Ai Act, sulle regole per l’intelligenza artificiale raggiunto l’accordo in Europa. Breton: “Momento storico, guideremo la corsa”
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L’Unione europea avrà una pionieristica legislazione sull’Intelligenza artificiale, la più completa ed organica al mondo, con l’obiettivo di coniugarne lo sviluppo con il rispetto dei diritti fondamentali. Sabato notte – dopo 36 ore di negoziato finale condotto nell’arco di tre giorni – l’Europarlamento, la Commissione e il Consiglio hanno trovato un accordo politico sull’AI Act. Il testo finale andrà ancora limato nelle prossime settimane, ma l’intesa assicura che sarà approvato entro la fine della legislatura europea, per poi entrare progressivamente in vigore nei successivi due anni. Un risultato non scontato, considerate le distanze con cui da un lato il Parlamento, più attento alla protezione dei diritti, e dall’altro i governi, più attenti alle ragioni dello sviluppo economico e dell’ordine pubblico, si erano presentati a questo ultimo appuntamento negoziale. Lo scoglio sulla regolamentazione delle Intelligenze artificiali più potenti, come quelle sviluppate dai colossi OpenAi, Meta e Google, era stata superato giovedì: saranno sottoposte a regole vincolanti su trasparenza e sicurezza, non solo a codici di condotta volontari. Ieri poi si è trovato un compromesso anche sull’ultimo, l’utilizzo delle applicazioni di AI nei contesti di polizia: resta ammesso il riconoscimento biometrico, per citare uno dei temi più spinosi, ma solo in caso di reati gravi e previa autorizzazione di un giudice.
“E’ un momento storico”, ha esultato il Commissario europeo Thierry Breton, definendo l’AI Act una rampa di lancio che permetterà a ricercatori e aziende europee “di guidare la corsa globale all’AI”. “Questa legge assicura che i diritti e le libertà siano al centro dello sviluppo di questa tecnologia rivoluzionaria, garantendo un bilanciamento tra innovazione e protezione”, ha detto Brando Benifei, europarlamentare Pd e relatore della norma. Anche se le incognite sull’equilibrio finale, l’applicazione e l’efficacia dell’AI Act restano molte.
Emozioni, discriminazioni e supervisione umana
Il principio alla base dell’AI Act è la distinzione delle applicazioni dell’Intelligenza artificiale sulla base del livello di rischio che pongono per i diritti fondamentali. Una serie di ambiti giudicati troppo rischiosi sono quindi banditi: si tratta per esempio dei sistemi di “social scoring” (come quello teorizzato e sperimentato in Cina), o di quelli che manipolano comportamenti e decisioni. Gli algoritmi di riconoscimento delle emozioni vengono banditi da scuole e luoghi di lavoro, ma sembrerebbe restino utilizzabili in contesti di immigrazione e sicurezza, come chiedevano i governi. La spunta invece il Parlamento sui sistemi di categorizzazione basati su informazioni sensibili – razza, religione, orientamento sessuale -: saranno vietati.
C’è poi una lunga serie di applicazioni giudicate ad “alto rischio” e sono quelle che riguardano ambiti che toccano i diritti fondamentali come salute, lavoro, educazione, immigrazione, giustizia. Qui l’AI Act introduce una serie di prescrizioni per chi le sviluppa e per chi le utilizza, come per esempio una valutazione preliminare dell’impatto, anche per evitare i rischi – ben documentato – di errori o discriminazioni, la necessità di una supervisione umana, quella di informare l’utilizzatore che sta interagendo con una macchina.
Riconoscimento facciale ed eccezioni per la polizia
Come detto, un punto molto dibattuto è stato l’utilizzo dei sistemi di riconoscimento biometrico. Il Parlamento – con l’appoggio di diverse organizzazioni per i diritti civili – aveva proposto un bando completo, mentre i governi volevano ampissime eccezioni per i contesti di sicurezza. Il compromesso è che potranno essere usati solo previa autorizzazione di un giudice e in circostanze ben definite. Quelli “ex post”, quindi su immagini registrate solo per cercare persone sospettate di crimini gravi, quelli in tempo reale solo per emergenze terroristiche, ricerca di vittime o di sospettati di crimini gravi. Le eccezioni per la polizia riguardano anche l’utilizzo di applicazioni alto rischio, che potranno essere impiegate anche prima di aver ricevuto l’attestazione di conformità su autorizzazione di un giudice.
La legge non pone invece alcune limite all’utilizzo degli algoritmi nell’ambito della difesa e militare, che è esclusiva competenza degli Stati membri.
ChatGPT e i suoi fratelli
Rispetto al testo originario della Commissione, che risale a due anni fa, questo accordo aggiunge una serie di prescrizioni per le cosiddette General purpose AI, cioè grandi modelli così potenti da prestarsi a molteplici utilizzi. E’ il caso di quello alla base di ChatGPT e di quelli sviluppati dagli altri big della Silicon Valley come Google o Meta. Queste prescrizioni saranno vincolanti: una vittoria del Parlamento, visto che i governi – in particolare Germania, Francia e Italia – avevano chiesto nei giorni scorsi di limitarsi a dei semplici codici di condotta, nel timore che una regolazione troppo stringente finisca per soffocare l’innovazione in Europa.
La norma su questi grandi modelli ha due livelli. Il primo, che si applica a tutti, prevede la pubblicazione di una lista dei materiali usati per l’addestramento degli algoritmi, strumento che in teoria dovrebbe aiutare i produttori di contenuti a difendere – o farsi riconoscere – i diritti d’autore, oltre all’obbligo di rendere riconoscibili – per contrastare truffe o disinformazione – tutti i contenuti prodotti all’AI. Il secondo livello si applicherà invece ai sistemi più potenti, quelli che pongono “rischi sistemici”, e prevede delle valutazioni di questi pericoli e delle strategie di mitigazione, oltre che l’obbligo di comunicare alla Commissione, che si doterà di un apposito AI Office, eventuali incidenti. Il mancato rispetto delle regole comporta multe che vanno dall’1,5 al 7% del fatturato globale delle aziende coinvolte.
Le incognite
Le disposizioni dell’AI Act, una volta approvato, entreranno in vigore in maniera progressiva: dopo sei mesi quelle sulle applicazioni proibite, dopo dodici quelle sui sistemi ad alto rischio e sui modelli più potenti, le ultime dopo due anni. Sono tempi che serviranno alla Commissione per stabilire i dettagli tecnici necessari all’implementazione e alle aziende per adattarsi, anche se nel frattempo saranno già incoraggiate ad adeguarsi volontariamente. Ma certo questo lungo periodo di avvio alimenta i dubbi di chi sostiene che per una legge sarà difficilissimo tenere il passo di una tecnologia che – grazie all’abilità degli ingegneri e ai miliardi investiti – evolve in modo esponenziale. E che più la normativa è dettagliata più rischia di essere inefficace. L’alternativa, d’altra parte, è non prevedere alcuna regola o affidarsi ai codici di condotta autonomamente elaborati dalle stesse aziende: un approccio che è quello adottato per ora in sede di G7 e anche negli Stati Uniti, ma che consegna a Big Tech il potere di autoregolarsi. L’Europa pensa che non basti.
L’altra incognita riguarda la possibilità che questa normativa finisca per danneggiare l’innovazione in Europa più che favorirla. L’idea, anche questa diffusa, è che l’arbitro – in questo caso la Ue – non vince mai. Ma i rischi posti dall’Intelligenza artificiale, enormi come le opportunità, fanno dire a tanti altri che un arbitro in questo caso è necessario. Con la speranza che un campo da gioco delimitato con chiarezza aiuti a far crescere fuoriclasse in grado di competere con quelli americani.
“Ferragni? Video di scuse inutile, compromesse immagine e reputazione”
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Chiara Ferragni, il gestore di crisi dopo lo scandalo con Balocco: “Non prendano in giro i cittadini”
Chissà cosa starà pensando adesso Chiara Ferragni, con un milione di euro in meno e la reputazione decisamente compromessa. Il caso, divenuto in breve tempo “scandalo”, che ha visto protagonisti la regina degli influencer e i pandoro della Balocco rappresenta certamente un brutto colpo per i due brand. E riguardo questo non c’è molto su cui disquisire.
Resta invece un dubbio. Che effetto avrà il video di scuse della Ferragni, in cui annuncia oltretutto l’importante donazione, sulla propria reputazione? Affaritaliani.it lo ha chiesto a Luca Poma, Professore di Reputation management all’Università LUMSA di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino, oltre che specialista in digital strategy e crisis communication.
Il video di scuse aiuterà l’influencer e la Balocco a far cadere tutto nel dimenticatoio?
Il filmato sarà efficace con il pubblico più fidelizzato dell’influencer, quello capace di perdonare “tutto”. Era il minimo che potesse fare, ma è anche arrivato in modo tardivo; l’influencer avrebbe dovuto pubblicarlo prima. Comunque, in questo momento, il sentiment dei Social non sembra venirle in aiuto: secondo i primi sondaggi, infatti, il 69% dei commenti online sono negativi.
Questo video non è autentico, in quanto contiene intrinsecamente una bugia. Ferragni dice di donare un milione di euro per sostenere le cure dei bambini dell’Ospedale Santa Margherita, ma i soldi che mette non sono i suoi. Devolverà semplicemente la cifra che ha incassato dal business dei pandoro con Balocco. Non si possono prendere in giro i cittadini.
Ferragni lo definisce un errore di comunicazione
Non è assolutamente un problema di questo tipo, la vicenda è stata chiaramente costruita in maniera discutibile fin dall’inizio. È stata manipolata la percezione del pubblico a fini di lucro, e non è la prima volta che succede. Chiara Ferragni è già finita nuovamente sotto i riflettori per una storia molto simile con al centro, questa volta, le uova di Pasqua. Mi sembra incredibile che un’azienda come la Balocco possa prestarsi a manovre di questo genere.
Che impatto pensa che avrà sui due brand?
Pesante, senza ombra di dubbio. Facendo un’analisi più generale, l’immagine e la reputazione di Chiara Ferragni e della Balocco sono state pregiudicate e compromesse. Questa storia rappresenta una vicenda triste che porta a tema che la reputazione è una cosa seria.
Dopo quanto tempo viene dimenticato un evento del genere?
La credibilità è molto complessa da costruire, mentre basta pochissimo per distruggerla. Difficile dire quanto tempo ci vorrà per far tornare le cose alla normalità, ma la strada per la Ferragni è sicuramente in salita.
Rating ESG e lotta al greenwashing, la proposta del nuovo regolamento
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A Bruxelles si avvicina il momento per discutere della proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio europeo sulla trasparenza e sull’integrità delle attività di rating ambientale, sociale e di governance (ESG), messo recentemente a punto dalla Commissione europea.
Pur risultando centrale per agevolare il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo e delle Nazioni Unite, il mercato dei rating ESG è attualmente viziato da non conformità, elementi distorsivi e soprattutto rischio di greenwashing, con il risultato che la fiducia degli investitori può risultarne compromessa. Un problema dimostrato anche da una recente ricerca finanziata dall’Europarlamento stesso e presentata a Bruxelles nel giugno scorso, secondo la quale il 70% circa delle aziende che pubblicano bilanci di sostenibilità, convalidati da una Società di certificazione, confermano che il lavoro di quest’ultima si è basato solamente sull’analisi di documenti ed evidenze prodotte dall’azienda stessa, senza quindi venire sottoposti a una vera e propria verifica da parte dei Certificatori, mentre sono solo un quarto (25) le organizzazioni che affermano di essersi sottoposte a uno specifico audit interno sulla rendicontazione dei criteri ESG.
In particolare, i rating ESG sono ormai indispensabili ovunque per partecipare a bandi, appalti e anche solo beauty contest, ma il mercato appare come una giungla, e nella maggior parte dei casi le cosiddette “certificazioni ESG” altro non sono che banali validazioni di auto-dichiarazioni delle aziende stesse, spesso risultanti dalla compilazione di “checklist online” – ovviamente a pagamento – sulle quali non viene effettuato poi alcun controllo di autenticità.
“Non esistendo un quadro normativo specifico a livello europeo per i rating ESG, gli Stati membri, attualmente, operano indipendentemente l’uno dall’altro, generando eccessiva eterogeneità, possibili conflitti e una protezione ineguale degli investitori nei diversi Stati membri”, ha dichiarato Luca Poma, Professore di Reputation Management all’Università LUMSA di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino, che ha avuto modo di analizzare nel dettaglio la bozza di proposta che sta per approdare in Parlamento ed avanzare alle autorità preposte alcune osservazioni di merito. “Questo strumento legislativo vuole garantire, attraverso dichiarazioni ESG credibili, autentiche e rilasciate da enti e agenzie autorizzate, una standardizzazione di questo genere di certificazioni, garantendo un approccio omogeneo tra gli Stati membri e una maggiore trasparenza e protezione degli investitori”.
Il valore di un simile intervento legislativo risiede quindi nell’offrire coerenza per un quadro normativo omogeneo che faciliterebbe la comparabilità tra i rating ESG, evitando l’emergere di norme diverse a livello nazionale, e garantendo attraverso un approccio uniforme su tutto il territorio europeo la riduzione delle incertezze per gli operatori del mercato.
Un passo importante nella lotta al greenwashing, ma non mancano le criticità, ha confermato il professore: “Per fare solo tre esempi tra tanti, la bozza per com’è ad oggi concepita prevede che l’ESMA (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dell’UE) abbia l’autorità per fare ispezioni solo in caso di segnalazione di violazioni e non di propria iniziativa. Senza ispezioni in loco, verifiche e altri meccanismi di controllo, non vi sarà alcuna certezza che i requisiti previsti dal regolamento siano mantenuti nel tempo dalle agenzie di certificazione. Poi, non è prevista la creazione di una banca dati delle aziende che hanno ricevuto il rating ESG e delle relative agenzie che le hanno certificare. Questo limita fortemente la trasparenza verso i cittadini, che dovrebbe invece essere una delle prerogative principali dell’UE. Infine, dovrebbero essere gli stessi fornitori di rating ESG ad adottare le misure necessarie per garantire che i rating ESG forniti non siano influenzati da alcun conflitto di interessi, ma chi poi, dall’esterno, avrà la responsabilità di verificare che queste misure siano effettivamente rispettate? Insomma – ha concluso Poma – c’è molto di buono in questa proposta di regolamento, ma anche molto ancora da migliorare”.
La proposta è ora approdata in Parlamento con la votazione in Commissione prevista per la fine di novembre.
Polemiche social sulla collezione “Amore dannoso” di Martina Strazzer
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Martina Strazzer, fondatrice del brand di gioielli “Amabile”, ha lanciato una nuova collezione intitolata “Amore Dannoso”. Questa linea di prodotti, ispirata alle relazioni amorose tossiche, ha immediatamente attirato l’attenzione e generato una serie di polemiche sui social media. Molti utenti hanno criticato la collezione, accusandola di essere una mancanza di rispetto verso chi ha vissuto esperienze di abuso e manipolazione emotiva. Alcuni hanno addirittura espresso commenti estremi e violenti, arrivando a formulare auguri di morte verso la designer.
La creazione di una collezione di gioielli che esplora il tema delle relazioni tossiche rappresenta una scelta audace e controversa. Da un lato, l’uso dell’arte e del design per esplorare tematiche sociali e psicologiche può servire a sensibilizzare e stimolare discussioni importanti. Dall’altro lato, la rappresentazione di temi delicati come le relazioni dannose può risultare insensibile se non trattata con la dovuta attenzione e rispetto.
Eticità e Sensibilità L’idea di rappresentare le relazioni tossiche attraverso una linea di gioielli pone interrogativi sull’etica del design e sull’appropriata sensibilità verso temi così complessi. Le relazioni amorose tossiche sono esperienze dolorose e traumatiche per molte persone, e la loro rappresentazione attraverso oggetti di moda può essere vista come una commercializzazione di esperienze traumatiche. È fondamentale che i designer e le aziende considerino come trattare temi delicati senza sfruttare il dolore altrui per scopi commerciali.
Martina Strazzer ha spiegato che la sua collezione intendeva essere una riflessione e una forma di espressione artistica sul tema, piuttosto che una celebrazione delle relazioni tossiche. Tuttavia, la percezione pubblica può variare, e ciò che può essere inteso come una provocazione artistica da parte del creatore può essere visto come una mancanza di rispetto da parte di chi ha subito tali esperienze.
La Reazione del Pubblico
Le reazioni violente e gli insulti gravi, inclusi gli auguri di morte, rappresentano una grave escalation che va ben oltre la critica costruttiva. La risposta aggressiva non solo non contribuisce a un dialogo produttivo, ma può anche amplificare la negatività e il dolore. È importante che le contestazioni, anche quando giustificate, non degenerino in attacchi personali o violenti. La critica e il confronto devono avvenire in un contesto di rispetto reciproco, mantenendo sempre in considerazione la dignità e il benessere delle persone coinvolte.
Gestire la Controversia
Per gestire controversie come quella suscitata dalla collezione “Amore Dannoso”, è essenziale: Promuovere il Dialogo: Creare uno spazio per discussioni rispettose e costruttive permette di affrontare le critiche in modo produttivo. I designer dovrebbero essere aperti al feedback e disposti a chiarire le proprie intenzioni. Evitare la Violenza Verbale: Le risposte violente e personali non sono mai giustificate. È fondamentale mantenere un tono civile e rispettoso, anche quando si esprimono disaccordi. Considerare l’Impatto: I creatori e le aziende devono riflettere sull’impatto delle loro creazioni su diversi gruppi di persone. Considerare la sensibilità del pubblico e le possibili interpretazioni delle proprie opere può prevenire conflitti e malintesi.
In conclusione, la controversia intorno alla collezione “Amore Dannoso” di Martina Strazzer solleva importanti questioni sull’etica e sulla responsabilità nel design. Mentre l’arte e la moda possono servire come strumenti per esplorare e discutere temi complessi, è cruciale farlo con la consapevolezza delle implicazioni e del rispetto per coloro che possono essere influenzati dai messaggi veicolati. La gestione delle critiche dovrebbe sempre avvenire con attenzione, evitando che il conflitto degeneri in attacchi personali e violenti.
AUTOGRILL: NON CONFORMITA’ VISTE DALL’INTERNO
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Grazie per aver accettato di rilasciare questa intervista. Ho letto il suo gentile feedback sul mio articolo nel quale, tempo fa, analizzavo la CSR del Gruppo Autogrill. Cosa l’ha spinta a contattarci?
Volevo condividere la mia esperienza, avendo lavorato per parecchi anni per Autogrill.
In quale ruolo ha lavorato in Autogrill?
Ero un cosiddetto “operatore pluriservizio”, mi occupavo della caffetteria, preparavo i cornetti, pulivo i frigoriferi e molte altre cose, non avevo quindi una mansione fissa, specifica e predeterminata.
Può dirci di più sulla sua esperienza?
Ho cominciato nel 2012 come operatore stagionale, poi sono diventato un dipendente fisso, e ho lavorato per diverse sedi, da Casilina a Milano. La mia attività come dipendente Autogrill è terminata nel 2019. In questi 7 anni ho avuto modo di vedere ad esempio come dei panini in vetrina metà sono freschi e metà sono congelati, se vai in Autogrill la mattina vedrai applicata una strategia per coprire i panini congelati con quelli freschi. Ho fotografie e prove di quante cose, come anche di problemi relativi ad alcuni prodotti scaduti.
Come fa un cliente a capire se sta scegliendo un panino fresco o uno congelato?
È complicato per un cliente. La maggior parte delle volte i clienti nemmeno se ne accorgono perché gli addetti di Autogrill sono abili nel mescolare i panini confezionati con quelli freschi, specialmente la sera, quando terminano i panini freschi, e i dipendenti inseriscono quelli confezionati.
Quindi, un cliente che vuole, ad esempio, un panino “Bufalino” potrebbe riceverne uno confezionato senza saperlo?
Sì, ovviamente non potrà toccarlo o verificarlo prima. Una volta scelto il panino e messo sulla piastra, quello confezionato sembrerà uguale a quello freschi. Tra l’altro non esiste più un operatore dedicato a fare solo i panini, quindi metà vengono prodotti sul posto e metà sono comprati all’esterno.
Accade lo stesso con altri prodotti?
Sì, anche per i cornetti si verifica la stessa situazione dei panini. Una sera, ho trovato due carrelli di cornetti alle ore 22 e ho deciso di riutilizzarli, per evitare sprechi. Ma poi mi hanno detto che i cornetti dovevano arrivare addirittura fino alla mattina. Una volta li ho scartati perché non erano più buoni e mi hanno rimproverato con toni davvero molto accesi, perché gettarli “avrebbe inciso sui costi”. Non erano minimamente preoccupati della qualità offerta al cliente.
Utilizzano prodotti confezionati perché hanno costi inferiori?
Certo, ma vendono il panino confezionato allo stesso prezzo di un panino fresco. Un panino che dovrebbe costare, diciamo, 2 o 3 euro viene venduto a 5,50, 6 euro o anche di più.
Parlando di qualità, ha menzionato problemi con la data di scadenza…
Sì, ho prove che alcuni prodotti erano già scaduti quando venivano utilizzati. Come lo squacquerone, che è un formaggio spalmabile: veniva utilizzato anche se aveva superato la data di scadenza. Per quanto riguarda violazioni dell’HCCP e problemi di sicurezza, ho scoperto che i controlli non vengono effettuati da società totalmente indipendendenti, ma anche da società correlate al Gruppo Autogrill, e ai dipendenti viene chiesto di effettuare pulizie straordinarie in vista delle verifiche, perché quelle che vengono svolte regolarmente non supererebbero mai i controlli.
Ci parli dell’Associazione Nazionale dei dipendenti Autogrill e delle pressioni che lei sostiene siano state ricevute da alcuni lavoratori
Ho scoperto che i dirigenti di Autogrill monitoravano quest’associazione. Molte persone sono state minacciate e spinte ad uscire dalle chat. A una dipendente sono stati offerti 23.000 euro per lasciare l’associazione, perché dava fastidio.
Quindi i dipendenti che facevano parte di questa Associazione comunicavano attraverso gruppi su WhatsApp?
Sì, erano gruppi in cui alcuni dipendenti condividevano informazioni e lamentele. E ho scoperto altre violazioni da parte dei dirigenti, anche durante il periodo Covid.
Quando ci ha accennato alla sicurezza alimentare, cosa intende esattamente? Avete notato violazioni?
Assolutamente sì. Abbiamo riscontrato che prodotti scaduti o vicini alla scadenza venivano mescolati con altri prodotti, ho delle prove concrete a riguardo. È capitato, ad esempio, che ci venissero fornite confezioni di latte quasi scadute, e ci veniva chiesto di cambiare il tappo con quello di una confezione la cui scadenza era prevista per la settimana successiva. L’idea era che nessuno se ne sarebbe accorto, una volta utilizzato il latte nel cappuccino.
Parliamo di bottiglie standard con tappo?
Esatto, bottiglie con il classico tappo di plastica, come quelle della Parmalat. Era possibile svitare e sostituire il tappo che riportava la data di scadenza già passata con un tappo di un’altra bottiglia, vuota perché già utilizzata, con la data di scadenza ancora da venire. La situazione si aggrava ulteriormente se si consideriamo l’ambiente in cui preparavamo i panini. Si tratta di un’area che dovrebbe essere mantenuta sterile. Eppure, venivano scaricati lì dei “roll”, carrelli pieni di merci, molti dei quali coperti di polvere. Questi roll venivano posti vicino alla zona di preparazione dei panini, compromettendo gravemente l’igiene. Ho fotografato anche insetti, che si aggiravano per terra, sotto i frigoriferi e altri apparecchi. E la sicurezza? Lavorando al banco del bar, ho notato prese multiple con molti cavi elettrici situati proprio sotto un lavandino con tubi dell’acqua. La sicurezza non è certamente in cima alle preoccupazioni di Autogrill.
Potrebbe però trattarsi di una situazione isolata, magari legata a un singolo punto vendita gestito in modo non adeguato…
No, non si tratta di un caso isolato. Ho lavorato anche a San Giuliano Milanese, dove, nonostante una recente ristrutturazione, le condizioni igienico-sanitarie erano identiche. E voglio sottolineare che ho prove concrete di tutto ciò che sto dicendo. Non sono semplici supposizioni, ho fotografie e altri elementi che confermano le mie affermazioni. Un altro grave problema riguarda la sicurezza riguarda il fatto che dietro ai punti vendita Autogrill ci sono dei macchinari che triturano i cartoni, e queste macchine dovrebbero funzionare solo con le porte chiuse, per ragioni di sicurezza. Ma una volta, mentre pioveva, ho voluto verificare se funzionassero anche con le porte aperte. Non solo funzionavano, ma non c’era alcun blocco di sicurezza in atto. Ho anche fatto un video per documentare questa situazione. Ciò che ho visto e documentato va ben oltre la semplice negligenza, e mette a rischio sia la salute dei clienti sia la sicurezza dei dipendenti.
La questione delle porte di sicurezza con l’acqua che cola su fili scoperti, se confermata, parrebbe una violazione grave. Lei ha menzionato anche la questione delle persone licenziate e dei sindacati. Ci può spiegare meglio?
Ci sono tante anomalie dentro il sistema Autogrill. Ci si aspetterebbe che i sindacati siano dalla parte dei lavoratori, proteggendoli, sembra che invece siano dalla parte dell’azienda. E lo dico con prove alla mano. A Casilina, per esempio, sette persone sono state licenziate e i sindacati non hanno mosso un dito.
Perché a suo avviso i sindacati non sono intervenuti?
Semplicemente perché, e me ne dispiace dirlo, i sindacati mangiano dalla stessa ciotola dell’azienda, hanno dei rapporti strettissimi. Posso dirle che le riunioni con i sindacati avvengono una volta all’anno e, per mia esperienza, promuovono solo gli interessi dell’azienda.
Sta dicendo che i sindacati non tutelano i lavoratori come dovrebbero?
Esattamente. Tutelano chi loro vogliono loro, si sono creati un loro gruppo e agiscono secondo i loro interessi, non per supportare quelli di tutti i lavoratori.
E riguardo al management superiore può dirmi di più?
Posso parlare di ciò che ho visto e vissuto. Ho raccolto testimonianze da ex colleghi e tutti hanno parlato di come la mia direttrice, ad esempio, praticasse trattamenti disumani con il personale, sia a livello morale che psicologico. Mi sono imbattuto in una situazione che dimostra il suo particolare stato di disagio mentale: girava con il manifesto di morte di suo fratello, un caso di omicidio finito sulle cronache nazionali, sul lunotto della sua macchina.
Sostiene che questa dipendente avrebbe avuto bisogno di attenzioni o di cure e non avrebbe dovuto lavorare in quelle condizioni psicologiche?
Esattamente. Una persona in uno stato così delicato avrebbe dovuto ricevere assistenza, e non venire lasciata a lavorare, soprattutto con tante responsabilità. Ma nonostante le sue condizioni, sembrava che fosse protetta dai piani alti dell’azienda. E durante il periodo del Covid le problematiche si sono moltiplicate. Mi sono imbattuto in una storia tragica di un mio ex collega, con cui avevo lavorato dal 2013 al 2019. Era una persona con problemi di salute, come il diabete e problemi cardiaci. Durante il picco della pandemia, ho appreso che era stato ricoverato a causa del Covid. Una dipendente che aveva la febbre, e che evidentemente avrebbe dovuto rimanere a casa, è stata invece mandata comunque a lavorare; il mio collega, a causa delle sue preesistenti condizioni critiche di salute, ha contratto il virus da lei, è stato ricoverato e purtroppo è poi deceduto. L’aspetto più sconvolgente è che questa dipendente, dopo l’accaduto, è misteriosamente scomparsa dal luogo di lavoro. Inizialmente, ho pensato che avesse semplicemente lasciato il posto, ma poi ho scoperto che era stata inviata a Milano per un corso manageriale.
Quindi è stata anche promossa?
Esatto. E quando ho realizzato che queste due situazioni potevano essere collegate, ho contattato la figlia del mio defunto collega per esprimerle le mie condoglianze. Durante la nostra conversazione, le ho fatto alcune domande. Ho chiesto se fosse vero che un amministratore aveva offerto di pagare le spese funerarie di suo padre in contanti. Ha confermato che era vero. Ho poi chiesto se suo fratello era stato assunto dall’Autogrill a Bologna con un contratto part-time, visto che stava studiando lì. Anche questo me l’ha confermato.
Sta sostenendo che si sarebbe trattato di un tipo di compensazione, a suo avviso, messa in atto al fine di placare la famiglia?
Sì esatto, e purtroppo non è l’unico caso. Ho scoperto che, nel corso degli anni, ci sono state altre situazioni simili in cui l’azienda ha cercato di “comprare” il silenzio o la complicità di alcuni. Io ho fatto una denuncia all’ente di Cassino, responsabile per la sicurezza alimentare e sul lavoro, non sono però sicuro di cosa abbiano fatto in merito. Purtroppo, per portare avanti la questione in maniera concreta ci sarebbe voluto un forte supporto legale. Tuttavia, ho raccolto le prove: una copia della denuncia e dei video che mostrano violazioni della sicurezza e della qualità alimentare.
Da quanto tempo ha notato questi problemi?
Dal 2016. Da allora, ho raccolto informazioni e documentato tutto, giorno dopo giorno. La società non è davvero ciò che pretende di essere. Le racconto ad esempio di quelle che loro definivano “macedonie fresche”, ma la realtà era ben diversa. Ho fotografie che mostrano le condizioni delle macedonie che ci venivano date la sera intorno alle 18 o 19. Poi venivano messe in grossi contenitori di plastica senza data e ci veniva detto di rimetterle in vetrina il giorno successivo. Le mescolavano, aggiungendo un po’ di frutta fresca in cima, e sembravano appena fatte. È triste, ma è la pura verità.
Ci può specificare in quali anni sono accaduti questi episodi?
Dal 2019 al 2022, tutte situazioni recenti. Vogliono apparire impeccabili di fronte ai turisti e ai viaggiatori, e incassano enormi somme di denaro, ma il servizio che offrono non è all’altezza. Ho le prove di tutto: foto, video. E quello che hanno fatto dietro le quinte è ancora peggio. Oltre a questi problemi con i panini, ci sono mancanze in termini di sicurezza, norme HCCP e numerose altre violazioni, inclusa la loro stessa normativa interna, l’hanno infranta in tutti i modi possibili. All’inizio mi piaceva molto lavorare lì. Ma con il tempo, hanno iniziato a trattarmi male: mobbing, stalking, false accuse. Quando ho smesso di lavorare per loro sono tornato per recuperare le mie cose dall’armadietto, mi hanno detto che avrei dovuto essere accompagnato da un testimone. Ho accettato e quando ho aperto il mio armadietto, era completamente vuoto. Tutti gli oggetti erano spariti, inclusi i miei occhiali da sole e alcune giacche personali. Ma questi atteggiamenti non hanno riguardato solo me: al punto vendita di Casilina, ad esempio, ci sono stati sette licenziamenti, tutti infondati. E posso dimostrarlo. La realtà è che Autogrill non è per niente come vuole apparire.
NOTA: l’ufficio comunicazione Corporate di Autogrill S.p.a., interpellato dalla redazione per chiarimenti, dopo aver letto la bozza di questo articolo ha rilasciato la seguente dichiarazione
“Autogrill Italia S.p.A. opera nel rispetto delle normative vigenti, anche in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e di igiene e sicurezza alimentare, come confermato in occasione delle diverse visite ispettive effettuate presso i punti vendita dalle competenti Autorità di controllo, nonchè nell’ambito dei numerosi audit effettuati da parte di soggetti terzi indipendenti“.
Successivamente, Autogrill ha accettato di rispondere a queste due domande:
Qual è la politica dell’azienda riguardo all’uso del prodotto fresco rispetto a quello surgelato? In particolare, vengono venduti al pubblico prodotti (in particolare panini) surgelati mescolati a prodotti (panini) interamente freschi? Se si, in quale modo il pubblico può distinguere i primi dai secondi, stante il fatto che il prezzo è il medesimo?
Autogrill Italia rispetta le normative vigenti, anche con riferimento all’utilizzo di prodotti surgelati e alla relativa comunicazione al cliente su quali siano i prodotti surgelati e quali quelli freschi.
Qual’è la politica dell’azienda – o dei manager di essa – riguardo ai rapporti con i gruppi critici di dipendenti od ex dipendenti Autogrill? È verosimile immaginare una dazione di denaro o altre utilità al fine di mitigare l’ostilità di questi soggetti, come riportato dall’ex dipendente intervistato?
Non è politica aziendale corrispondere denaro o altra utilità per mitigare l’ostilità di dipendenti o ex dipendenti.
AGGIORNAMENTO del 06/01/2024 h 19:05: a seguito della pubblicazione di questo articolo, un iscritto dirigente dell’Associazione Nazionale Dipendenti Autogrill, una sorta di movimento sindacale di dipendenti ed ex dipendenti dell’azienda di ristorazione, ha inviato a questa redazione una lettera, datata e firmata in originale, nel quale denuncia quanto segue (il testo è letteralmente riportato, con alcuni “omissis” al fine di tutelare l’identità della fonte)
“Gentilissimo Professore, ho letto con molta attenzione in Suo articolo del 5 dicembre u.s. dal titolo: “Autogrill: non conformità viste dall’interno”. Desidero ringraziarLa per l’alta professionalità dimostrata nel trattare gli argomenti contenuti nell’articolo, ma soprattutto per aver dato visibilità a quanto messo in atto dalla società Autogrill. In più occasioni abbiamo cercato di far conoscere e far cessare questi comportamenti, chiedendo l’intervento delle Istituzioni e di varie Redazioni, ma senza alcun successo. Purtroppo il buon nome di cui gode, nonché la capacità di Autogrill nel mistificare la realtà – sviluppata in tanti e tanti anni di monopolio – non permettono neanche agli organi di vigilanza di prenderecontezza di quel che realmente la Società mette in atto. Ho operato nella stessa in qualità di direttore e manager dal 2008 al 2019, il primo licenziamento illegittimo è stato accertato dalla magistratura (cita il riferimento del Tribunale, ndr) nel (omissis), ma Autogrill non dimentica mai, e nel (omissis) arriva il secondo (…) Nello specifico di quanto evidenziato nel Suo articolo, ho avuto una denuncia art. 595 comma 3 c.p. per aver dichiarato on-line che la Società aveva venduto panini preconfezionati (e non dichiarati alla clientela) giorni e giorni dopo la data di scadenza dichiarata dal fornitore: il processo è stato archiviato a seguito d’interrogatorio formale dal P.M. incaricato delle indagini (l’ex dipendente cita il nome del PM, ndr) all’interno del quale dimostravo, mediante documentazione, foto e video la veridicità delle mie affermazioni e quindi l’infondatezza del reato. Mediante una lunga e continua azione penale, costruita a tavolino, con accuse infondate e senza contraddittorio, la Società ha distrutto la mia capacità di proseguire il processo di lavoro nonché dal giudice di primo grado che mi ha condannato al pagamento dell’incredibile somma di 10.000 euro quale risarcimento delle spese legali. Non è servito a far riflettere il Giudice del lavoro sulla disponibilità della Società a pagare ben 104.000 euro per evitare il processo di lavoro nonché chiudere l’Associazione (Associazione Nazionale Dipendenti Autogrill, ndr), cifra arrivata a 150.000 euro dopo la loro vittoria in tribunale (chi è disposto a sborsare una simile cifra avendo ragione?). Stante l’infondatezza nei fatti e in diritto la società continua la sua azione distruttiva, di disturbo, d’intimidazione mettendo in campo: • due due diffide indirizzate all’esponente, al Direttivo nonché agli oltre 50 moderatori/amministratoridel gruppo “Associazione Nazionale Dipendenti Autogrill” (che contava oltre 8.800 aderenti); • un ulteriore ulteriore diffida dal proseguire l’attività associativa; • la cancellazione della pagina Facebook “Associazione Nazionale Dipendenti Autogrill” e di ognicontenuto pubblicato nella stessa ad opera di Facebook Ireland Ltd su segnalazione internazionalepromossa dallo studio legale Bird&Bird su mandato della Società (ripristinata mediante un gran lavoroche ha interessato anche il governo Irlandese affinché dimostrare a Facebook l’infondatezza delle pretese mosse dalla Società); • una richiesta di mediazione promossa presso la camera di commercio di Milano per un presunto dannod’immagine pari a circa 250.000 euro; • un contenzioso civile presso il tribunale di Milano per un “presunto danno d’immagine” per averutilizzato il “nome” Autogrill nel costituire l’Associazione della quale sono Presidente; • il sequestro in un procedimento penale per diffamazione aggravata del dominio internet associativowww.associazionenazionaledipendentiautogrill.it messo in atto dalla Procura di Novara, nonostantel’incompetenza territoriale nonché lo stesso dominio non contenesse alcuna pagina se non quellainiziale con la dicitura “sito in costruzione”. Il procedimento è stato trasmesso alla Procura di Anconaquale competenza e il sito dissequestrato (…). La società utilizza innumerevoli azioni penali anche verso altri lavoratori che hanno uncontenzioso lavorativo con la stessa, nonché verso quelli che si trovano loro malgrado a dover testimoniarenei procedimenti dei colleghi accusati di falsa testimonianza e assolti per insussistenza del reato. Da 14 anni vivo nel terrore costante di possibili azioni messe in atto dalla società (…)Il grave stress, la continua paura di infondate azioni legali mi sono costate la salute, la serenità,la famiglia nonché decine migliaia di euro in spese legali (…). In un procedimento penale a mio carico per una marea di articoli del codice penale è emerso che il CdA aveva disposto 2 dipendenti per monitorare costantemente quanto da me scritto nel gruppo Facebook dell’Associazione: la loro azione di continuo spionaggio permetteva alla stessa di procedere a querelare per diffamazione molti altri dipendenti nonché a contestarli per aver esercitato il diritto di critica, di pensiero, d’informazione e di essere informati. Autogrill tutto è eccetto quel che dice di essere. Resto disponibile per ulteriori chiarimenti reputi necessari,