imprese faticano ancora a comprendere come tutte le aziende corrano stabilmente il rischio di essere colpite da un boomerang. Esiste, quindi un ‘abc’ di comportamento? “La gestione di una crisi è ‘fluida’ per definizione – prosegue Poma – quindi non imbrigliabile in schemi fissi. Richiede una conoscenza dettagliata dei meccanismi tecnici di gestione, una profonda consapevolezza delle variabili in campo, sia ambientali sia umane, ma anche una buona dose di creatività e capacità di improvvisazione. Come per la strategia militare, è una tecnica, non una scienza”. Se è consentito il paragone, si può immaginare un atleta che si allena seguendo un planning standard, ma a ogni competizione deve misurarsi con forze e variabili differenti. Secondo Poma ci sono almeno tre cose da non fare mai. “Non cadere nella pratica abituale della sottostima della crisi: 9 volte su 10 gli imprenditori la negano, perché non hanno saputo cogliere dei segnali precedenti, anche se deboli; non aggredire il proprio interlocutore, mostrando i muscoli o affidandosi solo agli avvocati, che hanno strumenti obsoleti e scarsa formazione specifica; scaricare la responsabilità”. Di contro, l’impresa ha almeno tre cose da fare assolutamente. “Assumere la responsabilità: è confermato che le aziende che la ammettono sono quelle che più rapidamente recuperano reputazione presso gli utenti-consumatori, che oltre all’ammissione di ‘colpa’ apprezzano la comunicazione trasparente di meccanismi correttivi; fare una continua previsione di possibili scenari critici con vere e proprie simulazioni per delineare eventuali aree vulnerabili: la capacità di superare una crisi è direttamente proporzionale agli scenari elaborati preventivamente, perché è anche l’attitudine che permette ai manager di avere più tonicità per affrontare situazioni difficili. Ci vuole formazione per gestire una crisi ed è necessario stanziare un budget adeguato nei costi di impresa; gestire il post crisi, perché questa non è mai finita quando sembra e rimane sempre una coda strisciante. In Italia sono ancora molte le aziende poco strutturate”. “Ce lo sentiamo dire da più parti ogni giorno e lo vediamo direttamente, ‘la guardia non va mai abbassata’ – spiega Maurizio Beretta, head group identity and communications di UniCredit -. Per un gruppo internazionale significa monitorare senza soluzione di continuità la ‘buona salute’ di tutti i nostri business e della macchina operativa, adottando un robusto processo di ‘Incident management’ al fine di rilevare e gestire tempestivamente ogni evento imprevisto e spegnere sul nascere ogni focolaio di crisi, rispondendo in modo tempestivo ed efficace in caso di aggravamento di tale incidente. La formazione viene finanziata con risorse ad hoc ed effettuata a diversi livelli, a seconda del grado decisionale e del coinvolgimento delle strutture in caso di emergenza. Il catalogo formativo spazia con diverse proposte, dalla formazione specifica per i Business Crisis Manager, a quella per i Top Manager, per il personale che viene attivato durante le emergenze e naturalmente a quella per tutti i colleghi. Le simulazioni e le esercitazioni sono altresì un momento di awareness per l’azienda”.
Ogni macchia su un’azienda rimane scolpita nella pietra
Il crisis mananagement è un processo di medio-lungo periodo che comprende tutte le attività da porre in atto prima, durante e dopo un evento critico, per proteggere l’organizzazione da minacce e per ridurne l’impatto. La comunicazione assume un significato fondamentale, ma per semplificare le cose non dovrebbe essere altro che l’estensione della comunicazione di ogni giorno. “I mercati sono diventati conversazioni e le aziende devono capire che i tempi dei monologhi sono finiti. La parola chiave del XXI secolo deve essere condivisione di sapere”, conclude Poma. Ma è possibile trarre forza da quanto accaduto e migliorare i meccanismi di prevenzione e di gestione di una crisi? “Dovremmo imparare dai cinesi, perché nella loro lingua l’ideogramma che identifica la crisi è formato dalle parole pericolo e opportunità – risponde Francesco Fontana Giusti, responsabile immagine e comunicazione di Renault Italia -. Una situazione di crisi può essere accettata, difesa, rifiutata o contrattaccata, ma alla fine bisogna ricreare un legame di fiducia con il pubblico”. Ecco quindi che anche la comunicazione pubblicitaria si inserisce nella strategia di risposta e di gestione di una crisi. Per esempio, il settore banche-finanza negli ultimi anni non ha goduto di alta reputazione tra l’opinione pubblica che l’ha più volte attaccato, considerandolo il vero responsabile della crisi globale in cui ci troviamo. A inizio 2012 Unicredit ha lanciato la campagna ‘Aumento di capitale’ su più mezzi, ma soprattutto con uno spot tv. “Il risultato finale è stato ottimo: la percentuale di sottoscrizione è stata altissima, 99,8% (7,48 miliardi di euro su e 7,5 miliardi di euro totali). Questo livello è superiore a quello raggiunto nell’ultimo aumento del 2010 e in linea con altre operazioni di successo di alcune tra le principali banche europee. Grazie anche alla campagna pubblicitaria siamo riusciti a suscitare un notevole interesse del pubblico retail nella sottoscrizione dell’operazione”, spiega Beretta. Anche Barilla ha risposto a una pubblicità comparativa di Plasmon, che considerava ingannevole la comunicazione sulla linea Piccolini e sui biscotti Mulino Bianco, a suon di pagine pubblicitarie sui principali quotidiani nazionali con la campagna ‘Le mamme sanno quello che fanno’. “L’operazione di Plasmon ha messo in dubbio il nome della nostra azienda, nonostante sia stata accertata la sicurezza dei nostri prodotti – spiega Luca Virginio, Group Communication and External Relation Director dell’azienda di Parma -. Dal momento in cui il competitor ha agito fuori da standard e comportamenti etici, la nostra macchina anticrisi ha dovuto mettersi in funzione per salvaguardare l’immagine dell’azienda e la reputazione dei prodotti, per rassicurare i consumatori e i retailer. Abbiamo avuto modo di misurare gli effetti di questa campagna denigratoria sulla percezione del consumatore rispetto alle nostre marche: non così significativi, ma comunque ce ne sono stati. Anche un danno piccolo per noi assume una dimensione grande, perché la reputazione non ha prezzo. E anche se con il tempo che ci vorrà vinceremo la causa contro Plasmon, un risarcimento danni, per quanto ingente, non è quantificabile, rispetto a quello che si è perso o rischiato. In un mondo connesso e digitale ogni sospetto rimane scolpito nella pietra”. “Le nuove tecnologie – aggiunge Beretta – sono spesso usate per un passaparola incontrollato e non sempre positivo, ma rappresentano anche un’opportunità: quella di raggiungere gli interlocutori tempestivamente, rispondendo in tempo reale alle loro esigenze e curiosità”. Il lungo e difficile percorso verso la reputazione passa quindi attraverso un’integrazione dei media, dal momento che la classica campagna atl di questi tempi non basta più, e di una relazione che deve essere quotidiana.


Rio Mare agli Expo Days con eventi ludici per i bambini e un progetto di CSR portato in 8.000 classi

Rio Mare, l’azienda di prodotti ittici, è l’unico brand presente alla prima edizione degli Expo Days, la manifestazione di sensibilizzazione ai temi dell’Expo organizzata dal Comune di Milano e dalla società Expo 2015. Vi partecipa con alcuni eventi  didattici per i bambini, parte di un progetto quadriennale avviato nel 2012 con Expo per promuovere l’educazione alimentare e che ha già toccato 3.000 scuole e 8.000 classi.
Nel corso degli Expo Days, il 5 e 6 maggio presso la Rotonda della Besana di Milano, Rio Mare riproporrà due eventi ludici sul tema del mangiar sano: lo spettacolo teatrale Il sogno ghiotto di Zio Bruno con Rio e Marina, realizzato appositamente dalla compagnia Dual Band, formata da giovani cantanti/attori provenienti dal Coro delle voci bianche del Teatro alla Scala, e Giocacomemangi, una sorta di caccia al tesoro realizzata in collaborazione con il MUBA, il Museo dei Bambini di Milano, che guida i piccoli alla scoperta dei principi della corretta alimentazione e dei piatti più salutari.
Partito a febbraio 2012, il progetto di Rio Mare, dal titolo Best Food Generation, la tribù dell’Expo, proseguirà nei prossimi quattro anni, culminando nel 2015 con nuove iniziative. Il progetto rientra nelle attività di corporate social responsibility dell’azienda, rafforzate negli ultimi anni sia sul versante della sostenibilità ambientale – con la partecipazione alla costituzione della ISFF International Seafood Sustainability Foundation, insieme a associazioni ambientaliste come il WWF – sia sul versante sociale dell’educazione alimentare.


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