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Sostenibilita, Csr. No ai 'minerali insanguinati', primi segnali da parte dell'industria Ict

Primi segnali da parte dell’industria Ict per dire no ai ‘conflict minerals’, minerali largamente utilizzati dalle industrie, soprattutto dell’high-tech, spesso estratti e venduti nell’illegalità e con continue violazioni dei diritti umani. A fronte di un’opinione pubblica sempre più sensibile all’argomento, alcune aziende hanno infatti deciso di cambiare rotta e di intraprendere politiche atte a garantire un prodotto che sia ‘conflict-free’. I minerali ‘sporchi di sangue’ sono l’oro, la cassiterite, la wolframite e la columbite-tantalite, spesso prodotti tra gli abusi e letteralmente sottratti alle comunita’ locali per finanziare i conflitti. Succede nel Congo, in particolare nella regione orientale, che possiede l’80% delle riserve mondiali di coltan, il minerale da cui si estrae il tantalio, indispensabile per l’industria high-tech. Una ricchezza che invece di andare alle comunità per lo sviluppo dell’economia locale, finisce per finanziare la guerra civile con pesanti impatti ambientali, sociali e continue violazioni dei diritti delle persone. A due anni dalla prima edizione, l’organizzazione non profit Enough Project torna a pubbicare la classifica dei “buoni e dei cattivi”, cioè delle aziende che stanno (o non stanno) organizzandosi per sviluppare una catena conflict-free’, rifornendosi da miniere e fonderie certificate, ovvero legali e quindi controllate. Secondo lo studio dell’organizazzione, “Taking conflict out of consumer gadgets”, le aziende indicate come ‘pioniere del progresso’ e che hanno scelto di utilizzare materiali di origine certa, certificata e ‘conflit free’, sono Intel, Hp, Apple e Motorola; anche SanDisk, Philips, Sony, Panasonic, Rim e Amd hanno significativamente implementato i propri sforzi in questa direzione. Sharp, Htc, Nikon e Canon stanno muovendo i primi passi, ma restano nella parte più bassa della classifica, mentre la Nintendo si ‘guadagna’ l’ultimo posto per non aver ancora compiuto nessuno sforzo noto nella direzione del conflict-free. Rispetto alla classifica precedente (dicembre 2010), secondo l’organizzazione la maggior parte delle aziende si è mossa per eliminare i materiali incriminati, complice la crescente consapevolezza del pubblico sul tema, ma ce ne sono troppe che non stanno ancora facendo niente. Le azioni messe in campo dalle aziende riguardano in particolare la mappatura delle miniere coinvolte nell’approvvigionamento, scegliendo quelle conflict-free tra quelle aderenti all’Allenza per il Commercio Responsabile dei minerali o Ppa (Public Private Alliance), partenrship tra Stati Uniti, Ong e aziende a sostegno dello sviluppo di una catena ‘pulita’ dei minerali congolesi. Un’iniziativa che, secondo Enough Project, ha già avuto un effetto sul conflitto in corso in Congo, dove i gruppi armati ora sono in grado di produrre appena il 35% dello stagno, del tantalio e dello tungsteno di due anni fa. Per aiutare il Paese, secondo Enough Project, è importante che le aziende continuino ad acquistare dal Congo le materie prime, perché – fa sapere l’organizzazione – non comprarle più significa sicuramente mettere in difficoltà i gruppi armati, ma anche danneggiare lo sviluppo dell’economia locale. Meglio, quindi, aderire alla Ppa (Public Private Alliance) investendo in progetti ‘puliti’ che aiutano le comunità e sostengono le miniere del Congo orientale. Stando a quanto rileva il Cdca, il Centro documentazione sui conflitti ambientali, il valore del coltan durante il conflitto è aumentato del 600% in 3 anni. Le concessioni e le miniere abusive di coltan si moltiplicano cosi’ come il mercato nero del minerale, rubato dai guerriglieri e poi rivenduto. Secondo i dati dell’Onu, circa 1.500 tonnellate del prezioso materiale sono state esportate illegalmente dall’Africa tra la fine del 1998 e l’estate 1999: un traffico che, unito a quello di oro e diamanti, avrebbe fruttato ai guerriglieri del Raggruppamento Congolese per la Democrazia (Rcd) circa un milione di dollari al mese. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha istituito una commissione di inchiesta sul traffico illegale di materie prime dal Congo e un primo rapporto ha rivelato che “le attività commerciali delle imprese straniere presenti in Congo non possono essere qualificate come sfruttamento illegale, integrando già gli estremi di un vero e proprio saccheggio sistematico delle ricchezze del Paese”. Il coltan serve ad ottimizzare il consumo della corrente elettrica nei chip di nuovissima generazione, ad esempio nei telefonini, nelle videocamere e nei computer portatili. I condensatori al tantalio permettono un notevole risparmio energetico e quindi una maggiore efficienza dell’apparecchio. Il materiale è utilizzato anche per la costruzione di condensatori elettrici, air bag, visori notturni, materiali chirurgici, fibre ottiche e consolle per i videogiochi.




LE IMPRESE AL SERVIZIO DEL BENE COMUNE

C’era una volta l’impresa che faceva l’impresa e lo Stato sociale che faceva lo Stato sociale. Poi venne l’epoca dello Stato sociale che faceva l’impresa (si veda a titolo di esempio l’impostazione della politica sanitaria della Regione Lombardia) e dell’impresa che faceva lo Stato sociale (dalla contrattazione aziendale di Luxottica al referendum Fiat per la deroga al CCNLL). Infine, fu il tempo dell’impresa sociale, non solo nella forma giuridica, quanto nell’approccio al business. Sociale, nel senso etimologico del termine: ciò che concerne la società, ovvero la persona. L’assunto di base è semplice, talmente banale da essersi perso nei meandri della Storia, ed essere stato riscoperto solo grazie ad un processo di nemesi (ovvero la finanza che finanzia la finanza): è l’economia al servizio dell’individuo, e non l’individuo al servizio dell’economia.Un’affermazione talmente banale da divenire il tema cardine del dibattito che alla Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile di Rio vedrà impegnate tutte le principali istituzioni del mondo. L’obiettivo finale del consesso che avrà luogo nei prossimi giorni sarà infatti quello di “rafforzare l’impegno politico per lo sviluppo sostenibile con l’identificazione di un nuovo paradigma di crescita economica, socialmente equa e ambientalmente sostenibile”. Obiettivo ambizioso, che può passare solo da un’unica via: la cooperazione tra attori economici (tra cui le imprese), istituzioni di governo, società. E la domanda è: come?Nel novembre 2011, Harvard Business Review in un noto articolo denominato “The good Company”, sentenziava che “companies that perform best over time build a social purpose into their operations that is as important as their economic purpose”. In sintesi, è tempo di superare la dicotomia tra capitale e lavoro, per giungere a considerare l’impresa come un vero attore sociale (che dunque deve comportarsi come tale, ovvero “responsabilmente”) al pari dell’individuo, del nucleo familiare, delle istituzioni, eccetera.Come coniugare il paradigma di un mercato capitalistico con il concetto di bene comune? Per usare le parole di Stefano Zamagni (2007), ai suoi inizi l’economia di mercato si caratterizzava come economia dal valore civile, in cui ai principi di scambio di valore e redistributivo si associava il principio di reciprocità. Fu con l’avvento dell’economia capitalistica che il principio di reciprocità venne abbandonato e con esso cadde anche l’interesse verso il bene comune. “Nel bene comune – scrive Zamagni – il vantaggio che ciascuno trae per il fatto di far parte di una certa comunità non può essere scisso dal vantaggio che pure altri ne traggono. L’interesse di ognuno si realizza assieme a quello degli altri non contro né a prescindere”. Zamagni apre la strada allo sviluppo dell’economia del bene comune, in cui l’impresa ha senza dubbio un ruolo rilevante.Lo scorso anno, Christian Felber compie un ulteriore passo avanti con la pubblicazione del saggio “Nuovi valori per l’economia”, che dà il passo a una piccola rivoluzione. Felber, che nei primi giorni di giugno è stato ospite al Festival Dell’Economia di Trento, teorizza un nuovo modello economico, denominato Gemeinwohl-Oekonomie, ovvero “economia del bene comune”, che supera il capitalismo e tenta di indicare un nuovo paradigma che passi attraverso due attori chiave: le istituzioni e le imprese. Il modello proposto da Felber, sintetizzato in diciassette “azioni”, è idealmente suddividibile in due macro ambiti: una nuova concezione di economia e una nuova concezione di democrazia.Concentriamoci sul primo. L’economia del bene comune si basa sui valori fondamentali che portano alla riuscita delle relazioni interpersonali degli individui. Tradotto in termini di etica d’impresa: la corporate social responsibility non è altro che una “personal social responsibility” trasferita ad un soggetto organizzativamente più ampio: l’impresa, appunto. L’atteggiamento della stessa sul mercato non è più di concorrenza con  i peers, ma di cooperazione e partnership, per una crescita organica e omogenea. La rendicontazione di impresa non è solo economico finanziaria ma diviene volta alla misurazione del bilancio del bene comune (per l’impresa) e del prodotto interno del bene comune (per il sistema). Il profitto si trasforma da fine a mezzo ed è diretto soltanto al raggiungimento della nuova mission sociale. Attraverso un sistema di rating, le imprese virtuose vengono facilitate dallo Stato sul piano giuridico e fiscale, sia per avvantaggiare realtà che attuano best practice di sostenibilità (contestualmente penalizzando le aziende socialmente irresponsabili), sia al fine di agevolare l’ingresso nel mercato di start up e nuovi prodotti coerenti con tale visione, ovvero intrinsecamente a valore ambientale e sociale. Proprio perché il profitto è solo un mezzo, le imprese possono mirare al raggiungimento delle loro dimensioni ottimali, trascurando il mito della crescita costante. Nel caso di grandi imprese, deve essere ampliata la base decisionale (governance) ad attori attualmente esclusi, come dipendenti o altri stakeholder rilevanti, e viene ridotto l’orario di lavoro per liberare tempo alle attività relazionali e assistenziali delle persone, in tal modo sgravando il compito al sistema di welfare statale.Felber si spinge ancora oltre e arriva a teorizzare proprietà comuni democratiche, al servizio del bene comune e controllate dalla collettività, ovvero aziende a gestione comune nell’ambito dei servizi di base e della “previdenza esistenziale”, alcuni limiti alle differenze di reddito tra cittadini, e la Banca Democratica, controllata dalla collettività e non dal governo, che metta a disposizione solo servizi fondamentali. Il tutto, inserito in un sistema democratico partecipativo che prevede strumenti di democrazia diretta.Questa la visione dell’economia del bene comune di Felber, un mix tra buon senso, equità ed efficienza, etica d’impresa e utopia. Un modello visionario? Forse sì. Ma ci sono alcuni numeri che parlano chiaro. In un solo anno, oltre 700 aziende (prevalentemente di dimensioni piccole o medie) di 15 differenti Paesi hanno aderito al manifesto (oltre a 120 organizzazioni pubbliche e a 50 esponenti politici, per lo più con incarichi locali, ça va sans dire). Aderire al progetto comporta per ciascuna impresa la presentazione di un bilancio del bene comune, secondo le linee guida messe a punto dal gruppo di lavoro di Gemeinwohl-Oekonomie nella Matrice del Bene Comune. Una matrice che parte dai framework di reporting più comuni (come ad esempio il GRI) e si spinge fino a richiedere informazioni ad oggi estranee ai rapporti di sostenibilità, come ad esempio l’inclusione di criteri sociali ed ambientali nella scelta dei servizi finanziari/di investimento, la solidarietà con imprese partner attraverso la condivisione di know how per favorire una crescita del sistema, la cogestione dell’azienda con gli stakeholder. La matrice richiede trasparenza anche relativamente a “criteri negativi”, come ad esempio la produzione di prodotti ad obsolescenza programmata, la disparità salariale tra uomo e donna, i processi di delocalizzazione nonostante bilanci in attivo, la presenza di società figlie in paradisi fiscali.In conclusione, il modello di Felber è in sé per certi versi interessante (per quanto per alcuni aspetti attualmente inapplicabile) ma è soprattutto uno strumento utile a spostare il centro della riflessione che concerne l’etica d’impresa verso le opportunità offerte dalla congiuntura di questi anni (opportunità che Rio+20 potrà contribuire a consolidare): identificare un nuovo paradigma economico (e dunque nuovi modelli di business e di management delle imprese) che sappia rimettere al centro dell’attenzione il bene comune.




Gli studenti protestano su Facebook

“A tutti gli amici di Fb, l’appuntamento è per martedì alle ore 9 con l’okkupazione dei luoghi simbolo”. Che il linguaggio dei giovani fosse rapidamente cambiato non è una notizia. Lo è invece il fatto che la nuova generazione usi la Rete e i social network per unirsi e rivendicare i proprio diritti. Le occupazioni di piazze, stazioni e aeroporti in tutta Italia, avvenute contemporaneamente durante l’ultimo mese, in contrasto con la riforma dell’università, non sono state casuali. Ma il mezzo di comunicazione che ha legato i manifesti non è più l’sms come ai tempi dell’Onda, ma il web usato dai ragazzi per coordinare le loro proteste. Non le e-mail, giudicate troppo lente, ma la comunicazione in tempo reale dei social network. Facebook è il più importante, ma non l’unico strumento impiegato. Lo hanno usato i ricercatori della “Rete 29 aprile” saliti sul tetto della facoltà di architettura di Roma (quello dove sono arrivati politici di destra e sinistra aprendo di fatto una campagna elettorale). Il loro profilo Fb “piace” a più di 3 mila persone, e molti giovani li hanno raggiunti in piazza Fontanella Borghese dopo aver letto il loro diario su internet. “Ci siamo tenuti in contatto col mondo grazie agli smartphone che ci permettevano di essere on line anche dal tetto”, racconta Massimo Tabusi, uno dei coordinati della protesta. E un piano sotto all’interno della facoltà occupi, il collegamento con gli altri ricercatori mobilitati avveniva via Skype. L’unione degli studenti ha esaurito i 5 mila amici del proprio profilo e ha aperto una pagina fan che piace a più di 6 mila persone. Altri 4 mila contatti sono quelli della pagina Facebook di “Link, coordinamento universitario”. Con un post , gli animatori delle proteste riescono a raggiungere in un batter di ciglia più di 20 mila persone in tutto il Paese. E anche all’estero dove è nato un gruppo di sostenitori che hanno diffuso video di solidarietà ai giovani rimasti in Italia. Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, ha capito attraverso quali canali stava passando la comunicazione degli studenti e ha usato YouTube per rispondere alla protesta, con un video che ha ottenuto più di 150mila visualizzazione. Durante le manifestazioni, il coordinamento che ha tenuto unite le proteste è passato di nuovo da internet. Ma questa volta attraverso le web radio degli atenei, che si sono unite in un unico network. Radio Bue, emittente dell’università di Padova, è stata la capofila. “Avevamo fatto un’esperienza simile dopo il terremoto dell’Aquila e anche un’iniziativa contro le mafie”, racconta Gioia Lovison, responsabile della stazione padovana che prende nome da Palazzo Bo’ dove ha sede l’ateneo. “Il giorno dei cortei nazionali, che hanno portato i manifestanti fino davanti alla Camera, abbiamo fatto una diretta collegati con 16 manifestazioni da nord a sud del Paese. Nel corteo romani, per Radio Sapienza, c’era Claudia Vivo. “Siamo quasi 10 mila”, ha raccontato Claudia ai microfoni di Radio Bue, “e altri ne arriveranno”. Soprattutto grazie al tam tam, che per la prima volta dal 1968 avviene in tempo reale, in Rete.
 




LE BUGIE NEI MESSAGGI PUBBLICITARI DI SOMATOLINE COSTANO 490 MILA DI MULTA ALLA MANETTI-H.ROBERTS

L’importo della sanzione è stato deciso dall’Antitrust  per i messaggi pubblicitari ingannevoli di quattro creme della linea Somatoline Cosmetic.
La notizia è stata ignorata dai media nazionali anche se la multa è quasi un record e le pubblicità riguardano cosmetici molto noti alle signore. Purtroppo in Italia quando una società investe milioni di euro in pubblicità e viene pizzicata dall’Antitrust, quasi tutti i media ignorano la notizia,  per non rischiare di essere esclusi dai piani di investimento. Le multe riguardano quattro prodotti: SomatolineTrattamento Gel Snellente Total Body (100 mila €), Somatoline Trattamento Snellente Intensivo Notte (120 mila €),Somatoline Trattamento Solare Snellente (120 mila €) e Somatoline Trattamento Pancia e Fianchi (150 mila €). Le multe sono pesanti ,ma anche le bugie dei messaggi dimostrano la volontà di prendere in giro i consumatori e di approfittare dello stato di difficoltà delle persone  afflitte da problemi estetici che danno  credito a proposte  presentate  come innovative.
Trattamento Gel Snellente Total Body ( multa  100 mila €)
Il messaggio sui giornali  (vedi a lato) promette di  “snellire fino al 37% in 4 settimane (*)” assicurando un rimodellamento del corpo  senza perdita di peso. Questi miracolosi risultati sono confermati da “Test condotti su 25 soggetti“. Il  sito internet e l’etichetta propongono gli stessi temi, precisando  l’elenco dei componenti della nuova sostanza. Si tratta del Biosculptcomplex a base di da carnitina, cacao e kilegia africana.
(*) Questo dato è ingannevole perchè i valori medi di snellimento ottenuti dalla sperimentazione eseguita dalla stessa società in laboratorio oscillano dal 16% e 19%.
Trattamento Snellente Intensivo Notte ( multa  120 mila €)
Lo spot televisivo mostra una donna mentre dorme e una voce che  spiega come sia possibile “Snellire dormendo? Perdendo sino al fino al 33% riducendo lo spessore del pannicolo adiposo, rimodellando il corpo senza perdere peso (*). Il messaggio sui giornali ( vedi lato) precisa che per ottenere i risultati sono necessarie 2 settimane e assicura i lettori citando test condotti su  25 persone. L’etichetta propone gli stessi temi aggiungendo l’elenco  dei componenti della nuova sostanza. Si tratta del BioUltraslim-complex a base di alghe brune e di burro di karatè. Nel sito internet si dice che “con altre 2 settimane […] si raggiunge un’efficacia snellente fino al 42% (valore medio 24%)” (*)(*).
(*) Questo dato è ingannevole perché secondo i documenti forniti dalla stessa azienda nelle prove in laboratorio, il valore medio ecografico di riduzione del pannicolo adiposo è del 15% sui fianchi,e del 9% per la coscia.
(*)(*) Questo dato è ingannevole perché secondo i dati forniti dalla stessa azienda nelle prove condotte in laboratorio il 42%  riguarda solo 1 soggetto su 25.
Trattamento Solare Snellente (multa  120 mila €)
Il messaggio sui giornali (vedi a lato) promette di snellire il corpo sino al 24% (*) in 2 settimane mentre protegge dai raggi solari”, e di rimodellare il corpo senza perdita di peso. Il risultato è assicurato da un Test clinico strumentale condotto  su 25 soggetti. Il risultato è reso possibile dal nuovo ritrovato  Bioslim-complex a base di caffeina ed escina, che favoriscono la mobilitazione del grasso superficiale localizzato e il drenaggio dei liquidi. Nel sito internet si precisa che la crema “tonifica e rassoda i tessuti del 21% dopo 2 settimane di applicazione.
(*) Questo dato è  ingannevole perché secondo i dati forniti dalla stessa azienda nelle prove condotte in laboratorio,  si tratta di un valore massimo ottenuto da un soggetto su 25, mentre il valore medio varia dal 15% al 19%.
Trattamento Pancia e Fianchi (multa  150 mila €)
Il  messaggio sui giornali (vedi a lato) promette di  ridurre fino a 4 cm in 4 settimane (*) senza perdita di peso. Il risultato è assicurato daTest clinico-strumentali condotti su 24 persone misurando la riduzione della circonferenza girovita e fianchi. L’azione rimodellante, non comporta perdita di peso”. Questa volta il complesso che agisce è ilBioredux-Complex composto da microparticelle naturali di alghe marine e principi attivi cosmetici arricchito con gemme di fico microincapsulato. il sito internet www.somatolinecosmetic.it precisa che “snellisce la silhouette in 4 settimane nel 75% dei casi e rimodella visibilmente il profilo nel 100% dei casi”.
(*) Questo dato è  ingannevole perché secondo i dati forniti dalla stessa azienda nelle prove condotte in laboratorio si tratta di un valore massimo riscontrato in 4 soggetti su 28 rispetto al girovita e in 3 soggetti su 28 per i fianchi.
L’Antitrust ha utilizzato come consulenti i medici dell’Ifo (Istituti fisioterapici ospitalieri) di Roma che hanno espresso perplessità sui metodi seguiti nei test clinici condotti perché  manca un gruppo di persone di rifermento che utilizza una crema placebo o un altro prodotto per confrontare i risultati. Nei messaggi non si dice che gli effetti snellenti sono s correlati all’uso dei prodotti e che la crema dopo un certo numero di settimane non produce ulteriori benefici. La pubblicità tende inoltre a presentare lo snellimento come un risultato facile da raggiungere in poche settimane, e a considderarre questo risultato consolidato una volta conseguito, inducendo in errore il consumatore. Nei messaggi si parla sempre di sostanze nuove come Bioredux-Complex, Bioslim-complex, BioUltraslim-complex… ma non è vero  perchè  sono ampiamente conosciute e utilizzate  da anni . La multa per il prodotto Somatoline Trattamento Pancia e Fianchi è superiore perché è gia stato censurato nel 2006 un’altra volta dall’Antitrust e ha pagato una multa di 31 mila euro.

La multa è importante ma va rapportata ai 260 miloni € di utili ricavati l’anno scorso  dalla società.




Un nuovo concetto di valore, oltre il Pil e il profitto

C’è una “creazione di valore” che non è rispecchiata dalle misure tradizionali. La constatazione vale per i sistemi macroeconomici, ma anche per le imprese. Se n’è discusso alla Bocconi, in un convegno aperto dal premio Nobel Amartya Sen, con una tavola rotonda moderata da Severgnini, alla quale hanno partecipato Bonino, Cucchiaini, Illy e Segrè. Spunto di dibattito, uno studio che per la prima volta mette in relazione le iniziative per “andare oltre il Pil” e le nuove strategie aziendali attente alla sostenibilità e alla responsabilità sociale. E’ difficile per ora misurare i risultati per le imprese, ma la linea di tendenza è certamente importante.
La “creazione di valore” rispecchia la ricchezza prodotta dall’attività di un soggetto. Semplificando, possiamo dire che il concetto di “valore aggiunto” è alla base del calcolo del Prodotto interno lordo (Pil) di una nazione, ma anche dei profitti d’impresa, perché si ricava detraendo dal fatturato i beni e servizi esterni necessari alla produzione.
È solo questo il “valore”? O c’è anche una creazione di valore che non è espressa dal calcolo del Pil? I lavori in corso in tutto il mondo e testimoniati anche da questo blog lo dimostrano. Ma questo principio vale anche a livello aziendale? C’è insomma un “valore” misurabile, espresso dalla sostenibilità delle attività d’impresa e dal grado di soddisfazione che la stessa impresa offre a tutti gli stakeholder, cioè a tutti quelli che detengono un interesse nelle sue attività (dipendenti, clienti, abitanti delle aree con insediamenti produttivi, per citarne alcuni) e non solo dalla remunerazione degli shareholder, gli azionisti che legittimamente si aspettano di ricavare un profitto dal loro investimento? E questo valore alla lunga garantisce un miglior futuro alle aziende stesse?
Insomma, da “oltre il Pil” a “oltre il profitto”, non certo per negare l’importanza dell’uno o dell’altro nei meccanismi economici, ma per esplorare quali altri “valori” sono importanti per i soggetti collettivi. Su questo tema si è discusso il 10 maggio in un convegno organizzato da CReSV (Centro di Ricerche su Sostenibilità e Valore dell’Università Bocconi), Fondazione Ernesto Illy, Centromarca e Corriere della Sera. La registrazione dell’intero evento si può trovare sul sito della Fondazione Illy, su You Tube e su Radio Radicale.
La lucida analisi dell’ospite d’onore, il Premio Nobel Amartya Sen, sugli errori della politica monetaria europea, ha polarizzato il dibattito tra la vicepresidente del Senato Emma Bonino, il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo Enrico Cucchiani, il presidente di Illycaffè Andrea Illy e il preside della facoltà di Agraria della Università di Bologna Andrea Segrè, moderato con la consueta vivacità e intelligenza dal giornalista del Corriere Beppe Severgnini.
Lo spunto di discussione era offerto dallo studio di Emanuele Teti e Francesco Perrini: “Sustainable value creation: from a country to a corporate perspective”,  illustrato in apertura di riunione da Perrini che è direttore del Cresv. Dello studio, edito da Egea, è scaricabile gratuitamente soltanto la prefazione e l’indice e anche le slide usate da Perrini non ci sembra che siano disponibili on line.
L’aspetto più interessante del volume ci sembra proprio il tentativo di effettuare una saldatura concettuale tra i tentativi di trovare misure “oltre il Pil”, tentativi che hanno al centro un nuovo concetto di valore legato al benessere e una nuova attenzione alla sostenibilità globale, ed nuova definizione di “creazione di valore” a livello aziendale, sostanzialmente attraverso politiche di responsabilità sociale (corporate social responsibility, Csr) che non si limitino a operazioni d’immagine ma incidano sulla sostanza dei comportamenti aziendali.
Lo studio ha anche cercato di misurare gli effetti delle politiche di sostenibilità e di responsabilità sociale sul valore delle aziende, rispecchiato dalla loro profittabilità e quindi anche dal valore dei loro titoli azionari. Onestamente riconosce che i risultati non sono chiari, perché la crisi economica “fa sì che gran parte dell’intera comunità di investitori preferisca l’approccio del valore a breve ternmine, attraverso la massimizzazione del cash flow ottenuta con tutte i possibili tagli dei costi”. Insomma le imprese hanno bisogno di strategie a medio termine improntate alla sostenibilità e alla responsabilità sociale, ma il mercato ancora non valorizza queste scelte.
E’ però significativo che in una sede di prestigio e cultura aziendale come la Bocconi si discuta di queste strategie. Saranno sufficienti queste politiche per affrontare la crisi globale? E quanto è urgente una inversione di rotta? La domanda è la stessa che è al centro del nostro libro “2030 – La tempesta perfetta”. Le risposte variano: certamente più ottimiste quelle di Illy, che come altri (si veda il precedente post) confida negli apporti della tecnologia; molto preoccupate quelle di Segrè che in un recente libro (“Economia a colori”) si batte per mettere l’ecologia al centro dell’attenzione politica; molto attente alle esigenze e ai problemi di crescita sostenibile quella di Cucchiani. Una sfida nella quale il ruolo dell’Europa sarà comunque fondamentale, come ha sottolineato Emma Bonino, che con altri leader, tra i quali Giuliano Amato e Romano Prodi, ha firmato di recente un appello per il rilancio di una politica europea adeguata al momento che stiamo attraversando.
http://www.egeaonline.it/editore/catalogo/sustainable-value-creation-from-a-country-to-a-corporate-perspectives.aspx