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Adriano Olivetti: un secolo troppo presto

Con l’amico Federico Fioretto, ho partecipato oggi al seminario della Fondazione Bottari Lattes intitolato “La fabbrica al tempo di Adriano Olivetti”, momento di amarcord ma anche di riflessione profonda su quella che appare nel settore della grande industria come la più evidente occasione mancata del nostro paese.La fabbrica – per Adriano Olivetti – era al centro di un’idea di relazione con il territorio di straordinario valore: industria come “laboratorio” di idee innovative, con lavoratori intesi non solo come produttori di manufatti ma come uomini titolari di diritti, non esclusivamente quelli giustamente reclamati dai sindacati, ma quelli riconosciuti con atto monocratico – ma nel contempo profondamente democratico – da un imprenditore come mai più se ne sono visti in Italia.
Adriano Olivetti parlava di fabbrica come “produttrice di cultura e di sapienza”, intesa come sapere derivato – anche – dall’esperienza. I tecnici e ingegneri dell’azienda crearono già nel 1945 la prima calcolatrice scrivente al mondo, poi la prima macchina da scrivere elettronica al mondo, la ET 101, il primo Personal Computer – il Programma 101 – presentato alla Fiera di New York nel 1965, e successivamente uno dei primi veri computer portatili, l’M10, con alcuni programmi integrati e la capacità di collegarsi a computer remoti, soluzione estremamente innovativa per l’epoca.
Ma la Olivetti era – soprattutto – il primo e ancor’oggi ineguagliato laboratorio di Responsabilità Sociale d’Impresa, modello nel nostro paese e nel mondo intero. Scuole di formazione interne; borse di studio per i dipendenti desiderosi di continuare gli studi serali fino al diploma o alla laurea in qualunque materia; premi di produzione; asili nido aziendali per facilitare la conciliazione lavoro/famiglia; cura del territorio, dal quale traeva le risorse per il proprio successo d’impresa, riconoscendo il valore umano che era alla base delle sue intuizioni innovative e – di conseguenza – di una marginalità negli utili che oggi appare poco meno che incredibile, a conferma – ante litteram – che la CSR non è una pratica di charity o un mero strumento per le relazioni esterne, bensì un vero e proprio modello di business elevabile a dimensione strategica.
L’investimento di Olivetti – ricorda Fioretto, che è anche appassionato ricercatore di questa storia imprenditoriale unica – era anche in un’urbanistica d’avanguardia, dove la città diventava tessuto sociale nel quale i lavoratori e le loro famiglie potevano vivere una vita degna, gratificante, stimolante e di piena partecipazione al processo creativo e produttivo.
Olivetti – nella propria visione multistakeholder di azienda d’avanguardia socialmente responsabile, coinvolse nella vita quotidiana dell’azienda filosofi, psicologi – non dimentichiamo che in Olivetti è nata la moderna psicologia del lavoro – sociologi e giornalisti, uno tra tutti – troppo spesso dimenticato – Tiziano Terzani. Per Olivetti, lo sviluppo culturale della comunità era uno dei doveri di “restituzione” dell’azienda verso i suoi pubblici: resta ancora ineguagliata l’esperienza delle biblioteche e cineteche interne all’interno della fabbrica, dalle quali i lavoratori attingevano spesso e abbondantemente, ma aperte anche alla cittadinanza.
Ma vanno ricordati anche l’attenzione al recupero e all’inserimento in ruoli utili di chi veniva menomato da un incidente o da una malattia, la prima esperienza italiana di “scuola pubblica” con metodi pedagogici avanzatissimi, e la rete di trasporti aziendali che copriva “a tappeto” le valli del Canavese, costituendo un esempio virtuoso – decisamente in anticipo sui tempi – di attenzione all’aspetto ambientale della mobilità sostenibile.
Questi sono solo alcuni dei fattori che possono spiegare la persistenza fino ai giorni nostri del mito di Olivetti, più che mai attuale con riguardo alla profonda crisi che l’Italia e l’intero mondo occidentale attraversano in questo periodo, crisi che vede in buona parte tra le proprie cause endogene proprio una carenza della sensibilità e dei valori che erano la bandiera di Adriano Olivetti.
L’esperienza della fabbrica di Ivrea – multinazionale dell’elettronica arrivata a fatturati da capogiro, con decine di migliaia di dipendenti, leader in Europa nella produzione di computer, rispettata ovunque nel mondo per il proprio modello imprenditoriale e per l’elevatissima capacità d’innovazione tecnologica – naufragò, complice la morte prematura del suo fondatore, a causa di un mix tra necessità strategiche degli Stati Uniti, che non desideravano affatto lo sviluppo di un gruppo d’alta tecnologia in un paese “satellite” com’era all’epoca l’Italia, e necessità pragmatiche dei poteri forti di allora, servi per nulla sciocchi degli USA: Mediobanca e Cuccia, e con loro Valletta e FIAT, la quale aveva nelle relazioni sindacali, con i lavoratori e con il territorio modelli esattamente opposti a quelli di Adriano Olivetti. Da questi “poteri forti” giunse il pollice verso che affossò colpevolmente un’esperienza industriale e umana di valore inestimabile, per privilegiare altri comparti industriali, e poco ci va a immaginare quali. All’assemblea della Fiat del 30 aprile del 1964, Valletta suono le campane a morte per l’Olivetti, dichiarando che “la società di Ivrea è strutturalmente solida, ma sul suo futuro pende una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico “.
L’ultimo requiem fu quello suonato da De Benedetti, che chiamò a dirigere l’Olivetti il Rag. Colaninno, il quale – tramite quel che restava dell’azienda – successivamente acquisì e sovra-indebitò il gioiello di Stato “Telecom” con una scalata definita dal Financial Times “una rapina in pieno giorno”(*), vicende che ben ci racconta Giuseppe Oddo ne “L’affare Telecom”, volume pubblicato da Sperling & Kupfer. Comunque, di ciò che restava dell’Olivetti i due fecero poi “spezzatino”, a vantaggio delle tasche proprie e dei loro soci.
Dell’Olivetti però – a dispetto della miopia di chi l’ha soffocata e uccisa – resta ancora qualcosa: oltre a tracce di archeologia industriale d’avanguardia recentemente inserite nella lista d’attesa per divenire “patrimonio dell’umanità” dell’Unesco, Ivrea è tutt’ora – quasi godendo di una specie di “onda lunga” della carica d’innovazione della fabbrica, che a distanza di anni ancora pregna il territorio – un distretto di forte innovazione tecnologica, con una netta vocazione alla sperimentazione industriale grazie a un tessuto attivissimo di piccole imprese e centri studi.
Come giustamente ricordava Piero Fassino, che ha aperto il convegno, ancor’oggi – sempre più raramente – nei necrologi sul quotidiano cittadino, sotto il nome e cognome del defunto, l’ultimo desiderio impone la scritta “Anziano Olivetti”. Un’affermazione identitaria, l’ultima, da lasciare nel ricordo dei propri cari, dopo aver passato due o tre decenni nella fabbrica, fieri della grande avventura vissuta affianco di quello che tutti i suoi uomini chiamavano affettuosamente “l’Ingegner Adriano”.
(*)  http://www.rainews24.rai.it/it/news_print.php?newsid=8780




Sostenibilita, Csr. Atteso entro la fine del 2013 il primo framework per la rendicontazione integrata

E’ atteso entro la fine del 2013 il primo framework a livello mondiale per la rendicontazione integrata. E’ quanto comunica l’International integrated reporting council (Iirc) che da poco ha pubblicato una bozza dello schema che riassume le finalita’, i principi e come le organizzazioni possono utilizzarlo. In particolare, il quadro di riferimento si concentrera’ su quattro aree: la definizione di rendicontazione integrata, il suo target di riferimento, il concetto di valore e le tempistiche per la pubblicazione del framework. L’obiettivo dell’Iirc e’ quello di sviluppare una struttura che le organizzazioni possono utilizzare per rendicontare insieme “informazioni rilevanti su strategia, governance, performance e prospettive in un modo da riflettere il contesto commerciale, sociale e ambientale in cui l’organizzazione opera”, secondo la definizione dell’ Iirc. L’ International integrated reporting council, inoltre, ha rilasciato una sintesi dei risultati del discussion paper, lanciato nel settembre 2011, che ha raccolto un totale di 214 risposte dalle organizzazioni e dai singoli individui in oltre 30 paesi. Dalle risposte l’Iirc ha constatato tra gli intervistati una certa confusione sulla definizione di reporting integrato e sul concetto di creazione di valore. Secondo Paul Druckman, amministratore delegato dell’Iirc,”negli ultimi anni sono stati fatti sforzi enormi, come ad esempio, incorporare le comunicazioni sul rischio nella rendicontazione finanziaria. Inoltre, lo sviluppo del reporting di sostenibilita’ fornisce una nuova dimensione da cui considerare la creazione di valore”. L’obiettivo del framework, spiega Druckman, “e’ di consentire agli investitori e alle altre parti interessate di capire meglio i modi in cui le aziende creano valore sostenibile”.




I Csr manager e gli Hr manager non sempre hanno una visione comune su come attuare gli obiettivi di sostenibilità dell'azienda

Mentre i primi considerano centrale il ruolo dei sistemi di incentivazione, da allineare alla strategia di sostenibilità, e di responsabilità verso i dipendenti, i responsabili delle risorse umane ritengono che l’aspetto su cui focalizzarsi debba soprattutto essere lo sviluppo delle competenze e le condizioni fisiche di lavoro. E’ quanto emerso da un’indagine condotta su un campione di 89 manager italiani (48 dell’area Csr e 41 Hr Manager), condotta dal Mip Politecnico di Milano. La ricerca è stata presentata in occasione del seminario ‘La gestione delle risorse umane per la sostenibilità dell’organizzazione’, promosso da Fondazione Sodalitas e Mip Politecnico di Milano e dedicato a come, e perché, integrare in azienda le dimensioni della gestione Hr e della sostenibilità. Un punto fortemente condiviso dalle due figure manageriali è il fatto cheorientare i comportamenti delle persone verso gli obiettivi di sostenibilità dell’impresa incoraggia le persone a fare più di quanto espressamente richiesto dall’impresa, cioè a mettere in campo quello ‘sforzo discrezionale’ che può fare la differenza anche in termini di business e di competitività. La seconda indagine, realizzata intervistando 35 direttori delle risorse umane di grandi imprese italiane, ha messo in luce che l’interesse della maggior parte degli intervistati risulta focalizzato su stakeholder diversi dai dipendenti: top management, azionisti e investitori, organi di controllo, manager di linea. Gli Hr manager intervistati da un lato condividono l’importanza che la funzione risorse umane sviluppi un approccio maggiormente multistakeholder, al tempo stesso sottolineando che ciò è possibile a condizione che questo approccio sia condiviso e praticato dall’impresa nel suo complesso. Tutte le aziende e non solo, oggi, sono chiamate ad orientare le proprie scelte verso la sostenibilità. Per Marco Guerci, ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano, “affinchè questo accada è necessario che, insieme al lavoro dei manager deputati al tema della sostenibilità, anche i direttori delle risorse umane forniscano il loro contributo nell’indirizzare i comportamenti e gli orientamenti valoriali di tutti i membri dell’organizzazione”. Questo ha due grandi implicazioni. In primo luogo, spiega Guerci, “dato che in pochi casi la sostenibilità rientra nei percorsi formativi di chi si occupa di gestione delle risorse umane, è necessario che questi manager siano formati alla sostenibilità e ai suoi principali approcci e strumenti”. In secondo luogo, conclude, “dato che il tema è molto ‘giovane’, è necessario organizzare processi di ricerca che forniscano indicazioni alle imprese in merito alle scelte piu’ efficaci in tal senso”. In conclusione di evento, Fondazione Sodalitas e Mip Politecnico di Milano hanno sottolineato in modo condiviso l’importanza di condurre ricerche che, coinvolgendo un numero più ampio di imprese, esplorino in modo ancora più approfondito le opportunità derivanti dall’integrazione fra la gestione Hr e la Sostenibilità e con quali processi implementare questo approccio.




Parte la campagna virale sulla Corporate Social Responsability

Lunedì al Centro Congressi Torino Incontra, Unioncamere Piemonte e Regione Piemonte hanno presentato la campagna di comunicazione e sensibilizzazione in materia di CSR (Corporate Social Responsibility – Responsabilità Sociale d’Impresa) IO ADERISCO, promossa all’interno del progetto CSRPiemonte.La campagna mette a disposizione delle imprese che aderiscono al progetto un format di comunicazione coordinata e una serie di elementi creativi e concettuali di cui servirsi per caratterizzare strumenti e canali di comunicazione aziendale, trasmettendo messaggi positivi in tema di sostenibilità, innovazione e competitività.Obiettivo principale della campagna è diffondere la cultura della CSR all’interno e all’esterno delle aziende, dando visibilità all’impegno assunto dalle singole realtà imprenditoriali che hanno aderito al progetto CSRPiemonte e che decidono di essere riconoscibili all’interno di un network di imprese responsabili, testimoni e ambasciatori di una modalità innovativa, sostenibile e coinvolgente di perseguire il business. Comunicare le pratiche di CSR migliora il clima interno dell’azienda, il rapporto con i dipendenti e l’immagine dell’impresa a livello territoriale. La base di partenza è il network delle 140 imprese che nel 2010 hanno partecipato al monitoraggio, aderendo al progetto CSRPiemonte e rispondendo ad un questionario che ha permesso di studiare la diffusione delle pratiche di responsabilità sociale sul territorio regionale.IO ADERISCO verrà presentata in tutte le province del territorio piemontese, in collaborazione con le Camere di commercio regionali, al fine di creare un network regionale di imprese responsabili, con il coinvolgimento attivo di tutti i territori. Il 22 maggio la CSR sarà protagonista a Biella (alle ore 14.30 presso la sede camerale in via Aldo Moro 15 – Aula Formazione), il 5 giugno nel Verbano Cusio Ossola (alle ore 10 presso Villa Fedora a Baveno in Strada del Sempione 4), il 29 giugno a Cuneo (alle ore 11 in Via Emanuele Filiberto 3 – Salone d’Onore), a seguire nelle altre sedi camerali.“La Responsabilità Sociale è un fattore strategico per valorizzare la competitività delle nostre imprese – ha dichiarato l’Assessore al Lavoro e Formazione professionale della Regione Piemonte Claudia Porchietto – in un momento in cui il ruolo dell’imprenditore richiede di attingere a tutto il bagaglio di cultura di attenzione alle risorse umane, all’innovazione, alla sostenibilità economica ed ambientale, alla relazione pro-attiva con le comunità locali in cui le imprese sono insediate. Mettere a fattor comune esperienze positive e vincenti, condividendo la comunicazione e le buone prassi, costruendo reti e filiere che prevedono obiettivi comuni, scambiando know-how e mettendo in relazione tutti i rapporti di proficua collaborazione tra i soggetti istituzionali, le associazioni datoriali e sindacali e le imprese, sarà un modo intelligente, nella tradizione di innovazione sociale piemontese, di trovare soluzioni alla crisi attuale”.“Ognuno ha una responsabilità sociale nel suo agire, ancor più chi fa impresa. Anche e soprattutto in momenti di crisi è possibile adottare una politica aziendale che sappia conciliare gli obiettivi economici con quelli sociali e ambientali del proprio territorio, in un’ottica di sostenibilità futura, senza penalizzare la competitività. La strada della CSR, che promuoviamo da anni ed oggi in modo innovativo attraverso la campagna Io Aderisco, porta ad un determinato modo di “fare impresa” e di essere imprenditore: molto si può fare per sostenere ed incoraggiare le nostre aziende” ha fatto sapere Ferruccio Dardanello, Presidente Unioncamere Piemonte.Anche Alessandro Barberis, Presidente della Camera di commercio di Torino ha sottolineato la volontà dell’ente nel collaborare al progetto: “Come ente che rappresenta le aziende del territorio ci impegniamo in prima persona per la diffusione della responsabilità sociale d’impresa a Torino e provincia. La stessa Camera di commercio aderisce alla campagna: sono diverse le scelte che già attuiamo da anni in questo senso. La diffusione della campagna avverrà tramite tutti i nostri canali di comunicazione, in particolare il web, ma soprattutto attraverso l’organizzazione di laboratori territoriali dedicati alle imprese”.La campagna agirà in modo “virale”, richiedendo agli imprenditori un’assunzione volontaria d’impegno e promuovendo l’adesione ad un “manifesto” della CSR e la reciproca adozione di buone pratiche in tema di ambiente, benessere delle persone, benessere sociale e territoriale e processi innovativi.Hanno già aderito alla campagna aziende di rilievo quali TNT Express Italy, azienda leader nel campo delle spedizioni espresse e APS Italia, all’avanguardia nelle pavimentazioni industriali.




La Feralpi va oltre il business con un bilancio «da primato»

È l’unica realtà siderurgica italiana con giudizio A+ dal Global ReportNel biennio 2009-2010 investiti 72 milioni di euro per migliorare l’efficienza degli impianti 24,5 mln per sicurezza e ambiente.
Crisi o non crisi, Feralpi conferma gli impegni presi all’insegna della responsabilità e dello sviluppo sostenibile. Emerge – spiega una nota – dal quarto bilancio sociale relativo agli esercizi 2009 e 2010 su scala internazionale, comprendendo non solo le controllate, ma anche le attività all’estero, Germania in testa. «IL DOCUMENTO, a cadenza biennale, è totalmente volontario, in un’ottica di continuità e trasparenza nei confronti di tutti i nostri stakeholder – spiega il presidente del gruppo di Lonato del Garda, Giuseppe Pasini -: un orgoglio che si fa maggiore in un momento difficile come quello attuale, nel quale mantenere viva l’attenzione su certi fattori, tuttora considerati a torto come “accessori”, risulta ancor più significativo». Nonostante i pesanti effetti della difficile congiuntura sui conti aziendali, dunque, la strategia non cambia, puntando sull’innovazione tecnologica come fattore competitivo di lungo periodo. Lo testimonia lo sforzo sul fronte della ricerca e dello sviluppo, passato da 1,4 mln di euro del 2008 a 2,441 mln euro, supportato da un ampio programma di formazione. DAI DATI emergono anche 72 milioni di euro per gli interventi in abito tecnologico. In primis per l’efficientamento degli impianti, considerati – sottolinea la nota – strumento per ridurre i costi e aumentare la competitività: come il nuovo forno fusorio installato nel 2010, che permette di tagliare i consumi energetici, migliorare la resa metallica e incrementare la produttività oraria. Efficienza, ma anche sicurezza, supportata da un impegno pari a 24,5 milioni gli euro nei due anni analizzati. Ma non è tutto. Emergono, tra l’altro, i 44,8 milioni di euro serviti per il personale (il 98% assunto soprattutto in provincia), pari al 77,2% del valore aggiunto. Un bilancio nel complesso promosso a pieni voti, considerato che Feralpi è l’unico gruppo siderurgico italiano ad aggiudicarsi il voto A+ da parte del Global Reporting Initiative, associazione internazionale che detta le linee guida per lo sviluppo sostenibile e raccoglie i risultati ottenuti dalle realtà che di adeguano.