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Csr, ecco il piano d'azione italiano

I ministeri del Lavoro e dello Sviluppo Economico hanno pubblicato il Piano Nazionale Csr 2012-2014, inviato alla Commissione europea. Frutto di una consultazione pubblica, per gli esperti è “una guida utile alle imprese per aumentarne la competitività”
E’ online dal 7 marzo sul sito del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali  il Piano Nazionale della Responsabilità sociale d’impresa 2012-2014, che i due ministeri competenti (oltre al Lavoro, c’è anche il ministero dello Sviluppo Economico) hanno già inviato alla Commissione europea.
Il Piano, che nei mesi scorsi è stato sottoposto a una consultazione pubblica a cura della Direzione Generale del Terzo Settore e delle Politiche Sociali, illustra le azioni e i progetti volti alla realizzazione della “Strategia rinnovata dell’UE per il periodo 2011-2014 in materia di responsabilità sociale delle imprese”, in linea con la ricerca di un modello alternativo di sviluppo e di uscita dalla crisi economica.
Inserita nelle politiche europee con il Libro verde del 2001, attualmente la Strategia rinnovata della UE in materia di Responsabilità sociale delle imprese (RSI) prosegue con le indicazioni in materia di RSI contenute in Europa 2020 con l’obiettivo di creare le condizioni favorevoli per una crescita sostenibile, un comportamento responsabile delle imprese e per la crescita dell’occupazione durevole nel medio e lungo termine. L’Italia è il primo tra gli Stati membri a consegnare alla Commissione europea il proprio Piano di azione.
“Si tratta di un documento di continuità rispetto al passato, che però rafforza l’orientamento strategico alla csr”, commenta Clodia Vurro, docente di management e csr all’università Bocconi di Milano. “Nel testo si sottolinea cioè che la responsabilità sociale d’impresa rappresenta una strategia vincente per le imprese, che contribuisce al loro successo e ne rafforza la reputazione di fronte agli stakeholders. Una delle novità del documento è rappresentata poi da un primo delinearsi di un sistema di incentivi”, continua Vurro, “che dovrebbero essere varati per premiare le aziende più virtuose in questo ambito; uno degli aspetti più interessanti è quello finanziario, dove si ipotizzano accessi facilitati al credito per le imprese con la csr più consolidata. Si tratta di un valido aiuto, insomma, di una guida utile per tutte le imprese, all’interno della quale poi ciascuna dovrà trovare lapropria strada alla responsabilità sociale”.
Il documento completo è scaricabile a questo link.




Cosa cambia nel mondo del marketing: 20 previsioni per il 2013

Marketing e comunicazione si evolvono oggi a una velocità sorprendente, acquisendo complessità e integrando nuovi strumenti, strategie e piattaforme per rispondere ai mutati comportamenti dei clienti/consumatori. Che cosa cambierà nel corso prossimo anno? Quali sono i trend che governeranno questa complessità?Per rispondere a queste domande l’agenzia di marketing americana Hubspot ha compilato la breve guida 20 Marketing Trends & Predictions for 2013 and Beyond (scaricabile gratuitamente lasciando i propri dati), dove sono raccolti i temi più significativi cheinfluenzeranno le decisioni e azioni di marketing delle aziende nell’immediato futuro.
Delle 20 previsioni proposte da Hubspot nella propria guida, Event Report ne ha scelte 10. Eccole.
1. Le “campagne” tradizionali lasciano il posto al marketing “in tempo reale”
Il modello di marketing costruito sulle esigenze temporali delle aziende sta lasciando il posto a quello costruito sul tempo del cliente/consumatore. Le tradizionali campagne di marketing e di pubblicità, cioè una serie di attività predefinite che si svolgono su canali predefiniti in un arco di tempo limitato, oggi possono risultare “rigide” rispetto alle tendenze che vedono i clienti interagire con i brand in tempo reale su siti, social media e canali di notizie.
2. In azienda tutti diventano marketer
Finiti i tempi in cui il marketing era un dipartimento ben definito all’interno dell’azienda. Ora l’attività online di ogni dipendente, che sia nelle vendite, nello sviluppo, nella produzione operativa o nel customer service, è un canale attraverso cui promuovere il proprio brand, prodotto o servizio, e come tale deve essere affrontata e gestita dall’azienda.
3. Si approfondisce la conoscenza del cliente
Il marketing di ultima generazione non si ferma alla segmentazione del proprio target secondo informazioni genericamente demografiche, ma indaga il suo comportamento in rete per agire sull’utente specifico. Nel 2013 e oltre sarà sempre più importante investire intecnologie che raccolgono, aggregano e rendono fruibili la mole di informazioniraccolta sui diversi canali digitali.
4. Il marketing acquisisce più responsabilità nella generazione del fatturato
I vertici aziendali prestano crescente attenzione all’attività degli uffici marketing, le cui performance non saranno più misurate soltanto in termini di traffico e di contatti commerciali,ma anche di impatto diretto sulle venditeCambieranno quindi le metriche di misurazione dei risultati, e i marketer adotteranno strategie più aggressive, basate sulla generazione di contenuti, e adotteranno tecnologie e strumenti per diffonderli in rete e oltre.
5. Chi non è “mobile” rimane indietro
Nel 2012 sono stati venduti più smartphone che computer, e il marketing deve adeguarsi. Attualmente, soltanto il 20% delle grandi aziende globali ha sviluppato strategie di mobile marketing, ma il prossimo anno vedrà un significativo incremento di aziende che svilupperanno versioni mobile dei propri siti, applicazioni, email ottimizzate per dispositivi mobili, campagne di messaggistica e pubblicità su mobile, attività su target geolocalizzati.
6. Social media e contenuti impattano sempre più sull’indicizzazione nei motori di ricerca
Se finora il SEO (cioè l’ottimizzazione dei siti per i motori di ricerca) è stato basato soprattutto su aspetti tecnici, quali la scelta delle giuste parole chiave o dei tag ed headline più appropriati,ora i motori di ricerca premiano contenuti originali che sono condivisi e “consumati” socialmente. Le strategie di SEO più efficaci saranno quindi quelle che non si limitano a ottimizzare le pagine dei siti, ma vi integrano la produzione e diffusione di contenuti di qualità.
7. Le aziende cercano nuove competenze in chi si occupa di marketing
Poiché contenuti e dati stanno assumendo un’importanza sempre più rilevante, le aziende tenderanno ad assumere nei dipartimenti marketing figure professionali con competenze nella produzione di contenuti, nell’acquisizione di contatti commerciali, nell’ottimizzazione e nell’analisi di dati.
8. L’email continua a vivere
Lo strumento, al contrario di quanto predetto da molti, non morirà affatto, anzi. Ciò che cambierà sarà il modo di utilizzarlo: le massicce campagne di invio di email tutte uguali saranno gradualmente sostituite da invii più targettizzati, personalizzati e con contenuti diversificati a seconda dell’utente, massimizzando i risultati.
9. Marketing e giochi convergono
Le modalità di diffusione e consumo dei contenuti di marketing diventano più interattive. Il fenomeno dalla “gamification”, cioè dell’utilizzo di modalità di gioco, contribuirà a incrementarne la valenza di intrattenimento e premio, stimolando anche la capacità di apprendimento dell’utente. Quello del gioco è un framework ripetibile e affidabile che rende più godibili i contenuti di marketing.
10. Un’immagine vale 1.000 parole
Se l’attenzione del marketing è concentrata sui contenuti (content is king), non significa però che i contenuti debbano essere erogati esclusivamente nella forma di un testo scritto. Siti come Instagram e Pinterest (per non parlare di YouTube) hanno dimostrato il potere dell’immagine e l’infografica è oggi uno degli strumenti più apprezzati per divulgare anche contenuti complessi.




Dal marketing… al Socialing

European Socialing Forum
Dal marketing… al Socialing
Il nuovo modello economico-culturale verrà presentato nel corso dell’European Socialing Forum, in programma il prossimo 15 maggio a Milano
É stata presentata la prima edizione dell’European Socialing Forum, evento che il 15 maggio chiamerà a raccolta a Milano, al Palazzo delle Stelline,  alcuni dei più autorevoli esponenti del mondo accademico, imprenditoriale e istituzionale, per una giornata di riflessione e confronto sul “Socialing”, un nuovo modello di sviluppo economico e culturale nato per dare una risposta concreta ai cambiamenti in atto nella nostra società. Tra gli ospiti del Forum è prevista la presenza di Vandana Shiva, nota ambientalista indiana, studiosa di fisica, Presidente dell’International Forum on Globalization.
L’attuale crisi strutturale che stiamo vivendo è un’occasione importante per sviluppare una riflessione profonda sulle cause culturali e sociali, prima ancora che economiche, dell’ involuzione in atto”, spiega il prof. Andrea Farinet, coordinatore dell’European Socialing Forum. “Il Socialing nasce con l’obbiettivo principale di proporre alle organizzazioni ed alle imprese nuovi approcci etici verso i consumatori e i mercati, mettendo al centro delle priorità le reali esigenze delle persone, siano consumatori, risparmiatori, imprenditori o manager e ristabilire il primato della dimensione umana e sociale negli scambi tra soggetti economici e tra profit e non-profit. La parola marketing – continua Andrea Farinet –  è ormai svuotata di significato, inaridita e spenta in uno sterile tentativo di condizionamento dei bisogni e dei consumi. Indica troppo spesso manipolazione, seduzione e simbolizzazione. Se è vero che la concorrenza tra aziende si gioca sempre più sul terreno dell’etica e della morale, diventati oggi più che mai elementi di differenziazione dell’Offerta, il community marketing deve prescindere dalle logiche tradizionale di domanda-offerta, abbandonando gradualmente il marketing per abbracciare il Socialing”.
La necessità di un nuovo approccio deriva dall’evidenza di un mutamento epocale nell’orientamento comportamentale del cittadino-consumatore, le cui cause scatenanti sono da individuare nella crescente cultura della popolazione, nell’espansione di internet 2.0 e nella crisi economica. Come evidenzia Remo Lucchi, Presidente onorario di Eurisko: “dal 2000 al 2012 il livello di istruzione della popolazione italiana è aumentato in modo esponenziale di 20 punti percentuali passando dal 22% al 42%, delineando un trend dal quale è impossibile tornare indietro: si prevede infatti che nei prossimi 10 anni tale livello raddoppierà ulteriormente. Il crescente livello di cultura ha contribuito a cambiare lo stile di vita dei cittadini, spostando il baricentro dell’interesse del consumatore da sé stesso agli altri. L’avvento di internet 2.0 ha inoltre favorito l’orizzontalità e la partecipazione dell’individuo, identificandolo non come massa ma come “soggetto” e fornendo uno stimolo per una vita più partecipativa e meno dipendente dalla materialità. La maggiore cultura, che porta con sé un approccio alla vita più etico e di rispetto verso gli altri, unitamente ad una maggiore capacità critica e a un desiderio di maggiore orizzontalità nei rapporti con l’Offerta – sia pubblica che privata – hanno determinato la nascita di una Domanda più etica e sostenibile (a livello sociale, economico, ambientale e culturale), mettendo così in difficoltà il rapporto tradizionale con l’Offerta, la quale appare invece oggi troppo incentrata su se stessa nel perseguimento di obiettivi di breve periodo, favorendo logiche di sfruttamento anziché di creazione di valore.
Il primo European Socialing Forum avrà l’obiettivo di definire, attraverso il confronto  diretto con i relatori e le best practice di alcune tra le più importanti aziende italiane ed internazionali, le caratteristiche dell’approccio “Socialing”. “Un’impresa socialing oriented – spiega Andrea Farinet – deve saper agire su più livelli: migliorare sistematicamente il rapporto prezzo-qualità della propria offerta, sviluppare la propria responsabilità sociale e ambientale nel territorio in cui opera e contribuire, attraverso l’innovazione intellettuale ed organizzativa, alla crescita del capitale sociale e al miglioramento della qualità della vita della comunità nella quale è inserita.”
Il Forum del 15 maggio sarà articolato con un dibattito sul nuovo paradigma “socialing”, con i contributi di Remo Lucchi, Paolo Anselmi, Andrea Farinet, Francesco Bertolini, Dipak Raj Pant, Marco Meneguzzo, un confronto diretto con alcune delle principali esperienze italiane di responsabilità ed etica sociale, tra cui Coop Italia, LifeGate, Poste Italiane, SABAF, una sessione dedicata al ruolo dei new media e dei social network, con la partecipazione di Facebook Italia, Sas Institute, Vodafone, e un dibattito conclusivo su “Expo 2015 come vetrina del made in Italy” con la partecipazione di Coldiretti, Expo 2015, Slow Food, SWG e Technogym, dove verranno presentate le proposte “Socialig” per Expo 2015: la Carta Universale dei Diritti della Terra, il progetto “Dal chilometro Zero al Chilometro Verde” e il progetto “Dieci filiere per salvare il mondo”. A chiusura dei lavori l’intervento speciale di Vandana Shiva.
L’ European Socialing Forum
15 maggio – Palazzo delle Stelline – 9.00-18.00
Programma dei lavori:

  1. 1. Le riflessioni di fondo ed il nuovo paradigma: il socialing

Remo Lucchi, Presidente Onorario   GFK Eurisko
Paolo Anselmi, Senior Vice President   GFK Eurisko
Andrea Farinet, Docente di Marketing Relazionale e Psicologia del Consumo – Università
Cattaneo LIUC
Francesco Bertolini, Docente SDA Bocconi Presidente GMI – Green Management Institute
Dipak Raj Pant, Docente di Antropologia e Sistemi Economici Comparati – Università
Cattaneo – LIUC

  1. 2. L’esperienze italiane di responsabilità ed etica sociale

Alberto Bartoli Amministratore Delegato, SABAF
Paola Lanzarini, Corporate Social Responsibility Manager,  Coesia Gruppo Seragnoli
Maura Latini, Vice-Presidente, Coop Italia
Marco Roveda, Presidente e Fondatore,  Lifegate
Cristina Quaglia Responsabile Advertising,  Poste Italiane
Marco Meneguzzo, Docente di CSR e Rendicontazione Sociale – Università Tor Vergata –
Roma

  1. 3. Il ruolo dei new media e dei social network


Luca Colombo, Country Manager, Facebook Italia
Andrea Ferri Head of Social Media, Vodafone
Marco Icardi, Amministratore Delegato, Sas Institute
Mirko Lalli, Direttore Marketing e Comunicazione, e Pubbliche Relazioni, Clouditalia
Communications Spa
Roberta Toniolo, Responsabile Marketing EMEA, Oracle

  1. 4. L’Expo 2015 a Milano come vetrina del made in Italy


Sono previsti interventi, alcuni ancora in fase di conferma, anche da parte di :
Sergio Marini, Presidente Coldiretti
Diana Bracco, Presidente Expo 2015
Angelo Maramai, Direttore generale FAI
Roberto Burdese, Presidente Slow Food
Roberto Weber, Presidente SWG
Nerio Alessandri, Presidente Technogym


Chiusura dei lavori a cura di Vandana Shiva




Csr, il boom della “responsabilità sociale”

IL NUMERO DEI RESPONSABILI È QUADRUPLICATO IN POCHI ANNI E OGGI IL 40% DELLE AZIENDE ITALIANE QUOTATE NE HA UNO, SECONDO IL PRIMO RAPPORTO DEDICATO AL SETTORE, REALIZZATO DAL CSR MANAGER NETWORK
Roma I n pochi anni il loro numero è quadruplicato e oggi il 40% delle aziende italiane quotate in Borsa ne ha uno. Sono i manager della Corporate social responsibility (Csr), l’abito immacolato che, dopo gli anni dello sviluppo a qualunque costo, restituisce alle imprese un’immagine ecologica, impegnata nella riduzione degli sprechi, attenta al benessere dei suoi dipendenti, in una parola “sostenibile”. In Italia la loro presenza ha cominciato a farsi sentire solo negli ultimi cinque anni, quando dalla sensibilità personale di alcuni manager verso certi temi si è passati alla formulazione di vere e proprie politiche aziendali culminate nella realizzazione di bilanci di sostenibilità che oggi vengono pubblicati dal 25% delle aziende italiane. Il fenomeno è stato fotografato nel primo rapporto dedicato al settore, realizzato dal Csr Manager Network, l’associazione che riunisce tutti i manager della responsabilità sociale d’impresa. «La ricerca – commenta Fulvio Rossi, presidente del Csr Manager Network e Csr Manager di Terna – registra che siamo alla vigilia della nascita di un interessante mercato del lavoro e il consolidamento di una professione che sta diventando sempre più presente all’interno delle imprese. Non a caso ci stiamo organizzando per offrire ai nostri associati percorsi di aggiornamento e networking differenziati e per aprirci sempre più anche a giovani professionisti e neolaureati, con l’obiettivo di migliorare l’offertadi competenze in presenza di una domanda da parte delle aziende che tenderà a crescere ». A beneficiare dell’ufficializzazione di una professione rimasta per anni nella latitanza degli organigrammi sono i manager della Csr, in prevalenza donne (secondo lo studio), con stipendi medi annui che si aggirano intorno ai 75mila euro e punte che possono arrivare a 120mila. Questi dirigenti hanno alle spalle un percorso di studi elevato, il 50% di loro ha una formazione economica, e circa il 30 ha conseguito un master. Negli ultimi anni il loro ruolo si è evoluto strutturando la figura professionale con unità organizzative dotate in media di 3-4 collaboratori di staff. Preponderante è il peso delle grandi aziende rispetto alle medio-piccole perché il 55,4% dei dirigenti del settore lavora in una multinazionale e riporta in massima parte all’amministratore delegato o al presidente. «Ancora oggi – spiega Elena Panzera, csr manager della multinazionale americana dei software Sas Institute – questo genere di manager riveste un doppio ruolo che dipende generalmente dalle tipicità dell’azienda. Nel mio caso, ad esempio, quello di Hr director e Csr manager. Ciononostante il budget è sempre definito e uguale a quello delle altre categorie. Sicuramente si tratta di una figura professionale ancora non ben delineata, strutturata soprattutto nelle multinazionali che dalla casa madre impongono politica e strategie alle filiali italiane. In merito alla formazione, anche se le competenze economiche sono importanti, ancor più necessaria è una formazione umanistica, che attivi una sensibilità relazionale. In sostanza è più importante sapere coinvolgere persone ed energie aziendali che avere le competenze tecniche per redigere un bilancio di sostenibilità». E proprio questa attitudine è confermata dai numeri perché, secondo la ricerca di Csr Network, il 16% dei manager oggi attivi nel settore ha iniziato la sua carriera in questo campo, e il 13% di loro proviene dal mondo del non profit. I richiami al volontariato non devono però trarre in inganno perché le aziende sono sempre più disposte a riconoscere budget sostanziosi ai loro manager del Csr che oggi si aggirano in media intorno ai 200mila euro ma raggiungono picchi anche superiori ai 900mila. «In pochi anni – commenta Roberto Orsi, professore all’università di Tor Vergata, esperto del settore e direttore dell’Osservatorio Socialis dedicato al tema della sostenibilità aziendale – gli investimenti aziendali in Csr sono cresciuti in modo esponenziale passando da 450 milioni a oltre un miliardo di euro. E questo è accaduto in un periodo brevissimo se si considera che prima del 2001 (anno del primo libro verde dell’Ue dedicato all’argomento) nessuno aveva sentito parlare di questa tematica ». «Quello che servirebbe adesso – continua Orsi – è un impegno maggiore del legislatore, che miri alla realizzazione di un sistema premiante (in termini fiscali o nel riconoscimento di un punteggio maggiore per l’aggiudicazione di bandi pubblici) per le imprese che investono nella corporate social responsibility». Solo in questo modo vestire l’abito della sostenibilità diverrà, oltre che uno stile per fare impresa, anche una strategia per fare business.




LA CSR DA’ I NUMERI

Sette anni dopo il primo studio effettuato in Italia sulle professioni che ruotano attorno alla CSR, un team formato da CSR Manager Network ItaliaALTIS-Alta Scuola impresa e societàISVI-Istituto per i Valori d’Impresa, ha reso pubblica una ricerca che fotografa dettagliatamente il mondo dei manager, dei consulenti e dei collaboratori, che fanno della CSR il fulcro della loro attività lavorativaLa ricerca mette in luce lo sviluppo del settore negli ultimi anni, a seguito della crescente attenzione delle imprese ai temi sociali e ambientali, come dimostrano i 327 professionisti ad oggi censiti, contro i 90 del 2005. La maggior parte di essi, il 75,8%, lavora in imprese con più di 250 dipendenti e che si relazionano con un alto numero di stakeholder. Un secondo aspetto che si evince dai profili degli addetti ai lavori è il loro alto livello di istruzione:  l’83% dei CSR manager è in possesso di una laurea specialistica o di un master, percentuale che scende al 78% se si considerano anche i collaboratori. La ricerca identifica, inoltre, quelli che sono i percorsi lavorativi generalmente affrontati prima di accedere ad una professione legata alla CSR. In questo caso, scopriamo che il 49% dei professionisti lavorava nella stessa impresa ma con mansioni differenti, mentre il 13% era impegnato nel mondo del no profit. Per quanto riguarda l’area professionale di provenienza, invece, il 23% ha un passato in attività legate alla comunicazione e il 18% al marketing. Interessante, infine, è il dato riguardante le donne, il 58% del numero totale dei professionisti della CSR.  Per approfondire.