Csr e sostenbilita' delle aziende: 10 previsioni per il 2020
Come sarà il rapporto del mondo delle imprese con le tematiche ambientali nei prossimi anni? Le aziende saranno in grado di trasformare e, in alcuni casi, rivoluzionare i propri modelli di business? E, più in particolare, come si configurerà la CSR (Corporate Sustainability and Responsability) nel 2020?
Wayne Visser, scrittore, ricercatore impegnato da anni nell’analisi del rapporto tra economia e sostenibilità e fondatore di CSR International, ha provato ad immaginare 10 previsioni per il futuro di sostenibilità e responsabilità applicate al mondo delle imprese. Più che dei veri e propri scenari, Visser traccia quelle che dovrebbero essere le linee guida, gli obiettivi a cui tendere, di un business che voglia davvero investire su un cambiamento ecosostenibile:
1. Nel 2020, la maggior parte delle grandi multinazionali avrà già attraversato i primi quattro livelli della CSR (che Visser definisce “difensivo”, “caritatevole”, “promozionale” e “strategico” ) e avrà messo in pratica, in modi differenti, una CSR di cambiamento o CSR 2.0.
2. Nel 2020, affidarsi a codici di business sostenibile e a certificazioni ambientali, come UN Global Compact, ISO 14001 e SA 8000, sarà considerato necessario ma non sufficiente. Le grandi compagnie saranno giudicate a seconda della loro capacità di innovare, di affrontare con strumenti nuovi le tematiche ambientali e sociali collegate con le loro attività.
3. Nel 2020, il consumatore “etico” sarà meno influente di quanto non sia oggi. Le aziende, fortemente influenzate dalle politiche dei diversi Governi e dall’erogazione di incentivi, saranno più selettive nei propri processi di produzione, smettendo di offrire prodotti meno etici e consentendo a tutti di acquistare senza sensi di colpa.
4. Nel 2020, le collaborazioni trasversali saranno il cuore della CSR, grazie al maggiore impegno delle aziende, che saranno sempre più coinvolte, non limitandosi ad investire le loro risorse economiche ma mettendo al servizio della causa anche le proprie competenze specifiche.
5. Nel 2020, le aziende impegnate sul fronte della sostenibilità dovranno attenersi a linee guida globali (come ad esempio le risoluzioni delle Nazioni Unite), ma anche rispettare e mostrare sensibilità nei confronti di realtà e problematiche locali e regionali.
6. Nel 2020, alle aziende che accettino la sfida verrà chiesto di essere trasparenti sull’intero ciclo di gestione dei loro prodotti, cradle to cradle. La maggior parte delle aziende si impegnerà concretamente per raggiungere la neutralità in tema di emissioni e consumo di acqua e per centrare l’obiettivo “rifiuti zero”.
7. Nel 2020, ci sarà consenso riguardo a principi, metodi e strumenti per definire un business sostenibile. Saranno nate anche alcune agenzie che si occuperanno formalmente di misurare la CSR e che avranno una certa credibilità presso le aziende.
8. Nel 2020, molte delle pratiche di sostenibilità di cui si parla attualmente saranno divenute obbligatorie. Tuttavia, la CSR sarà una scelta volontaria, una frontiera di innovazione e uno strumento di differenziazione per le aziende, riservata a quanti vogliano o possano impegnarsi per migliorare la qualità della vita nel mondo.
9. Nel 2020, un’azienda sarà considerata “trasparente” se le informazioni che la riguardano in materia di governante interna e di responsabilità sociale e ambientale saranno interamente fruibili, senza reticenze.
10. Nel 2020, la CSR avrà subito delle diversificazioni al proprio interno: saranno emerse discipline e dipartimenti specialistici (biodiversità, diritti umani, clima…) e molti dipendenti saranno in grado di coniugare le tematiche oggetto della CSR con le le loro attività lavorative (marketing, risorse umane, finanza…).
Nella visione di Visser, che è piuttosto ottimistica, queste previsioni dovrebbero fungere da direttrici per la trasformazione dell’attuale capitalismo in cui “chi vince prende tutto” in un “capitalismo sostenibile e responsabile”, in cui gli investimenti siano produttivi e non speculativi e in cui si operi seguendo prospettive di lungo periodo, che consentano di valutare correttamente le conseguenze delle proprie azioni.
L’imprenditore cattolico e il congedo ai dipendenti gay
«L’ETICA NELL’IMPRESA? NON E’ UN FRENO» Quindici giorni di assenza retribuita per tutti, etero o gay. L’iniziativa di Umberto Costamagna, presidente di Call & Call
«L’ho detto scherzando al mio parroco: “Voglio fare questa cosa, mi assolve?”. Mi ha risposto che non c’è niente di male. Ho anche la benedizione del prete». Umberto Costamagna, 58 anni ad agosto, presidente dalla società di call center Call & Call, si definisce «un povero peccatore, cattolico e praticante». La sua azienda ha promosso un accordo coi sindacati, operativo dal primo agosto, per riconoscere il congedo matrimoniale anche alle coppie dello stesso sesso: 15 giorni di assenza retribuita dal lavoro per i dipendenti gay o lesbiche che si sposano (o stringono un’unione civile) all’estero, visto che in Italia non è possibile.
IL CASO DI ELISA – Lo ha voluto Costamagna dopo che Elisa, trentunenne operatrice del call center di Pistoia, ha chiesto il permesso per la cerimonia che il 30 settembre in Germania la unirà alla sua compagna Valentina, 34 anni. La prima risposta dei responsabili del personale era stata: «La legge non lo prevede». Ma hanno segnalato la questione al presidente, che si è mosso di persona. E non solo ha garantito la licenza a Elisa, ma, d’accordo con il consiglio di amministrazione, l’ha introdotta per tutti i dipendenti. Finora in Italia lo prevedevano solo aziende come Ikea, o Citibank, grosse multinazionali con una cultura del lavoro importata rispettivamente da Svezia e Stati Uniti, Paesi dove i matrimoni gay sono una realtà assodata. Call & Call invece è un’azienda tutta italiana, sei sedi sparse per la penisola, da Cinisello Balsamo a Locri, in Calabria, 2300 assunti a tempo indeterminato su 2500 lavoratori. E che, contrariamente ai luoghi comuni sui call center, ha un’attenzione al sociale radicata nella cultura cattolica del suo fondatore.
«L’ETICA NELL’IMPRESA? NON E’ UN FRENO» – Costamagna cita di continuo Don Milani e la dottrina sociale della Chiesa, «che sull’etica applicata all’economia e più avanti di tutti». In pratica tutto questo si traduce in asili nido interni aperti anche al territorio, biblioteche aziendali gratuite e senza tessere («Mi hanno chiesto: “E se qualcuno ruba un libro?” Ma rubare un libro non è un furto»), flipper, biliardini e internet gratis nelle aree relax comuni, una cooperativa sociale che dà lavoro ai detenuti di Bollate anche a fine pena, gruppi di acquisto solidale e un progetto in Calabria di conciliazione tra vita personale e lavoro attraverso orari molto flessibili, rivolto soprattutto alle madri. «Riconoscere i diritti delle persone, farle stare bene non è buonismo: significa farle lavorare meglio. Come dice il cardinale Dionigi Tettamanzi, l’etica nel mondo dell’impresa non è un freno, è un’accelerazione», assicura Costamagna.
UGUALI DIRITTI PER TUTTI – In nome di questi valori Costamagna ha esteso ai dipendenti omosessuali i diritti previsti per gli altri. «Io non entro nelle questioni morali, se non lo fa il Papa perché dovrei farlo io? — ragiona — Ma è un fatto di equità e giustizia». Per Riccardo Saccone di Slc Cigl, che ha firmato l’accordo con Call & Call è anche «la prova che in questo Paese il mondo del lavoro è decisamente più avanti della politica». Di certo Elisa, quando ha saputo di aver avuto il congedo matrimoniale, è rimasta senza parole: «Non me lo aspettavo, a essere sincera», spiega. Poi ha invitato il suo datore di lavoro in Germania, per la cerimonia. Costamagna ha accettato volentieri: «Ne ho parlato con mia moglie, andremo».
Il Governo svedese affida alle aziende statali il compito di guidare il settore verso la sostenibilità
Il governo svedese è tra i più grandi datori di lavoro della nazione. Esso controlla oltre 50 società e detiene rilevanti quote di partecipazione in aziende importanti come la società elettrica Vattenfall , la società di telecomunicazioni TeliaSonera , Scandinavian Airlines e LKAB, azienda produttrice di minerale di ferro .
La Svezia è stata il primo paese al mondo ad imporre alle società controllate dallo stato nel 2007 di rendicontare sulle proprie attività socio ambientali secondo le linee guida del Global Reporting Initiative ( GRI ) . Ora il governo ” alza l’asticella” chiedendo alle stesse aziende di mettere la sostenibilità al centro dell’attività aziendale.
“Le aziende che sono interamente o parzialmente proprietà dello Stato sono tenute a dare l’esempio “, dichiara Peter Norman , ministro svedese per i mercati finanziari , “ il prossimo passo del governo consisterà nel coinvolgere ogni società a formulare i propri obiettivi di sostenibilità . Gli obiettivi saranno diversi ma le azioni in programma all’interno delle attività aziendali dovranno essere concrete e rilevanti. “
L’iniziativa richiede che tutte le 54 imprese che rientrano nell’ambito dell’influenza governativa fissino obiettivi misurabili di sostenibilità a seconda dei diversi modelli industriali e commerciali . È importante sottolineare che questi devono essere definiti dai Consigli di Amministrazione. A partire dal secondo trimestre del 2014 , ciascuna azienda deve riportare i propri obiettivi al governo e fornire annualmente aggiornamenti sui progressi ottenuti. Amministratori delegati e presidenti sono tenuti a presentare i propri report alla riunione annuale con il Ministro dei Mercati Finanziari Peter Norman incaricato di seguirne gli sviluppi.
Il ragionamento, secondo Norman, è semplice . ” Come proprietari , vediamo un evidente legame tra pratiche di business sostenibili e la creazione di valore , ” -Norman ha dichiarato nel suo discorso di lancio nel maggio 2012-, “per sopravvivere e garantire una forte crescita del valore a lungo termine , le aziende devono quindi dare la priorità agli aspetti della sostenibilità.”
In effetti, nel lungo termine , la sostenibilità è un prerequisito per il profitto e il governo, da investitore , interpreta come un suo dovere di fiduciario inserire la sostenibilità nei mandati dei consigli di amministrazione. Le aziende di proprietà pubblica rappresentano un investimento netto di circa 70 miliardi di euro che per la popolazione svedese rappresenta un valore proprietario equivalente a 12.000 corone di partecipazioni pro-capite. I rischi e le opportunità legati alla sostenibilità devono essere pertanto identificati e gestiti per garantire la creazione di valore a lungo termine e stabilità nei rendimenti.
La gestione della sostenibilità e la comunicazione sui risultati possono avere un impatto rilevante sul rischio d’impresa e sul valore per gli azionisti . E’ istruttivo vedere la differenza tra le aziende che mettono queste azioni in pratica e quelle che non lo fanno.
Imparare dalle difficoltà
Negli ultimi anni, il governo svedese ha dovuto affrontare alcune situazioni critiche che sono state determinanti per “imparare” come gestire al meglio le sue aziende e società partecipate.
TeliaSonera, operatore di telecomunicazioni partecipato dai governi svedese e finlandese, è ancora scosso dalle accuse di aver pagato 300 milioni dollari in tangenti ai familiari di Islam Karimov, presidente dell’Uzbekistan per poter sbarcare nel mercato uzbeko della telefonia mobile.
Questa fatto ha avuto ripercussioni enormi sul nome dell’azienda, con conseguenze dirette sul valore delle azioni della società. I grandi fondi comuni di investimento hanno venduto le loro quote della società e clienti importanti, tra cui la città di Stoccolma , hanno deciso di rinegoziare i loro contratti .
Per un governo come quello svedese che ha una visione carbon low, l’azienda statale Vattenfall, uno dei maggiori produttori europei di elettricità e calore, costituisce una vera spina nel fianco. L’azienda è stata oggetto di aspre critiche nel 2009 nei suoi mercati principali in Germania e Svezia a causa di mancanza di trasparenza, cattiva gestione delle sue partecipazioni nel nucleare e per l’ostinata dipendenza dal carbone. Vattenfall che doveva guidare lo sviluppo di un sistema energetico sostenibile, non è stata all’altezza del suo mandato. Nel 2012 , infatti, il 46% di energia elettrica prodotta è stata generata attraverso combustibili fossili.
Ma lo stato svedese ha anche una serie di storie di successo da raccontare. Come il caso di LKAB , uno dei maggiori produttori di minerale di ferro in Europa che, consuma il 1,5% di energia elettrica della Svezia ed emette l’1% delle emissioni di gas a effetto serra del paese. Nella sua ricerca per ridurre l’impatto ambientale, l’azienda ha sviluppato un processo che richiede la metà dell’energia per la produzione di pellet di minerale di ferro utilizzati dai produttori di acciaio in tutto il mondo. Al momento c’è una forte domanda per questo pellet che ha registrato un enorme successo di vendite. La società ha anche abilmente gestito il dialogo con gli stakeholder su alcuni aspetti correlati a scelte aziendali che avrebbero potuto innescare proteste tra la popolazione.
Tornando all’azione governativa, la Svezia ha richiesto in modo efficace alle aziende di integrare la sostenibilità nelle loro attività, di fissare obiettivi che siano anche misurabili e rilevanti per le operazioni di business e ha demandato ai consigli di amministrazioni l’assunzione di responsabilità sulle decisioni prese.
La decisione della Svezia è interessante per due ragioni. La prima è che l’assegnazione di obiettivi e responsabilità precise al consiglio di amministrazione diventa uno strumento di cui possono avvalersi investitori a lungo termine come i fondi pensione, o governi che vedono nella sostenibilità un fattore di miglioramento sia per la gestione del rischio che per la strategia aziendale .
L’approccio svedese rappresenta anche uno strumento politico innovativo per i governi che cercano una leadership sui temi della sostenibilità perché esclude al contempo approcci regolamentativi ” tradizionali” che possono essere percepiti negativamente o rifiutati dagli elettori .
Mettere la sostenibilità al centro è il futuro – è la modalità attraverso la quale il settore pubblico può guidare il mercato.
Se anche Uncle Scrooge diventa Sri
Paperon de’ Paperoni ha creato una divisione Csr (corporate social responsibility) nel suo impero, e ha lanciato un programma di investimenti Sri (Socially responsible investment) che copre una buona quota delle sue fantastiliardarie risorse. Non solo. Ha anche tirato fuori dalle tasche – quante lacrime, per la sua anima tirchia di finanziere con gli occhi a dollaro! – un bel mucchio di quattrini per un piano di comunicazione che trasformi l’immagine del suo blindato e invalicabile deposito, in un punto di riferimento per le esigenze della città di Paperopoli.
Fantasia?
Chissà. Lasciando ai creativi della Walt Disney la sfida con il miliardario a fumetti più famoso del mondo, è interessante ragionare sulla nascita di una rivista quadrimestrale, chiamata Sri Chronicles, il cui numero d’esordio porta la data del primo maggio. Niente di fondamentale: in tutto 8 pagine, e per giunta inaccessibili dal sito del gruppo finanziario che la propone. Eppure, la pubblicazione si è guadagnata un lancio nella newsletter di luglio di Eurosif, dove, appunto, ne viene annunciata l’uscita e sintetizzati gli argomenti (la governance, tema piuttosto caldo a maggio, tempi di assemblee).
La ragione di tale attenzione sta nel nome di chi ha lanciato l’iniziativa: Edmond de Rothschild Asset Management. Dunque, abbandonati i fumetti, questa è la realtà dei miliardari più famosi al mondo. Rothschild è il nome di una famiglia che ha tenuto le redini della finanza mondiale per gli ultimi tre secoli (si veda la sintesi di Wikipedia). Non è necessario tentare di esprimere giudizi di valore sugli accadimenti della storia. Ciò che importa è che Rothschild è un simbolo. Come il deposito di Paperopoli.
L’esempio è utile per sottolineare un paio di aspetti.
Il primo, è che la finanza responsabile è un business. La citata Edmond de Rothschild Asset Management ha una propria divisione Sri dedicata agli investimenti che rispettano i criteri Esg (environmental, social, governance). E questo in linea con le scelte di numerosi colossi del risparmio gestito europeo (vedi il caso Mirova, forse il più conosciuto).
Il secondo aspetto è che la finanza responsabile comincia a richiedere investimenti di comunicazione. Anzi, di wikicomunicazione. La rivista di Edmond de Rothschild Asset Management è ancora a un livello piuttosto basic, ma dimostra l’obiettivo di creare un canale di fidelizzazione e condivisione, oltre che di auto-presentazione. In questo campo, gli esempi sono assai rari anche nelle società finanziarie che hanno creato le proprie divisioni Sri (nella stessa Mirova, per esempio, non c’è traccia della possibilità di iscriversi a newsletter sul sito)
Insomma, anche la finanza Sri è un mercato competitivo. E impone un vantaggio di posizione e di posizionamento. Chi arriva prima, può vantarsene e goderne i benefici di immagine, di status, di riconoscibilità dei clienti e degli stakeholder attuali e potenziali.
L’Italia appare in ritardo su entrambi i fronti indicati. Sia nella creazione di team specifici e identificati. Sia nella creazione di strumenti di divulgazione e condivisione.
Il rischio, anche per chi da anni ha preso posizioni coraggiose e controcorrente, è che poi arrivi Uncle Scrooge (il personaggio di Charles Dickens da cui è nato Paperone), che si ravveda la notte di Natale, e con una sapiente strategia di posizionamento diventi il riferimento della finanza responsabile d’Italia.