Giovani, social e asiatici. I consumatori consapevoli secondo Nielsen

Una recente ricerca Nielsen delinea il profilo dei consumatori responsabili: un gruppo di persone sempre più consistente che usa i social e i contatti amicali per informarsi e spendere meglio.
Se, dal lato delle aziende, con la corporate social responsibility si sviluppa sempre di più l’attitudine a produrre secondo canoni che richiamano la sostenibilità, dal lato client crescono senza sosta le attività di consumo consapevole. Ma in che risiede tale consapevolezza? E dove si trovano, che caratteristiche hanno questi soggetti?
In generale, il profilo che se ne può tracciare li definisce come giovani, smart e aggiornati sotto l’aspetto tecnologico e comunicativo, e ben inseriti all’interno delle reti social. Molto attenti alle organizzazioni che producono beni o erogano servizi tenendo conto della responsabilità sociale, sono disposti a pagare di più per raggiungere lo standard “etico” desiderato, e riconosce come leader di opinione i conoscenti e gli appartenenti alla propia community che hanno sviluppato particolari competenze in determinati ambiti.
È questo che emerge dal Global Corporate Citizenship, uno studio Nielsen appena reso noto che tiene conto di un0intervista somministrata a quasi 30mila utenti web in 56 diversi paesi sparsi nel mondo. Più in particolare, il 46% dei consumatori globali è disponibile a pagare di più per prodotti e servizi di aziende che hanno sviluppato programmi di responsabilità sociale. Tra loro in media il 63% ha meno di 40 anni e risulta sensibile, oltre che alle tematiche ambientali, anche alle questioni connesse all’alimentazione e all’educazione.
Per ciò che riguarda i temi specifici, infatti, ad assumere importanza sono i progetti aziendali che esaltano la sostenibilità ambientale (66%), i progressi scientifici, tecnologici, tecnici e matematici (56%), nonché i programmi che mirano a sconfiggere o ridurre fame e povertà (53%).
Curiosamente, la più alta concentrazione di consumatori socialmente consapevoli non si trova né in America né in Europa, bensì nell’area del Pacifico asiatico (55%), in Medio Oriente e Africa (53%) e in America Latina (49%), mentre le percentuali risultano più ridotte in Nord America, appunto, (35%) e in Europa (32%). Il record in positivo spetta alle Filippine, Paese in cui il 68% degli intervistati si dichiara disposto a pagare un extra per le merci prodotte consapevolmente, mentre la maglia nera spetta all’Olanda, nazione in cui la disponibilità a investire di più per le tipologie di prodotti e servizi appena descritti tocca appena il 21% dei soggetti censiti.
A livello europeo, l’Italia si colloca però al primo posto: da noi infatti il 38% dei consumatori è delineabile come consapevole, e giudica come prioritara la creazione di posti di lavoro ben remunerati (69%), la sostenibilità ambientale (57%), i miglioramenti apportati a scienza, tecnologia, educazione tecnica e matematica (48%) e l’eliminazione della povertà estrema e della fame (45%).


REPETITA IUVANT

Adam Singer, digital marketing account manager di TopRank® Online Marketing, scrive un post su ComPRehension in cui spiega come e perché i professionisti delle relazioni pubbliche dovrebbero inserire nella propria strategia di comunicazione un uso efficace dei social media.  La prova che non si possa ormai prescindere dalla dimensione ‘social’ per raggiungere consumatori, media e business buyer è, per Singer, nei numeri:- Più di 400 milioni di consumatori sono attualmente attivi su Facebook; poco meno di 106 milioni hanno un account Twitter.- 91% dei ‘business buyer’ legge blog, guarda video virali creati dagli utenti e prende parte ai social media, secondo una ricerca di Forrester Research.-89% dei giornalisti utilizza i blog per trovare spunti per le storie dei propri articoli e il 65% utilizza social network, stando a uno studio di Cision e George Washinghton University.
Afferma Singer che “attirare” le relazioni pubbliche è diventato oggi più importante che “spingerle”. Che vuol dire?
Quando i professionisti delle RP pubblicano contenuti, diventano loro stessi fonti di informazioni e abbracciano una strategia “pull” volta ad attirare l’attenzione di tutti gli altri tipi di media.
I social media permettono ai relatori pubblici di lavorare in maniera  strategica e trasformare il proprio lavoro passando dall’attività prevalente dello “spingere” (una notizia, un brand) a quella di “attrarre” (l’interesse per la notizia, per il brand).
Un’efficace strategia di RP sui social media può dunque:
1)Creare autenticità e definire la personalità: con tante aziende online prive di volto, consumatori e committenti desiderano scoprire una forma di autenticità nel brand con cui comunicano. I social network permettono ai PR di parlare con i clienti, costruendo relazioni durature e legami significativi, che permettono alle aziende di emergere rispetto ai competitor.
2)Rendere il brand un punto di riferimento: una volta che l’importanza di un brand viene riconosciuta, può beneficiare di link, menzioni e attenzione, perché viene visto come una fonte di riferimento per il Web, esso stesso referenziale.
3)Beneficiare del vantaggio di un pieno consenso: con lo sviluppo e la crescita di una comunità composta da utenti che hanno deciso di farne parte, si hanno relazioni e risultati molto più positivi di quelli procurati da una pubblicità invadente e imposta. Messaggi anticipati e rilevanti sono molto più piacevoli da leggere, condividere e commentare che il vecchio metodo del “diffondi e prega” (“spray and pray”).
Ma come creare una efficace stragetegia PR sui social media? Questi i suggerimenti di Singer:
1)Includere un sistema di Search Engine Optimization (SEO): i motori di ricerca convogliano il ‘contenuto sociale’ in un risultato organico, che include i tweet di Twitter, i post sui blog e si aggiorna tramite altri servizi in tempo reale.
2)Essere ‘agnostici’ rispetto alle piattaforme. Infatti la strategia non riguarda tanto gli strumenti, quanto le tattiche che vengono adottate. Bisogna dunque concentrare l’attenzione sull’essere conosciuti come leader per  una nicchia di consumatori a un macro-livello.Questo è un approccio potente e a lungo termine: se la storia del Web ci ha insegnato qualcosa, è che i network vanno e vengono, ma i leader rimangono.
3)Impegnarsi a lungo. Le tattiche ‘social’ più efficaci possono produrre risultati immediati. Ma una singola tattica di successo non è necessariamente indicatore di una crescita sostenibile. I relatori pubblici dovrebbero impegnarsi in strategie continuative e metodiche programmate su tempi lunghi.
Se la strategia sui social media è solida, darà risultati e fornirà ritorni sempre crescenti.


Il primo standard europeo per la misurazione della comunicazione dal Summit Europeo sulla Misurazione della comunicazione di Barcellona.

Valutare l’efficacia di un’attività di comunicazione richiede una pianificazione attenta al monitoraggio e alla valutazione dei risultati. Dalla definizione di obiettivi misurabili al monitoraggio continuativo, dall’unione di misurazioni quantitative e qualitative al report dell’attività svolta: un approccio all’attività di comunicazione che P.R. Consulting condivide e sostiene.
Su questo tema, le prime 5 associazioni internazionali che si occupano di valutazione, incontratesi a Barcellona, hanno recentemente condiviso sette principi per la misurazione della comunicazione.  È un richiamo alla necessità di un aggiornamento costante per i comunicatori, quello sancito dal primo standard europeo per la misurazione della comunicazione definito da Global Alliance, IPR Measurement Commission, AMEC, PRSA e ICCO. Obiettivo: valorizzare al massimo il contributo della propria attività.
7 i principi a cui far riferimento per orientare l’attività di comunicazione, per avere indicatori di riferimento per lavorare, monitorare, rendicontare:

  1. La definizione degli obiettivi e la misurazione rappresentano gli elementi fondamentali di ogni programma di relazioni pubbliche.
  2. La misurazione dei risultati delle relazioni con i media deve avvenire sul piano sia qualitativo sia quantitativo – il conteggio delle uscite non è sufficiente.
  3. Il costo equivalente pubblicitario (Advertising Value Equivalence – AVE) non misura il valore delle relazioni pubbliche e non indirizza l’attività futura; misura il costo dello spazio media.
  4. I social media possono e devono essere misurati.
  5. La misurazione degli outcome – impatto delle relazioni pubbliche su atteggiamenti, opinioni e comportamenti dei pubblici – è più utile rispetto alla mera misurazione dei risultati media.
  6. I risultati di business dovrebbero essere misurati dove possibile.
  7. Trasparenza e replicabilità sono i parametri di una buona misurazione.

La misurazione così vissuta e integrata nella pratica professionale richiede però l’impiego di metodi scientifici per produrre risultati validi e utili. È un’attività tutt’altro che fine a se stessa. Diventa strumento per pianificare (obiettivi, interlocutori, intensità dell’attività, risorse temporali, umane ed economiche necessarie), per orientare (con il monitoraggio costante per “correggere il tiro”, adeguarsi alle situazioni impreviste o emergenti), per “scoprire” e analizzare i risultati (unendo dati quantitativi e valutazioni qualitative), fondamentali per dare valore e capire l’impatto della comunicazione sul business.
Impatto che si manifesta – per la natura stessa della comunicazione intangibile, multidimensionale e inseparabile – non solo sul fronte finanziario, ma anche oltre su quello relazionale e della reputazione.
La situazionalità e creatività della comunicazione, infatti, determinano una molteplicità di effetti: in fondo, la comunicazione rimane, per sostanza, incompleta se non viene ricevuta, percepita (positivamente o negativamente) e non produce un qualche tipo di ritorno o feedback.
 


Forum ABI: un report unico per raccontare la sostenibilità delle imprese

Fare soldi non basta più. Adesso le aziende devono impegnarsi per farli bene. In maniera sostenibile. Per l’economia, l’ambiente, la società. Il tema della responsabilità sociale d’impresa (in ingleseCorporate Social Responsibility, abbreviato CSR) è al centro del Forum ABI (l’Associazione Bancaria Italiana), che si è aperto questa mattina a Roma, mentre, in contemporanea, i grandi della Terra si confrontano a Davos, in Svizzera, su come uscire dalla crisi.
Un anno dopo la prima edizione del forum, nel 2005, è nata, dalla volontà di ALTIS (l’Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica di Milano) e ISVI (Istituto per i Valori d’Impresa) l’associazione di professionisti CSR Manager Network, che oggi contribuisce, insieme al Global Compact Network e al Forum per la Finanza Sostenibile, all’organizzazione annuale dell’appuntamento romano.
Di come produrre responsabilmente, nel nostro Paese, si parla dunque da poco tempo, e la professione stessa del CSR Manager esiste, in Italia, da poco più di dieci anni, mentre da otto anni esiste un corso specifico di alta formazione per chi vuole intraprendere questa strada.
Ma chi sono e cosa fanno le persone che, ogni giorno, soprattutto nelle grandi aziende, si occupano di integrare i temi della sostenibilità nell’attività dell’impresa? «L’ambito in cui opera un CSR Manager è molto vasto: copre la dimensione sociale, ambientale e tutte le relazioni con gli stakeholder interni ed esterni», spiega Stefania Bertolini, segretario generale del network e direttore dell’Isvi. «Il CSR Manager ha un ruolo importante di coordinamento del lavoro altrui, definisce gli obiettivi e misura i risultati. Deve interfacciarsi ogni giorno con le diverse figure dell’azienda: non fa quindi il mestiere degli altri, ma deve conoscerlo, perché condivide con loro obiettivi e responsabilità», precisa Caterina Torcia, Social & Public Affairs Manager.
In campo ambientale, sono diverse le iniziative che può organizzare un manager della responsabilità sociale: «Adesso i grandi temi sono la mobilità e l’energia, ma anche la comunicazione sociale e ambientale. Mi vengono in mente i casi di Autogrill, che ha aperto un punto vendita ecocompatibile, o Autostrade, che in molte aree di sosta ha installato i pannelli fotovoltaici sui tetti dei parcheggi. Ancora, penso a Novamont, che ha fatto della sostenibilità il suo core business, o al gruppo Obiettivo Lavoro, che è riuscito a risparmiare in maniera significativa sul carburante delle auto aziendali facendo un corso di guida sicura ed economica ai propri dipendenti», racconta Stefania Bertolini.
Al Forum ABI i CSR Manager saranno chiamati a condividere esperienze e conoscenze con banchieri e imprenditori, per fare il punto sulla diffusione di pratiche di responsabilità sociale nelle imprese italiane e su come trasmetterle e raccontarle, in quello che viene suggestivamente definito “racconto d’impresa”. Se infatti per un’azienda è importante intraprendere azioni di sostenibilità, diventa, di conseguenza, fondamentale informarne i consumatori, l’opinione pubblica e tutti gli altri portatori di interesse.
Ma da dove partire? Una tavola rotonda del Forum sarà dedicata al Codice Etico, il documento in cui vengono formalizzati i valori radicati nel tessuto aziendale, il primo passo per un’azienda che voglia impegnarsi nella CSR. C’è poi la questione, ben più complessa, dei bilanci di sostenibilità, che rendono conto degli impatti generati rispetto alle tre dimensioni: economica, ambientale e sociale. Oggi questi bilanci, spiega Bertolini, sono difficilmente confrontabili, con il rischio che, «per la troppa diversità nell’applicazione degli standard e l’eccessiva libertà interpretativa, diventino un puro esercizio autoreferenziale, mentre è il tempo di fare sul serio e iniziare a valutare realmente le imprese attraverso bilanci comparabili». Da qui, il progetto, unico nel suo genere, che l’associazione lancerà al Forum insieme all’Istat. Lo scopo è la «creazione di indici di rilevazione, con validità statistica a livello nazionale, che tengano conto anche di criteri  ambientali, sociali e di governance».
L’evento dell’Abi sarà dunque l’occasione per parlare del superamento del bilancio di sostenibilità verso la nuova frontiera: la rendicontazione integrata. Nel  reporting integrato si dovranno cioè descrivere tutte le componenti del business (i dati finanziari uniti a quelli della sostenibilità) che contribuiscono a determinare il valore complessivo creato da un’impresa.  «Reporting integrato – spiegano all’Abi – non vuole semplicemente dire fornire più informazioni, ma progettare un nuovo modo di raccontare, in maniera chiara e trasparente, i risultati globali di un’impresa, i suoi impatti sul mercato e sugli stakeholder, la sua capacità di implementare una strategia che integri aspetti di sostenibilità dentro l’organizzazione». «In Italia, alcune aziende come Enel hanno già adottato il reporting integrato, e altre si accingono a farlo. è un discorso di lungo termine, ma l’evoluzione della rendicontazione va in questa direzione», conclude Stefania Bertolini. A livello internazionale se ne parla infatti da tempo (è stato creato anche un organismo internazionale ad hoc, l’International Integrated Reporting Committee) e in Sud Africa, per esempio, la rendicontazione integrata è diventata obbligatoria per le società quotate alla Borsa di Johannesburg.


Bayer promuove la scienza tra i giovani

Making science Make Sense è un progetto che Bayer ha lanciato a livello mondiale nel 1995. Approda in Italia nel 2007 e un anno dopo si concretizza con Crealab, un programma educativo in partnership con il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano

Nato negli USA nel 1995 e lanciato in Italia nel 2007 con un concorso “Fai Volare La Tua Mente”, il progetto Making Science Make Sense ha lo scopo di promuovere la scienza tra i giovani, educando i futuri cittadini alla cultura scientifica

Il progetto MSMS ha ricevuto numerosi riconoscimenti dalla sua nascita fino ad oggi: nel 2000 l’allora presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton ha premiato l’impegno dei collaboratori Bayer nel promuovere come volontari la scienza tra i giovani; nel 2006, George Bush ha conferito a quest’iniziativa il “Ron Brown Award for Corporate Leadership” e Bayer è stata la prima casa farmaceutica ad ottenere questo riconoscimento; infine il “Lifetime Achievement Award” conferito a MSMS il 23 maggio 2007 come miglior esempio di programma di relazioni pubbliche.
Tra i paesi in cui Bayer opera e che hanno aderito a MSMS, ci sono, oltre all’Italia, la Francia, la Gran Bretagna e il Giappone.
I progetti nazionali di MSMS si rivolgono alle giovani generazioni, dai bambini fino agli studenti universitari, proponendo un nuovo modo di guardare alla scienza e offrendo l’occasione di mettere in pratica gli studi scientifici in maniera innovativa e stimolante.
Il progetto Crealab
Crealab costituisce proprio la concretizzazione del progetto Making Science Make Sense 2008 in Italia, in collaborazione con il Museo della Scienza e della tecnica di Milano.
Il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano ha sviluppato negli ultimi anni una metodologia educativa innovativa e riconoscibile, anche a livello internazionale al servizio della scuola e delle diverse tipologie di pubblico. Grazie alla collaborazione con il Gruppo Bayer in Italia – Gruppo internazionale con competenze chiave nei settori della Salute, della Nutrizione e dei Materiale Innovativi – il Museo della Scienza ha ideato il Progetto Crealab che offre in forma gratuita un percorso educativo per le scuole primarie e secondarie di I grado sui temi della Genetica e delle Biotecnologie. Il percorso prevede una formazione per gli insegnanti relativa alla metodologia della didattica sperimentale, al metodo di laboratorio e all’approfondimento di contenuti specifici. Ciascun insegnante potrà usufruire anche di tutoraggio a distanza da parte dei responsabili scientifici ed educativi di ciascun percorso (mail, telefono) e potrà partecipare alle giornate “Laboratori aperti”. Durante queste giornate, i laboratori saranno messi a disposizione degli insegnanti che potranno sperimentare le attività interattive con l’aiuto dei responsabili di ciascun laboratorio. Ai ragazzi viene invece fornito un kit educativo che introduce una nuova modalità di lavoro nelle scuole per l’educazione scientifica e tecnologica attraverso la fornitura di un contenitore di strumentazione scientifica e materiali di consumo selezionati e progettati per favorire la didattica di laboratorio e la partecipazione attiva degli studenti. Al kit è allegato un manuale con indicazioni utili allo svolgimento delle attività sperimentali. Il kit educativo consente agli insegnanti di progettare e di svolgere autonomamente le attività all’interno delle classi. Fornisce risorse che non sono generalmente disponibili a scuola e stimola il processo di indagine e aiuta a costruire e a sperimentare. La modalità hands-on, che per sua stessa natura viene adottata generalmente durante la visita al museo, viene così applicata anche in classe. Questo offre agli studenti maggiori opportunità di familiarizzare con il metodo scientifico e di comprendere attraverso l’esperienza personale. Sono inoltre previste attività al Museo in uno dei laboratori interattivi i lab Genetica & Biotecnologie o i lab Chimica, a seconda del tema scelto.
Negli i lab si propone un’esplorazione articolata in più sequenze di esperienze e di attività. Si parte da un fenomeno o da un oggetto simbolo e da una domanda. Si snoda una sequenza più o meno lunga di fenomeni e/o attività collegati concettualmente l’uno all’altro costruendo un percorso che lega fenomeni diversi. In questo contesto il termine “fenomeno” va inteso nel senso esteso di “qualcosa che accade”: può essere l’apparire di ombre colorate, il crescere di un vaso al tornio, la realizzazione di un foglio di carta, l’assorbimento degli infrarossi emessi da un piccolo forno elettrico. L’obiettivo è scoprire e comprendere le proprietà dei diversi materiali per poterli selezionare nella costruzione di un oggetto, e proporre esperimenti che facciano riflettere sull’importanza delle variabili che condizionano i sistemi viventi e i processi biologici. In questo modo, i ragazzi possono vivere da vicino l’esperienza dell’attività di un laboratorio scientifico, valorizzando al contempo la professionalità dei docenti e le competenze specifiche del Museo.


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