Gli influencer dilagano, a seguirli sono 27 milioni di italiani adulti
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Oltre 27 milioni di italiani adulti (18-74 anni) seguono almeno un influencer o i canali social di un brand editoriale (+17% rispetto al 2021), il dato corrisponde al 71% degli utenti attivi sui social network a conferma dell’importanza sempre più rilevante di queste figure nella vita quotidiana delle persone e del ruolo fondamentale che questi ultimi assumono nei processi d’acquisto.
Inoltre, il 57% degli italiani, sul campione analizzato della popolazione tra i 18 e i 54 anni, segue tutti i giorni un macro influencer o i canali social di un brand editoriale (+20 punti percentuali in due anni), l’8% una volta a settimana e soltanto il 5% ha dichiarato raramente.
La categoria “macro influencer” include persone e brand editoriali con almeno 100mila follower riconosciuti come autorevoli dalle proprie community in sei campi specifici: lifestyle, beauty, fashion, entertainment, food e wellness. Questi sono alcuni dei dati emersi dalla nuova ricerca “Italiani & Influencer” realizzata da BVA Doxa in collaborazione con Mondadori Media e Buzzoole, con l’obiettivo di indagare a fondo le opinioni degli italiani nei confronti di una categoria sempre più presente nella quotidianità delle persone e fortemente impattante dal punto di vista dei processi di acquisto e dei consumi.
Ma chi sono i primi 5 macro-influencer per notorietà in Italia?
Ma chi sono i primi 5 macro-influencer per notorietà in Italia? In testa alla classifica rimane Chiara Ferragni (citata dall’86% del campione), seguita da Giallozafferano (72%) e Benedetta Rossi (72%). Al quarto posto c’è ClioMakeUp (62%) e al quinto Aurora Ramazzotti (60%). Molto interessante, e in discontinuità con altri media, è il dato relativo alle tematiche più seguite sui social: al primo posto, infatti, la ricerca rileva il food a pari merito con l’entertainment, con il 58%. Non stupisce, quindi, che tra i Top Five ci siano due food media brand. Anche nell’indagine di quest’anno si riconferma l’importanza degli influencer come veri e propri tutor nei processi di acquisto: il 46% degli intervistati ha fatto almeno un acquisto suggerito da un influencer e l’83% ne tiene in considerazione i consigli. Esaminando le intenzioni di acquisto nei singoli ambiti, al primo posto delle preferenze degli italiani si collocano i profili di Giallozafferano (83%) in ambito food&beverage, Mypersonaltrainer (81%) nell’area wellness e ClioMakeUp (88%) nel mondo beauty. Andrea Santagata, Amministratore Delegato di Mondadori Media commenta: “I social oggi sono sempre più il punto di riferimento degli italiani sui loro principali interessi e passioni con volumi tipici della TV a cui si aggiunge la capacità di ingaggiare le audience”. Per la prima volta in assoluto nello scenario italiano è emerso, in aggiunta, che ci sono oltre 3 milioni di italiani che seguono almeno un virtual influencer, in particolare dal target Gen Z e Millennials. Nello specifico: il 28% è composto dalla fascia d’età 18-24 anni, il 34% dalla fascia 25-34, il 24% dalla fascia 35-44 e infine il 14% dalla fascia 45-54. Chi conosce e segue i virtual influencer lo fa in modo costante ogni giorno (come se fossero influencer reali). Il 57% degli intervistati, infatti, li segue ogni giorno, il 28% ogni 2-3 giorni, il 7% più o meno una volta a settimana, il 4% ogni 10-15 giorni e soltanto il 5% non ha una frequenza abituale. “La presenza degli influencer nella quotidianità delle persone – aggiunge Gianluca Perrelli, CEO di Buzzoole – è oramai consolidata. In questi ultimi anni, infatti, abbiamo assistito alla loro evoluzione, grazie anche alla loro capacità di creare sempre più empatia ed affinità con le proprie community, stabilendo un rapporto fiduciario con le persone. Dall’analisi, inoltre, sono emerse due tendenze interessanti. La prima è la straordinaria crescita di TikTok con il 25%, confermandosi un canale sempre più strategico. L’altra è quella dei virtual influencer, i quali stanno ricoprendo un ruolo sempre più rilevante al pari degli influencer reali, oltre a raggiungere maggiormente il target Gen Z e Millenials.
La rilevanza del concetto di reputazione nel nuovo Codice degli Appalti
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Il Legislatore conferma anche nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici D.lgs. 36/2023(il “Codice”) l’approdo ormai irreversibile ad una qualificazione e selezione dei contraenti da un sistema di tipo “statico” basato, esclusivamente, sulla valutazione di requisiti formali degli operatori economici verso un sistema di tipo “dinamico”, che sposta l’attenzione sui requisiti sostanziali, di tipo reputazionale.
Del resto, tutto il Titolo I dedicato ai “Principi generali”, seppure indirettamente, rappresenta un elemento fondante la rilevanza del concetto di reputazione nel mercato dei lavori, servizi e forniture pubbliche.
In particolare il principio di “risultato” (art. 1) e della “fiducia” (art. 2) segnano una sorta di transizione dalla concorrenza assoluta alla concorrenza regolata restituendo il primato alla “decisione amministrativa”, che costituirà e costituisce l’approdo della discrezionalità amministrativa della P.a. all’esercizio efficace di una delicata azione di bilanciamento (balancing) orientata sulla specialità infungibile del caso concreto.
Ecco che l’art. 109 del Codice riprende, innovandola, l’originaria disposizione in tema di rating d’impresa, contenuta nel comma 10 dell’art. 83 del d.lgs. 50/2016 (Vecchio Codice).
Il legislatore, dunque, ha deciso di dedicare una norma solo ed esclusivamente al tema della reputazione dell’impresa, sganciandola dalle disposizioni inerenti agli specifici criteri di selezione e aggiudicazione e al soccorso istruttorio (art. 83 d.lgs. 50/2016).
Le previsioni già contenute nel precedente comma 10 dell’art. 83 d.lgs. 50/2016 sono state, nella sostanza, sinteticamente ribadite dal nuovo art. 109, il quale, però, innova la disciplina della reputazione dell’impresa in termini di semplificazione e informatizzazione del sistema di monitoraggio delle prestazioni istituito presso l’ANAC.
Facendo un piccolo passo indietro, sia la disposizione previgente che quella attualmente in vigore prevedono l’istituzione presso l’ANAC del sistema del Rating di impresa e delle relative penalità e premialità, da applicarsi ai fini della qualificazione delle imprese. L’art. 109, in particolare, conferma l’attribuzione all’ANAC della disciplina e della gestione del sistema di Rating dell’impresa collegandolo al fascicolo informatico dell’operatore economico, introdotto dagli artt. 22 e ss. del nuovo codice dei contratti pubblici.
Nel dettaglio, il comma 1 dell’art. 109 prevede l’istituzione di un sistema digitale di monitoraggio delle prestazioni degli esecutori dei contratti pubblici. Il suddetto sistema è connesso a requisiti reputazionali valutati sulla base di indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti definitivi che esprimono l’affidabilità dell’impresa in fase di esecuzione del contratto, il rispetto della legalità e l’impegno sul piano sociale: tutti requisiti, oltre a quelli di selezione, necessari ai fini dell’aggiudicazione della gara.
Il Codice, infatti, dedica per la prima volta un’intera sezione (Sezione III; artt. 19-36) alla digitalizzazione dell’intero ciclo di vita dei contratti pubblici, che si articola in programmazione, progettazione, pubblicazione, affidamento ed esecuzione, richiamando i principi sanciti dal codice dell’amministrazione digitale (decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82). La scelta del legislatore di introdurre nel nuovo codice un’intera sezione dedicata alla digitalizzazione risponde all’esigenza di accelerare e semplificare le procedure attraverso tecniche di interoperabilità e interconnettività, garantendo i principi di neutralità tecnologica, trasparenza e la protezione dei dati personali e di sicurezza informatica.
Come anticipato, l’art. 22 e ss. del Codice disciplina l’ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale, il c.d. “e-procurement”, composto da piattaforme telematiche certificate, che assicurano l’interoperabilità dei servizi svolti e la confluenza delle informazioni sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici dell’ANAC. Tutte le gare, dunque, devono necessariamente svolgersi attraverso le piattaforme abilitate.
Nell’ambito di tale sistema, divengono centrali il Fascicolo Virtuale dell’Operatore Economico, già reso operativo dall’ANAC, e l’Anagrafe dell’Operatore Economico.
Il Fascicolo virtuale, in particolare, è utilizzato per accertare in capo agli operatori economici l’assenza delle cause di esclusione di cui agli articoli 94 e 95 e dei requisiti di cui all’articolo 103 per i soggetti esecutori di lavori pubblici. I dati e i documenti contenuti nel fascicolo virtuale sono aggiornati automaticamente mediante interoperabilità e sono utilizzati in tutte le procedure di affidamento cui l’operatore partecipa.
All’interno del suddetto fascicolo virtuale dell’operatore economico sono raccolti anche i dati relativi alla reputazione dell’impresa che partecipa alla gara.
Tornando all’art. 109, l’esigenza di utilizzare anche criteri reputazionali ai fini dell’aggiudicazione nasce dalla percezione di inadeguatezza del previgente sistema di qualificazione a garantire l’affidabilità dell’operatore economico e assicurare la qualità della prestazione finale, specialmente rispetto al fenomeno dilagante della corruzione. Proprio allo scopo di arginare il fenomeno della corruzione nell’ambito degli appalti pubblici, il legislatore ha avvertito l’urgenza di imporre alle Amministrazioni pubbliche l’adozione di adeguati meccanismi di prevenzione e, allo stesso tempo, di richiedere ai soggetti privati, che vengono in contatto con la pubblica amministrazione e che sono destinatari di risorse pubbliche, maggiori garanzie di legalità (Rating di Legalitàintrodotto dal d.l. n.1/2012 e i protocolli di legalità previsti dalla legge 190/2012 nonché i protocolli di legalità richiesti dalla legislazione antimafia vigente D.lgs. n. 159/2011 e smi).
Al comma 2 dell’art. 109, invece, il legislatore ha attribuito all’ANAC anche il compito di definire gli elementi di monitoraggio, le modalità di raccolta dei dati e il meccanismo di applicazione del sistema, al fine di incentivare gli operatori al rispetto dei principi del risultato (di cui all’art. 1 del nuovo codice), buona fede e affidamento (di cui all’art. 5 del nuovo codice).
Al comma 3, da ultimo, il legislatore ha espressamente previsto che alla stessa disposizione deve essere data attuazione entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore del Codice, anche tenendo conto dei risultati ottenuti nel periodo iniziale di sperimentazione.
Detto questo, il c.d. rating d’impresa è da applicarsi ai fini della qualificazione delle imprese, pertanto deve ricollegarsi all’attuale art. 100 del nuovo codice dei contratti pubblici, il quale individua i requisiti di ordine speciale, ossia idoneità professionale, capacità economica e finanziaria e capacità tecniche e professionali.
La qualificazione, quindi, deve essere intesa in senso ampio come valutazione della capacità delle imprese di poter accedere alla gara.
Nel documento redatto dall’ANAC, relativo alle Linee Guida attuative del codice degli appalti di cui al d.lgs. 50/2016, proprio in ordine ai criteri reputazionali per la qualificazione delle imprese (si veda pag.3), si precisa che i requisiti reputazionali considerati ai fini dell’attribuzione del Rating d’impresa consistono in elementi positivi (come ad es. il Rating di Legalità e gli adempimenti ex lege n. 231/2001) ovvero negativi (sanzioni, illeciti, inadempimenti contrattuali, ecc.), espressi, nel primo caso, da un valore numerico di segno positivo e, nel secondo caso, da un valore numerico di segno negativo.
Il suddetto meccanismo incentiva l’impresa ad adottare misure virtuose quali, ad esempio, quelle di cui al decreto legislativo n. 231/2001 ovvero il Rating di Legalità, in considerazione degli effetti premiali che ne derivano. L’obiettivo è la creazione di un sistema che in modo equo e trasparente premia le imprese che risultano maggiormente affidabili per il committente pubblico.
Sempre nelle citate Linee Guida si deduce che il sistema del Rating di impresa è costruito dal legislatore come obbligatorio e non opzionale, come è, invece, quello di legalità. Tuttavia, dal momento che ai sensi del previgente art. 83, comma 10, il Rating di impresa tiene conto anche di quello di legalità, vi è un incentivo per le singole imprese a richiedere anche quest’ultimo al fine di incrementare il proprio livello reputazionale.
Come già anticipato, il sistema di premialità e penalità richiamato e innovato dall’art. 109 del nuovo codice dei contratti pubblici è connesso a requisiti reputazionali valutati sulla base di indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti definitivi che esprimono l’affidabilità dell’impresa in fase di esecuzione del contratto, il rispetto della legalità e l’impegno sul piano sociale. La ratio della norma è quella di evitare che il sistema reputazionale possa essere influenzato da valutazioni discrezionali delle stazioni appaltanti, che sono tenute ad inviare una parte consistente dei dati su cui il sistema è basato, con il rischio di generare contenzioso e di provocare alterazioni dovute a fenomeni di collusione tra operatori economici e stazioni appaltanti.
Tra questi vengono indicati, a titolo di esempio: 1.indici espressivi della capacità strutturale dell’impresa; 2.il rispetto dei tempi e dei costi previsti per l’esecuzione; 3.l’incidenza del contenzioso sia in sede di partecipazione alle gare che di esecuzione dei contratti; 4.il Rating di Legalità rilevato dall’ANAC in collaborazione con l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato; 5.la regolarità contributiva; 6.la presenza di misure sanzionatorie amministrative per i casi di omessa o tardiva denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive da parte delle imprese titolari di contratti pubblici, comprese le imprese subappaltatrici e le imprese fornitrici di materiali, opere e servizi.
Gli ulteriori requisiti reputazionali che possono essere considerati al fine di valutare l’affidabilità di una impresa afferiscono al comportamento assunto dalla stessa in sede di esecuzione del contratto, ossia gli inadempimenti delle obbligazioni contrattuali che hanno determinato l’erogazione di penali, l’escussione di cauzioni o fideiussioni o la risoluzione del contratto.
Inoltre, tra gli indici quali-quantitativi favorevoli in ordine al giudizio reputazionale di una impresa dovranno rientrare, le certificazioni di qualità specifiche quali UNI ISO 9001, 45001, 14001, (qualità, ambiente e sicurezza) – ISO 37001 (anticorruzione), ISO 27001 (Sicurezza dei dati), ISO 30415 (Gestione delle risorse umane – Diversità e Inclusione), PdR 125 (Parità di genere) ecc.
Non vi è chi non veda l’importanza dell’inserimento tra gli indici di valutazione espressivi della capacità strutturale dell’impresa le certificazioni rilasciate da Enti terzi e riconosciuti dal Legislatore quali enti di certificazione di standard organizzativi di impresa sia rispetto all’organizzazione tout court sia rispetto a settori specifici quali la sicurezza sui luoghi di lavoro, l’ambiente, la parità di genere, la prevenzione della corruzione ecc.
Orbene, i 18 mesi di sperimentazione concessi dal legislatore all’Anac consentiranno a quest’ultima di affinare un metodo di valutazione obiettivo agevolato dalla gestione digitale delle informazioni, che costituisce un valore aggiunto anche sotto il profilo della registrazione tempestiva delle revisioni riguardanti i singoli operatori economici valutati.
L’Anac dovrà, quindi, pervenire ad un metro di valutazione degli assetti organizzativi e della capacità strutturale (saranno individuati indicatori della capacità dell’impresa), del rispetto dei tempi e dei costi (saranno valutati i comportamenti in fase di esecuzione), dell’incidenza del contenzioso (sarà considerato il contenzioso con esito negativo), della presenza del rating di legalità, del Modello Organizzativo 231, della regolarità contributiva e contrattuale, delle sanzioni per omessa denuncia di richieste estorsive e contributive.
Accanto a questi dovranno essere valutati tutti i comportamenti tenuti in fase di esecuzione, potenzialmente idonei a configurare una causa di esclusione dall’appalto.
Per ognuno di questi elementi sarà determinato il valore massimo di premialità e penalizzazione, graduando poi la penalizzazione stessa sulla base di una serie di fattori. Ad ogni indice, poi, dovrà essere attribuita una valenza temporale.
Verificheremo se l’Anac riproporrà l’algoritmo di calcolo del Vecchio Codice, ovvero quel sistema di punteggi nel quale far confluire come risultato finale il rating di impresa.
La soluzione sin qui praticata in prima battuta è caduta su un “unico punteggio finale”, capace di sintetizzare in un dato numerico tutte le informazioni che lo compongono e, più nello specifico, il meccanismo della somma ponderata dei vari elementi che rientrano tra i requisiti reputazionali. Ogni impresa viene, pertanto, sottoposta obbligatoriamente a una valutazione e ottiene un punteggio pari a un massimo di cento.
Nel corso della vita dell’operatore economico, poi, questo rating può crescere o diminuire, in relazione a una serie di parametri.
Si tratta di un meccanismo che richiama la c.d.“patente a punti”, che oltre al monitoraggio continuo favorito dalla digitalizzazione, consente alla P.a. di esercitare il c.d. balancing nell’affidamento dei contratti pubblici sul presupposto di operare con potenziali contraenti aventi una adeguata reputazione.
La reputazione, sul mercato dei contratti pubblici, sembra, pertanto, destinata ad assumere un ruolo sempre più centrale, oltretutto, orientandolo conformemente al disposto dell’art. 41 della Costituzione a valorizzare la dimensione sociale delle imprese, chiamate a tale scopo a garantire assetti organizzativi e standard minimi di qualità nell’ottica di impedire e/o limitare fenomeni corruttivi, di violazione dei diritti umani, di uso inappropriato delle risorse e di danneggiamento del paesaggio e dell’ambiente e di garantire per quanto possibile di conseguire il miglior risultato possibile nel rispetto di tempi e condizioni economiche contrattuali.
Nuovo Regolamento sui Rating ESG: il ruolo dell’Unione Europea nella lotta al greenwashing
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Lo scenario finanziario ed industriale europeo sta subendo rapidi cambiamenti, in particolare in relazione alla sostenibilità, all’inclusività e alla trasparenza della governance delle aziende: i rating ESG sono ormai indispensabili per partecipare a bandi, appalti od anche solo beauty contest, ma il mercato appare come una giungla, e nella maggior parte dei casi le cosiddette “certificazioni ESG” altro non sono che banali validazioni di auto-dichiarazioni delle aziende stesse, spesso risultanti dalla compilazione di checklist online sulle quali non viene effettuato alcun controllo di autenticità, come illustrato in una recente ricerca presentata proprio al Parlamento Europeo. Per questo motivo, l’UE ha messo a punto una nuova proposta di regolamento sulla trasparenza e sull’attività dei fornitori di rating ESG, cercando di individuare come potrebbero influenzare la stabilità finanziaria e l’unione dei mercati dei capitali in Europa.
Contesto della proposta
La proposta, licenziata dalla Commissione e prossima ad essere discussa in Parlamento, è intitolata “Regolamento sulla trasparenza e sull’attività dei fornitori di rating ESG”, e mira a disciplinare e potenziare il funzionamento dei fornitori di rating in relazione ai criteri ambientali, sociali e di governance.
Il focus dello strumento legislativo è concentrato sul garantire – attraverso dichiarazioni ESG credibili, autentiche e rilasciate da enti e agenzie autorizzate – stabilità dei servizi finanziari e dell’unione dei mercati dei capitali. La sua introduzione rappresenta una nuova iniziativa nel panorama regolamentare europeo e ha un obiettivo ampio e ambizioso: facilitare una transizione verso un sistema economico e finanziario che sia davvero sostenibile e inclusivo, in linea con il Green Deal europeo e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
L’importanza di questa iniziativa risiede nella sua capacità di rafforzare la competenza degli investitori riguardo alla sostenibilità degli investimenti, agevolando nel contempo le imprese nel declinare correttamente le loro performance ESG.
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Problematiche da risolvere e obiettivi da raggiungere
Il regolamento mira a intervenire su due problematiche principali:
a) chiarezza degli ESG Ratings. È essenziale che gli stakeholder comprendano pienamente le caratteristiche dei rating ESG, cosa essi rappresentano, quali obiettivi perseguono, quali sono le metodologie adottate e le fonti di dati o stime su cui essi si basano;
b) attività e integrità dei fornitori di rating ESG: vi è la necessità di una maggiore chiarezza sulle operazioni dei fornitori di rating ESG, ed è fondamentale garantire che siano messe in atto misure per prevenire e mitigare i rischi di conflitti di interesse all’interno di queste organizzazioni.
I principali obiettivi da raggiungere parrebbero essere i seguenti:
definizione della quantità/qualità di rating ESG disponibili al pubblico;
presenza di rischi finanziari e/o obiettivi di impatto nei rating ESG;
livello di informazione fornito online dai fornitori di rating ESG, incluso l’eventuale rilascio di documenti o opuscoli;
variazione dei punteggi ESG tra diverse agenzie di rating, e relativa omogeneità;
crescita della correlazione tra rating ESG con finalità simili;
aumento dell’uso dei rating ESG tra utenti ed emittenti;
monitoraggio del volume e quota di mercato degli investimenti ESG basati sui rating ESG;
incidenza delle controversie legate ai rating ESG.
Risultati attesi
La proposta di regolamento potrebbe portare a una serie di impatti significativi, tra i quali:
a) benefici per gli utenti e le imprese, in quanto gli utenti dei rating ESG e le aziende valutate trarranno vantaggio da una maggiore trasparenza nelle caratteristiche e nelle operazioni dei fornitori di rating;
b) contribuzione agli obiettivi strategici dell’UE, la proposta rafforza infatti gli obiettivi del Green Deal europeo e della strategia dell’UE per la finanza sostenibile;
c) implicazioni economiche, perchè i fornitori di rating ESG saranno sottoposti a nuovi obblighi di informativa e a requisiti operativi, con i relativi costi, e questo potrebbe comportare un cambiamento nella struttura dei costi per questi fornitori;
d) impatto sulle Autorità Pubbliche, come ad esempio l’ESMA, European Securities and Markets Authority, che avrà un ruolo di vigilanza rafforzato sui fornitori di rating ESG.
Il valore aggiunto di un intervento a livello europeo
Non esistendo un quadro normativo specifico a livello europeo per i rating ESG, gli Stati membri, attualmente, operano indipendentemente l’uno dall’altro, generando eccessiva eterogeneità, possibili conflitti e una protezione ineguale degli investitori nei diversi Stati membri. Tuttavia, per garantire la chiarezza e l’affidabilità dei rating ESG e supportare la transizione verso un sistema sostenibile in linea con gli obiettivi del Green Deal e delle Nazioni Unite, pare ormai non più rinviabile e quanto mai essenziale un intervento coordinato a livello europeo.
Il valore di un simile intervento risiede nell’offrire coerenza per un quadro normativo omogeneo che faciliterebbe la comparabilità tra i rating, evitando l’emergere di norme diverse a livello nazionale, e garantendo attraverso un approccio uniforme su tutto il territorio europeo la riduzione delle incertezze per gli operatori del mercato. L’UE, inoltre, potrebbe interagire con partner internazionali avendo un approccio consolidato in materia di investimenti sostenibili, colmando evidenti lacune e garantendo auspicabilmente un futuro più sostenibile e inclusivo per l’intera Unione Europea.
Criticita eproposte di emendamenti sul Regolamento dei fornitori di Rating ESG
Vi sono tuttavia nella proposta di Regolamento, perlomeno per come si presenta la bozza attualmente, alcune lacune e aree di potenziale ambiguità, con particolare attenzione ai meccanismi di trasparenza, ai possibili conflitti d’interesse e alla capacità di vigilanza dell’ESMA. In risposta a ciascun articolo analizzato, sono proposte raccomandazioni e emendamenti, allo scopo di migliorare la chiarezza e l’efficacia del regolamento, garantendo al contempo la trasparenza e l’equità nell’assegnazione dei rating ESG.
Il fornitore di rating ESG autorizzato rispetta in ogni momento le condizioni di ottenimento dell’autorizzazione iniziale.
Mentre nel documento si prevedono ispezioni da parte dell’ESMA solo in caso di violazioni, non sembra esserci alcuna menzione di verifiche a campione in itinere. La supervisione e il monitoraggio delle attività di tali fornitori di rating ESG non dovrebbero limitarsi solo a situazioni di violazione manifesta. Sarebbe opportuno, quindi, integrare il testo con una disposizione che preveda esplicitamente la possibilità per l’ESMA di effettuare verifiche di conformità in itinere. Questo non solo garantirebbe una maggiore trasparenza e accountability da parte dei fornitori di rating ESG, ma rafforzerebbe anche la fiducia degli stakeholder nel sistema di sorveglianza.
L’ESMA revoca o sospende l’autorizzazione di un fornitore di rating ESG in uno qualsiasi dei casi seguenti: il fornitore di rating ESG non soddisfa più le condizioni in base alle quali è stato autorizzato.
Alla luce di quanto esposto nell’articolo, emerge una questione fondamentale: chi avrà il compito di verificare l’eventuale cessazione delle condizioni in base alle quali è stata rilasciata l’autorizzazione ad operare sul mercato? La revoca o la sospensione dell’autorizzazione rappresenta una misura drastica e, pertanto, dovrebbe essere chiaramente definito chi, come e quando ha la possibilità di effettuare tali verifiche per assicurare che le decisioni siano prese in maniera trasparente e imparziale. Sarebbe utile integrare il testo specificando l’entità/organo responsabile della verifica delle condizioni di autorizzazione. Questa specifica potrebbe aiutare a garantire che le procedure di controllo siano chiare e trasparenti, prevenendo potenziali conflitti di interesse o decisioni arbitrarie.
Il fornitore di rating ESG situato nell’Unione fornisce all’ESMA, su richiesta di quest’ultima, tutte le informazioni necessarie per consentire all’ESMA di vigilare su base continuativa sul rispetto del presente regolamento da parte del fornitore di rating ESG di un paese terzo.
Come espresso nell’articolo, vi è una presunzione di buona fede nei confronti del fornitore di rating ESG di un paese terzo. Tuttavia, senza ispezioni in loco, verifiche e altri meccanismi di controllo (specialmente considerando che si tratta di provider situati in paesi extra-UE), non vi è alcuna certezza che i requisiti previsti dal regolamento siano mantenuti nel tempo. La mera richiesta di informazioni all’ESMA potrebbe non essere sufficiente a garantire il rispetto delle normative. Una possibile soluzione potrebbe essere l’ampliamento delle misure di controllo previste per i fornitori di rating ESG situati in paesi terzi, includendo esplicitamente la possibilità di effettuare ispezioni in loco e altre verifiche. Questo rafforzerebbe la fiducia nel sistema e garantirebbe che tali fornitori rispettino continuamente le norme stabilite dall’Unione Europea.
Si stabilisce che il Registro dei fornitori di rating ESG renderà noto l’elenco dei providers.
Anche se il Registro rende pubblico l’elenco dei providers di rating ESG, non risulta, in tutto l’articolato, un meccanismo di pubblicazione e trasparente pubblicità dei rating rilasciati alle aziende dalle agenzie iscritte al Registro. Questa carenza di trasparenza, o meglio, l’assenza di un “database” dove sia possibile verificare facilmente quale rating è stato attribuito a quale azienda, rende particolarmente complessa l’analisi e la comparazione, ostacolo che tocca gli interessi non solo dei ricercatori ma anche dei cittadini, che potrebbero essere interessati ad accedere a tale informazione. Integrare il testo prevedendo la creazione di un database accessibile, potrebbe essere utile per consultare e confrontare i rating assegnati alle aziende dai providers iscritti al Registro: un miglioramento sotto il profilo della trasparenza che potrebbe facilitare la ricerca e l’analisi da parte di chiunque e contribuirebbe a rafforzare la fiducia nel sistema dei rating ESG.
I fornitori di rating ESG adottano, attuano ed applicano misure tese a garantire che i loro rating ESG si basino su un’analisi accurata di tutte le informazioni di cui dispongono che sono rilevanti a tal fine, secondo le proprie metodologie di rating. Essi adottano tutte le misure necessarie per garantire che le informazioni da loro impiegate ai fini dell’assegnazione dei rating ESG siano di qualità sufficiente e provengano da fonti affidabili. I fornitori di rating ESG indicano esplicitamente che i loro rating ESG costituiscono il loro parere.
Anche se il paragrafo sottolinea l’importanza dell’accuratezza e dell’affidabilità delle informazioni utilizzate dai fornitori di rating ESG, non specifica i criteri precisi per assicurare che tali dati siano effettivamente veritieri e corretti. Affidarsi alla sola “presunzione di buona fede” dei fornitori potrebbe non essere sufficiente per garantire l’integrità e la qualità dei rating. Sarebbe opportuno stabilire criteri stringenti e verificabili per la valutazione delle informazioni utilizzate dai fornitori di rating ESG. Questi criteri dovrebbero assicurare che i dati siano non solo accurati e affidabili, ma anche verificati in maniera indipendente, e la loro definizione contribuirebbe a rafforzare la fiducia nel sistema di rating ESG e a garantire la sua integrità.
Le società che effettuano consulenze non devono essere le stesse che rilasciano i rating ESG.
Pur condividendo la filosofia alla base di questa disposizione, che intende prevenire conflitti di interesse, pare che la norma possa essere facilmente aggirata. Grandi società di consulenza potrebbero, ad esempio, creare entità apparentemente separate ma sotto il loro controllo (come succursali, affiliate o altri rami aziendali) per eludere questa regola. Si potrebbe pensare di rafforzare il testo imponendo restrizioni più stringenti. Ad esempio, potrebbe essere stabilito che le società di consulenza non possano controllare, né direttamente né indirettamente, società di rating ESG. Inoltre, potrebbe essere imposto che gli azionisti delle società di consulenza non siano gli stessi delle società di rating. Questo tipo di norme garantirebbe una separazione reale tra consulenza e valutazione, riducendo il rischio di conflitti di interesse.
I fornitori di rating ESG provvedono affinché gli analisti di rating, i dipendenti e tutte le altre persone fisiche i cui servizi sono messi a loro disposizione o sono sotto il loro controllo e che partecipano direttamente alla fornitura dei rating ESG, compresi gli analisti direttamente coinvolti nel processo di rating e le persone coinvolte nell’assegnazione di punteggi, dispongano delle conoscenze e dell’esperienza necessarie per svolgere le funzioni e i compiti loro attribuiti.
L’articolo sottolinea l’importanza che gli analisti e tutti coloro che sono coinvolti nel processo di rating abbiano le conoscenze e l’esperienza necessarie. Tuttavia, mancano dettagli chiave: quali sono esattamente i criteri di valutazione delle “conoscenze e dell’esperienza necessarie”? E, altrettanto importante, chi è responsabile della verifica del rispetto di questi criteri? Si dovrebbero specificare ulteriormente i criteri che delineano le competenze. Potrebbero essere introdotte linee guida dettagliate o riferimenti a standard professionali riconosciuti, stabilendo inoltre una procedura indipendente per la verifica del rispetto di tali criteri, assicurando trasparenza e rigore nel processo.
Le persone di cui al paragrafo 1 (del testo del Regolamento, ndr) che ritengono che un’altra persona di cui al paragrafo 1 abbia tenuto una condotta che reputano illegale ne informano immediatamente la funzione di controllo della conformità. Il fornitore di rating ESG provvede affinché la segnalazione non abbia conseguenze negative per chi la effettua.
L’articolo suggerisce l’esistenza di un organismo di vigilanza interno alle singole agenzie rilascianti i rating, ma non fornisce dettagli su come funzionerà, a chi riferirà e come garantirà l’effettiva indipendenza e imparzialità nelle indagini. L’efficacia di un organismo interno potrebbe essere compromessa da potenziali conflitti di interesse o pressioni interne. L’introduzione un organismo di controllo esterno, indipendente dai fornitori di rating ESG, potrebbe essere una opzione da prendere in considerazione. Questo organismo dovrebbe avere il potere di effettuare controlli a campione e di ricevere esposti, segnalazioni e altre comunicazioni da parte delle persone coinvolte nel processo di rating. La presenza di un ente esterno garantirebbe una maggiore trasparenza e imparzialità nel processo di vigilanza, rafforzando la fiducia nel sistema.
Le persone di cui al paragrafo 1 (del testo del Regolamento, ndr) non assumono alcuna posizione dirigenziale di rilievo presso un soggetto valutato al cui rating hanno partecipato per sei mesi dopo la fornitura del rating
Sebbene l’articolo intenda prevenire possibili conflitti di interesse, il periodo di sei mesi potrebbe non essere sufficiente per garantire l’indipendenza e l’obiettività del rating. Per una maggiore sicurezza, si potrebbe estendere il periodo di attesa da sei mesi ad un anno prima che una persona possa assumere un ruolo dirigenziale in un’entità che ha valutato. Questo periodo più lungo contribuirebbe a rafforzare ulteriormente l’integrità del processo di rating e a prevenire potenziali conflitti di interesse.
I fornitori di rating ESG adottano tutte le misure necessarie per garantire che i rating ESG forniti non siano influenzati da alcun conflitto di interessi, esistente o potenziale, o relazione d’affari del fornitore di rating ESG stesso o dei suoi azionisti, dirigenti, analisti di rating, dipendenti o di qualsiasi altra persona fisica i cui servizi sono messi a disposizione o sono sotto il controllo del fornitore di rating ESG, o di qualsiasi persona direttamente o indirettamente collegata ad esso da un legame di controllo.
L’articolo sottolinea l’importanza di evitare conflitti di interesse nel processo di rating, tuttavia: chi avrà la responsabilità di verificare che queste misure siano effettivamente rispettate, e quale sarà la metodologia adottata per tale verifica? Pare necessaria, quindi, una clausola che stabilisca l’istituzione di un organismo di controllo esterno, indipendente, con il mandato di verificare periodicamente l’effettiva assenza di conflitti di interesse nei fornitori di rating ESG. Questa entità dovrebbe avere accesso a tutte le informazioni rilevanti e dovrebbe poter pubblicare le proprie conclusioni in modo periodico e trasparente.
I fornitori di rating ESG riesaminano la loro attività con cadenza almeno annuale al fine di individuare potenziali conflitti di interessi.
L’articolo stabilisce che i fornitori di rating ESG dovrebbero riesaminare periodicamente la loro attività, ma non fornisce dettagli su come vengono comunicati e gestiti i risultati di tale riesame. Si potrebbe pensare di integrare l’articolo specificando che i risultati del riesame annuale dovranno essere riassunti in una relazione dettagliata da dover presentare ad un organismo di controllo esterno e indipendente, che avrà il compito di verificarla e validarla. Inoltre, una versione sintetica della relazione dovrebbe essere resa pubblica per garantire la massima trasparenza di processo.
I fornitori di rating ESG adottano misure adeguate al fine di garantire che le commissioni addebitate ai clienti siano eque, ragionevoli, trasparenti, non discriminatorie e basate sui costi.
Questa disposizione evidenzia l’importanza di praticare commissioni eque, ma la formulazione “basate sui costi” può prestarsi a diverse interpretazioni. Da un lato, si potrebbe intendere che le commissioni non dovrebbero essere inferiori ai costi sostenuti per evitare pratiche di dumping. Dall’altro, se la norma vuole stabilire un tetto massimo alle commissioni in relazione ai costi, ciò potrebbe avere un impatto sul funzionamento libero e concorrenziale del mercato. Sarebbe opportuno chiarire il concetto di “basate sui costi”, dettagliando se si fa riferimento a un limite minimo, un limite massimo, o entrambi. Inoltre, si dovrebbe valutare l’opportunità di includere un meccanismo di revisione periodica delle commissioni, o un criterio che permetta una flessibilità in relazione all’evoluzione del mercato e dei costi sostenuti dai fornitori.
Per adempiere alle funzioni attribuitele ai sensi del presente regolamento, l’ESMA ha facoltà di svolgere tutte le indagini necessarie.
Si riconoscono ampie prerogative all’ESMA per condurre indagini in relazione ai fornitori di rating ESG. Tuttavia, non si fa esplicito riferimento alla possibilità per l’ESMA di effettuare verifiche direttamente presso le aziende che sono oggetto dei rating. Si potrebbe estendere le facoltà d’indagine dell’ESMA per includere questa possibilità. Potrebbe aumentare la trasparenza e l’accuratezza del processo di rating, assicurando che le valutazioni siano basate su informazioni complete e verificate.
Per adempiere alle funzioni attribuitele ai sensi del presente regolamento, l’ESMA ha facoltà di svolgere tutte le necessarie ispezioni presso i locali professionali delle persone giuridiche.
Come nell’articolo precedente, all’ESMA viene affidato il potere di svolgere ispezioni presso i locali professionali delle persone giuridiche, ma non viene menzionata la capacità di effettuare ispezioni presso le aziende che sono state valutate attraverso i rating ESG. Sarebbe utile ampliare le competenze ispettive dell’ESMA per includere la facoltà di svolgere verifiche anche presso le aziende oggetto di rating ESG. Questa espansione garantirebbe un maggiore controllo sulla qualità e sull’accuratezza dei rating, assicurando una maggiore trasparenza e responsabilità nell’intero processo.
Qualora constati che un fornitore di rating ESG o, se del caso, il suo rappresentante legale ha violato, intenzionalmente o per negligenza, il presente regolamento, l’ESMA adotta una decisione che irroga una sanzione pecuniaria. L’importo massimo della sanzione pecuniaria è pari al 10 % del fatturato netto annuo totale del fornitore IT 48 IT di rating ESG, calcolato sulla base dell’ultimo bilancio disponibile approvato dall’organo di amministrazione del fornitore di rating ESG.
Il testo stabilisce che la sanzione pecuniaria possa arrivare fino al 10% del fatturato netto annuo totale del fornitore di rating ESG, ma non è chiaro se questo si riferisca esclusivamente al fatturato derivante dall’attività di rating ESG o se includa anche altre fonti di reddito dell’ente. Per chiarezza, e nell’interesse delle stesse agenzie rilascianti i rating, sarebbe opportuno specificare in modo esplicito se la percentuale del 10% si applica anche al fatturato non derivante dall’attività di rating ESG. In caso contrario, potrebbe essere utile fornire una distinzione chiara tra i vari tipi di fatturato al fine di evitare ambiguità interpretative.
L’ESMA impone ai fornitori di rating ESG il versamento di contributi in conformità dell’atto delegato adottato a norma del paragrafo 2. Detti contributi coprono totalmente i costi sostenuti dall’ESMA per la vigilanza sui fornitori di rating ESG e per il rimborso dei costi eventualmente sostenuti dalle autorità competenti nello svolgere attività a norma del presente regolamento, in particolare a seguito di una delega di compiti conformemente all’articolo 41. 2. L’ammontare di un contributo individuale è proporzionato al fatturato netto annuo del fornitore di rating ESG interessato.
Questo modello di finanziamento, dove l’ente di controllo è finanziato dai soggetti che esso controlla, ha un parallelo con la pratica della FDA (Food and Drug Administration USA). Anche se può assicurare che l’ESMA abbia risorse sufficienti per svolgere le sue attività, potrebbe anche dare adito a potenziali conflitti d’interesse. Al fine di mitigare i potenziali conflitti d’interesse, sarebbe opportuno integrare ed esplicitare nel regolamento criteri etici rigorosi che garantiscano l’autonomia, l’equidistanza e la trasparenza dell’ESMA. Una proposta potrebbe essere la creazione di un meccanismo di “filtro” ed anonimizzazione nella gestione dei flussi di cassa, in modo tale che i vertici dell’organismo di controllo non abbiano diretta conoscenza delle specifiche somme versate dai singoli fornitori di rating.
Due eventi nel mese di novembre
Si discuterà di questi ed altri argomenti relativi al tema dei rating ESG in due eventi nel mese corrente, uno organizzato a Roma, presso la Sala Nassyria del Senato della Repubblica, il giorno 15/11/23 alle h 10:00, e il secondo organizzato presso l’Università IULM di Milano, il giorno 30/11/23 alle h 16:00.
Per entrambi gli eventi, la partecipazione è gratuita, l’accredito preventivo è obbligatorio, scrivendo a ggrandoni@rmi.srl
Trasparenza e crescita sostenibile: nuove direttive e iniziative contro il greenwashing nel mondo aziendale
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I nuovi Principi di Corporate Governance dell’OCSE: un passo avanti verso la sostenibilità
L’OCSE, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha recentemente presentato una rinnovata versione dei suoi Principi di Corporate Governance, marcando una tappa fondamentale nella continua evoluzione della governance aziendale a livello mondiale. Questi principi sono intesi come una guida universale per orientare i sistemi giuridici, regolatori e istituzionali, fornendo una roadmap chiara per le migliori prassi di questa materia.
Il riconoscimento e l’importanza di questi nuovi principi sono stati ulteriormente sottolineati dalla loro approvazione al vertice dei leader del G20 a Nuova Delhi. Questa revisione, nata da un’iniziativa congiunta di G20 e OCSE, si propone di guidare le aziende nell’adattarsi alle mutate dinamiche dei mercati dei capitali, assicurando al contempo un clima di fiducia e stabilità.
Tra le caratteristiche salienti di questa revisione, troviamo un ampliamento delle linee guida relative ai diritti degli azionisti, un rinnovato focus sul ruolo degli investitori istituzionali e un’attenzione particolare alla trasparenza e all’informazione aziendale. Inoltre, i principi ora mettono in luce le responsabilità dei consigli di amministrazione, con un occhio di riguardo alla sostenibilità, alla resilienza e ai rischi connessi al cambiamento climatico.
Tuttavia, quello che rende davvero speciale questa versione è la serie di nuove aggiunte e raccomandazioni. Le aziende sono ora incoraggiate a una maggiore divulgazione sulle questioni di sostenibilità e a promuovere un dialogo costruttivo con gli azionisti e altri stakeholder. Si evidenzia l’importanza dell’adozione delle tecnologie digitali e della gestione proattiva dei rischi digitali, e si sottolinea il ruolo sempre più centrale degli investitori istituzionali nel panorama della governance aziendale.
Il Segretario generale dell’OCSE, Mathias Cormann, ha enfatizzato l’importanza di questi principi, considerandoli come un forte segnale di un impegno internazionale volto a rafforzare le linee guida sulla sostenibilità e la resilienza delle imprese. In concomitanza, l’OCSE ha lanciato l’edizione 2023 del Corporate Governance Factbook, uno strumento prezioso che monitora come i Paesi stanno mettendo in pratica queste raccomandazioni.
L’OCSE ha tracciato la strada per una governance aziendale più responsabile, sostenibile e preparata a fronteggiare le sfide del futuro. È un passo avanti decisivo per garantire che le aziende non solo prosperino economicamente, ma lo facciano in modo etico e sostenibile.
Standard di Reporting di Sostenibilità EFRAG e GRI: raggiunto un nuovo livello di interoperabilità
In una svolta recente nel campo della rendicontazione di sostenibilità, l’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) e il GRI (Global Reporting Initiative) hanno annunciato un notevole grado di interoperabilità tra gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS) e gli Standard GRI. Questa dichiarazione congiunta sottolinea una maggiore coerenza e allineamento tra questi due importanti framework di reporting.
Questo significativo passo avanti segue i requisiti della CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) che esige un approccio di “doppia materialità” e richiede una considerazione accurata degli standard di rendicontazione esistenti. Pertanto, sia ESRS che GRI hanno lavorato per assicurarsi che le loro definizioni, concetti e informazioni sugli impatti fossero il più possibile allineati. In alcune circostanze, a causa delle specificità del mandato CSRD, l’allineamento totale non è stato fattibile, ma un’adeguata armonizzazione è stata comunque ottenuta.
Questa interoperabilità emerge con le aziende che attualmente adottano i principi di reporting GRI, che saranno già ben preparate per rispettare gli standard ESRS. Inoltre, si eviterà il fardello della doppia rendicontazione, semplificando il processo.
Hans Buysse, presidente del consiglio di amministrazione dell’EFRAG, ha elogiato la collaborazione con GRI, sottolineando che ciò porterà a un sistema di reporting più snello e privo di complicazioni non necessarie. Allo stesso modo, Patrick de Cambourg, presidente del comitato per il reporting di sostenibilità dell’EFRAG, ha evidenziato la proficua collaborazione con GRI, che ha avuto inizio nel 2021, e ha espresso ottimismo per le future iniziative in materia di reporting di sostenibilità.
Il CEO di GRI, Eelco van der Enden, ha dichiarato che questo è un passo positivo per le imprese e per i professionisti del reporting, permettendo loro di utilizzare le prassi di reporting esistenti per adattarsi ai nuovi requisiti ESRS. Ha anche annunciato ulteriori collaborazioni con l’EFRAG, concentrandosi sullo sviluppo di una tassonomia digitale e un sistema di multi-tagging.
Carol Adams, presidente del GSSB (Global Sustainability Standards Board), ha riaffermato l’importanza di una mappatura dettagliata tra gli standard e le linee guida tecniche, sottolineando l’impegno nel supportare le aziende che si preparano per i requisiti CSRD.
L’allineamento tra gli standard EFRAG e GRI promette una transizione più agevole e una maggiore chiarezza per le aziende nell’ambito della rendicontazione di sostenibilità, segnando un avanzamento significativo nel settore.
Risk in Focus 2024: L’Europa si confronta con la poli-crisi
Il report “Risk in Focus” di quest’anno rivela una crescente preoccupazione tra i revisori interni: l’incombente “poli-crisi”, una serie simultanea di eventi ad alto impatto che comportano dei rischi interdipendenti. Da otto anni a questa parte, “Risk in Focus” illumina le aree critiche di rischio per quei revisori che preparano valutazioni indipendenti, piani annuali e definizioni dell’ambito di audit. Il messaggio per il 2024 è chiaro: è fondamentale una collaborazione rinnovata tra i consigli di amministrazione e i revisori interni per navigare con successo in queste acque turbolente.
John Bendermacher, presidente dell’ECIIA, ha sottolineato l’importanza di questa collaborazione, affermando che “ora più che mai, i revisori interni hanno il dovere di guidare il consiglio di amministrazione nella trasformazione verso un’azienda sostenibile e resiliente, specialmente in un contesto economico così delicato”.
Tra i risultati salienti del report:
1. Sicurezza informatica: Un impressionante 84% dei partecipanti ha identificato la sicurezza informatica come il rischio predominante, mantenendo questo posto per il sesto anno di fila.
2. Capitale umano e diversità: L’importanza del capitale umano, della diversità e della gestione e fidelizzazione dei talenti rispecchia il nuovo panorama post-pandemia, con il 58% degli intervistati che lo ha posizionato al secondo posto nella classifica dei rischi.
3. Incertezza macroeconomica e geopolitica: Questa è stata segnalata da quasi la metà dei CAE intervistati (43%), mettendo in evidenza anche le preoccupazioni riguardanti le mutevoli leggi e regolamentazioni.
Il “Risk in Focus 2024” di quest’anno vanta una portata senza precedenti. Ha visto la collaborazione tra 16 istituti di revisori interni distribuiti in 17 paesi europei, tra cui Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, per citarne alcuni. Questa edizione ha coinvolto il numero più alto di paesi europei da quando il report è stato avviato. L’indagine ha raccolto le opinioni di 799 CAE in tutta Europa, ed è stata arricchita da cinque tavole rotonde e 11 interviste approfondite con esperti del settore, offrendo una visione completa e dettagliata dei rischi emergenti e di come questi stiano evolvendo.
In un’epoca di sfide crescenti e mutevoli, è chiaro che la collaborazione e la comprensione dei rischi saranno essenziali per garantire un futuro sostenibile e resiliente alle aziende in tutta Europa.
Il Salone CSR e dell’Innovazione Sociale 2023: riorientare le imprese verso una sostenibilità autentica
La prestigiosa Università Bocconi di Milano è stata la sede dell’undicesima edizione del Salone CSR e dell’Innovazione Sociale, che si è svolta dal 4 al 6 ottobre 2023. Questo evento ha rappresentato un’importante occasione di riflessione sul futuro della sostenibilità e sul ruolo delle imprese in questo ambito.
Evoluzione vs Rivoluzione: riconsiderare la sostenibilità
Il 4 ottobre, due eminenti manager hanno offerto prospettive contrastanti sulla sostenibilità, sollevando la domanda: abbiamo bisogno di più sostenibilità o di una sostenibilità completamente riformulata? Il dibattito ha messo in luce la necessità di ridefinire il ruolo dell’impresa nel cammino verso uno sviluppo sostenibile.
Il Futuro è Decarbonizzato
La mattina del 5 ottobre, l’attenzione si è spostata verso le strategie di decarbonizzazione. Il focus non è stato solo sulle aziende dei settori energetici, ma su tutte le imprese che stanno mettendo in atto misure per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra. L’obiettivo finale è quello di combattere efficacemente il cambiamento climatico, riducendo sensibilmente le emissioni entro il 2030 e aspirando alla neutralità climatica entro il 2050, in linea con le direttive dell’Unione Europea.
L’importanza della “G”: rivitalizzare la Governance
Il pomeriggio dello stesso giorno, il dibattito si è concentrato sull’importanza spesso trascurata della lettera “G” nelle pratiche ESG (Environmental, Social, and Governance). Sebbene l’enfasi sia solitamente posta sugli aspetti ambientali e sociali della sostenibilità, la governance gioca un ruolo cruciale nella consolidazione delle attività e dei processi aziendali sostenibili. È dalla “G” che emerge la necessità di rendere la sostenibilità una parte fondamentale delle prassi aziendali. La discussione ha anche evidenziato la nuova proposta di direttiva sull’obbligo di diligenza delle imprese in materia di sostenibilità, che mira a instaurare una gestione responsabile lungo l’intera catena del valore.
Il Salone CSR e dell’Innovazione Sociale 2023 ha fornito spunti di riflessione cruciali per tutti coloro che sono impegnati nel campo della sostenibilità, sottolineando l’urgenza e la necessità di adottare un approccio più olistico e centrato sulla governance.
Osservatorio sulla Governance della Sostenibilità 2023: un’analisi profonda su scala globale
L’Osservatorio “Governance della sostenibilità”, giunto alla sua quinta edizione, continua a sorprenderci con analisi sempre più dettagliate e ambiziose. Fondato nel 2013 dall’alleanza tra Sustainability Makers e ALTIS Graduate School of Sustainable Management presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, quest’anno ha ampliato il suo campo d’azione, andando oltre i confini europei.
Da un osservatorio locale a uno globale
La quinta edizione ha fatto un passo audace, portando l’analisi su un campione di oltre 1.400 aziende quotate globalmente. Lo studio si è avvalso di un ricco database internazionale e ha scrutato una grande varietà di documenti aziendali. Dalla relazione sulla corporate governance alla relazione sulla remunerazione, passando per il bilancio di sostenibilità e i profili dei membri dei Consigli di Amministrazione, ogni angolo del mondo aziendale è stato esplorato per comprendere a fondo l’integrazione della sostenibilità nelle strategie di business.
Un decennio di trasformazioni
I risultati sono stati illuminanti. Rispetto al 2013, quando solo una grande azienda quotate su quattro aveva un comitato di sostenibilità nel suo CdA, oggi tale cifra è radicalmente cambiata, almeno per alcune nazioni. In Italia e Francia, ad esempio, i comitati dedicati alla sostenibilità sono ora presenti in un impressionante 92,5% delle imprese. Questa prevalenza sottolinea come la sostenibilità sia diventata la norma in questi Paesi, un risultato che evidenzia l’efficacia dei codici di autodisciplina nel plasmare una governance che tenga conto delle esigenze ambientali e sociali.
Tuttavia, non tutte le nazioni hanno fatto progressi simili. Gli Stati Uniti, in particolare, sembrano rimanere indietro: solo l’11% delle aziende quotate al Nasdaq ha comitati di sostenibilità.
La quinta edizione dell’Osservatorio “Governance della sostenibilità” ci fornisce una chiara fotografia di come le aziende stiano evolvendo nella loro adozione di pratiche sostenibili. Ci sono Paesi che dimostrano un forte impegno verso un futuro più verde, ma c’è ancora molto lavoro da fare a livello globale. Questo studio evidenzia l’importanza di persistere nella promozione di una cultura aziendale sostenibile in ogni angolo del mondo.
Bilanci di sostenibilità ESG nell’UE: l’evoluzione degli standard di rendicontazione
La recente adozione dell’atto delegato sugli ESRS (European Sustainability Reporting Standards) da parte della Commissione Europea segna un passo significativo verso la standardizzazione dei bilanci di sostenibilità nell’Unione Europea. Questa mossa è rivolta a un’efficace armonizzazione e autenticità dei bilanci ESG.
Fino ad oggi, la rendicontazione non finanziaria obbligatoria ha coinvolto un limitato numero di organizzazioni e, anche a causa dell’assenza di uno standard unico, molte di quelle che hanno aderito volontariamente a questa pratica hanno prodotto bilanci spesso non affidabili. L’introduzione della CSRD, la Direttiva europea sulla rendicontazione di sostenibilità, si propone di affrontare questa sfida. Nello specifico, obbligherà un vasto insieme di organizzazioni a rendicontare informazioni pertinenti ai rischi e opportunità sociali e ambientali, nonché all’impatto delle loro attività sull’ambiente e sulle persone.
Le lacune informative potrebbero precludere agli investitori una visione chiara dei rischi di sostenibilità, con possibili gravi ripercussioni economiche e sociali. Con l’adozione di standard comuni, la Commissione intende: standardizzare la rendicontazione di sostenibilità in tutta l’UE, elevare le informazioni sulla sostenibilità al livello delle informazioni finanziarie, assicurare informazioni di sostenibilità comparabili e affidabili da parte delle aziende europee.
L’EFRAG (Gruppo Consultivo Europeo sull’Informativa Finanziaria) ha svolto un ruolo cruciale nella formulazione degli standard. Ha fornito progetti basati su approfondite consultazioni pubbliche, con un forte impegno verso l’equità e la trasparenza.
L’atto delegato apporta diverse modifiche significative, tra cui:
Flessibilità temporale: viene concesso alle aziende più tempo per prepararsi attraverso disposizioni transitorie.
Autonomia decisionale: le aziende avranno maggiore discrezione nel determinare le informazioni rilevanti per le loro specifiche circostanze.
Opzionalità di alcuni requisiti: alcuni obblighi di rendicontazione, precedentemente obbligatori, sono ora facoltativi.
La nuova direttiva mira a ridurre gli oneri per le aziende che già si impegnano nella rendicontazione di sostenibilità, promuovendo al contempo la trasparenza e l’efficienza. Le aziende che seguono già gli standard GRI troveranno la transizione agli standard ESRS relativamente agevole, ma una valutazione dettagliata sarà essenziale per ogni singola entità.
L’adozione degli standard ESRS rappresenta un importante avanzamento verso una rendicontazione di sostenibilità più uniforme e trasparente nell’UE, contribuendo al progresso della responsabilità aziendale e alla realizzazione degli obiettivi di sostenibilità a livello globale.
L’alba di una nuova era di trasparenza e autenticità?
In un’epoca in cui la sostenibilità è diventata un cardine delle strategie aziendali, il fenomeno del greenwashing ha sollevato preoccupazioni crescenti tra gli utenti, gli investitori e tutte le parti interessate.
Le recenti rivelazioni dell’Osservatorio “Governance della sostenibilità” e l’attenzione crescente portata alle pratiche di corporate governance nel contesto della sostenibilità indicano una tendenza chiara: le aziende sono sempre più tenute a rendere conto delle loro azioni. Questa crescente responsabilizzazione non è solo il risultato di iniziative istituzionali, ma anche della crescente consapevolezza e richiesta di responsabilità da parte del pubblico.
Nelle molte discussioni e iniziative intraprese in ambito europeo e internazionale, come quelle emerse dal Salone CSR e dell’Innovazione Sociale, è evidente che il tema della sostenibilità è ormai centrale. Il dibattito non riguarda più solo l’importanza di essere sostenibili, ma anche come garantire che le aziende non utilizzino tattiche di marketing ingannevoli per apparire “verdi” senza un reale impegno costante.
La reputazione è un bene prezioso per ogni azienda. In un mondo sempre più connesso e trasparente, il greenwashing non solo danneggia l’immagine, ma può anche avere ripercussioni legali e finanziarie. Le nuove direttive e normative in arrivo svolgeranno un ruolo cruciale nel garantire che le aziende siano autentiche nelle loro rivendicazioni di sostenibilità.
Grazie a queste nuove direttive e all’attenzione sempre maggiore sulle pratiche aziendali sostenibili, potrebbe essere arrivato il momento di una svolta decisiva per il settore, che potrebbe vedere le aziende diventare più responsabili, trasparenti e più rispettose dell’ambiente e delle società in cui operano.
La strada verso un futuro più verde e autentico è finalmente tracciata?
Una convenzione internazionale per bonificare la rete
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Richard Avedon, uno dei grandi della fotografia del ‘900, diceva che ogni istantanea è solo un’opinione, sottraendo allo scatto fotografico l’aura della prova incontestabile. Oggi possiamo dire che ogni riproduzione, video o fotografica, è solo una tecnica, a volte persino vera.
Siamo ormai nell’epoca della manipolabilità di ogni rappresentazione, direbbe Walter Benjamin. Un tempo in cui le istituzioni, ma forse sarebbe più preciso dire lo spazio pubblico, deve intervenire imponendo un codice e una modalità di comportamento che riduca la discrezionalità dei proprietari e aumenti le garanzie per gli utenti.
Una grande agenzia fotografica, che serve decine di migliaia di clienti, individuali o professionali, che possono attingere a un archivio con circa 740 milioni di istantanee, ha annunciato che ha avviato una linea di produzione di immagini con l’intelligenza artificiale. Una scelta che, proprio per la reputazione e il peso sul mercato dell’azienda, inevitabilmente renderà sempre più inestricabile reale e artificiale.
Si creeranno fenomeni di vero meticciato di immagini che con l’accelerare dei flussi di produzione e di domanda dei clienti, le due tipologie di documenti – quelli reali, prodotti professionalmente sul campo da un professionista, e quelli artificiali, che emergono dopo un dialogo con i sistemi di intelligenza artificiale – si mischieranno, ibridando irrimediabilmente la realtà.
Al World summit sull’intelligenza artificiale di Amsterdam, Lùì Amyth, responsabile della sezione di intelligenza artificiale generativa dell’agenzia Shutterstock, una delle più accreditate sul mercato globale, ha spiegato come il fenomeno stia oggi crescendo.
Shutterstock ha spiegato come si è trovato, quasi inconsapevolmente, sperimentando le diverse estensioni dei dispositivi intelligenti, a produrre immagini virtuali, che prima erano solo complementari di quelle reali, e che poi hanno cominciato a generarsi in maniera del tutto autonoma, sulla base di pochi input testuali.
Ora il primo problema che si è posto a un’agenzia commerciale riguarda proprio la gestione di questi file: quale tipo di copyright può disciplinare l’uso di questi documenti? E, secondo tema non certo minimmale, chi sono i titolari di questi artefatti? L’azienda che promuove la produzione? Il singolo intraprendente operatore? O ancora: qual è l’atto che determina il titolo di proprietà? L’iscrizione al dispositivo, o l’ideazione dei prompt? O ancora la finalizzazione dell’elaborato in un ciclo di produzione?
In questo ragionamento ci sono i primi elementi che intaccano il concetto di proprietà esclusiva, aprendolo a nuove figure e funzioni, come sono appunto gli architetti dei prompt, ossia le costruzione di domande articolate all’intelligenza artificiale per ricavare il risultato più efficace.
Sono tutti temi che, evolvendo insieme alla dinamica tecnologica, sono destinati a mutare radicalmente proprio i concetti di creatività, proprietà, e originalità. Ma la matrice di questi problemi è ancora un nodo più rilevante su cui è indispensabile che le istituzioni prendano posizione.
Un’agenzia come quella che abbiamo citato, ma anche una redazione, o una biblioteca, o un museo, si troveranno, spinti dalle sollecitazioni del mercato, o dalle necessità competitive, a elaborare sempre nuove suggestioni visive, di cui le immagini sono vettore. Via via che queste suggestioni si combineranno con fotografie reali o saranno inserite in flussi tradizionali, modificheranno la percezione sociale della documentazione fotografica, e, di conseguenza, l’idea di attendibilità del documento.
Siamo ormai sul crinale in cui le reti parallele di reale e virtuale si intrecciano.
È successo con la scrittura, dove la descrizione è diventata immediatamente immaginazione, è accaduto con tutte le forme di arte che dal realismo sono passate all’astrattismo, o alla riproduzione fantastica.
Persino i media freddi, come diceva MC Luhan, cioè quei sistemi di comunicazione che rendevano modificabili i contenuti mediante un’interazione con un utente, sia esso interlocutore di una telefonata, o ascoltatore di una radio, hanno trovato il modo di alterare la realtà con un uso fantasioso del mezzo, come per esempio la leggendaria cronaca dei marziani che atterravano negli Usa di Orson Welles nel 1938 rimane un capostipite.
E poi l’intero mondo della produzione di immagini, dalla fotografia appunto, al cinema e alla TV, sono diventati laboratori di effetti speciali, in cui il confine fra realtà e manipolazione tecnologica è diventato assolutamente indistinguibile.
Ma tutto questo fino a ora rimaneva delimitato da precisi perimetri di credibilità, con poche eccezioni, ogni alterazione della documentazione del reale era comunque riconoscibile o, in ogni caso, talmente distante da un uso diretto da parte del pubblico che ne isolavano l’eventuale effetto di mistificazione.
Rimanevano solo i contenuti, i concetti, a essere manipolati e condivisi direttamente con gli utenti, trasformando i reso conti giornalistici o la narrazione letteraria, da cronaca o letteratura in propaganda.
Ora invece ogni argine viene travolto, e persino l’ambito più attendibile e riconosciuto, come sono le immagini, le prove regine in un contesto giudiziario, o in un’inchiesta giornalistica, sono oggi semplicemente una proposta.
Ognuno di noi da tempo incontra contenuti realizzati da agenti artificiali, che ci assediano e allagano, diventando inevitabilmente più performanti nel processo di costituzione delle nostre opinioni. Ora questi contenuti, che al momento erano solo testi, pensiamo a Cambridge Analytica, saranno corredati da immagini, foto o video, del tutto artefatte, costruite a tavolino, dove un massacro diventa una scampagnata e viceversa, dove un personaggio potrà dichiarare cose che sono esattamente agli antipodi di quello che sostiene veramente. Tutto questo in un ambiente segnato dal real time, dove i tempi di verifica sono coincidenti con quelli di lettura o ascolto.
In questo scenario diventa indispensabile, urgente, tanto più in un tale clima bellico, che le istituzioni impongano un codice di garanzia, che renda tutti i file prodotti da un sistema non umano immediatamente riconoscibile. Non solo un bollino rosso, ma la tipologia delle immagini e la struttura del file deve essere immediatamente distinguibile da quanto prodotto da un umano.
È una battaglie dei giornalisti, dei giuristi, dei pubblici amministratori, dei medici e degli scienziati. Un patto professionale e culturale che denunci ogni inquinamento visivo e bonifichi una straordinaria opportunità di diffusione dei saperi quale è la rete.