I Big Data, negli ultimi anni, hanno rivestito un ruolo sempre più centrale nella strategia aziendale, grazie alla possibilità di collegare tra loro una grande mole di informazioni e, così, prendere decisioni consapevoli guidate dai dati e anticipare il futuro.
Tuttavia, più recentemente, anche i cosiddetti Small Data sono diventati decisivi per le aziende, dal momento che queste nuove informazioni possono consentire di raggiungere performance ancora migliori. Si tratta di un approccio radicalmente diverso, che pone l’attenzione sulla componente umana, divenuta sempre più centrale nella società odierna, anche alla luce della pandemia di Covid-19 che ha ridefinito stili di vita e abitudini.
Dal momento che le strategie di marketing dei brand, ancor più al giorno d’oggi, devono essere focalizzate sulle persone, e non su un target generico e astratto, è fondamentale conoscere nel dettaglio cosa sono e come funzionano gli Small Data. In particolare, bisogna sapere in maniera specifica in cosa gli Small Data si differenziano dai Big Data, cosa possono raccontare sui bisogni e sugli interessi dei consumatori e poi, in definitiva, quale contributo particolare riescono a fornire alle aziende che decidono di utilizzarli.
Cosa sono gli Small Data
Martin Lindstrom, esperto di branding e neuromarketing, ha definito gli Small Data, in maniera sintetica ma efficace, come “i piccoli indizi che svelano i grandi trend”. A livello più pratico il concetto di Small Data fa riferimento a tutta una serie di dati individuali e unici relativi a singole persone, nello specifico abitudini e azioni più o meno consapevoli che le persone compiono nella loro vita quotidiana (anche e soprattutto privata).
Se osservati e analizzati, tutti questi comportamenti particolari possono costituire in ottica aziendale informazioni rilevanti sulle emozioni, sui bisogni e sugli interessi dei potenziali consumatori, consentendo di integrarle con strategie di marketing emozionale.
Che differenza c’è tra Small Data e Big Data
Abbiamo appena sottolineato che gli Small Data sono informazioni individuali, cioè relative alle singole persone e alla loro sfera privata. Il focus, in questo particolare approccio, è incentrato proprio sull’osservazione di queste azioni, anche quelle apparentemente più insignificanti, ma che, come già sottolineato, possono fornire informazioni molto preziose per le aziende.
I Big Data, invece, sono un insieme di dati caratterizzati da elevati volume, velocità e varietà, che possono essere raccolti, analizzati, elaborati e gestiti solo attraverso particolari e innovative tecnologie e che sono in grado di rendere possibili previsioni e decisioni data-driven, cioè guidate dai dati.
Una delle principali differenze tra Small Data e Big Data risiede, quindi, nella possibilità di entrare in possesso di questi dati di natura diversa e nelle modalità attraverso cui è possibile farlo. Mentre per raccogliere e gestire i Big Data sono necessarie, infatti, particolari ed elaborate strumentazioni, chiunque, trasformandosi in una sorta di “detective-psicologo”, può teoricamente entrare in possesso degli Small Data, anche attraverso una semplice visita in casa del potenziale consumatore.
La strategia di raccolta degli Small Data, chiamata “Subtext Research” (in italiano traducibile come “Ricerca dei messaggi impliciti”), prevede, tra le varie modalità, proprio di visitare le abitazioni dei consumatori per capire le loro abitudini private e metterle in relazione agli obiettivi strategici aziendali. Non solo: anche i social network e, in generale, la Rete rappresentano una preziosa fonte di Small Data. Entreremo nel vivo della questione a breve.
Prima, infatti, è necessario sottolineare un’altra grande differenza tra Small Data e Big Data, che abbiamo già avuto modo di accennare: si tratta della componente umana ed emozionale. Il rischio dei Big Data, infatti, è quello di trattare le persone solo come potenziali clienti, limitandosi all’analisi delle loro azioni senza interrogarsi sul perché e senza stimolare riflessioni più accurate sui loro bisogni, desideri ed emozioni o su eventuali bias cognitivi.
Chi si occupa di Small Data, invece, ritiene questi tre aspetti, anche quelli che a una prima e isolata analisi possono apparire meno significativi, fondamentali per la comprensione della realtà e, quindi, alla base delle successive decisioni strategiche dell’azienda.
Avere più informazioni a disposizione non si traduce necessariamente con una maggiore conoscenza. Il rischio di generare confusione, se non si padroneggia la questione e, nello specifico, se non si conoscono le precise domande da porsi, è alto. Meno informazioni, ma più precise e mirate su un target ben definito, di cui è possibile scoprire i pensieri e le emozioni, possono risolvere in maniera migliore e più rapida gli interrogativi cruciali per le aziende.
Come funzionano gli Small Data
Abbiamo già avuto modo di sottolineare che il miglior contesto per osservare e studiare il comportamento delle persone è quello quotidiano, quindi la loro casa.
La strategia di chi si occupa di Small Data, per questo motivo, passa anche per l’osservazione del comportamento del singolo individuo nella sua abitazione, alla ricerca di indizi che possono provenire dalle situazioni e dagli oggetti più disparati, dalla busta dell’immondizia al frigorifero, passando per il pc. Proprio il comportamento degli utenti online, a partire dalla scelta della foto profilo, può fornire per esempio ulteriori preziose risposte ad alcuni interrogativi delle aziende, in relazione a ricordi, sentimenti e desideri.
Gli elementi ricercati da chi si occupa della raccolta degli Small Data sono quelli che accomunano diverse persone o, al contrario, quelli che svelano qualcosa di insolito e fuori contesto. Sono proprio questi ultimi elementi, infatti, a svelare quei pensieri e quelle emozioni non esplicitati dalle persone, che a volte sono anche inconsapevoli delle implicazioni psicologiche di alcuni loro gesti o abitudini.
In linea generale, difficilmente la semplice e singola analisi di un elemento può portare a conclusioni definitive. L’interpretazione congiunta di diversi dati, anche e soprattutto raccolti in situazioni differenti, può però spingere a formulare precise ipotesi sul comportamento delle persone e, quindi, condurre le aziende a prendere determinate decisioni strategiche sulla base di ciò.
Small Data e il metodo delle 7C di Lindstrom
Il principale teorico degli Small Data, Martin Lindstrom, ha definito un modello in sette passaggi per la raccolta e l’analisi di questi particolari dati. È partito da un presupposto: in tutto il mondo esistono non più di 500-1000 tipologie di persone diverse, il cui comportamento è influenzato principalmente da 4 fattori chiave, che sono il clima (cioè l’influenza dell’ambiente circostante sul comportamento e sulle abitudini dell’uomo), il governo, la religione e le tradizioni.
Il processo di ricerca degli Small Data si distingue, invece, in 4 fasi, cioè quella della già citata Subtext Research (la ricerca all’interno del contesto), che porta alla scoperta e identificazione degli Small Data, cioè di piccoli indizi che, attraverso il processo di Small Mining (durante il quale si collegano gli indizi trovati in precedenza), conducono alla creazione di un Concetto, ossia della soluzione dell’azienda.
Il modello delle 7C prevede i seguenti step:
- Collezionare;
- Clues, o “indizi”;
- Connettersi;
- Ricerca di una Causa;
- Correlazione;
- Compensazione;
- Concetto.
Nella prima fase (“Collezionare”), il ricercatore ha l’obiettivo di raccogliere il maggior numero di dati possibile, da diverse prospettive, al fine di distaccarsi dal contesto in cui è abituato a vivere e ragionare e, quindi, da tutti i suoi pregiudizi.
Il passo successivo (“Clues”) prevede che siano prese in esame le cose non dette, cioè gli elementi che riguardano più nel preciso la sfera più privata delle persone. “Connettersi” significa che, una volta scoperti e identificati gli Small Data, è necessario analizzare quanto raccolto nelle due precedenti fasi alla ricerca di punti in comune o di qualcosa che indirizzi in una direzione ben precisa. La “ricerca di una Causa” vede entrare nel vivo il processo di Small Mining, al fine di indagare le emozioni delle persone, a partire dai loro sogni fino ad arrivare alle loro paure.
La fase successiva è quella della “Correlazione”: durante questo passaggio diventa cruciale trovare il momento preciso in cui è emerso per la prima volta il comportamento/emozione della persona che il ricercatore sta indagando. Procedere alla “Compensazione” significa, sulla scia del lavoro fatto in precedenza, risalire al desiderio che è alla base del comportamento o dell’emozione della persona. A questo punto può nascere il “Concetto”, cioè l’idea vera e propria dell’azienda, finalmente in grado di fornire risposta al desiderio della persona.
Small Data vs Big Data: quali sono i vantaggi
L’utilizzo (anche) degli Small Data nella strategia di marketing di un’azienda offre nuove opportunità. Alcuni vantaggi sono stati già accennati, ma è doveroso affrontare in maniera più dettagliata le ragioni per cui questi dati sono così importanti, soprattutto in relazione ai punti di forza e di debolezza dei Big Data.
Innanzitutto, per ottenere informazioni rilevanti per il business di un’azienda dai Big Data sono necessarie competenze e tecnologie che, in molti casi, non sono nella disponibilità delle piccole aziende. Le strategie necessarie per raccogliere e analizzare gli Small Data sono, invece, meno strutturate e dispendiose.
I Big Data, poi, come già sottolineato, trascurano l’aspetto emozionale, fattore invece decisivo per comprendere la realtà e giungere a nuove interpretazioni e nuove idee. Questo è il vero punto di forza, al contrario, degli Small Data, che svelano i desideri e le paure dei consumatori, anche quelle che gli stessi consumatori sono più restii a raccontare. Dal momento che è proprio da queste emozioni che nascono i bisogni dei consumatori, grazie agli Small Data le aziende sono in grado di fornire risposte migliori alle nuove esigenze dei suoi clienti e impostare campagne data driven mirate.