Progetto Webcam su Radio24

Intervista rilasciata da Luca Poma a “Ferry Boat”, la rubrica sulla CSR di Radio24 sul progetto “Webcam”


Spot Politik, la Casta inciampa sulla comunicazione

Se c’è una cosa che i politici non sanno fare, è comunicare. Anche Berlusconi, negli ultimi tempi, aveva perso smalto. Ma il problema è soprattutto nel Pd, che promuove campagne disastrose e vacue. È l’impietosa analisi del libro Spot Politik, scritto da Giovanna Cosenza, docente di Teoria dei Linguaggi all’Università di Bologna che, intervistata da Linkiesta, spiega perché la Casta non sa usare i media. E suggerisce come cambiare (in meglio) la situazione.Quando si introducono nel complesso mondo della comunicazione, i politici fanno disastri. Errori, mancanze, superficialità, sia a destra che a sinistra (più a sinistra, a dire il vero, ma negli ultimi anni anche Berlusconi, il “grande comunicatore”, ha perso smalto). Un ritardo culturale che condiziona tutto il quadro delle campagne elettorali. «Qui c’è tutto “il peggio di” della comunicazione politica italiana degli ultimi quattro anni», spiega a Linkiesta Giovanna Cosenza, docente di Filosofia e Teoria dei Linguaggi all’Università di Bologna e autrice di SpotPolitik, Perché la casta non sa comunicare, Laterza, 2012. A leggerlo, il libro dà un quadro sconfortante, Ma le bizzarrie che la “casta” ha saputo produrre in ambito di comunicazione in questi anni sono esilaranti.
A sinistra bocciato Pier Luigi Bersani: un linguaggio burocratico, goffo e inespressivo. Per svecchiarsi, un giorno decide che sia bene dire qualche parolaccia, ma sbaglia (e così peggiora anche). Da rifare, poi, tutte le campagne del Pd: da Veltroni in avanti non centrano mai il segno. Anzi, fanno errori da principianti. Nel 2008 l’idea disastrosa di evitare di dire il nome di Berlusconi, chiamandolo “principale esponente dello schieramento avversario” (e così facendolo sempre venire in mente agli spettatori). Nel 2012, la trovata di chiamare una campagna “Destinazione Italia’. Come a indicare che il Pd, in Italia, non c’è ancora arrivato.
Ma anche Berlusconi, negli ultimi anni, ha perso il tocco magico. Non nelle trovate né nel linguaggio, ma nella capacità di costruire storie. Come, ad esempio, la trovata della “fidanzata” da opporre agli scandali sessuali che lo stavano travolgendo. Un’idea buona, spiega Giovanna Cosenza, ma poi lasciata a metà, mancando in ogni modo di convincere l’elettore.
Il problema però, è culturale: da un lato c’è un ritardo nell’accettare l’idea che per fare politica si debba sapere anche comunicare (fenomeno visibile soprattutto nel Pd, e non in Vendola o Di Pietro, ad esempio). Dall’altro, la superficialità con cui viene affrontata la questione vanifica anche le idee, buone, delle agenzie pubblicitarie. In fondo a tutto c’è anche la debolezza delle proposte politiche da comunicare. Un problema serio. «Adesso c’è un periodo di pausa – che pausa non è – della politica. Occorre approfittarne per non ricaderci più. Ma la riflessione andrebbe fatta da tutti», spiega Cosenza a Linkiesta.
Adesso al governo c’è Mario Monti. Non è un politico di professione, ma anche lui deve comunicare. Come lo fa? «Monti si muove con grande abilità. E, soprattutto, nel modo giusto per il momento attuale», spiega. «La sua comunicazione può riassumersi nella parola-chiave “sobrietà”, come tutti hanno detto. Funziona bene adesso, perché questo è un momento di emergenza». Poi, essendo un tecnico, «ha un linguaggio alto e ricco di tecnicismi. Uno stile didattico». Buono per rivolgersi all’Europa, rassicurare i mercati e ricostruire la credibilità. «Sul fronte interno, adotta uno stile misurato, anche perché non deve preoccuparsi di vincere le elezioni», anche se anche qui non sono mancati gli errori. «Michel Martone, che forse voleva crearsi uno spazio autonomo rispetto al ministro Fornero che ha dato degli “sfigati” a quelli che non si erano laureati entro i 28 anni. O la frase sulla “monotonia del posto fisso”. Tutti errori che possono capitare. I politici sono sotto osservazione tutto il tempo, qualche scivolone lo possono prendere».
Nel complesso, però, il governo tiene bene. Anche sul fronte femminile: un capitolo di SpotPolitik analizza la situazione femminile in Italia, partendo dalle pubblicità. La società ne è specchio e conseguenza riflettendo l’immagine di una donna con un ruolo subalterno e limitato. «Le donne del governo Monti sono solo tre: la Fornero, la Cancellieri e la Severino. Però hanno ruoli di primo piano. Si può essere in disaccordo con le loro scelte politiche, ma è indubbio che siano state promosse per le loro competenze. In questo senso, Monti ha fatto molto, anche se in Italia resta tanto ancora da fare».
I partiti, durante la “pausa” devono ritrovare la strada. La direzione sembra una sola: la rete. «Anche qui il ritardo è tutto italiano. I partiti non utilizzano il web per comunicare, e cominciano solo adesso». Angelino Alfano, segretario del PdL, ha dettato il passo: «Si è fatto vedere con l’iPad, ha promosso la sua pagina Facebook». Deve fare in fretta, perché il suo partito sconta un ritardo forte. «Colpa della cultura televisiva, che lo ha dominato». Il Pd, invece, «è su internet da più tempo. C’era YouDem, il sito, gli account. Resta un po’ ingessato: si vede che è in rete perché sente che ci deve essere, e non perché creda davvero che serva». Gli unici che la sanno usare sono ancora loro: Beppe Grillo, Vendola e Di Pietro. «Una questione di mentalità: la rete implica un’apertura più immediata, veloce e sincera».
Insomma, per i politici non è tanto un problema di dimestichezza con la tecnologia, quanto con la comunicazione in generale. SpotPolitik, con la sua analisi ironica e sferzante, mostra dove i politici sbagliano. E cosa potrebbero migliorare. Un vademecum di consigli preziosi per un politico che decide di comunicare davvero. Molto facile, allora, che non saranno ascoltati.
Giovanna Cosenza, professore associato di Filosofia e teoria dei linguaggi all’Università di Bologna, è autrice di Spot Politik. Perché la Casta non sa comunicare, Editori Laterza, 12 euro


Londra, il grande inganno di Facebook, Twitter e c.

Il Cio ha (avrebbe) dato il via libera a Facebook, Twitter, Youtube e blog al Villaggio Olimpico di Londra, tanto che si era parlato addirittura della prima Olimpiade dove i social network avranno quello spazio che prima non avevano mai avuto (figuriamoci quattro anni fa, a Pechino…).Ma attenzione, c’è l’inganno. Perché non è vero che il Cio ” incoraggia attivamente e appoggia gli atleti a partecipare ai social media e parlare delle proprie esperienze tramite di blog…”, come sostiene, perché ha messo tanti e tali “paletti”  che alla fine gli atleti potranno scrivere solo messaggi banali, tipo “mamma qui a Londra tutto bene, mi sono allenato e domani spero di fare una bella gara…”. Sì, perché le limitazioni del Cio tolgono spazio a qualsiasi fantasia o voglia di comunicare con il mondo esterno. E tutte le Nazioni partecipanti ai Giochi londinesi dovranno adeguarsi. Il Coni ha tradotto le norme previste dal Cio: gli atleti e gli “officials” che andranno a Londra dovranno quindi studiare con la massima attenzione un opuscolo chiamato “Linee guida social media, blogging e Internet Cio per i partecipanti e altre persone accreditate ai Giochi Olimpici di Londra 2012”. Cosa prevede? Non c’è la possibilità di “postare” liberamente foto, video, tweet: solo messaggi in prima persona, foto di se stessi (se ci sono altri atleti va chiesta l’autorizzazione). Vietati i filmati, sia al Villaggio sia ai luoghi di gara (solo uso personale e non “potranno essere condivisi tramite posting, blog o tweet…”). I cinque cerchi olimpici non si possono usare e non è permesso “promuovere qualsiasi marchio, prodotto o servizio nell’ambito di posting, blog o tweet o altro su qualunque piattaforma social media o sito web. Ai partecipanti e altre persone accreditate è vietato firmare qualsiasi accordo commerciale esclusivo”. Insomma, è proibito praticamente tutto (e pensare che il Cio voleva “incoraggiare”… ). I rischi per chi sgarra sono altissimi, anche dal punto di vista penale.


Csr: Nissan e FedEx Express trasportano a zero emissioni gli aiuti alla Croce Rossa britannica

Nissan e FedEx collaborano ancora una volta a Londra dimostrando il proprio impegno in favore della sostenibilità ambientale e della responsabilità sociale d’impresa.
Un corriere di FedEx Express ha guidato il veicolo 100% elettrico a zero emissioni Nissan e-NV200 Concept fino alla sede londinese della Croce Rossa britannica: oggetto della consegna, le donazioni raccolte fra il personale Nissan oltre a un contributo filantropico aziendale di FedEx Express. Con questo viaggio si è concluso il primo test su strada di e-NV200 Concept nel Regno Unito e il collaudo da parte di FedEx Express del nuovo prototipo van Nissan 100% elettrico. Molti dipendenti del Nissan Technical Centre Europe (NTCE) di Cranfield, che hanno fornito il supporto tecnico a e-NV200 Concept, hanno partecipato all’annuale raccolta benefica della Croce Rossa britannica per il fondo di emergenza a supporto dei disastri. Sono stati proprio loro a chiedere che le donazioni venissero consegnate in modo memorabile, a bordo del veicolo a zero emissioni. In segno di solidarietà e di responsabilità sociale, FedEx Express ha raddoppiato il contributo economico del personale Nissan e si è incaricata di recapitare il denaro utilizzando il Nissan e-NV200 Concept, che aveva collaudato sulle strade di Londra.
“Siamo orgogliosi di consegnare i fondi raccolti dai nostri dipendenti a sostegno della Croce Rossa britannica e siamo lieti che FedEx Express, nostro partner in questo progetto di mobilità ecologica, abbia voluto sostenere concretamente l’iniziativa” ha dichiarato Graeme Burn, ingegnere senior nell’NTCE incaricato dello sviluppo degli apparati propulsori.
“La collaborazione con FedEx Express sui fronti della sostenibilità ambientale e della responsabilità sociale d’impresa dimostra che, quando due aziende uniscono le forze, ottengono grandi risultati. L’esperienza con e-NV200 Concept è stata coinvolgente, positiva ed estremamente innovativa. Colgo l’occasione per ringraziare il nostro personale per la generosità dimostrata e per il tenace supporto al nostro impegno sociale.” ha aggiunto l’ingegnere.
“Da sempre FedEx Express promuove campagne di solidarietà internazionale e lavora in un’ottica di sostenibilità ambientale, fornendo i propri servizi di trasporto in tutto il mondo e inviando donazioni filantropiche nelle aree colpite da emergenze umanitarie e disastri” ha detto William Martin, direttore generale del trasporto via terra nel Regno Unito, FedEx Express EMEA. “Siamo felici di aver rafforzato la collaborazione con Nissan in questi due mesi di test della mobilità elettrica e di aver sostenuto concretamente le attività della Croce Rossa britannica.” ha concluso Martin.


Csr: le fabbriche cinesi della Apple sotto la lente della Fair Labour Association

Turni di lavoro massacranti, salari da fame, dormitori senza acqua corrente. Tanti gli abusi, dal lavoro minorile alle condizioni insicure, che vanno in scena nelle fabbriche cinesi in cui vengono prodotti e assemblati i gioielli della Apple.
Ora, però, la Mela di Cupertino ha ceduto e ha annunciato che la Fair Labour associaton, organizzazione no-profit che si propone di far rispettare le norme internazionali sul lavoro, condurrà delle ispezioni nelle ditte di assemblaggio asiatiche.
Se nel non lontano 2010 decine di lavoratori della Foxconn, la fabbrica cinese che lavora per la Apple, si sono suicidati gettandosi dall’ultimo piano dello stabilimento di Shenzen, nel 2012 la Apple diventa, invece, la prima azienda tecnologica ad unirsi alla Fla. E ora i risultati delle ispezioni, che sono partite lo scorso 13 febbraio proprio dalla Foxconn di Shenzhen,  verranno resi pubblici a marzo, spiega l’associazione in un comunicato.
Ma queste ispezioni aiuteranno davvero i lavoratori cinesi? Se l’è chiesto il giornale Good, che ha intervistato Dan Viederman, l’amministratore delegato di Verité, una ONG che si occupa di diritti del lavoro. “La FLA come istituzione è governata da una combinazione di aziende, ONG e università, così da questo punto di vista, è molto più credibile di un’istituzione fatta solo da imprese”, spiega Viederman. Il più grande fattore di distinzione per la credibilità della valutazione è la qualità delle informazioni che verranno raccolte direttamente dai lavoratori, che dovranno sentirsi sicuri nel rivelare le condizioni in cui stanno lavorando o le violazioni della sicurezza.
La valutazione, poi, non è che la prima parte, “una prima risposta per chiarire cosa sta succedendo. Ciò che conta davvero è il beneficio che ne traggano i lavoratori dopo che la valutazione è stata completata”, dice Viederman. Insomma, l’indagine e le sue valutazioni sono solo il primo risultato. È successivamente che bisogna intraprendere le modifiche di un intero sistema.


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