Progetto “WebCam”

Un ulteriore evoluzione degli strumenti per la rendicontazione delle imprese: dalla “voce narrante”alla costruzione condivisa del messaggio.

In una Sua recente riflessione su “Business”, Toni Muzi Falconi[1] richiamava all’attenzione dei lettori le caratteristiche della “rendicontazione organizzativa” nelle aziende (“Corporate storytelling”). L’impresa oggi si relaziona con pubblici molto diversi fra loro: “tradizionalmente – ricorda Muzi Falconi – i consumatori hanno rappresentato il terreno prediletto della sua comunicazione, per la semplice ragione che soltanto un’attività push di informazione sui prodotti e servizi poteva indurre le persone alla consapevolezza dell’esistenza di questi e stimolare all’acquisto. Ma oggi, a fianco dei consumatori, hanno assunto un ruolo fondamentale anche i dipendenti, gli investitori, i regolatori pubblici, i fornitori, le comunità locali e altri ancora, e ciascuno di questi intrattiene relazioni con l’azienda attraverso i canali più diversi”.

E’ quindi del tutto naturale che si producano narrative differenziate nei contenuti, nella forma, e negli strumenti utilizzati per dialogare con i propri pubblici di riferimento. D’altra parte, banale ricordarlo, la mappatura degli stakeholders dovrebbe essere propedeutica non solo alla rendicontazione nel bilancio sociale, bensì alla strutturazione di strategie di comunicazione e soprattutto di dialogo personalizzate con tutti i pubblici coinvolti. Da anni suggerisco ai Clienti di strutturare siti web multicanale, per avviare dinamiche di dialogo ad hoc con riguardo alle identità, caratteristiche e aspettative dei vari stakeholder.

Un ulteriore passo in avanti l’abbiamo fatto – dopo l’elaborazione delle necessarie basi teoriche[2] – con la creazione dell’innovativa mappa degli stakeholder su assi cartesiani a quadranti, che permette di abbandonare una procedura per la definizione della posizione dei pubblici sulle mappe meramente empirica, basata solo sull’osservazione dei consulenti e sulle attività di audit, passando ad una procedura basata su criteri scientifici e più oggettivi[3].

Con Luca Yuri Toselli, l’uomo che alcuni chiamano il mio “cervello di back-up”, abbiamo poi alcuni mesi fa stimolato un’azienda Cliente ad aprirsi ulteriormente in direzione della trasparenza di processo e della condivisione non solo dei valori ma anche degli strumenti utilizzati per raccontarli.

Abbiamo quindi pubblicato la bozza di bilancio sociale dell’azienda in un apposito spazio web, aperto alla consultazione e soprattutto all’interazione con tutti i pubblici di riferimento dell’azienda. La versione definitiva successivamente stampata – su DVD, per risparmiare in termini di impatto ambientale – è stata quindi il frutto di queste “contaminazioni”, in linea con la nostra visione della teoria della CSR: l’azienda non fa CSR, ma è la propria CSR, e – se assumiamo come vera una totale coincidenza e sovrapposizione d’interessi tra l’impresa ed i suoi pubblici – l’atto di rendicontazione non può più avere alcun senso se predisposto dalla sola azienda al netto degli stakeholder, in modo unidirezionale. L’atto deve necessariamente essere “corale”, scritto a più mani con gli stakeholders, e condiviso con essi dalla stesura della prima parola sul foglio bianco di word.

Per queste ragioni, siamo inevitabilmente approdati ad uno step ancora successivo: abbiamo predisposto un articolato “cruscotto di indicatori dinamici” che – muovendo i passi dall’edizione del bilancio sociale anno 2010 – si sta andando ad arricchire di dati, tabelle, informazioni, e soprattutto storie, in un percorso lungo un anno, condiviso in totale trasparenza e di fatto “costruito” assieme a tutti i reparti aziendali e a tutti i soggetti che costituiscono la rete neurale aziendale. Nasce così il primo bilancio sociale “in tempo reale” mai pubblicato, che è anche di per se un metodo di stakeholder engagement in grado di trasformare i pubblici in elemento strategico per la definizione in comanagement della CSR aziendale.

Anche la scelta dell’icona del progetto è stata un’occasione utile di confronto e di discussione: inizialmente pensavamo di evidenziare mediante il simbolo il valore immateriale della “trasparenza”. Sull’onda lunga dell’emozione generata dal 2.0 e dal concetto di “casa di vetro”, pensavamo quindi al ghiaccio, o ad una distesa d’acqua cristallina.

Ma, di nuovo, a noi pareva un approccio ormai obsoleto, un qualcosa del tipo “siamo aperti e trasparenti, se volete potete leggerci dentro”. Meglio di niente, ma puntavamo a qualcosa di ancora differente, volevamo fare un altro piccolo passo in più: enfatizzare il ruolo di “Grande Fratello” che con questo progetto riconoscevamo ai nostri stakeholder, parte di noi, ma anche soggetti “indagatori” dell’intimo dell’impresa.

Abbiamo quindi scelto come nome del progetto il neologismo “Web-Cam”, che richiama subito alla mente l’impossibilità di sottrarsi ai giudizi sul nostro modo di vivere il tempo e lo spazio da parte di soggetti “altri”, o di altre parti della poliedrica identità di ognuno di noi, parti per troppo tempo relegate al ruolo di semplici spettatori e fruitori di messaggi preconfezionati, e in linea con questo concetto come simbolo abbiamo scelto un simpatico pupazzone a forma di occhio, con la pupilla dilatata e una grande lente d’ingrandimento in mano. Il che, tradotto dalla simbologia alla narrazione, per noi significa: non siamo solamente pronti a farci guardare dentro, ma ti invitiamo a farlo, ti riconosciamo il diritto di farlo, e ti diamo anche gli strumenti per farlo con efficacia.

Chiaramente tutto ciò implica la disponibilità dell’imprenditore a mettersi veramente in gioco, al di la delle parole, della propaganda e del greenwashing. Per fortuna un’azienda italiana a forte carattere di innovazione ha già accettato la sfida4 : vi terremo al corrente degli sviluppi.

A quando però un approccio veramente 2.0 da parte dei grandi gruppi? Perché per conoscere la produzione di automobili uscite dagli stabilimenti di una casa automobilistica questa settimana devo necessariamente contattare l’ufficio stampa del gruppo? Perché non posso saperlo, ora, senza mediazioni, connettendomi on-line e seguendo il filo di una “storia” che l’azienda mi racconta istante per istante, magari dando un mio contributo di idee su come vorrei che questa storia mi venisse raccontata?

Una nuova sfida in termini di condivisione, sia per i committenti che per noi relatori pubblici e comunicatori, che dovremo interpretarla.

Un approccio del genere, quasi totalmente disintermediato, renderà superfluo il nostro contributo professionale? Non penso, ci porterà casomai ad affinare i nostri strumenti, obbligandoci a fornire servizi a sempre più alto valore aggiunto. Che è poi il senso – da sempre – della nostra bellissima professione.

 

[1] uno dei “padri” delle RP italiane, Past-President della Federazione Relazioni Pubbliche Italiana, esperto di relazioni pubbliche di livello internazionale, Past President della Global Alliance for Public Relations and Communication Management e attualmente consigliere speciale del Presidente, Docente di Global Relations and Intercultural Communication alla New York University e Docente di Relazioni Pubbliche alla Università LUMSA di Roma

[2] saggio “Reti neurali complesse: nuovi strumenti per la CSR”, pubblicato su Ferpi News all’indirizzo internet http://www.ferpi.it/ferpi/novita/notizie_rp/management/nuovi-strumenti-per-la-csr/notizia_rp/39019/8

[3] saggio “Una nuova mappatura degli stakeholder: strumenti innovativi per una raffigurazione delle relazioni tra un’azienda e i suoi pubblici”, pubblicato su Ferpi News all’indirizzo internet http://www.ferpi.it/ferpi/novita/notizie_ferpi/notizie_ferpi/strumenti-innovativi-per-la-mappatura-deglistakeholder/notizia_ferpi/42422/11

 


Rp autentiche

Alcune riflessioni sull’autenticità nelle relazioni pubbliche.
Una delle keyword che nella nostra professione sentiamo pronunciare con sempre maggior insistenza è “autenticità”. Tra le molte recenti discussioni su questo tema ricordo l’intrigante momento di confronto pubblico organizzato da Piero Vecchiato ([1]) a Padova nel giugno scorso: come dicevamo in quella sede con i colleghi, quella delle relazioni pubbliche è oggi una professione che assume contorni nuovi, da quando la rivoluzione digitale ha imposto a tutti di esporsi e di rendere visibile ciò che prima – per arroganza, incompetenza o semplice pigrizia – era invece tenuto nascosto. La multicanalità delle fonti, l’escalation nell’utilizzo del web, la sensibilità verso la reputazione, e una crescente disintermediazione tra aziende e utenti finali, con un più facile e diretto accesso alle fonti per la verifica delle informazioni, sono gli ingredienti fondamentali di un nuovo modo di fare comunicazione e informazione: spetta proprio al relatore pubblico garantire autenticità su ciò che si comunica e sul “come” si comunica.
Inoltre, l’autenticità sta entrando sempre più marcatamente del DNA delle imprese: i riscontri di efficacia facilitano una penetrazione più marcata nelle organizzazioni in termini di consapevolezza, e quindi l’autenticità passa da semplice “modo di fare” a vero e proprio “modo di essere”.
Tutto quanto ho esposto è immagino condiviso – perlomeno in astratto – dalla maggior parte dei colleghi: ma in quale misura riusciamo poi ad essere realmente coerenti con questo per certi versi innovativo paradigma di lavoro, che – se sinceramente “sentito” – tende a diventare poi anche un paradigma di vita?
Die Zeit, l’autorevole settimanale tedesco fondato nel 1946, ha pubblicato nel primo numero di settembre 2011 un’inchiesta dal titolo “Reichtum Verpflichtet” (“Obbligo di ricchezza”), indagando l’ipotesi di aumento delle tasse a carico dei super ricchi al fine di sostenere l’amministrazione dello Stato nell’impegno per uscire dalla crisi mondiale attualmente in corso, sull’onda lunga della provocazione lanciata in tal senso dal magnate americano Warren Buffet sul “New York Times” e ripresa poi la settimana successiva da un gruppo di grandi imprenditori francesi su “Le Nouvel Obstervateur”. Anche molti benestanti tedeschi hanno plaudito alla presa di posizione “solidale” dei colleghi miliardari americani e francesi. Tuttavia – alla prova dei fatti – vari top-manager e azionisti di maggioranza di grandi gruppi, raggiunti da Wolfang Uchatius, il redattore del Zeit, hanno per il tramite dei rispettivi uffici stampa assunto posizioni ambigue su questo tema di stringente attualità. Martin Winterkorn, Presidente del CdA Volkwagen, ha dichiarato di “non voler rilasciare dichiarazioni sull’argomento”. Dieter Bohlen, produttore musicale molto noto in Germania, ha detto di “non avere tempo per esaminare la questione”. Martin Blessing, a capo della Commerzbank, ha detto di “non voler prendere posizione”. Arend Oetket, proprietario della multinazionale delle marmellate “Hero”, ha detto di “non voler rispondere alla domanda”. Kurt Bock, Presidente del colosso chimico BASF, ha fatto sapere – notate il paradosso! – “di non essere raggiungibile”. Markus Mìele, patron dell’omonima azienda di cucine d’alta gamma, ha informato di “non sentire l’esigenza di prendere posizione su temi di questo tipo”. Peter Loscher, Presidente del gruppo Siemens, ha detto di “non potersi esprimere a causa dello scarso preavviso”. Unica risposta “autentica”, ovvero non distonica rispetto alle aspettative, pare essere quella di Gerard Sturm, fondatore di EBM, primo produttore mondiale di ventilatori: “Se ha senso, cioè se serve a far progredire la nostra società, sono certamente pronto ad accettare in via temporanea un’aliquota fiscale maggiore”. Da notare che anche una risposta di segno diametralmente opposto sarebbe apparsa accettabile: l’autenticità prima ancora che un problema di merito è un problema di metodo, ha a che fare con la coerenza, non certamente – o non esclusivamente – con la sensibilità politica o sociale.
Un’altra case-history d’interesse sotto il profilo della scarsa autenticità – perlomeno “percepita” – è quella riguardante una mia inchiesta giornalistica sul recente caso di Crisis internazionale che ha coinvolto la multinazionale dell’omeopatia Boiron, approfondimento da me svolto su incarico del network radiofonico statale australiano “SBS”, e in parte ripreso in un articolo pubblicato su questo stesso sito ([2]). All’interno dell’articolo, che era un’analisi tecnica sulle modalità di gestione di una grave crisi reputazionale, in un passaggio richiamavo il parere di un blogger, il quale segnalava come un’analoga issue era stata gestita con modalità differenti – e più efficaci – da una concorrente diretta di Boiron, Guna, azienda leader del settore medicine naturali in Italia. Trattandosi di un pezzo di taglio giornalistico, non sono stato sufficientemente “autentico” da segnalare che – pur non avendo alcun rapporto di dipendenza con Guna, e pur non gestendo per loro l’ufficio stampa – ho seguito per loro conto progetti di charity e strategie di responsabilità sociale d’impresa. Come riconosciuto da lettori di questo sito la citazione “a favore” di Guna non modificava in alcun modo i termini dell’analisi critica fatta su Boiron: ma perché non dichiarare subito con una nota a margine dell’articolo il – perlomeno potenziale – conflitto d’interessi? Ecco quindi un esempio di come la tanto sbandierata “autenticità” può rapidamente finire in un cassetto, quando a doverla applicare nel concreto siamo noi stessi in prima persona.
Un terzo e ultimo caso d’interesse, di segno opposto: l’intervista pubblicata – a mia firma, su questa stessa piattaforma – su Milena Cavalli, la famosa “accompagnatrice” di livello nazionale ed internazionale che ha strutturato il proprio sito web e il proprio approccio alla clientela – forse del tutto intuitivamente – in chiave per certi versi “2.0” ([3]). Un articolo “leggero”, non volgare ma intrigante, adatto al periodo estivo: un’analisi tecnica utile a mio avviso per riflettere sull’ “universale efficacia” di certe strategie relazionali. Il pezzo non è stato pubblicato in quanto pare non sarebbe stato in sintonia con la linea editoriale del sito, forse per riflessioni in ordine all’opportunità di affrontare un argomento – quello delle “escort” – in questo periodo sulle prime – e seconde, e terze… – pagine dei giornali un giorno si e l’altro anche. Traendo però spunto da questo trascurabile episodio, per il quale non ho di per se alcuna attenzione, ho approfondito per mia curiosità personale le modalità di gestione di questo tipo di situazione da parte dell’Associazione: la nostra organizzazione si è mai trovata implicata in situazioni potenzialmente “poco autentiche”? Se un elemento di vertice di Ferpi ha come cliente un’istituzione pubblica, sarà lecito o no pubblicare un articolo di critica a detta istituzione? Se un membro del nostro Direttivo gestisce le RP per una grande azienda, il sito potrà o non potrà ospitare riflessioni critiche su di essa? Ebbene, fermo l’intoccabile diritto al contraddittorio, personalmente non chiederei mai di rimuovere – o addirittura di non pubblicare – un articolo che ponga in discussione l’operato di un’azienda mia Cliente, in quanto parto dall’assunto che le critiche vanno governate e non soffocate o tacitate. Sarebbe auspicabile quindi a mio avviso che Ferpi dotasse la redazione del proprio principale organo d’informazione di un codice morale condiviso che regoli questo genere di situazioni, anche per evitare di lasciare il peso di certe decisioni “critiche” solo sulle spalle del collega che – con impegno e competenza – si occupa della gestione del sito.
Senza sterile spirito polemico, sono convinto che sia proprio la nostra categoria, di comunicatori e relatori pubblici, ad essere la prima a doversi interrogare su questi temi sensibili. Siamo pronti a farlo con la dovuta trasparenza e “autenticità”?
 
[1] http://www.ferpi.it/ferpi/novita/notizie_rp/eventi/una-nuova-autenticit-nel-dna-dei-professionisti-di-rp- /notizia_rp/42942/4
[2] http://www.ferpi.it/ferpi/novita/notizie_rp/corporate/gestire-le-crisi-online-il-casoboironblogzero/notizia_rp/43194/3
[3] il pezzo, dal titolo evocativo “Geisha 2.0”, è stato poi pubblicato sulla mia newsletter Creatoridifuturo.it, ed è ora disponibile per download sul mio sito personale all’indirizzo internet http://www.lucapoma.info/archive/Geisha%202.0.pdf


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I dieci anni amari della Responsabilità d’impresa
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