CSR: 150 AZIENDE SOTTOSCRIVONO LA CARTA PER LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE DI CONFINDUSTRIA

L’industria italiana si tinge di verde e punta sull’eco-sostenibilità. Ad oggi sono infatti 150 le aziende che hanno aderito alla “Carta dei principi per la sostenibilità ambientale’ adottata da Confindustria, uno strumento di innovazione per le imprese aderenti al sistema confederale che sancisce i valori condivisi e le azioni necessarie per un unitario e progressivo avanzamento verso obiettivi green realistici e realizzabili.
E gli obiettivi a breve termine sono ancora più ambiziosi: “speriamo di arrivare a giugno in occasione della conferenza di Rio con almeno 1000 aziende iscritte”, spiega Aldo Fumagalli, presidente commissione Sviluppo sostenibile di Confindustria. Fumagalli è stato intervistato in occasione dell’incontro a Milano in Assolombarda che, oltre a sottoscrivere la carta, ospita il primo dei tre incontri di presentazione a livello nazionale, con i prossimi appuntamenti che saranno a Roma il 18 aprile e a Bari 17 maggio. “Ferrero, Granarolo, Snam, cartiere del Garda, ma anche Assolombarda, Federlegno e Confindustria puglia”, spiega il presidente, sono tra le aziende e le associazioni che hanno già testimoniato il proprio impegno.
Aziende che potranno usufruire di una Guida pperativa che può essere utilizzata come strumento per l’applicazione pratica dei principi riportati nella Carta. La Guida può costituire, infatti, sia un orientamento per le azioni da intraprendere, sia uno strumento di verifica del proprio stato attuale, ai fini di una valutazione di compatibilità con i criteri per lo sviluppo sostenibile. In generale, alla Carta dei Principi e alla Guida Operativa aderiscono, su base volontaria, le imprese e le organizzazioni di imprese associate a Confindustria, che, una volta aderito, vengono dotate del logo ‘Confindustria per la sostenibilità’.
Ma, chiarisce la federazione, sia la carta dei principi che la guida sono strumenti volontari: Confindustria, non essendo un ente di certificazione, non si occupa di controllare la serietà dell’impegno, mentre “spetta alla azienda, che si assume la responsabilità nei confronti dei suoi stakeholder, fare in modo che alle parole corrispondano i fatti”, spiega Fumagalli . Insomma, la Carta Confederale dei Principi per la Sostenibilità Ambientale rappresenta per le imprese e le associazioni aderenti a Confindustria la bussola dei valori di riferimento nel loro cammino per uno sviluppo sostenibile.
Ecco allora i 10 impegni sostenibili che le imprese italiane aderenti devono mantenere:
1. porre la tutela dell’ambiente come parte integrante della propria attività e del proprio processo di crescita produttiva;
2. valutare l’impatto delle proprie attività, dei propri prodotti e servizi, al fine di gestirne gli aspetti ambientali;
3. promuovere l’uso efficiente delle risorse naturali;
4. controllare e ridurre l’impatto ambientale;
5. investire in ricerca, sviluppo e innovazione, al fine di sviluppare processi, prodotti e servizi a sempre minore impatto ambientale;
6. gestire in maniera responsabile il prodotto lungo l’intero ciclo di vita;
7. gestire responsabilmente la filiera produttiva coinvolgendo fornitori, clienti e parti interessate.
8. promuovere iniziative di informazione, sensibilizzazione e formazione, al fine di coinvolgere l’organizzazione nell’attuazione della propria politica ambientale;
9. promuovere relazioni, con le parti interessate, improntate alla trasparenza, al fine di perseguire politiche condivise in campo ambientale;
10. operare in coerenza con i principi sottoscritti in questa carta in tutti i Paesi in cui si svolge la propria attività.


Prostitute robot, ve le immaginate per il futuro?

Un articolo pubblicato da due ricercatori neozelandesi sulla rivista Futures, ipotizza una nuova frontiera di sesso virtuale: l’avvento delle prostitute robot. Ma davvero potrebbero piacerci, secondo Wired ci sono almeno un paio di problemi.
Dagli anni ’90 gli appassionati di tecnologia hanno cominciato a parlare di realtà virtuale, ed ecco che non poteva mancare neanche il sesso virtuale. Ma oggi un articolo pubblicato da due ricercatori neozelandesi sulla rivista Futures, resuscita il sesso virtuale ipotizzando una nuova frontiera: l’avvento delle prostitute robot. I due studiosi neozelandesi autori del paper Robot, men and sex tourism, Michelle Mars (sessuologa) e Ian Yeoman (futurologo esperto in turismo), immaginano un mondo nel 2050 in cui le roboprostitute saranno la norma, e soprattutto, un futuro in cui malattie veneree e traffico sessuale saranno solo un brutto ricordo. “Che aspetto avranno le cybermeretrici (o i cybergigolò) del 2050? Saranno ammassi di ferraglia con attributi sufficientemente morbidi e realistici? Oppure organismi biomeccanici senzienti progettati per soddisfare gli uomini come la Wind Up Girl, l’ottimo romanzo (non tradotto in italiano) che ha fruttato il premio Hugo a Paolo Bacigalupi?”
Queste sono le domande che pone Wired. Ma Yeoman e Mars hanno ipotizzato che gli androidi saranno dotati di una pelle simile a quella umana, realizzati con particolari fibre antibatteriche che possano essere opportunamente lavate per impedire la trasmissione di patologie infettive. Nel futuro immaginato dai due neozelandesi la prostituzione diventerebbe un business senza pari, anche grazie al fatto che gli uomini potrebbero godere dei servizi della prostituzione senza doversi caricare sulle spalle il senso di colpa derivante dallo sfruttamento sessuale di un altro individuo. Inoltre, secondo i calcoli di Yeoman, Mars e con l’aiuto dei dati raccolti dal gruppo IAST (Initiative Against Sex Trafficking), quasi 4 milioni di persone sono ogni anno oggetto di smercio, tra questi almeno 1 milione sono bambini che finiscono regolarmente nelle spire del traffico sessuale. Per cui basterebbe allestire dei cyberbordelli nei paesi in cui c’è maggior richiesta, a convincere le migliaia di clienti di questo business a passare dalla carne ai circuiti, a ridurre la domanda di bambini e ragazze straniere, a creare un giro d’affari legale simile a quello che interessa oggi le Filippine e l’Olanda. Ma Wired pone alcuni dubbi, primo di tutti il fatto che i clienti del traffico sessuale non cercano soddisfazione sessuale, piuttosto una deviata forma di soddisfazione psicologica, per cui non è detto che il piacere si possa ritrovare in un atto con un robot.
Altro problema centrale riguarda l’aspetto che avranno gli androidi del 2050: raggiungeranno un sufficiente grado di similarità con gli esseri umani o il loro aspetto comincerà a disgustarci?.


La Csr sfonda il muro del miliardo di euro

Altro che crisi: le grandi aziende del nostro Paese puntano forte nella Csr, tanto che nel 2011 è stato toccato il dato record di 1 miliardo e 74 milioni di euro destinati a welfare aziendale, cultura, ambiente. Una somma superiore di 100 milioni rispetto al 2009.
L’altro lato della medaglia, però, è meno positivo: il numero di imprese che ha investito nella responsabilità sociale d’impresa è passato da 7 su 10 a 6,4. La cifra media pro capite, dunque, è salita parecchio: dai 161 mila euro del 2009 si è arrivati a quota 210 mila nel 2011.
Sono questi alcuni dei principali risultati del V Rapporto sull’Impegno sociale delle aziende in Italia realizzato da Swg per l’Osservatorio Socialis, con il sostegno di Dompé, Novartis e Pfizer e la partecipazione di Lega del Filo d’Oro e Cipsi.
Nei prossimi mesi le cose dovrebbero proseguire nella stessa direzione. Quest’anno, infatti, il budget pro capite dovrebbe crescere ancora, assestandosi intorno ai 224 mila euro, mentre il totale delle imprese che si impegneranno nella Csr scenderà dal 64% dello scorso anno al 55 per cento.
Gli ostacoli alla crescita della Csr, stando a quello che hanno dichiarato gli intervistati, sono principalmente tre: la mancanza di ritorni immediati (37%), la scarsa cultura manageriale (25%) e quella di incentivi di mercato (25%).
L’Osservatorio è stato presentato la scorsa settimana al ministero dello Sviluppo economico. Una occasione che ha portato all’idea di promuovere una Carta della Responsabilità Sociale d’Impresa, con l’obiettivo di definire nuove regole da sottoporre e condividere con le istituzioni per raggiungere il comune obiettivo di produrre uno sviluppo più sostenibile.
La Carta è costituita da una serie di enunciati che definiscono i principi basi cui dovrebbe rivolgersi un rapporto responsabile e sostenibile tra impresa e società. È aperta a contributi e riflessioni, basta andare sul sito dell’Osservatorio e contribuire inviando una mail (a carta@osservatoriosocialis.it).
Di seguito gli enunciati della Carta della Responsabilità Sociale delle Imprese:

  1. La Responsabilità Sociale può rappresentare un cambiamento nel modo di concepire il lavoro, valorizzando non solo la sua dimensione economica ma anche il contributo di innovazione sociale e di cultura individuale che esso è in grado di esprimere
  2. La Responsabilità Sociale delle imprese va diffusa attraverso un sistema di confronto con le Istituzioni, perché rappresenta uno strumento imprescindibile per lo sviluppo della società civile
  3. Le trasformazioni dei rapporti tra Istituzioni, cittadini e imprese vanno basate sulla generale capacità di ascolto, cura, attenzione, comunicazione, comprensione.
  4. L’attuazione delle politiche pubbliche non può prescindere dalla partecipazione attiva di tutti i soggetti, anche dei cittadini e delle imprese.
  5. E’ necessario organizzare la partecipazione: far interagire i diversi soggetti, condividere l’interesse generale, rendersi tutti solidali al valore pubblico da produrre.
  6. Le Università devono essere chiamate a un ruolo più attivo nell’analizzare e approfondire il fenomeno della Responsabilità Sociale, così da ridurre la distanza tra lo studio della governance e l’applicazione al mondo del lavoro
  7. Le imprese si rendono disponibili a sottoscrivere principi, metodologie di lavoro, processi di governance e strumenti di rendicontazione a garanzia della veridicità e della trasparenza delle loro attività
  8. Diventa sempre più importante l’esigenza di cooperazione tra pubblico e privato, specialmente in settori più vicini alla domanda sociale, in cui diventa indispensabile una regolazione delle responsabilità e un’equilibrata distribuzione dei poteri.
  9. E’ importante alimentare iniziative periodiche di incontro e collaborazione per concepire linee guida di comportamenti che abbiano l’obiettivo di armonizzare sia la missione produttiva che quella del raggiungimento di uno sviluppo sostenibile.


Citroen Blog

Ultimamente vi abbiamo spesso parlato della bellissima città di Roma e dell’ambizioso progetto, tutto ecologico, di Roma Capitale per la MobilitàSostenibile.
Ieri la grandiosa capitale italiana ha ospitato il lancio di Citroën Créative Écologie, un nuovissimo progetto online, dedicato alle organizzazioni noprofit che si occupano di salvaguardia ambientale.Un nome che richiama subito alla mente Citroën Créative Donation, il grande successo dello scorso anno (oltre 1.600 le organizzazioni non profititaliane operanti nel sociale, oltre 210.000 click donati dagli utenti tramite la piattaforma “1ClickDonation”) e di cui Citroën Créative Écologie ne èl’edizione 2012.
Ma vediamo assieme di cosa si tratta!Citroën Créative Écologie è ancora una volta un’iniziativa online che coinvolge direttamente tutti gli utenti in un progetto di “Corporate SocialResponsibility”, chiedendo loro di determinare con il proprio “click” le otto organizzazioni no profit operanti nel settore della salvaguardiadell’ambiente che si aggiudicheranno la donazione messa in palio da Citroën Italia: ben due CITROËN C-Zero 100% elettriche e sei bicicletteelettriche ripiegabili.
La sfida è aperta a tutte le organizzazioni, che saranno libere di autocandidarsi purché dimostrino di avere un sito internet che testimoni il propriooperato e che permetta loro di attivarsi all’interno del progetto online di Citroën.Fino al 30 giugno 2012, potrete candidare le vostre organizzazioni preferite o sostenere una di quelle suggerite da altri tramite tre canali: direttamentedalla fanpage http://www.facebook.com/citroenitalia, dal sito www.citroen.it o dal sito http://www.1clickdonation.com/; qui, oltre al video dipresentazione dell’iniziativa e il video tutorial, sarà possibile seguire, click dopo click, tutto lo svolgersi dell’iniziativa!


AFRICA MILK PROJECT: UN VIRTUOSO PROGETTO A FAVORE DELL’AFRICA

Africa Milk Project è un progetto promosso da CEFA Onlus e dal Gruppo Granarolo che si pone l’obiettivo di sviluppare intorno ad un piccolo caseificio (la Njombe Milk Factory) situato in uno dei distretti più poveri della Tanzania una vera e propria filiera del latte.
Tutto nasce alcuni anni fa quando a Njombe il CEFA aveva promosso la costituzione di una cooperativa di allevatori di mucche da latte; sulla base di questa prima esperienza, nel 2004 è stato avviato il progetto di sviluppo, co-finanziato dal Ministero degli Affari Esteri Italiano e sostenuto con un contributo di 150.000 Euro da Granarolo, denominato “Programma zootecnico per la produzione e commercializzazione del latte e dei suoi derivati”. Così è nata la Njombe Milk Factory, una latteria sociale, che ha conseguito risultati economici e sociali molto importanti ed oggi offre uno sbocco sicuro alla produzione di latte di oltre 800 allevatori, dà lavoro a più di 1500 persone e rende accessibile alla popolazione e alle scuole un alimento fondamentale per la dieta infantile come è il latte.
Fino ad ora la Njombe Milk Factory è stata un piccolo ma potente motore di auto sviluppo e d’ora in poi attraverso Africa Milk Project potrà allargare la sua sfera d’azione all’intera popolazione residente e a tante altre scuole, offrendo insieme al latte lavoro, salute, sviluppo economico e sociale.
Intervista di Maurizio Boschini a Luciano Sita, Presidente di Granarolo dal 1991 al 2009, ha ideato insieme alla Onlus CEFA di Bologna il progetto “Africa Milk”. Cerchiamo allora di sapere qualcosa di più su questo interessante progetto.
In che cosa consiste, in estrema sintesi, “Africa Milk Project”?
E’ un progetto di solidarietà sociale che abbiamo avviato in Tanzania, nella zona dell’alto Kipengere, un vasto altopiano a 2000 metri di altitudine e a circa 800 Km da Dar Er Salam, zona temperata, fertile, rigogliosa, ricca di enormi piantagioni di tè, di foreste di mimosa, di immensi prati.
In quell’area, e nello specifico distretto di Njombe, CEFA ha da tempo aperto cantieri di miglioramento della vita degli abitanti, realizzando diverse opere grazie al contributo dei volontari CEFA: una diga che fornisce acqua e produce energia elettrica; la realizzazione di case in mattoni al posto delle tradizionali abitazioni di felci e sterco animale; l’avviamento di coltivazioni basate sui cereali e la conseguente attivazione di un mangimificio e di alcuni allevamenti di polli; l’istituzione di asili per l’infanzia e scuole.
A metà degli anni ’90, in quel distretto, la chiesa Luterana mandò in dono diverse mucche e un toro per dare sostegno alla vita dei contadini con una produzione di latte ad uso domestico. Ogni vitello nato doveva essere dato in dono ai contadini che ne erano sprovvisti: così si diffuse la presenza delle vacche da latte.
Con il progetto Africa Milk si è teso a dar vita al completamento della filiera del latte in quella zona con la costruzione di una latteria in grado di raccogliere il latte prodotto oltre il fabbisogno famigliare per distribuirlo alle scuole e generare un consumo rivolto soprattutto ai giovani che soffrono di carenza di calcio nell’alimentazione. Con il progetto Africa Milk, oggi, migliaia di ragazzi delle scuole hanno possibilità di consumare una razione quotidiana di latte (favorita anche da un progetto di gratuità sostenuto da Granarolo). Inoltre la latteria ha cominciato a produrre anche formaggi perché i contadini hanno avviato allevamenti di mucche da latte favoriti dalla costruzione della latteria che ritira tutto il latte prodotto che
viene lavorato e commercializzato. In sostanza si è generato un balzo in avanti nella qualità della vita degli abitanti di quella zona. I contadini producono latte e hanno più reddito, la latteria dà lavoro a decine di persone, il latte è diventato un bene di consumo corrente per i ragazzi. Tutto ciò grazie ad una collaborazione fra Granarolo e CEFA che sta proseguendo con obiettivi di rafforzamento e ulteriore sviluppo dell’esperienza decollata nel 2004.
Come è venuta l’idea di un simile progetto?
Il Senatore Giovanni Bersani fondatore di CEFA fu all’inizio del 2000 fra i finalisti del Premio Alta Qualità istituito da Granarolo, premio destinato a persone che nel corso della vita avevano espresso particolare valore sociale, umano, culturale. All’atto della premiazione fu chiesto al Senatore di raccontare qualche esperienza di CEFA. Bersani citò fra l’altro l’obiettivo di costruire una latteria nella cittadina di Njombe nell’alto Kipengere in Tanzania. Mancavano però le risorse finanziarie. Fu chiesto al Senatore quanto
occorreva e Granarolo seduta stante dichiarò la propria disponibilità a sostenere il progetto. Così ebbe avvio il progetto Africa Milk.
Un progetto che si impose all’attenzione dello stesso Ministero dell’Agricoltura del Governo Tanzaniano, tant’è che alla inaugurazione della Latteria parteciparono le più alte cariche dello stato.
Quale supporto concreto ha dato Granarolo in questa partnership col CEFA di Bologna?
Granarolo ha assicurato le risorse finanziarie per costruire la latteria, ha curato la progettazione e la costruzione, ha mandato i tecnici per fare formazione e gli impianti per avviarla, ha ospitato i candidati alla gestione della latteria nel proprio stabilimento di Bologna, ha ospitato nelle aziende agricole socie una delegazione di contadini Tanzaniani per prendere visione delle moderne tecniche di allevamento delle mucche da latte. I soci produttori di latte di Granarolo sono andati in visita alla latteria di Njombe e alle stalle dei conferenti. Granarolo ha inserito nella propria comunicazione il marchio del progetto e ha raccolto risorse per sostenerlo attraverso la raccolta punti dei prodotti Granarolo. Insomma il progetto non si è limitato a dare risorse, ma ha generato un vero e proprio gemellaggio di relazioni umane, tecniche, professionali e di solidarietà che si è radicato e avrà sviluppi di grande portata sociale ed economica per quelle terre. Un progetto di solidarietà internazionale eccellente e ideale, partito con volontari, ma che verrà lasciato in gestione alle genti del posto. Un progetto che diventerà un punto di riferimento per molte altre
aree dell’Africa Centrale.
Che cosa significa per lei, alla luce anche della esperienza effettuata con Africa Milk Project, l’espressione “responsabilità sociale di impresa”?
Innanzitutto mi preme sottolineare come in Granarolo la “responsabilità sociale di impresa” sia stata una delle componenti della strategia di impresa fin dall’inizio degli anni ’90. Il nostro obiettivo era di esprimere nei fatti azioni che non si risolvessero nel produrre prodotti di qualità, nel pieno rispetto delle regole, ma che si traducessero anche nei rapporti con le risorse umane e con gli stakeholder in generale.
Ci siamo sempre proposti l’obiettivo di andare oltre e di esprimere al meglio il nostro contributo come “cittadini della comunità”.
Per questo, agli obiettivi imprenditoriali, abbiamo sempre accompagnato obiettivi di carattere sociale in un conteso di partecipazione e coinvolgimento di soci e dipendenti che ha favorito l’individuazione di iniziative e progetti condivisi, sostenuti da adeguate risorse aziendali e talvolta da contribuzioni di soci e dipendenti.
Granarolo è stata una delle prime aziende a produrre e pubblicare il Bilancio Sociale e praticare tutte le certificazioni possibili, compresa quella etica e ambientale. Grazie a questo impegno Granarolo ha ottenuto numerosi premi e attestati come campione di “responsabilità sociale”. In questo contesto ha preso avvio il progetto Africa Milk come naturale e spontaneo arricchimento ed evoluzione della responsabilità sociale di impresa e non come semplice contribuzione solidale o “opera buona” da annoverare fra i meriti dell’azienda.
In base alla sua esperienza in Emilia Romagna e a Bologna in particolare, la Responsabilità sociale di impresa è un tema sufficientemente conosciuto e soprattutto una “buona prassi” sufficientemente diffusa ed applicata?
Ritengo che a Bologna e in Emilia Romagna sia abbastanza diffusa una pratica di Responsabilità Sociale delle imprese che supera il tradizionale e semplice solidarismo o il sostegno alle tante iniziative sociali che si svolgono sul territorio. E’ abbastanza diffusa la pratica della formalizzazione di Bilanci di Responsabilità Sociale che forniscono la misura e la qualità di questo impegno da parte delle imprese. Credo però che ci sia ancora molto spazio per arricchire e migliorare le pratiche della cosiddetta CSR (Corporate Social
Responsibility). Purtroppo ai ricchi, articolati e talvolta elegantissimi volumi di Bilanci di Responsabilità Sociale, non corrispondono pratiche continuative, coerenti e radicate, facenti parte della strategia d’impresa.
Che cosa consiglierebbe agli imprenditori e ai manager che volessero accostarsi al tema della responsabilità sociale d’impresa?
Innanzitutto consiglio di non approcciare la Responsabilità Sociale d’impresa come un dovere formale o di immagine, oppure come “moda” o pura imitazione di ciò che fanno altri.
La CSR, come dicevo prima, per essere vera ed efficace, deve far parte della strategia d’impresa, del modo di esercitare ed esprimere l’attività dell’imprenditore e del manager.
Si tratta di una qualità dell’essere che deve maturare all’interno della cultura di chi guida l’impresa.. Solo in questo modo si potrà andare alla conquista di una CSR diffusa, frutto di una indipendenza culturale di tutti gli operatori dell’impresa e quindi di una crescente condivisione di questa importante declinazione del fare impresa, al di là dei doveri d’immagine, delle mode o di desideri di imitazione.
Per questo la CSR dovrà essere sempre più frutto di un lavoro collettivo, alimentato dalla profonda convinzione di chi guida l’impresa.
Solo se si generano queste condizioni si potrà avviare un processo che declini gli obiettivi imprenditoriali in obiettivi di CSR diffusi, sottoposti quindi al processo di pianificazione, a quello di rendicontazione e formalizzazione. Un processo che di anno in anno si affinerà, si arricchirà e si incarnerà nell’azienda, tanto quanto il processo produttivo.
Per realizzare questo credo possa essere utile organizzare incontri con imprese che hanno già maturato esperienze nel campo della CSR oppure con Associazioni come “Impronta Etica”, che da anni si dedica alla diffusione delle pratiche di CSR maturate dalle imprese a lei associate: Granarolo, Coop, Conad, Tetra Pak, Unipol, Hera e altre ancora. In questo modo si possono ricavare gli spunti, gli stimoli e le convinzioni necessarie ad intraprendere una strada che non può certamente essere improvvisata o casuale.


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