Eco-ospedali, arrivano i fondi

Per gli enti pubblici prestiti fino a 15 anni: copriranno il 90% dei costi. Dal 16 marzo il via alle domande per accedere ai 600 milioni sbloccati dall’Ambiente
Ospedali verdi. O ecoospedali. L’ultima“tendenza” della greeneconomy è una realtà chesta prendendo piede nella Penisola ormai da qualche anno, trainata dai benefìci in termini di risparmio energetico, da una bolletta energetica leggera e da una “scuola” di architettura sempre più innovativa e a caccia di soluzioni, anche gestionali, all’avanguardia. A dare una spinta alle Regioni virtuose che scommettono sui poli a basso consumo e ad alta efficienza arriva adesso anche il Fondo rotativo per Kyoto, rimasto nel cassetto per anni, e ora rilanciato e attuato dal Governo Monti nella cornice del rilancio e dello sviluppo post-rigore. Si tratta di un prestito agevolato gestito da Cassa depositi e prestiti insieme al ministero dell’Ambiente e ad alcune Regioni (che hanno scelto la gestione in proprio delle pratiche) che distribuirà nei prossimi anni 600 milioni di euro (di cui 200 milioni disponibili subito per i progetti 2012). Vediamo come funzionerà. Innanzitutto occhio al calendario.Il primo marzo è approdata in Gazzetta Ufficiale la circolare di attuazione che di fatto vara le nuove agevolazioni (Gu n. 52/2012). Inoltre è già disponibile on line l’applicativo di Cassa depositi e prestiti per l’accreditamento dei soggetti beneficiari, passaggio necessario prima dell’invio della domanda per accedere ai prestiti. Ma il clic day vero e proprio inizierà il 16 marzo, quando sarà materialmente possibile inviare la documentazione alla Cdp o alle cinque Regioni che hanno deciso di gestire in proprio le pratiche (Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte). Questo primo ciclo di programmazione si concluderà sulla carta il 14 luglio ma dal momento che le operazioni sono “a sportello”, in realtà, potrebbe chiudersi prima a esaurimento delle risorse. Le misure destinatarie dei prestiti sono sette, ma solo alcune si rivolgono specificamente alla “riconversione” in chiave ecologica delle strutture ospedaliere. Tra queste tre hanno natura concorrente e dunque subiscono una ripartizione dei fondi a livello regionale: per l’asse rinnovabili ci sono 10 milioni, per gli usi finali (involucro, infissi, vetri ecc.) 130 milioni e per la micro generazione diffusa (riscaldamento e raffrescamento) altri 25 milioni. La ripartizione regionale delle misure è contenuta nel vademecum pubblicato sul sito di Cdp, ma la Regione “assopigliatutto” è a sorpresa la Calabria, con 12,8 milioni di euro stanziati sul capitolo “usi finali”. Segue la Sicilia con 12,4 milioni sulla stessa voce e subito dopo la Puglia con circa 11 milioni. Altri 5 milioni di euro, poi, sono destinati alla ricerca sempre in materia di risparmio energetico. Per quest’ultimo asse possono fare istanza gli istituti superiori di ricerca, sia pubblici che privati, le università e i loro consorzi. In questo caso il tetto massimo è di 1 milione di euro e la copertura è del 50 per cento dei costi. Per i soggetti pubblici, come gli ospedali e i poli universitari, le condizioni sono molto favorevoli. Il prestito di scopo è innanziutto parametrato su una copertura maggiore delle spese degli interventi (90%dei costi contro il 70% concesso alle imprese), nel caso degli“usi finali” con un tetto di 1,5 milioni. Stessa soglia se l’intervento oggetto del prestito presenta le caratteristiche di un progetto integrato e cioè contempliun mix di interventi tra microgenerazione diffusa, rinnovabili, e usi finali.La durata del prestito va da un minimo di 3 a un massimo di 15 anni, con un tasso d’interesse agevolato dello 0,5 percento che verrà riiniettato nella dotazione del Fondo. La dotazione è rotativa, il che implica un rientro delle risorse maggiorate degli interessi, pari -secondo le stime del ministero dell’Ambiente – a un investimento complessivo di 1,2 miliardi di euro per effetto dell’anatocismo e della parte dei costi non coperta dalle agevolazioni. L’altro vincolo che il pubblico dovrà rispettare è quello legato agli indici di indebitamento. A differenza dei soggetti privati e delle imprese soggetti alla regola Ue del “de minimis” (il tetto di 200mila euro in tre anni per le sovvenzioni da parte dello Stato) la pubblica amministrazione dovrà farei conti con i propri bilanci e con il patto di stabilità. Eppure quella offerta da Kyoto resta una chance da non perdere. Soprattutto in un contesto di crisi profonda e con un credit crunch che deprime la capacità di spesa. Ne è convinto Antonio Strambaci, vicecapo di gabinetto del ministro dell’Ambiente Corrado Clini: «In base alla mia esperienza in generale c’è una grande propensione nei confronti dei progetti destinati al risparmio e all’efficienza energetica degli edifici e a quelli per le fonti rinnovabili. Perquanto riguarda lo specifico degli enti pubblici, e quindi anche degli ospedali, credo che quella offerta dal Fondo Kyoto sia un’occasione per adempiere a una serie di norme tra cui in primis la direttiva31/2010 che imporrà alla pubblica amministrazione di riconvertire i propri edifici a“energia quasi zero” a decorrere dal 2019». Il ministero dell’Ambiente ha già avuto riscontro in passato di progetti simili: «Sugli eco-ospedali abbiamo dei dati che ci dicono molto dell’interesse che gravita attorno a queste soluzioni ambientali. Il dicastero di via Crisotforo Colombo ha lanciato nel 2010 un bando destinato alle strutture ospedaliere delle Regioni Convergenza e cioè Calabria, Campania, Puglia e Sicilia: il bando aveva una dotazione di 60 milioni di euro e ci sono arrivate richieste per 250 milioni di euro». Al puzzle delle procedure del Fondo per Kyoto manca però un ultimo passaggio, ancora in via di definizione. Si tratta dell’elenco delle banche aderenti all’iniziativa. «L’elenco arriverà entro la data di apertura dello sportello e cioè il 16 marzo – prosegue Strambaci- assicurando così il normale svolgimento delle procedure di accesso ai prestiti. A breve inoltre pubblicheremo la tabella definitiva con i massimali delle commissioni richieste dalle banche sulle operazioni: le abbiamo rese più appetibili per agevolare la maggiore accessibilità al Fondo». Se il buongiorno si vededal mattino il Fondo promette già un boom di richieste: «Nei primi 3 giorni di apertura dell’applicativo web sul sito di Cassa depositi e prestiti – conclude Strambaci – sono stati attivati 2.000 accreditamenti». Bisogna affrettarsi, dunque. Le procedure sono pubblicate sul sito di Cdp all’indirizzo www.cassaddpp.it.


Allons Enfants Des Elections

Mancano 23 giorni alle elezioni presidenziali qui in Francia. Non si parla d’altro.
La campagna elettorale sta entrando in un periodo estremamente caldo, i 10 candidati stanno ormai facendo a gara a chi la spara più grossa, perché qui funziona cosi’, facendo anche impallidire le nostre piccole, provinciali promesse da marinaio dei nostri candidati.
Ma l’aspetto che ci interessa maggiormente di questa campagna é la comunicazione feroce e instancabile che i pretendenti al soglio presidenziale hanno messo in campo.
Dal presidente uscente Sarkozy fino allo sconosciuto Jacques Cheminade tutti stanno giocando su vari tavoli. C’é il salone dell’agricoltura ? Via alla corsa a chi accarezza il maggior numero di mucche toccando, qua e là, anche una mammella sorridendo alle telecamere. C’é il salone del formaggio rancido, molletta sul naso e si corre ad assaggiare il più improbabile dei prodotti della sacra e intoccabile agricoltura francese. Il tutto, ça va sans dire, sorridendo davanti microfoni e macchine fotografiche di folle di giornalisti e sostenitori. Per finire infine, ogni 2 giorni, con l’immancabile rumoroso e festante congresso in qualche sala di provincia di fronte a bandiere e striscioni. Sembra di essere a Detroit a una convention colorata dei partiti americani, e magari siamo solo a Clermont Ferrand. Altra storia. Per non parlare poi dei mercati rionali in cui, per due mesi, é più facile trovare una foto sorridente di François Hollande o Marine Le Pen piuttosto che due limoni e una lattuga. Foto che peraltro hanno invaso ogni angolo del regno di Francia e di Navarra, perché la guerra é dura e nessuno, checché se ne dica, sa ancora come andrà a finire.
Il Presidente uscente Nicolas Sarkozy ha svelato la sua campagna poche settimane fa, suscitando qualche perplessità non soltanto tra le sue fila, ma anche in quelle degli osservatori esterni (come me per esempio).

Il suo slogan « La France Forte » é piuttosto strano, suona male, ha una pronuncia che fa subito pensare a Francoforte, e per i nipotini dei soldati che hanno guerreggiato a Verdun, malgrado l’Unione Europea e le foto di rito con la Cancelliera Merkel, la Germania resta il nemico storico e secolare. D’altronde, dopo qualche tentativo sembra ormai accantonata l’idea di far partecipare la Merkel alla campagna elettorale del presidente Sarkozy , per lo stesso motivo di cui sopra. Un boche* resta un boche*. Lo stesso concetto di « forte » suscita dubbi, soprattutto nel suo elettorato centrista, la « forza » é un concetto delicato nella Francia della V repubblica, troppe resistenze, troppe paure, va usato con parsimonia, a meno di mediare con qualcosa che ne riduca l’effetto.
Tralaltro, e questo é tutto tranne che un dettaglio, nel 1981, il presidente allora uscente Giscard d’Estaing utilizzo’ come slogan proprio la “France Forte”, perdendo contro Mitterrand che sconfisse il Presidente uscente Giscard D’Estaing proponendo un messaggio che é entrato nella storia della comunicazione politica, la famosa « Force Tranquille » ideata dal guru della Comunicazione Jacques Seguela (Uno che in 31 anni ha avuto tutto il tempo per dire cose molto meno intelligenti, fidatevi). Voglio dire, va bene che la scaramanzia é una sciocchezza, ma a tutto c’é un limite.


La stessa foto scelta dai collaboratori di Nicolas 1er per l’immagine di campagna sembra meno convincente di quella del 2002. Sette anni fa il candidato che poi avrebbe vinto le elezioni guardava dritto negli occhi gli elettori, ora invece guarda a destra, probabilmente, mi viene da pensare, per non sentire i sensi di colpa di un quinquennato di cui resteranno pochi cenni sui libri di scuola. Ma ancora più forte é la scelta del fondo che lascia sempre più perplessi, mentre François Mitterrand, sempre nel 1981, aveva messo come sfondo la rassicurante campagna francese, con l’immancabile e tanto caro campanile, Sarko ha scelta il mare, calmo, tranquillo. Forse la voglia di mediare la France Forte con la tranquillità di un orizzonte piatto. Complicato come dittongo visuale. Troppe riflessioni deve fare l’elettore per capire che il presidente uscente si presenta come il capitano di una nave che avanza sicura tra i flutti delle cose della vita. Cosi’ almeno ho capito io.
Ma va detto, a onor del vero, che l’attualità non aiuta. Innanzitutto non ha aiutato la specificazione che la foto scelta come sfondo rappresenti il mar Egeo, voglio dire io, personalmente, i mari greci come metafora li lascerei da parte e poi tutti i francesi hanno ancora nella testa e soprattutto negli occhi le immagini del naufragio della Costa Concordia. Ecco, appena uscite i primi poster della campagna del presidente uscente non pochi sono stati gli elettori che hanno visto la Francia come un pachidermico transatlantico adagiato alla deriva del mar mediterraneo. No, decisamente, sembra funzionare poco lo slogan e l’immagine scelta dal marito di Carla Bruni. Anzi non sono pochi i pastiches della campagna che girano sui social networks. Come, ad esempio, l’immagine utilizzata con il logo della Costa Crociere, oppure il maquillage del viso del presidente Sarkozy trasformato in un vampiro con i canini affilati, e la « France Forte » diventa la « France Morte ».


No, non sono il solo a pensare che alcune scelte di comunicazione dell’inquilino uscente dell’Eliseo sono abbastanza discutibili. Per questo, visti i sondaggi per ora piuttosto sfavorevoli, Sarko sta alzando i toni della sua campagna. Ma questo poi, é un altro discorso.
* “Boche” da sempre é la maniera dispregiativa con cui i francesi chiamano i tedeschi.
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/blogs/dire-fare-baciare-lettera-pubblicita-e-comunicazione/allons-enfants-des-elections-1#ixzz1rBkZSYXp


TUTTO SI RIPETE PERCHE’ TUTTO SI CONOSCE… O QUASI!

Noam Chomsky è un linguista statunitense che ha codificato le 10 Strategie della Manipolazione attraverso i mass media.
Leggendole ti stupirai di come queste tecniche vengano applicate alla lettera in questo periodo.
Come sempre ogni tuo commento, impressione o spunto di riflessione è gradito.
Per questo mese il mio lavoro è finito, ora tocca a Noam.
Ti consiglio di cercare informazionioni su Noam attraverso i canali che riterrai opportuni.
Buona lettura e… apri gli occhi!
1-La strategia della distrazione. L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali
2- Creare problemi e poi offrire le soluzioni. Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3- La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni ‘80 e ‘90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.
4- La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.
5- Rivolgersi al pubblico come ai bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno” (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).
6- Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione. Sfruttate l’emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un’analisi razionale e, infine, il senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti.
7- Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori”.
8- Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti …
9- Rafforzare l’auto-colpevolezza.
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!
10- Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.


Il non facile rapporto tra piccole imprese e comunicazione. Intervista a Luca Poma

Le piccole e medie imprese costituiscono il 90 % del tessuto imprenditoriale italiano. Portatrici di eccellenze, vendono sui mercati internazionali, hanno spesso bilanci in attivo e creano occupazione in aree periferiche che le grandi aziende snobbano. A tanti pregi fa da contrappunto una carenza nella comunicazione, una assenza di cultura delle relazioni pubbliche che penalizza realtà meritevoli di ben altro successo.
Sulla questione ho chiesto il parere di Luca Poma*, che nella sua attività incontra frequentemente il mondo della piccola imprenditoria.
1) Tu sei di Torino però lavori anche nell’area milanese (oltre che a livello nazionale e internazionale). Quali differenze hai notato tra le PMI piemontesi e quelle lombarde e in particolare milanesi, dal punto di vista della comunicazione ? Sono più le problematiche che le accomunano in quanto PMI oppure ci sono differenze notevoli per mentalità, cultura, organizzazione, ecc. ?
Direi che sono più le mentalità che le accomunano in quanto PMI che non le differenze culturali dovute al territorio. Forse quelle piemontesi sono un poco più “conservative”: è difficile ad esempio diventare un loro fornitore, ma quando acquisisci la fiducia della proprietà è anche molto difficile cadere vittima del turnover. A Milano invece sono un po’ più sensibili alla “migliore offerta del momento”.
2) Quale attività o ambito della comunicazione consiglieresti di considerare per primo a un’azienda, presente già da tempo sul mercato, che deve cominciare da zero a comunicare in maniera sistematica e organizzata ?
Mappare i suoi pubblici, senza una mappatura adeguata è inutile qualunque azione di comunicazione. Per dirla con una battuta: se non sai “a chi” vuoi o devi parlare, perché apri la bocca? Prima bisogna stabilire le priorità, poi si ragiona sugli obiettivi, e solo infine sui mezzi.
3) Un consiglio da dare ai titolari di una start up che vuole puntare sulla comunicazione per farsi conoscere ?
Rifletti sul DNA della Tua azienda: cosa “sognavi” quando l’hai creata? Bisogna ripartire da li. In questo eccessivo “affollamento” di messaggi, la comunicazione non può innanzitutto che essere identitaria.
4) A che cosa non deve assolutamente rinunciare una piccola impresa che vuole comunicare ?
Alle idee. Non credo nei pubbli-redazionali pagati. I progetti devono “parlare da sé”, non serve – e non è bello – pagare pagine e pagine di pubblicità sui giornali per “fasti notare”. Il vero driver competitivo è ciò che distingue l’azienda dai concorrenti.
5) Quali sono gli errori più comuni che le PMI commettono nel fare comunicazione ?
Normalmente all’inizio, quando si affacciano nel “favoloso mondo della comunicazione”, partono dal presupposto che ogni sbadiglio dell’amministratore delegato – che spesso è anche il fondatore, il presidente, il tesoriere, etc – debba finire segnalato sulla prima pagina del Corriere della Sera, possibilmente gratis. Non ci riescono, e quindi – un po’ frustrati – si affidano a un normale ufficio stampa, come se bastasse mandare un comunicato stampa per ottenere visibilità sui mass-media. Non riescono ad ottenere risultati neanche così, e allora si convincono che sono tutti soldi sprecati e rinviano il problema di tre anni. Ripeto: senza mappatura degli stakeholder, priorità, obiettivi e strategie non si va da nessuna parte, il “mezzo” è decisamente l’ultima fase del processo.
6) Una delle tue specializzazioni è la comunicazione di crisi. Ritieni che questo particolare ambito della comunicazione serva anche alle PMI, e se sì fino a che punto, oppure che non valga la pena di investire nell’eventualità di eventi che solo ipoteticamente potrebbero verificarsi ?
Nel mio ultimo libro de Il Sole 24 Ore, “Crisis Management: guida alla comunicazione di crisi”, cito le case-history di molte grandi aziende, ma anche di PMI. Mosaico Arredamenti, un mobilificio, è entrato nella “storia” delle crisis. Quando mandarono una letteraccia legale chiedendo 400.000 di danni a un cliente insoddisfatto che si era lamentato su un forum di discussione sul web, a momenti chiudevano tanta è stata la rivolta di piazza che dal web si estesa off-line con proteste di ogni genere. Anche un negozio può essere vittima di una crisi reputazione o strutturale. Il problema vero è che in Italia la cultura della prevenzione delle crisis non c’è l’hanno le grandi aziende, figuriamoci le PMI. E dire che basterebbe un investimento anche modesto per mettersi al riparo da rischi, ma – per dirla con una metafora – com’è noto si tende a stipulare la polizza contro i furti solo quando i ladri sono già passati.
7) Le piccole imprese costituiscono il 90 % delle aziende italiane e sono spesso definite l’ossatura del sistema industriale nazionale, o anche il tessuto imprenditoriale sano dell’economia italiana. Però, a detta di molti, comunicano poco e non sempre bene. Come si spiega questa discrepanza ? E’ possibile cioè lavorare male sul piano della comunicazione e avere comunque successo ?
Rispondo con una domanda: riusciamo ad immaginare che successo avrebbero e quanto guadagnerebbero le PMI italiane se oltre che fare un lavoro ben fatto sapessero anche comunicarlo bene?
8) Le carenze delle PMI sul piano comunicativo hanno una parte – e se sì in che percentuale approssimativamente – di influenza sulla crisi economica che ha colpito l’industria italiana ?
La crisi che sta vivendo il paese è strutturale, non afferisce al dominio della comunicazione. Ma certamente le aziende meglio rodate dal punto di vista della comunicazione interna ed esterna, delle relazioni positive con gli stakeholder, della capacità di prevenire scenari di crisi, eccetera, sono anche invariabilmente quelle che la crisi la patiscono meno, è così da sempre, non è certo questa la prima crisi in cui si è trovato coinvolto il sistema Italia.
9) Si sente spesso dire che le piccole aziende dovrebbero usare i social media, particolarmente i social network, per fare comunicazione, in quanto soluzioni low cost, e in rete fioccano i consigli ai piccoli imprenditori su come fare. Sei dello stesso parere ? Perché sì oppure perché no.
Tutte le aziende dovrebbero fare propri i meccanismi del web 2.0. E non perché sono soluzioni low-cost, non necessariamente, una mia cliente l’anno scorso ha speso sul web mezzo milione di euro: ma semplicemente perché funzionano e sono una strumento efficace per mettersi in relazione con i propri pubblici.
10) Su che cosa devono puntare i relatori pubblici che lavorano all’interno o con le PMI per accrescere con il loro operato la cultura della comunicazione tra i piccoli imprenditori ?
Rispettare i codici etici di categoria, ad esempio, dal momento che siamo tra i pochi professionisti in consulenza aziendale che ne abbiamo di codificati. E prendersi cura di mettersi in gioco anche in assenza di un incarico retribuito al fine di migliorare la cultura d’impresa su questi temi, ad esempio rendendosi disponibili per educational, seminari, etc. Non mi tiro mai indietro quando devo spiegare a un imprenditore i benefici di una strategia di comunicazione ben costruita, anche se non desidera darmi immediatamente un mandato. Dobbiamo far crescere la sensibilità degli imprenditori: se tutti noi colleghi facessimo così, a medio termine crescerebbe il mercato per tutti.
11) Il relatore pubblico che opera in una piccola impresa o, se libero professionista, con piccole imprese, oltre alle competenze e caratteristiche della professione in generale, deve possedere secondo te delle caratteristiche e competenze peculiari ?
Una straordinaria sensibilità umana, e deve anche essere un po’ psicologo. Nelle grandi aziende si fa un progetto, se i numeri ci sono si va avanti. Nelle PMI si fa un progetto, magari i numeri ci sono anche, ma il “padrun” si è alzato male e non se ne fa niente. Lo dico affettuosamente: il mondo dei piccoli e medi imprenditori a volte è tanto stimolante quanto…bizzarro !
12) Le piccole imprese sono spesso più attente delle grandi aziende alla responsabilità sociale, soprattutto nei confronti dell’ambiente. Qual è il modo migliore per comunicare questo punto di forza in modo che sia adeguatamente valorizzato ?
Non concordo con questo dato, che pure alcune fonti riportano: trovo che la scriminante sia costituita dalla sensibilità dell’azionariato e del top-management. Abbiamo grandi aziende sensibilissime ai temi della sostenibilità, e piccole aziende che inquinano follemente, e viceversa.
13) Quali pensi siano le principali sfide che la comunicazione porrà alle aziende nel prossimo futuro ? Quali le sfide per i relatori pubblici ?
Come diceva un autorevole collega, “i mercati sono diventati conversazioni”, e le aziende che non accetteranno questo fatto – indiscutibile e non negoziabile – saranno condannate a rimanere indietro. I relatori pubblici devono invece vincere la timidezza e rendersi realmente misurabili: è troppo facile gettare fumo negli occhi degli imprenditori sostenendo che il nostro apporto è “immateriale” e non si può misurare. Tutte storie. E se chi deve comunicare per Voi non ha nei vostri confronti un approccio realmente “autentico”, beh… cambiate consulente !
Ringrazio Luca per la sua collaborazione.
*Luca Poma, giornalista, socio professionista della Federazione Relazioni Pubbliche Italiana, è consulente in Responsabilità Sociale d’Impresa, Comunicazione di Crisi e Comunicazione non convenzionale. Docente in comunicazione al Master di 1° livello dell’Università Bicocca di Milano, è relatore a centinaia di convegni e seminari in tutta Italia, autore di libri articoli e saggi, e negli ultimi 20 anni ha lavorato su questi temi – spesso con un approccio “non convenzionale” – in 23 paesi del mondo. La sua newsletter è Creatori di futuro.


Computer prestati alla ricerca

William Graham Richards, presidente della facoltà di Chimica dell’Università di Oxford, ha appena vinto il premio Italgas per la ricerca scientifica per le sue ricerche progettazione di farmaci assistita dal computer. Chi studia i nuovi farmaci anticancro prima deve individuare la proteina “impazzita”, poi deve studiare il modo di bloccarla attraverso un apposito farmaco. Trovata la proteina-bersaglio, si procede a realizzare la molecola-farmaco che inibisce l’attività. Ma per ogni proteina le molecole-farmaco possono essere centinaia di migliaia e, anche disponendo di potenti supercalcolatori, possono passare anni prima di trovare quella adatta. Perchè  allora non suddividere il lavoro fra una nutrita schiera di computer volontari?
Analogicamente a ciò che era già stato organizzato per il progetto Seti (ricerca della presenza di segnali di vita extraterrestri), Richard e i suoi collaboratori hanno realizzato uno speciale salvaschermo che, nei lassi di tempo in cui il computer non viene impiegato (di notte, nella pausa pranzo ecc.), si attiva automaticamente e ne utilizza le risorse per effettuare i calcoli a sostegno della ricerca sulle molecole-farmaco. In ogni singolo computer (purchè connesso a Internet) vengono analizzati 10mila potenziati molecole, ovvero calcoli che richiedono dalle 5 alle 30 di lavoro dal processore.
 


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