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Dal Digitale al reale

ECCO QUALCOSA DI CUI IL GOVERNO DOVREBBE SERIAMENTE PREOCCUPARSI
Evasione fiscale? Tracciabilità dei movimenti? Mentre l’italiano medio è alle prese con conti correnti sorveglianti e prelievi concessi con il contagocce, un fiume di denaro virtuale rischia di immettersi nel mondo reale. Sicuri di sapere da dove arriva il prossimo tsunami finanziario?
“Le droghe e il sesso, per loro natura, sono ai margini dell’economia ufficiale dei paesi civilizzati, dunque è li che stanno nascendo molte delle nuove tecnologie per far girare il denaro!, racconta R., bancario in pensione ed esperto di hi-tech di Hong Kong. L’impatto potenziale nell’economia reale di tecnologie in via di sviluppo, come la moneta virtuale e il riciclaggio globale di denaro proveniente dai giochi online e dai mondi virtuali, è fonte di preoccupazione crescente per i media e i governi internazionali. E se in Inghilterra e negli Stati Uniti il fenomeno non è ancora nel mirino delle autorità, i governi della Corea del Sud e della Cina lo stanno tenendo d’occhio da anni. “In Cina”, spiega Steve Davis, un consulente per la sicurezza con più di quindici anni di esperienza nel settore dei giochi, “l’uso dei gettoni QQ era talmente diffuso che il governo ha temuto potessero competere con la valuta reale”. Chuck Cohen, un tenente della polizia dell’Indiana con una vasta esperienza nelle indagini sul crimine digitale, parla di una retata da 38 milioni di dollari in Corea del Sud, nel 2008. Per il momento in Europa o negli Stati Uniti non si è verificato niente di simile. “ciò significa che qui c’è meno riciclaggio di denaro, o solo che l’Inghilterra e gli Stati Uniti non lo scoprono perché hanno gli strumenti delle autorità sudcoreane?”. “Il problema della tracciabilità”, afferma Cohen “è che le autorità, a ogni livello e in tutti i paesi, tendono a reagire con una certa lentezza. Per cui ci mettono un po’ a rendersi conte dell’entità del fenomeno”. Attualmente la difficoltà maggiore è quella di isolare l’elemento criminale. “Quasi sempre le autorità hanno dimestichezza con queste comunità online. In quelle non virtuali, sappiamo dove sono i bar e i ristoranti, chi li frequenta e chi li gestisce. Quelle online invece finiscono col diventare estensione del mondo fisico, che però sono del tutto sconosciute alle autorità”. Ma forse ancor più importante è la segretezza di queste transazioni. “Gli utenti usano sempre proxy o altri modi per rendersi anonimi”, spiega Cohen. “Credo che la vera sfida sia quella di raggiungere una maggiore trasparenza nelle modalità di scambio di queste valute non ufficiali. Quando il dollaro Linden (la valuta virtuale di Second Life) si rafforza o si indebolisce rispetto all’euro, cos’è che ha causato questa fluttuazione? Non c’è un prodotto interno lordo, non c’è il costo del petrolio, non c’è l’ottimismo dei mercati… È una domanda a cui non saprei rispondere”. Oltre alle difficoltà di stabilire il valore di queste nuove economie virtuali, Cohen spiega che è sempre più difficile dimostrare l’esistenza di manovre losche all’interno dei giochi. Nel mondo reale, un Rolex scambiato quattro volte il suo prezzo di mercato desta immediatamente sospetti. Online, è più difficile come usare prova in tribunale un falso Picasso. “La polizia potrebbe chiedermi perché ho pagato diecimila dollari per un’opera d’arte virtuale, e io potrei rispondergli che su Entropia Universe, per esempio, qualcuno ne ha pagati 330mila per un pianeta virtuale. Non esiste un precedente, non c’è una definizione di valore equo di mercato”. Gli esperti di sicurezza e i funzionari governativi stanno aumentando la sorveglianza man mano che vengono introdotte nuove monete virtuali. Di queste, finora la più significati è Bitboin: un modello di pagamento digitale peer-to-peer che funziona grazi a un complesso sistema di crittografia e che si sta guadagnando l’attenzione dei media e degli operatori. È totalmente decentralizzato e non richiede. Se lo considera insieme a piattaforma illegali come il mercato delle droghe Silk Road (raggiungibile solo attraverso un Proxy) o il negozio online di dati rubati iProfit.su, gli sviluppi possibili sono preoccupanti. Un altro esempio riguarda il riciclaggio di denaro. Un trafficante di droga che voglia acquistare una partita di eroina senza lasciare tracce della transizione può comprare una carta prepagata per un gioco online, aprire un account (non rintracciabile) e cedere una gran quantità di beni virtuali – con annesso valore monetario – a un secondo account, apparentemente non collegato. Il titolare di questo può a sua volta vendete i beni a chiunque su una piattaforma di terze parti. Dal punto di vista di un investigatore, la pista è alquanto labile e difficile da individuare. Ma da quello del criminale, per fortuna, c’è ancora troppo “sbattimento” da fare. Lenny Raymond si occupa di strategie di monetizzazione dell’intrattenimento online. Il suo lavoro consiste in buona parte nel progettare economie che uniscono il massimo del profitto. Raymond fa notare che la creazione di un account su Word of Warcraft richiede circa 50 click non il mouse. Per un criminale che volesse aprire dozzine di account per non essere scoperto, è un fastidio e una perdita di tempo, senza contare la procedura per associare l’account del gioco a un conto paypal (che in ogni caso è dotato di un sistema di protezione dalle truffe). Certo, in rete è possibile comprare a buon mercato account già convalidati di Word of Warcraft e PayPal, ma è comunque una procedura troppo complessa per la maggior parte dei criminali comuni, almeno finora. Raymond afferma che uno degli scopi principali dei creatori di giochi è massimizzare la facilità e la velocità d’accesso. In  questo senso esiste un lieve conflitto fra sicurezza e design: rende gli account più facili da creare li espone al rischio di essere sfruttati a scopo illeciti. Tuttavia. Raymond sottolinea che alla Blizzard (la casa che ha sviluppato WoW) la sicurezza è “maggiore di quel del mio conto in banca”, e che in ogni caso non c’è abbastanza liquidità per poter riciclare grosse quantità di denaro. Quando nasce un nuovo servizio o una nuova tecnologia, la gente tende ad approfittarne. Ma le somme riciclate non sono mai troppo ingenti, perché c’è sempre il rischio che la transazione venga registrata da qualche parte, a causa di misure di sicurezza sempre più stringenti. Davis spiega: “Prima questi giochi erano gestiti come una scatola nera: l’archiviazione e la tracciabilità non erano ottime. Ma poi hanno dovuto migliorarli, a causa di fenomeni come il gold farming (giocare per accumulare denaro virtuale da rivendere ad altri utenti) e di problemi legati ai pagamenti”. Non è solo la tracciabilità ai dati a rendere problematico l’uso dei sistemi online per i criminali comuni. Anche i sistemi attualmente emergenti potrebbero presentare difficoltà. Ted Castranova, economista e autore del libro Wild Cat Currency (di prossima pubblicazione), osserva che BitCoin si troverà a competere con altre monete virtuali preferite dagli utenti, e che difficilmente si diffonderà su larga scala. “se i network multiplayer ci hanno insegnato qualcosa, è che queste monete si affermano tramite l’uso, non in maniera intellettuale. Rispondono a un bisogno degli utenti”. Davis è concorde: “L’importante non è la moneta in sé, ma il fatto di poterla usare da McDonald’s o al supermercato”. In altre parole, sistemi come BitCoin non saranno utilizzati ampiamente dai criminali finché non saranno paradossalmente troppo sicuri per poter essere sfruttati. Ne consegue che i canali apparentemente meno flessibili e più ordinari si presentano molto di più a essere manipolati a scopi criminosi . le carte prepagate, per esempio, possono costituire una minaccia. “Sono l’equivalente “Istituzionale” di BitCoin”, continua Daves. “ E sono un rischio sempre crescente ai fini del riciclaggio di denaro perché sono riconosciute da molte grandi compagnie. So che ha molto meno appeal del riciclaggio di denaro tramite la vendita di spade virtuali, ma in effetti è molto più pervasivo. Quando si sale a bordo di un aereo con una gran quantità di denaro si è tenuti a dichiarato, ma si deve dichiarare anche un mazzo di carte prepagate che si trasporta oltre confine?”. In realtà la minoranza potente, criminale o no, a tr
arre i profitti più alti da questi impercettibili cambiamenti sarà l’1 per cento. Probabilmente non tutti useranno BitCoin 1.0, ma sicuramente molti di più useranno BitCoin 3.0 o 4.0. In tutto il mondo, individui ricchissimi sono sempre più insofferenti dell’instabilità economica percepita e dello slogan di “tassate i ricchi” che si sente gridare dal movimento Occupy Wall Street. Questi individui hanno tutto da guadagnare (per esempio evadendo il fisco) investendo nelle versioni future del software. “Vogliono disporre liberamente di ingenti fondi nascosti, e quello virtuale sarà uno degli spazzi che sfrutteranno a questo scopo”, sostiene R. Il potenziale di questo cambiamento – che sono lui avverrà nel corso dei prossimi vent’anni – appare lampante se si considerano insieme la possibilità di trasferimenti anonimi e l’esistenza di piattaforme offshore come Seasteding, al di fuori e al di sopra degli stati e delle leggi nazionali. “Se i nuovi sistemi di pagamento come BitCoin si evolvono in una certa direzione, le forme tradizionali di embargo e sanzione economica potrebbero perdere di efficacia in questi porti franchi. Quando si cambiano le modalità di conversazione della ricchezza si mettono a disposizione della gente strumenti di scambio che eludono due capisaldi dello stato nazionale quali la legge del fisco, allora accadono cose interessanti. Sarà giocare al gatto e al topo”, dice R. Castanova è scettico sulle possibilità di sconvolgimenti a livello di macroeconomia globale. “I libertari dicono che è possibile creare dei rifugi dove si diventa intoccabili. La storia ha dimostrato che non è così”. E ha dimostrato anche che ciò non sempre vale per chi dispone di mezzi e influenza considerevoli. R. è più ottimista sulla situazione reale. “il riciclaggio di denaro è ancora più occulto dei mercati del sesso e delle droghe. Si fatica a fiutare una pista, figuriamoci individuarla. Ci si ritrova a scrivere di carte prepagate e spacciatori agli angoli delle strade, e intanto la pista svanisce perché tu fai parte del 99 per cento, non dell’uno”.




Un evento a Mantova…sul tetto!

Portare l’idea di un social network dal mondo virtuale a quello reale sembra essere una follia, eppure è accaduto nell’ambito della manifestazione Mantova Creativa – una quattro giorni di arte, design, fotografia, architettura, musica, danza e teatro ospitata in svariate location della città lombarda.
A realizzare Pensiero Bucato -questo il nome dell’iniziativa- è stato lo staff di Copiaincolla pubblicità, un’agenzia di pubblicità di Mantova tradizionalmente poco convenzionale, come testimonia anche la sede ospitante l’evento: la Terrazza delle Stelle, riaperta al pubblico per l’occasione dopo la chiusura, qualche anno fa, dell’Hotel San Lorenzo.
Coerentemente con quanto affermato sulla piattaforma web di Mantovacreativa (www.mantovacreativa.it) “Territorio, creatività, mondo dell’impresa e giovani talenti sono gli attori protagonisti dell’Evento” i vulcanici creativi di Copiaincolla si sono inventati un social network reale, o come preferiscono definirlo loro “un social washwork. .Washwork perché qui i pensieri non vanno pubblicati con una connessione a internet ma, più semplicemente, vanno scritti su una t-shirt bianca e stesi su un filo con un paio di mollette, tutto negli spazi di una delle più alte e belle terrazze del centro storico della città”
L’idea è mutuata dalla presenza sempre più massiccia dei social network nella società moderna ed è un tentativo di riprodurre nella realtà ciò che in ogni istante la maggioranza delle persone fa su twitter e facebook.
Nello specifico Pensiero Bucato offriva alle persone la possibilità di avere una maglietta bianca, disegnarla e colorarla con una propria idea, stenderla in terrazza, e scegliere una t-shirt che gli utenti precedenti avevano già personalizzato per portarsela via, esattamente come ciascuno di noi fa sulle bacheche dei propri amici di Facebook, ma il tutto in una delle più belle terrazze del centro storico di Mantova.
Per l’iniziativa sono stati infatti usati centinaia i metri di corda sui quali sono state stese le oltre 2.000 magliette. Incredibile a dirsi l’evento ha realizzato il sold-out e questo è la conferma che la popolazione ha bisogno sempre più di strumenti che mettano in contatto e di sentirsi protagonista, sia l’ambientazione virtuale o reale!




Murdock, il miliardario che sogna l'immortalità e Kannapolis, la sua personale "bio valley"

Il centro di ricerca nel North Carolina è già costato 500 milioni di dollari. L’obiettivo è promuovere una dieta salutare a base di vegetali e sviluppare farmaci e cure naturali. Coinvolte 12 università e grandi aziende agroindustriali. Il creatore, oggi novantenne, punta ad arrivare a 125 anni in buona salute
Il sogno è arrivare a vivere 125 anni. E se è il sogno di un ricco, forse si può realizzare. Anche se bisogna investire 500 milioni di dollari, coinvolgere 12 università e le maggiori aziende agroindustriali del pianeta. Il North Carolina Research Center di Kannapolis, un vecchio villaggio cotoniero a pochi chilometri da Charlotte, nel cuore sudista degli Usa, non è solo il sogno di David Murdock, il miliardario statunitense che l’ha finanziato, ma anche di qualsiasi studioso di scienze naturali e biologiche che si definisca tale. Murdock, che è originario dell’Ohio, ha scelto Kannapolis per costruire una biopoli, una sorta di bioscience valley, come la definisce Clyde Higgs – responsabile della commercializzazione delle scoperte realizzate dai ricercatori del centro – dedicata a dimostrare che una dieta a base di vegetali non solo allunga la vita ma potrebbe offrire anche una risposta ai maggiori mali contemporanei.
Una dimostrazione? La scoperta di TinChung Leung. Ricercatore della North Carolina Central University, Leung ha appena dimostrato che 10-gingerol, una fitomolecola contenuta nel ginseng, è in grado di interagire con il genoma umano attivando i geni che regolano la produzione dell’eritropoietina, l’ormone che stimola l’eritropoiesi, ovvero la produzione di globuli rossi da parte del midollo osseo. “L’abbiamo immediatamente brevettata – conferma Higgs – Il progetto è quello di sviluppare un farmaco botanico che possa aiutare gli emofiliaci e alla lunga rendere le trasfusioni del sangue una cosa del passato”.
Il novantenne Murdock tra le cose del passato vorrebbe far finire anche la morte. Per ora si propone di arrivare a festeggiare il suo 125mo compleanno e di arrivarci in buona salute. E Kannapolis riveste un ruolo centrale nella realizzazione di quest’impresa. “Non è uno scienziato – afferma Higgs – ma è un uomo che sa quello che vuole e non bada a spese pur di raggiungere il suo obbiettivo”.
A giudicare dal mezzo miliardo di dollari che ha investito nella creazione del centro, Murdock fa le cose in grande. E’ andato personalmente in Toscana a scegliere il marmo di Carrara (125 tonnellate in tutto) per rivestire l’atrio del David H. Murdock Core Laboratory, l’edifico centrale del complesso in stile Georgiano che ospita il North Carolina Research Center. E lo ha dotato di macchinari unici nel loro genere, come uno spettografo nucleare di massa a risonanza magnetica da 950 Megahertz. Macchinari e innovazioni tecnologiche che sono a disposizione delle maggiori università della regione.
Se si trattasse solo del sogno d’un eccentrico riccone, non sarebbe una novità. Di facoltosi americani che si fatti un paradiso personale ce ne sono stati tanti. Gli Hearst si erano addirittura costruiti un castello nei pressi di San Simeone, in California, circondato da una vasta foresta che ospitava fauna e flora provenienti da tutti gli angoli del globo. Il caso di Murdock è diverso: non solo è riuscito a convincere 12 delle maggiori università della regione, come la Duke University, a creare dei loro avamposti a Kannapolis (e questo si potrebbe giustificare con il fatto che il mecenate mette a disposizone tutto a titolo gratuito), ma ha ottenuto anche che giganti dell’industria agricola come Monsanto e General Mills, e organismi federali di controllo come lo USDA, aprissero loro laboratori nel suo centro.
“Murdock è convinto che trovandosi uno accanto all’altro i ricercatori universitari e quelli delle aziende finiranno col lavorare assieme”, afferma Ken Gepfert, analista del Wall Street Journal passato di recente alla Luqire George Andrews Inc., una delle maggiori agenzie di comunicazione Usa. “E i primi risultati non si sono fatti attendere. Sfruttando le ricerche in metabolomica fatte dallo Human Performance Laboratory con i semi di chia, i funghi portobello e le banane, la Dole Fruit ha creato nuovi prodotti che saranno in commercio a partire dal prossimo autunno”.
Murdock, centesimo nella classifica degli americani più facoltosi con tre miliardi di dollari di patrimonio personale, dalla sua non ha solo il poter finanziare l’operazione ma anche l’essere azionista di maggioranza e chairman della Dole Food. E malgrado sia un personaggio difficile – non di rado rimprovera l’interlocutore per il suo aspetto fisico e ha un ego smisurato – il fatto che controlla il gigante della frutta e verdura statunitense ne fa uno di cui si deve tenere conto, se non altro perché  le sue decisioni condizionano le tendenze alimentari a livello planetario.
“Non ho mai avuto un capo in tutta la mia vita – ha dichiarato di recente Murdock al Times di Londra, che incuriosito dall’iniziativa dell’anziano miliardario aveva spedito un inviato  a Charlotte – Ho distrutto totalmente la capacità di chichessia di darmi ordini”.
Ma per quanto pubblicamente assuma l’atteggiamento del cowboy invincibile, Murdock alla decisione di promuovere un’alimentazione salutare e di favorire lo sviluppo di farmaci che trovino una giustificazione nel mondo biologico, ci è arrivato attraverso drammi personali. Una moglie persa per colpa del cancro delle ovaie. Un figlio annegato in piscina e un altro morto in uno schianto in macchina, ambedue a quanto pare afflitti da problemi di salute che hanno causato gli incidenti. Tutto questo lo ha convinto che una dieta più naturale, più genuina, li avrebbe aiutati a vivere più a lungo o almeno, nel caso della moglie, a soffrire meno.
La sua fissazione per l’alimentazione è così forte che adesso al quartier generale della Dole il vistatore invece di ascoltare la solita musica per ambienti può ricevere suggerimenti per l’alimentazione e ascoltare un notiziario sulla salute. Il cibo servito dalla mensa aziendale è gratuito e la palestra fatta costruire da Murdock all’interno dello stabilimento offre anche il personal trainer. Di fronte agli uffci di Westlake Village, la cittadina californiana dove la Dole Food ha il suo quartier generale, Murdock ha poi costruito il California Health and Longevity Institute, una combinazione tra la SPA, il centro medico e un ristorante d’alta classe, dove i clienti possono fare lo screening per il cancro e le analisi del colosterole, ma anche prendere lezioni di cucina salutare. Il centro, che ha anche un hotel annesso, dovrebbe essere un’impresa che genera profitti – nello spirito di unire la missione sociale con quella commerciale tipico di Murdock – ma nei fatti cura tutti coloro che si presentano praticamente gratis.
Quando Murdock cominciò a costruire Kannapolis molti credettero che si sarebbe trasformata in una cattedrale nel deserto, ma avevano fatti i conti senza Murdock. Il tenace miliardario riesce a fare offerte che non si possono rifiutare, come quella che ha convinto per esempio Mary Ann Lila, una delle maggiori esperte mondiali di mirtillo, a trasferirsi nella Carolina del Nord dalla University of Illinois di Chicago. Il vecchio miliardario ha dalla sua il vantaggio di aver costruito la sua creatura nelle vicinanze di Charlotte, una città la cui qualità della vita è tra le migliori d’America e che offre svaghi e intrattenimento in grado di attirare i migliori talenti internazionali. Non a caso il presidente Barack Obama ha deciso di tenere proprio qui la Convention che lo incoronerà per la seconda volta candidato democratico alla Casa Bianca.




Terzi: così il digitale rivoluziona la diplomazia

Il ministro degli Affari esteri: “Social network importanti per la democrazia, ma attenti al magma della rete”. E il consigliere Luca Poma svela le strategie comunicative 2013: meno formalismi e coinvolgimento dei non addetti
La comunicazione del ministero degli Esteri si fa sempre più digital. Consapevole dei rischi, ma anche dei vantaggi che Internet può comportare per questo mondo fino a pochi anni fa lontano anni luce dalla trasparenza e rapidità dei new media, la diplomazia si attrezza per le nuove sfide: nelMaecom 2013, il programma di comunicazione per quest’anno del ministero degli Affari esteri del quale si attende a breve la pubblicazione, c’è un intero capitolo dedicato ai “new tools”, i nuovi strumenti comunicativi. Lo ha rivelato Luca Poma, consigliere del ministro degli Esteri Giulio Terzi per le iniziative di promozione innovativa e le nuove tecnologie, a conclusione del seminario svoltosi oggi alla Farnesina dal titolo “Digital Media in zone di guerra”.
“Non possiamo pensare alla sostituzione tout court della diplomazia tradizionale con quella digitale – ha detto Poma – ma dobbiamo comunque tenerne conto. Sul web – ha proseguito – la comunicazione è informale, trasparente, rapida e la pubblica opinione è sempre più coinvolta nei processi comunicativi, mentre la diplomazia old style è formale, tendente alla segretezza, con tempi più lunghi e non punta a coinvolgere i non addetti ai lavori”.  Partendo da questi presupposti, nel Maecom 2013 saranno presenti alcune linee guida che il consigliere del ministro ha appunto anticipato. Innanzitutto la personalizzazione della comunicazione (perché un testo va elaborato in modo diverso a seconda che venga diffuso, per esempio, sul web o su un media cartaceo). Poi l’inclusione dei commenti “esterni” su temi e vicende un tempo monopolio dei soli diplomatici. Quindi il dialogo informale, perché, spiegaPoma, “le gerarchie formali tendono a uccidere la comunicazione online”. Occorre inoltre che la diplomazia accetti di “essere sotto controllo”, ovvero costantemente monitorata dai cittadini online e bisogna “snellire la catena di comando”, in modo che le risposte vengano date in tempi più rapidi. Infine è essenziale essere autentici, “cosa che include la capacità di chiedere scusa quando si sbaglia”, e individuare gli opinion maker in certi ambiti e territori in modo da realizzare un’informazione mirata e capillare.
Tutto questo, però, tenendo sempre a mente i pericoli della digitalizzazione. “I social media – ha affermato il ministro Giulio Terzi in apertura del seminario – sono un importante strumento di democrazia ma bisogna anche stare attenti ai rischi legati al ‘magma’ della rete.
Terzi ha ricordato il ruolo di strumenti come Facebook e Twitter nelle primavere arabe per “connettere le coscienze, favorire l’organizzazione della protesta e raccontare al resto del mondo ciò che accade durante una rivoluzione, quando i mass-media convenzionali sono oscurati dalla censura”. Negli scenari di guerra, inoltre, i digital media documentano piccole storie non coperte dai media tradizionali e le immagini e gli episodi narrati sui blog “restano come testimoni indelebili, a portata di un semplice click su Google”.
Non mancano i “rischi di abuso”, come nel caso dei video di guerra registrati con microcamere poste sull’elmetto dai militari in missione, che possono “banalizzare l’azione di guerra, trasformandola in un video-game”. Quindi, occorre “grande professionalità” nel raccontare questo tipo di eventi.
I social media garantiscono una velocità di informazione mai conosciuta, ha ribadito il ministro ricordando che il primo tweet da Haiti è stato postato 7 minuti dopo il terribile terremoto del 12 gennaio 2010, 24 ore prima della diretta televisiva. Ma ha sottolineato che utilizzare la rete come fonte di informazione aumenta il rischio di “notizie infondate” pubblicate ad esempio da persone che utilizzano false identità.
La rete, ha concluso Terzi, è un “magma di comunicazione mista a propaganda” e, per utilizzarla come fonte utile, c’è bisogno di “giornalisti preparati e rigorosi nella verifica, capaci di filtrare, approfondire e contestualizzare i fatti”.
Al seminario ha partecipato anche Amedeo Ricucci, giornalista Rai protagonista di un significativo esperimento: di recente è stato per una decina di giorni in Siria, alloggiato in abitazioni comuni a rischio bombardamento, documentando ogni momento della propria giornata con smartphone e micro-camere: immagini poi rilanciate nel sito della Rai dedicato all’iniziativa, e corredate da articoli, schede e grafica. Il materiale sarà poi utlizzato per un reportage televisivo.
Sulle potenzialità della “crowdphotography” si è invece espresso Antonio Amendola, fotografo e fondatore del progetto Shoot 4 Change, iniziativa no profit nata da un blog e diventata una piattaforma di citizen jorunalism attraverso la quale fotografi volontari contribuiscono a raccontare storie da zone di crisi o dimenticate. Anche Amendola, in Afghanistan, ha realizzato un reportage usando un semplice smartphone. “Usare questi dispositivi – ha commentato il fotografo – è un modo poco costoso, comodo ed efficace per documentare i conflitti, perché spesso, in contesti di guerra, le videocamere o le macchine fotografiche più vistose vengono viste come un’arma”.




Cibo, è tempo di trasparenza

Dopo i casi su carne equina e batteri la fiducia nei marchi è a rischio. Anche di quelli estranei. Tracciare e comunicare: così si disinnesca la diffidenza.

Giocare d’anticipo, puntando tutto sulla trasparenza e la tracciabilità del prodotto e soprattutto sula comunicazione. In caso di crisi, come quella che stanno vivendo i brand coinvolti nello scandalo della carne di cavallo venduta come manzo, è quello che bisognerebbe fare per riguadagnare la fiducia dei consumatori. Coinvolgendo anche le associazioni di categoria perchè al di la delle singole aziende, è un intero settore che si trova a dove trovare congiuntamente soluzioni per non soffrire sul mercato.
“Quello che i consumatori si aspettano è che le aziende non scarichino la responsabilità sugli altri, perchè la gente ripone fiducia nel marchio”, sostiene Luca Poma, consulente, esperto in corporate sociale responsibility e in comunicazione della crisi (è autore, insieme a Giampietro Vecchiato del libro Crisis Management). “In tal senso è indispensabile che ci sia un’azione di sistema a livello di comparto, sia da parte delle imprese implicate, sia di quelle che ne sono rimaste fuori ma che potrebbero trovarsi coinvolte da un momento all’altro: è necessario strutturare sistemi normativi di tracciatura del prodotto, di rendicontazione e di trasparenza, andando a monte della catena, impegnando tutti i fornitori e comunicando tutto questo”.
Ogni giorno ormai un marchio si aggiunge alla lista di quelli coinvolti: un allarme che si sta espandendo a macchia d’olio chiamando in causa colossi come Nestlè, Findus, Ikea e Star. Ma anche i concorrenti tremano: secondo una stima di Coldiretti, in Italia gli acquisti di piatti pronti, surgelati e ragù sono crollati del 30%.
Lo tsunami partito dalla scoperta dell’inserimento della carne equina, senza che fosse dichiarato sull’etichetta, in alcuni preparati, come le lasagne pronte e surgelate Findus, i ravioli Buitoni, i ragù Star, e le polpette vendute all’Ikea (finita poi nel ciclone anche per le tortine con presunti colibatteri), ha innescato infatti una crisi che potrebbe rivelarsi “particolarmente grave, perchè sollecita temi come la salute pubblica e perchè trattandosi di subforniture, nel caso della carne, un’azienda oggi serena potrebbe scoprirsi coinvolta”, dice Poma.
Un ruolo per fronteggiare la crisi, come detto, potrebbero giocarlo le associazioni di categoria. “Quando un intero settore è coinvolto, è opportuno che vadano avanti loro per spiegare e fare in modo che non accada più”, sostiene la consulente in crisi management Eva Jannotti. E’ da vedere come si evolverà la posizione adottata da Federalimentare, che poco più di due settimane fa, ha qualificato lo scandalo della carne di cavallo come “un evidente caso di frode in commercio, che però non deve mettere in dubbio l’impegno e l’efficienza del sistema di controllo europeo e italiano, per la sicurezza dei prodotti alimentari”, per cui l’industria  alimentare della penisola investe per oltre 2 miliardi di Euro.
Per ora le aziende hanno cominciato a correre ai ripari singolarmente, adottando la linea del blocco delle vendite e rendendo noti i nomi dei fornitori responsabili. Nestlè per esempio ha dichiarato di aver sospeso le consegne di tutti i prodotti contenenti carne rifornita da una ditta tedesca subappaltatrice di uno dei fornitori, perchè ha rilevato tracce di dna equino in due preparazioni a base di carne di manzo proveniente dall’azienda. Star ha diffuso una nota stampa in cui “si dichiara vittima della vicenda al pari di altre primarie aziende nel settore alimentare”, precisando che “tali prodotti sono stati preparati con carne che ci era stato assicurato essere 100% bovina”.
“La filiera della carne bovina è tracciata e rintracciabile fino all’origine degli alimenti del bestiame. Non altrettanto vale per la carne equina”. Afferma Luciano Pilati, professore del dipartimento di economia e management (autore del volume Marketing agro-alimentare). “Resta da chiarire perchè sia stata perpetrata una frode in commercio. Forse non esisteva uno sbocco sul mercato della carne equina, comunque dotata dei requisiti di legge, e quindi si è forzata una vendita sotto mentite spoglie? Bisogna evitare comunque che si diffonda uno stato d’ansia collettivo in materia alimentare che metta in crisi il lavoro di molti; se emergeranno comprovati rischi per la salute, allora bisognerà ripensare la strategia minimalista adottata finora”.