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CSR: quali azioni intraprendere per integrarla davvero nelle strategie aziendali?

Le aziende avvertono oggi una responsabilità ancora più forte verso il territorio, la comunità e le persone e sono proiettate verso l’obiettivo di uno sviluppo economico e sociale che sia duraturo e generi benefici diffusi. Per questo è nato il Sodalitas Stakeholder Forum: per promuovere l’incontro e il dialogo tra le imprese e gli stakeholder che avvertono la responsabilità di ricostruire la coesione sociale nel nostro Paese.
Come spiega infatti Jan Noterdaeme, del Csr Europe, il Network promosso dalla Commissione Europea di cui Fondazione Sodalitas è rappresentante per l’Italia, “impresa e società devono collaborare per trovare soluzioni innovative a favore della coesione sociale. In particolare le imprese devono cooperare in modo più efficace con gli stakeholder per integrare davvero la Responsabilità Sociale nelle operazioni e nelle strategie”. Questo è anche l’obiettivo di fondo della nuova Strategia Europea sulla Csr.
Ma quali sono le azioni che le aziende dovrebbero intraprendere per integrare in modo più efficace la Responsabilità Sociale nelle loro strategie? Lo abbiamo chieste ad alcune delle aziende che più investano in CSR.
Alessandra Viscovi, Direttore Generale di Etica Sgr. “Come investitori responsabili cerchiamo di stimolare le aziende attraverso il dialogo, la partecipazione alle assemblee e la votazione di mozioni con l’obiettivo di indirizzare le società verso pratiche più attente alla sostenibilità e al rispetto di tutti gli stakeholder. Siamo infatti convinti che le aziende che valutano gli impatti delle proprie azioni nei confronti di tutti i portatori di interesse siano quelle che puntano realmente al futuro e non solo a massimizzare gli utili nel brevissimo periodo. Penso che un passo importante per comprendere il valore strategico di questo approccio possa essere quello della rendicontazione. Etica Sgr ha scelto da ormai tre anni di rendicontare attraverso un Bilancio Integrato, che unisce la parte civilistica con i principali risultati economici della società e il report di sostenibilità redatto secondo le linee guida del “GRI – Global Reporting Initiative” (versione GRI- G3). Una soluzione che l’anno scorso ha portato la Sgr a ottenere l’importante riconoscimento dell’Oscar di Bilancio”.
Federico Garcea, Amministratore delegato Treedom. “Le strategie di CSR di maggior successo sono quelle che nascono dall’ascolto e dalla comprensione delle richieste e dei bisogni della comunità aziendale e un’efficace comunicazione e condivisione agli stakeholder. La fase interna deve basarsi su un coordinamento dei bisogni interni, lasciando libera iniziativa agli impiegati di investire il loro tempo-lavoro in azioni o attività concrete di responsabilità sociale e ambientale. Queste, che siano donazioni o azioni collettive, devono contribuire a creare un forte senso di comunità interna. Molto efficace in questo senso il volontariato d’impresa, che permette d’investire il know-how aziendale o personale in azioni concrete con immediato senso di partecipazione. Queste attività devono completarsi con una particolare attenzione alla comunicazione esterna, che riesca a far passare agli stakeholder quanto le attività di CSR non siano state solamente azioni di una piccola unità interna ma la realizzazione delle richieste condivise e della mission aziendale”.
Susanna Galli, CSR Manager Novamont. “Come sempre avviene nell’impresa anche in questo caso ci deve essere un gioco di squadra in cui la leadership principale è affidata al CEO che deve guidare verso l’adozione della CSR grazie ad una sponsorship forte. A seguire la chiara indicazione nella strategia e nei piani operativi di obiettivi di CSR collegati al business, ai processi interni, al coinvolgimento di terze parti e al sistema di valutazione del management. Infine l’allineamento della cultura aziendale alla CSR e la trasmissione verso l’esterno del nuovo modo di fare impresa”.
Andrea Ronchi, Business Development Manager EcoWay. “In merito alla componente ambientale, le aziende dovrebbero misurare sistematicamente ed in modo comparabile le proprie esternalità. Attribuire a queste un valore economico fissandosi obiettivi di neutralità, crea una leva che stimola da subito tutta l’organizazione all’efficienza e al rinnovamento e permette di ridistribuire valore sul territorio in modo equo e cost-effective”.
Alessandro Beda, Consigliere d’Indirizzo di Fondazione Sodalitas. “Qualsiasi azione da intraprendere per lo sviluppo della CSR dev’essere guidata da obiettivi di concretezza: è necessario che la sostenibilità sia, oggi più che mai, prima sostanza e poi immagine, per passare dalle parole a fatti che siano il più possibile concreti e misurabili. In questa prospettiva i concetti chiave su cui concentrarsi sono Responsabilità, Fiducia e centralità dell’impresa, Dialogo e confronto con gli stakeholder, Testimonianza e trasparenza, Cambiamento culturale. A dirlo, insieme a Fondazione Sodalitas, sono oggi anche i leader delle più importanti imprese del nostro Paese”.




Ue: ecco i Paesi buoni e cattivi della Csr

COMMISSIONE: ITALIA NELLA MEDIA SUL RISPETTO LINEE GUIDA
La Commissione Ue dà i voti alle imprese europee sul loro impegno nel formulare una strategia Csr seguendo le cinque  linee guida internazionali universalmente riconosciute e suggerite da Bruxelles. Lo fa pubblicando uno studio costruito sulle informazioni disponibili pubblicamente riguardanti un campione di 200 grandi aziende europee, con oltre mille dipendenti, scelte casualmente, nel quale vengono individuati buoni e cattivi, soprattutto a livello di Paesi. Il risultato? Promosse le imprese danesi, spagnole e svedesi, che si rifanno alle lineee guide internazionali di Csr più della media europea. Sufficiente, ovvero su valori intorno alla media della Ue, il voto generale per le società targate Olanda, Francia e, attenzione, Italia. Mentre pollice verso, sempre a livello di voto medio, per le aziende ceche, tedesche, polacche e, da sottolineare, britanniche. Quest’ultimo gruppo, in pratica, fa riferimento alle linee guida Csr suggerite dalla Ue meno frequentemente della media europea.
Lo studio ha evidenziato anche altre conclusioni interessanti. Prima, però, è utile sapere che il campione delle 200 aziende analizzate è composto al 53,5% da società private e invece al 46,5% da aziende quotate e quindi caratterizzate da azionariato, in teoria, diffuso. L’analisi evidenzia che il 68% delle società fa riferimento esplicito alla “Corporate social responsability” mentre il 40% esplicita riferimenti ad almeno uno degli stumenti Csr riconosciuti internazionalmente. Più nel dettaglio, e più gradito a Bruxelles, il 33% delle aziende analizzate utilizza l’invito della Commissione Ue a fare riferimento ad almeno una delle seguenti linee guida: UN Global Compact, OECD Guidelines for Multinational Enterprises (Ocse), e ISO 26000. Tuttavia c’è ancora molta strada da fare. Bruxelles deve prendere atto che solo il 2% del campione ascolta il consiglio di seguire nella propria azione Csr la linea guida “ILO MNE Declaration”. E appena il 3% fa riferimento all’UN Guiding Principles on Business and Human Rights, linea guida che la Commissione spera vengano implementati nel tempo da tutte le aziende per quanto riguarda al parte della corporate responsibility sul rispetto dei diritti umani
Ma alla fine dei conti, quali sono le linee guida Csr più usate oggi? La “UN Global Compact” e il “Global Reporting Initiative”, rispettivamente con il 32% e il 31% sono gli strumenti più diffusi seguiti da “Universal Declaration of Human Rights” e dagli “Instruments of the International Labour Organisation”. Attenzione, infine, a un ulteriore spunto arrivato dalla studio della Commissione: le aziende più grandi, quelle per capirci con oltre 10mila impiegati sono circa tre volte più attente ai principi guida Csr riconosciuti internazionalmenete che le aziende con un numero di dipendenti compresi tra mille e 10mila. Insomma, a livello di attenzione alla Csr, grande è meglio.
Una curiosità finale. Ecco le aziende pescate da Bruxelles come campione per l’I)talia: Manuli, Prysmian, Gruppo Beltrame, Italcementi, Pirelli, Gruppo CLN, Gruppo Tessile Miroglio, Snaidero, Finmeccanica, San Benedetto, Marazzi, Gruppo De Agostini, Technit, Intesa SanPaolo, Cir Group, Barilla, Impregilo, Kme Group, Unichips.




Ericsson taglia le emissioni di Co2, obiettivo raggiunto con un anno di anticipo

La Ericsson ha raggiunto l’obiettivo quinquennale di riduzione delle emissioni con un anno di anticipo, un traguardo che fa da cornice alla pubblicazione del ventesimo Bilancio sociale e che testimonia l’impegno dell’azienda nelle attività commerciali responsabili, con un focus sui diritti umani e la lotta alla corruzione. “Il nostro impegno nella Sostenibilità copre tre grandi aree, dice Elaine Weidman-Grunewald, vicepresidente per l’area della Sostenibilità e della Corporate Responsability della Ericsson, l’accessibilità, l’energia e le ICT, le Tecnologie per l’Informazione e la Comunicazione e la responsabilità aziendale, tre aree di eguale importanza e di pari dignità. Siamo orgogliosi dei nostri risultati, continua la Weidman, dai target di riduzione delle emissioni raggiunti con un anno di anticipo, all’impegno per l’ampliamento della banda larga mobile che risponde ad una domanda crescente del mercato. Servizi offerti con soluzioni di efficienza e risparmio di energia, come nel caso della Psi-coverage che si avvale di sistemi radio a basso consumo per la trasmissione delle informazioni o della copertura di aree rurali”. “Il nostro obiettivo, aggiunge Elaine Weidman-Grunewald, è di ampliare la fruibilità della comunicazione, ridurre l’impatto ambientale, abbattendo le emissioni di Co2, gestendo un business responsabile che sia rispettoso dei valori. Per questo, continua, esercitiamo un controllo attento su tutta la filiera produttiva, i nostri fornitori devono attenersi ad un codice di autodisciplina il cui rispetto viene verificato da nostri revisori. Solo lo scorso anno il nostro audit ha compiuto ben 640 verifiche”. “Il nostro lavoro, continua Elaine Weidman-Grunewald, è sottoposto poi a due tipologie di valutazioni indipendenti, quella della PWC (acronimo di PricewaterhouseCoopers) che comprende anche gli indicatori globali GRI (Global Reporting Initiative) e della Intertech che esercita azioni di verifica e valutazione sulla sostenibilità delle nostre attività nei Paesi in cui operiamo. Relativamente poi all’indagine Eurobarometro, condotta su un campione di 39.000 abitanti del Pianeta circa la diminuzione di interesse, particolarmente in Europa, sulle tematiche di sostenibilità ed ambiente, Elaine Weidman-Grunewald afferma che, alla luce dei risultati espressi in questa 20esima relazione, “non si è registrato un calo di interesse nei confronti di questi temi e che anzi, come analizzato dalla loro ultima ricerca sul consumo, l’attenzione verso le tematiche della sostenibilità e della responsabilità sociale sono significativamente aumentate”.




DAI UN CONTRIBUTO ALLA RICERCA E ALLE RELAZIONI PUBBLICHE!

Questo è un invito a partecipare alla creazione di una rete volontaria e interdisciplinare di ricercatori, professionisti/operatori e altri interessati alla storia delle relazioni pubbliche in Italia, in Europa e nel Mondo (sociale, sociologica, politica, economica , psicologica, scientifica, tecnologica, comunicativa e organizzativa).
Relazioni Pubbliche intese come le attività consapevoli e programmate dell’organizzazione (sociale, pubblica, privata) che si proponga di migliorare le relazioni con i suoi pubblici influenti per accelerare il raggiungimento dei propri obiettivi e contribuire ad accrescere la sua legittimazione sociale (licenza di operare).
Da 4 anni, grazie anche al successo di una conferenza internazionale annuale dedicata, si è costituito un network internazionale che ha come’ hub’ la Bournemouth University (UK).
Da pochi giorni è stato anche presentato a Barcellona al Congresso Euprera (European Public Relations Research and Education Association) il European Public Relations History Network, che ha già raggiunto un centinaio di iscritti provenienti da 14 Paesi.
Ecco i principali link informativi:
– in generale: http://microsites.bournemouth.ac.uk/historyofpr/
– un primo indice di archivi http://microsites.bournemouth.ac.uk/historyofpr/2013/01/17/european-pr-history-archive-published/
– i paper presentati fino ad oggi http://microsites.bournemouth.ac.uk/historyofpr/proceedings/
Ciascuno di noi che, a diverso titolo, firma questo appello ti invita ad aderire cliccando qui (tonimuzi@methodos.com), e a farci sapere (cliccando qui modulo prenotazione) se desideri anche partecipare a un paio di webinari consecutivi e dedicati che si terranno dalle 10 alle 12 del 5 novembre (link di iscrizione: https://attendee.gotowebinar.com/register/2842825050785512194)e/o dalle 15 alle 17 del 14 Novembre (link di iscrizione: https://attendee.gotowebinar.com/register/2908022791777835266). I due webinari dovrebbero consentirci di predisporre un piano di azione specifico che ci consenta di portare un contributo di valore al network europeo e a quello mondiale.
Grazie per l’attenzione
Toni Muzi Falconi, professionista di relazioni pubbliche e docente alla Lumsa e alla NYU
Ferdinando Fasce, ordinario di storia contemporanea, Università di Genova
Elisabetta Bini, assegnista di ricerca, Università Roma Tor Vergata
Gherarda Guastalla Lucchini, professionista di relazioni pubbliche
Rossella Patalano, studente Lumsa
Biagio Oppi, Ferpi e Global Alliance delegate
Fabio Ventoruzzo, partner FB & Associati
Gabriele Cazzulini, relatore pubblico digitale
Giampaolo Azzoni, ordinario di comunicazione e relazioni pubblliche, Università di Pavia
Rossella Sobrero, Koinetica
Anna Martina, consulente di comunicazione strategica
Giampietro Vecchiato, senior partner P.R. Consulting e docente Università degli Studi di Padova




La tragedia in Bangladesh e il peso della CSR

Ha superato oggi le mille vittime il tragico bilancio del crollo del complesso di laboratori tessili di Rana Plaza, alla periferia di Dacca, in Bangladesh. Siamo di fronte a un punto di svolta per la CSR o a un colossale fallimento?Ha superato oggi le mille vittime il tragico bilancio del crollo del complesso di laboratori tessili di Rana Plaza, alla periferia di Dacca, in Bangladesh. E proprio oggi, a 17 giorni dalla strage, è stata soccorsa una donna che è riuscita a sopravvivere tra le macerie. Mentre le ricerche continuano, il governo chiude una serie di stabilimenti in cui le norme di sicurezza sono insufficienti. Ma le polemiche infuriano anche nei Paesi occidentali. Perché in molti casi le fabbriche distrutte sono le stesse a cui venivano appaltate, o subappaltate, forniture per grandi marchi come l’italiana Benetton e le spagnole Mango e Corte Ingles. La tragedia del Rana Plaza può diventare un punto di svolta per la moda etica e, allargando gli orizzonti, per la CSR? Oppure è il simbolo di un colossale fallimento? A lanciare la provocazione, dalle pagine del Guardian, è Christine Bader, che di CSR si occupa da anni e fa un’impietosa analisi degli ostacoli che si trova di fronte chi prova a integrare le questioni etiche e ambientali nella cultura aziendale. Gli investimenti miliardari nella CSR operati negli ultimi due decenni, evidentemente, non possono risolvere tutto. Si scontrano ad esempio con il fatto che la stragrande maggioranza dei consumatori, nonostante le dichiarazioni d’intenti, non sia ancora pronta a spendere di più per acquistare prodotti “puliti”. O con i meccanismi legali e fiscali di diversi Paesi in via di sviluppo, che sono stati studiati per attrarre investimenti stranieri anche a patto di mettere in secondo piano la sicurezza del lavoro. Senza contare la corruzione, che in molti casi compromette i controlli. Proprio di fronte a una strage come quella del Rana Plaza, la CSR – afferma con forza il quotidiano d’Oltremanica –, è più importante che mai. Ma, per essere davvero decisiva, non può restare relegata a un ruolo marginale. Al contrario, deve entrare a far parte dei più alti livelli decisionali. Deve avere il potere, ad esempio, di tagliare i ponti fra l’azienda e i fornitori a rischio. Dev’essere costantemente sotto i riflettori dei media, che sono in grado di fare pressione sul management. E non può restare appannaggio di un ristretto numero di addetti ai lavori, ma deve arrivare a coinvolgere in modo più ampio e costante i governi, i consumatori e gli investitori.