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Movimento a cinque sette

Di Luca Poma
La comunicazione dell’M5S: un decalogo di criticità
 
Mentre il fenomeno del M5S prosegue la Sua corsa, arrancando al Comune di Roma dopo gli inaspettati e strabilianti successi delle recenti elezioni politiche, prosegue senza sosta il dibattito sul web – tra addetti ai lavori del settore comunicazione, e non solo – circa i presunti atteggiamenti “settari” dei suoi iscritti, e s’impone quindi una riflessione di taglio più tecnico su alcuni aspetti critici relativi alle strategie di comunicazione del team di Grillo.
Il fondatore non è certo nuovo nel mondo del web: in molti – troppi – dimenticano l’eccellente ranking del suo blog, che non è nato certamente come strumento di propaganda per le ultime elezioni politiche. Attivo da anni, è riconosciuto come uno dei blog più frequentati al mondo – sebbene disponibile solo in lingua italiana, non certo la più utilizzata nel pianeta – e il passaggio da piattaforma di dimensione movimentista e di protesta a piattaforma di dimensione politica era quindi se non probabile perlomeno possibile, nonchè del tutto legittima: bene anzi farebbero i vetusti uffici di comunicazione dei partiti “tradizionali” a fare il punto sulle proprie iniziative di engagement sul web, assai inefficaci fatta eccezione forse per il PD, a mio avviso però più per merito dell’iniziativa frizzante dei suoi giovani aderenti che di linee guida chiare da parte dei vertici romani. Come è noto, Grillo ha intercettato lo scoramento e la voglia di cambiamento, ha viaggiato su e giù per il paese, di piazza in piazza e di post in post tra la supponente indifferenza dei leader politici italiani – PdL in testa, realmente all’età della pietra da punto di vista delle Digital PR – giungendo a fine campagna elettorale – partendo da posizioni neo ecologiste e un po’ “nimby” tipiche di una certa sinistra radicale, e con qualche ammiccamento a CasaPound con la sua dichiarazione da “non antifascista” – a catalizzare il consenso di ben 8.000.000 di cittadini italiani.
Pur tuttavia, la ribalta dei mass-media nazionali ha evidenziato anche alcune contraddizioni del movimento, e diversi osservatori hanno sempre più insistentemente tracciato analogie tra le prassi del M5S sul tema della comunicazione e delle relazioni interne ed esterne e le prassi in vigore in alcuni movimenti settari (1)
Pur volendo dare per scontata la buona fede di fondatori e aderenti, alcuni paralleli in effetti s’impongono:
1)      l’M5S non risulta abbia mai pubblicato alcun bilancio, o perlomeno esso non risulta accessibile e adeguatamente pubblicizzato. Peggio, il “resoconto” delle spese della campagna elettorale 2013 – Tsunami Tour è risultato tanto incompleto e carente da lasciare spazio a non pochi dubbi e critiche anche accese. Questa situazione pone infatti un concreto problema sotto il profilo della trasparenza della comunicazione, e autorizza qualunque osservatore a formulare le ipotesi più balzane – e probabilmente neppure fondate – circa quantità di denaro movimentato e modalità di approvvigionamento dei fondi;
2)      dal punto di vista formale, nonostante gli sforzi – indubbi e sotto gli occhi di tutti – di Grillo nel ridimensionare la propria immagine di “guru” del Movimento, l’intero apparato dà ancora l’impressione di essere “eterodiretto dall’alto”. E’ bene considerare con obiettività la difficoltà di un gruppo così eterogeneo di cittadini da poco impegnati attivamente in politica di interfacciarsi e dialogare sia con le istituzioni – delle quali ora fanno parte integrante – che con il mondo dell’informazione e del giornalismo: tuttavia una gestione più partecipata pare una strada obbligata per stemperare questo tipo di polemica;
3)      dal punto di vista sostanziale, esiste non solo un problema sotto il profilo del perfezionamento delle direttive di comportamento, ma – quali che esse siano – oggi come oggi, nonostante l’indubbio attivismo di tipo “assembleare” dei Meet-Up, ogni “variazione alla dottrina” è guardata ancora con forte sospetto se non ostracizzata pubblicamente. In buona sostanza, per la base, ancor più difficile che partecipare alla “costruzione” di una strategia, è il discostarsene una volta che essa è stata definita;
4)      il M5S – forse nuovamente a causa della comprensibile difficoltà di imbrigliare in regole inequivoche di engagement sul web un “popolo” così variopinto ed eterogeneo – pare tradire paradossalmente quelle stesse regole della netiquette fissate in forma definitiva dall’ottobre 1995 con il documento RFC 1855, che contiene tutte le regole ufficialmente ed universalmente riconosciute per un buon uso della rete (2), e che un movimento che si picca di essere nato sul web non può proprio ignorare. L’atteggiamento tipico di non pochi iscritti è invece rissoso, litigioso, a tratti sguaiato, poco coerente con la propria identità web-oriented: chiunque in uno spazio internet controllato dal Movimento o da membri dello stesso azzardi delle critiche, anche costruttive, rischia di essere insultato, vilipeso, etichettato come “servo della casta” o bannato. Gli esempi si contano ormai a decine di migliaia e non sono più solo riconducibili all’eccesso di entusiasmo di pochi scalmanati. Un caso di scuola al riguardo è rappresentato dalla proposta di elezione a Presidente della Repubblica della giornalista RAI Milena Gabanelli, quasi “santificata” durante le “Quirinarie” on-line e poi ferocemente attaccata poche settimane dopo per il solo fatto di aver promosso nel suo programma “Report” un’inchiesta sulla gestione amministrativa del M5S;
5)      il caso citato della Gabanelli pone in realtà un problema ancora più grave: quello della incapacità di includere e governare il dissenso interno, che è una delle peculiarità – a citare la notissima esperta di nuovi movimenti religiosi Prof. Raffaella Di Marzio – di molti gruppi settari. L’impermeabilità alle critiche e la reazione scomposta a esse è infatti secondo la Di Marzio una delle caratteristiche proprie dei movimenti religiosi minoritari, per i quali vale l’assunto “chi è contro di noi va attaccato”. Come per alcune sette, per il M5S parrebbe valere la regola del circolo vizioso che alimenta se stesso, creando i presupposti per l’inattaccabilità del movimento stesso mediante la tecnica di demolizione sistematica della credibilità della fonte: “se il nostro gruppo lotta per il benessere diffuso della cittadinanza, chiunque lo critica è contro il benessere diffuso della cittadinanza, quindi ogni critica è distruttiva e chiunque ci critica ha di per se torto”;
6)      la necessità di “avere un nemico” per “serrare le fila” dei propri adepti è un’altra tipica caratteristica settaria che Grillo e Casaleggio non dovrebbero sottovalutare, nel tentativo – auspicabile – di smarcarsi da questo genere di accuse: esemplare è il caso del nemico pubblico numero uno della Chiesa di Scientology, “Martini”, “spettro” invocato in occasione di ogni operazione di found-raising della sezione italiana del movimento religioso americano, si rivelò in realtà essere la classica “casalinga di Voghera” amministratrice di un data-base critico on-line, che però Scientology non pareva avere poi così fretta di smascherare pubblicamente, in quanto probabilmente utile appunto per generare quel grado di “allarme” tra gli adepti utile per sollecitarli a donazioni per battaglie a favore della libertà di religione, messa in pericolo – secondo i vertici di quel gruppo – proprio “dall’indefinito ma sicuramente pericoloso antagonista”. L’analogia con le teorie cospirazioniste tanto in voga nell’M5S – Trilaterale, Bildemberg, governo dei banchieri, scie chimiche, chip sottopelle, controllo della volontà etc. – è evidentissima;
7)      il difficile rapporto con il mondo dell’informazione – fino ad oggi, perlomeno – è anch’esso tipico dei movimenti settari, in ragione di quanto essi tendono a mantenere la distanza e a diffidare da ciò che non riescono con certezza a governare;
8)      le categorie “soggettive” degli aderenti presentano anch’esse inquietanti analogie tra il M5S ed alcuni movimenti settari: si va dagli “scoraggiati” critici verso qualunque proposta delle istituzioni tradizionali, agli “entusiasti” utili per il proselitismo, a coloro che hanno un approccio fideistico in senso assoluto nei confronti del guru, a coloro che “sono in cerca di soluzioni”, o ancora alla ricerca di un “gruppo dalla forte appartenenza”, etc.: pare che tutte le categorie esaminate negli studi della Prof. Di Marzio (3) siano in qualche modo incluse – per fortuna non solo esse, ovviamente – nelle categorie degli iscritti al M5S;
9)      un’ulteriore apparente criticità del Movimento è la carenza di “autenticità”, in ragione di quanto un’organizzazione che ha fatto dell’engagement 2.0 una propria “bandiera”, diffida e rifiuta poi sistematicamente la “contaminazione” con sensibilità “altre” ogni qual volta essa avvenga in territorio  – reale o virtuale – non rigidamente controllato dal Movimento stesso;
10)   a ormai molte settimane dal successo elettorale alle politiche, ciò che infine ancor più stupisce è la bassa attenzione del Movimento ai più elementari processi di “crisis management preventivo”: vero è che le travolgenti percentuali di successo sono giunte inaspettate probabilmente anche per coloro che ne sono stati i diretti protagonisti, ma di tempo ne è passato, e l’incapacità del M5S di dotarsi di strumenti per meglio gestire le crisi reputazionali delle quali il Movimento è vittima quasi quotidianamente è francamente incomprensibile.
Le scene alle quali ci hanno abituato i mass-media – vero, spesso assai faziosi nel fare il loro lavoro, ma parte dell’equazione, e quindi in qualche modo da governare – dei “cittadini parlamentari” assediati dai giornalisti che si defilano trincerandosi dietro un “no-comment” suggeriscono in modo sempre più pressante l’urgenza di un netto cambio di rotta nelle strategie di comunicazione, di gestione della reputazione e di digital PR del Movimento 5 Stelle. Diversamente, il messaggio faticherà a passare, e rischierà di ingolfarsi vittima delle sue stesse contraddizioni.
 
(1)    per un analisi critica sulle RP della “Chiesa di Scientology” è online questo mio articolo
(2)    http://www.arcetri.astro.it/CC/rfc1855_it.html
(3)    http://nuovereligioniesette.blogspot.com




COSA FARE SE UN DIPENDENTE INSULTA OBAMA SU TWITTER

Cosa c’è di più inaspettato ed esplosivo di un dipendente che twitta dal login aziendale un insulto al presidente degli USA nel bel mezzo di un confronto elettorale?
La gestione della comunicazione di crisi sui social media che ha coinvolto KitchenAid, marchio di Whirlpool, il 3 ottobre è il caso portato da Giuseppe Geneletti, director Communications and learning Whirlpool EMEA, nel suo intervento al Social business forum in corso a Milano.
Trattando il tema “Managing the unexpected: social crisis control”, Geneletti ha mostrato un breve video che sintetizza la successione rapidissima di eventi seguente al tweet di insulti postato da un dipendente del team Twitter di KitchenAid nei confronti di Barack Obama, impegnato in un confronto con il candidato sfidante alle Presidenziali Mitt Romney trasmesso dall’emittente NBC. Il dipendente credeva di trovarsi sul login personale di Twitter; soltanto quando il tweet è stato pubblicato è stato chiaro che il login era quello dell’azienda.
Ed era anche impossibile rimediare, infatti, benchè se ne fosse accorto subito provando a eliminarlo, in brevissimo tempo i retweet erano diventati 24mila e aumentavano a ritmo esponenziale mettendo a repentaglio la reputazione dell’azienda.
«È stata una pronta assunzione di responsabilità, quella del capo di KitchenAid Cynthia Soledad, a ribaltare una situazione che stava precipitando – ricorda Geneletti -: in un tweet ha chiesto scusa al presidente Obama e alla sua famiglia, si è assunta, come vertice dell’azienda, tutta la responsabilità dell’accaduto».
Soledad ha poi utilizzato anche Facebook per creare contatti con i giornalisti che seguivano l’evento mettendosi a loro disposizione per chiarire l’accaduto. In poche ore l’emergenza è rientrata con molti tweet che hanno espresso apprezzamento per la presa di posizione di KitchenAid.
«Il caso estremo di questa comunicazione di crisi originata da un evento imprevisto sui social media dimostra tutte le potenzialità e i rischi di questi strumenti, e l’importanza di una strategia ben strutturata per rispondere a ogni evenienza – prosegue Geneletti -.Per questo un’azienda si deve attrezzare innanzitutto con un atteggiamento di “social listening” costante, definendo le responsabilità, allineando i messaggi, monitorando le reazioni e coordinando le risposte; in una parola mettendosi in gioco. Si tratta di una vera e propria strategia aziendale, che si serve di strumenti avanzati di social listening. Si è così creato un modello olistico di social business che, oltre a essere di supporto in caso di comunicazione di crisi, permette una conoscenza più approfondita dei propri consumatori, quindi consente di rispondere al meglio alle loro esigenze».
Whirlpool EMEA ha realizzato un manuale con specifici protocolli da seguire in caso di comunicazione di crisi provocata da messaggi negativi o lamentele dei consumatori sui social media; protocolli graduati sulla base dell’indice di rischio e che arriva a coinvolgere livelli diversi dell’organizzazione con l’attivazione di procedure ad hoc.
«Essere presenti sui social media per un’azienda significa formare i dipendenti che ne faranno uso – conclude Geneletti -; per questo Whirlpool EMEA ha dato vita da oltre un anno alla Digital School, un programma che coinvolge diverse funzioni, dal marketing alla finanza alle risorse umane per creare una struttura di competenze che possa sfruttare al meglio le potenzialità offerte dai new media».
 




Il salone della CSR e della Innovazione Sociale: per Creatori di futuro

Breve intervista a Rossella Sobrero, che per Koinetica promuove il Salone
 
Rossella, cosa è Il Salone della CSR e dell’innovazione sociale?
E’ il più importante evento in Italia dedicato all’evoluzione della responsabilità d’impresa verso scenari sempre più innovativi e sostenibili, ed è promosso da Università Bocconi, CSR Manager Network, Fondazione Sodalitas, Koinètica. C’è una risorsa web per avere maggiori informazioni: (www.csreinnovazionesociale.it). L’evento di svolge l’1 e 2 ottobre in Bocconi, è caratterizzato dall’approccio interculturale, interdisciplinare, internazionale: una manifestazione per chi sta ripensando le proprie politiche di CSR in una logica di Corporate Social Innovation ma anche per coloro che semplicemente vogliono solo “saperne di più” su questi argomenti.
 
Chi parteciperà all’evento?
Il Salone è dedicato alle imprese ma rappresenta un momento di confronto anche per gli enti pubblici e le associazioni del Terzo Settore. Saranno presenti alcune start up che hanno sviluppato progetti di innovazione sociale. L’idea è valorizzare le opportunità offerte dall’innovazione sociale in un momento di grande cambiamento e ricordare che oggi è sempre più importante “fare” azioni concrete non solo annunciare grandi programmi di cambiamento. I visitatori del Salone sono, oltre agli operatori delle imprese, studenti, docenti, giornalisti, blogger, esperti del settore. Nei due giorni sono previste 3.000 presenze.
 
Quali sono gli argomenti che verranno approfonditi?
Il Salone della CSR e dell’innovazione sociale vuole avvicinare le persone alla sostenibilità nella sua dimensione quotidiana attraverso un percorso espositivo articolato in otto “piazze”: alimentazione, ambiente, casa, comunicazione, economia, lavoro, moda, salute. Grazie a un programma culturale e una mostra digitale, navigabile su un tavolo interattivo realizzato con tecnologie innovative, ogni organizzazione avrà uno spazio per raccontare il proprio modo di “fare” CSR e innovazione.
 
Perché per un’organizzazione è interessante partecipare?
Il Salone offre occasioni di confronto, benchmarking, partnership, innovazione e aggiornamento. Le organizzazioni partecipanti possono incontrare operatori, aziende, docenti, esperti che da tempo si occupano di CSR e confrontarsi con altri soggetti.  Ma il Salone è anche un’occasione per capire “a che punto sono” le altre organizzazioni impegnate in un percorso verso la Corporate Social Innovation: è possibile infatti incontrare imprese considerate benchmark nel proprio settore. Infine, rappresenta un’opportunità per partecipare al dibattito collettivo sul futuro della CSR, della sostenibilità, dell’innovazione sociale. Per incontrare creatività e intercettare nuove energie.




Ecco perchè la CSR è centrale alla strategia di business

Lori Harnick direttore generale per la cittadinanza e gli affari pubblici di Microsoft racconta come un’azienda può aiutare le comunità locali e perché è così importante per la strategia di business

Nel corso degli ultimi 30 anni Microsoft ha donato 1 miliardo di dollari in beneficenza. Abbiamo incontrato Lori Harnick, direttore generale per la cittadinanza e gli affari pubblici della multinazionale americana per parlare di come una società può aiutare le comunità locali e perché la CSR è così importante per una strategia di business.
Che cosa fa un direttore generale per la cittadinanza e gli affari pubblici ? E perché un’ azienda ha bisogno di una posizione simile?
Il mio ruolo consiste nel supervisionare la CSR della nostra azienda a livello globale, in termini di programmi specifici, politiche e buone pratiche, le attività variano dalle modalità in cui assicuriamo la privacy dei dati dei nostri clienti, al rispetto dei diritti dei nostri dipendenti in tutto il mondo, fino allo sviluppo di programmi che sostengano la crescita delle comunità locali.
In che modo un’azienda può promuovere la cittadinanza attiva?
Prima di tutto si deve comportare da buon cittadino, questo si traduce nella creazione di posti di lavoro e nel trattamento equo dei propri i dipendenti. Inoltre l’azienda può studiare delle strategie per contribuire alla crescita e al benessere a lungo termine della società in cui opera, lavorando con altri soggetti, siano essi governi, enti non profit,  partner o aziende concorrenti. Le sfide che dobbiamo affrontare sono molto complesse non si può seguire un solo percorso, è necessario unire le forze.
Com’ è cambiata la CSR negli ultimi anni?
Penso che in passato ci sia stato un periodo in cui le aziende ritenevano che, per dimostrare il loro impegno bastasse semplicemente scrivere un assegno e darlo a un’organizzazione. Poi  ci si è resi conto che questo non era sufficiente. Credo che ora il lavoro di CSR sia portato avanti in modo più strategico. Lo scopo delle aziende adesso è aiutare la comunità ma promuovere anche il proprio business.
Quanto è importante la CSR in una strategia di marketing aziendale?
Penso che la CSR non abbia solo a che fare con la strategia di marketing, ma che riguardi l’intero business. Abbiamo deciso che il nostro lavoro di CSR si sarebbe concentrato sulle generazioni più giovani, perché loro sono il futuro e se non si investe sui giovani, non si può investire sul futuro. E poi come azienda abbiamo bisogno di quei giovani abbiamo necessità che crescano e diventino gli innovatori di domani, ci piacerebbe assumerli, vorremmo che ci aiutassero a far crescere la nostra azienda in futuro e francamente vorremmo anche che diventassero nostri clienti.




IL CSO GAIL KLINTWORTH INDICA LA STRADA AI MANAGER

La Csr di Unilever diventa pragmatica
“I manager che nelle aziende si occupano di sostenibilità devono assumere un approccio più pragmatico e pratico se vogliono portare un reale cambiamento strategico in tale direzione nelle proprie società”. Se a dirlo è il chief sustainability officer di Unilever, quella che è unanimamente considerata l’azienda benchmark nella Csr mondiale, potete scommetterci che il futuro, anzi, il presente della Corporate social responsibility è diventato l’agire e non più solo un approccio culturale. Gail Klintworth, questo il nome della cso della multinazionale anglo-olandese proprietaria di molti tra i marchi più diffusi nel campo dei consumi, ha esortato i colleghi a passare all’azione dopo che finora ha prevalso un approccio più culturale per lo sviluppo della Csr, ha partecipato alla Sustainable Brands Conference tenutasi a Londra con un messaggio chiaro: i piani di Sostenibilità devono essere sostenuti oltre che da visioni ambiziose anche da sistemi applicabili che possono essere utilizzati nella normale pratica, un’azione fondamentale per ogni business. E’ la sua esperienza a dimostrarlo. Secondo la dottoressa Klintworth coinvolgere le persone nell’Agenda Csr richiede sia argomenti razionali sia coinvolgimento emotivo. “Passo almeno metà del mio tempo a cercare di rompere le resistenze delle persone e a veicolare entusiasmo per la sostenibilità” ha confidato il cso di Unilever. Ma non è tutto. Parlando a Londra, a una platea principalmente anglosassonee, Klintworth ha voluto rompere anche un certo isolamento inglese che le aziende britanniche tendono ad avere. “Non limitatevi al mercato della Regno Unito, la sostenibilità offre opportunità per le società a livello mondiale“.E Unilever è in prima persona impegnataa a spingere su una Csr globale. Ha ad esempio appena pubblicato, il libro bianco Toilets for Health commissionato alla London School of Hygiene and Tropical Medicine, per sensibilizzare sui rischi provocati da assenza di igiene e di medicine specifiche relativamente a diarrea, colera, tifo ed epatite che causano nel mondo milioni di morti ogni anno. Questo è solo l’ultimo passo fatto a sostegno del suo Sustaianble Living Plan, un progetto con cui Unilever si è impegnata ad agire su tutta la propria catena del valore, compreso il livello del consumatore finale, per contribuire al miglioramento di salute e benessere per un miliardo di persone entro il 2020. Un obiettivo ambizioso i cui modi per raggiungerlo la stessa Klintworth ha ammesso che sono ancora in diversi casi ancora in via di definizione. “Noi di Unilever non abbiamo di certo ancora tutte le risposte su come raggiungere i nostri target ma niente potrà fermarmi dal cercare di creare un business sempre più sostenibile. E’ una cosa che voglio tutti nell’azienda percepiscano”.