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Google fa lobbying, Apple paga avvocati: non è innovazione

Parte dei soldi guadagnati dalle aziende informatiche vengono investiti in attività di lobbying e in cause legali. Ecco quanti soldi hanno speso nel 2011 Google, Microsoft, Facebook e altri, e quali leggi hanno cercato di promuovere o bocciare. Google è la più spendacciona, mentre Apple ha il braccino corto – poi però si svuota le tasche in tribunale.
Come spendono i loro soldi le maggiori aziende di tecnologia? Una fetta più o meno sostanziosa dei guadagni viene destinata all’attività di lobbying, che negli Stati Uniti è legalmente riconosciuta, serve per influenzare le decisioni politiche e ha una contabilità trasparente pubblicata trimestralmente dal Senato nella banca dati “Lobbying disclosure act”.
Google è salita alla ribalta delle cronache perché nel 2011 ha investo l’88 percento in più rispetto al 2010 (9,68 milioni di dollari), superando l’ex detentrice del record, ossia Microsoft, che si è fermata 7,34 milioni di dollari, con un incremento del 6 percento.
La cifra più consistente è stata versata da Big G nell’ultimo trimestre dello scorso anno: 3,76 milioni di dollari, contro 1,88 milioni di dollari di Microsoft, 450 mila dollari di Apple e 440 mila di Facebook. La parte più interessante di questo corposo capitolo politico-finanziario non riguarda le cifre, quanto le motivazioni per le quali sono state stanziate.
Solo nel quarto trimestre del 2011 Google ha stanziato 150.000 dollari per spingere le leggi a favore della regolamentazione delle connessioni a banda larga, il resto è stato investito per il cloud computing, la libertà di espressione, la riservatezza dei dati personali e la censura.
Nel caso di Big G è inevitabile chiedersi se la cifra mostruosa destinata al lobbying lo scorso anno non sia in qualche modo legata all’aumento delle indagini che riguardano le sue strategie aziendali. Ricordiamo infatti che a settembre la sottocommissione antitrust della Commissione Giustizia del Senato ha tenuto alcune udienze per valutare l’opportunità di avviare una indagine ufficiale sull’abuso di posizione dominante di Google.
L’azienda di Mountain View è inoltre in attesa dell’approvazione per concludere l’acquisizione di Motorola Mobility per 12,5 miliardi di dollari. Purtroppo i dati pubblici non entrano così nel dettaglio da chiarire questo punto. Oltre agli investimenti trattati finora, ad agosto Google ha speso anche 550 milioni di dollari per liquidare il problema degli annunci di farmaci illegali in violazione delle leggi federali.
Per quanto riguarda gli altri, Microsoft ha investito 130.000 dollari per temi relativi “a riforme sull’immigrazione di lavoratori qualificati negli Stati Uniti”, ma non si è dimenticata di spingere l’aggiornamento dell’equipaggiamento informatico nella pubblica amministrazione e le leggi per la tutela del copyright. Senza dubbio la voce censura e copyright sottointende nella maggior parte dei casi anche investimenti a favore dell’insabbiamento della proposta di legge SOPA in discussione nei giorni scorsi. Google e Facebook, per esempio, si sono schiarate nella fazione contraria attivando anche mobilitazioni online.
Apple, invece, ha preparato il terreno per l’annuncio che ha fatto qualche giorno fa sponsorizzando fondi destinati a tecnologie educative. Oltre ai modesti investimenti in lobbying (rispetto ai concorrenti), tuttavia Apple sta spendendo una montagna di quattrini gli avvocati: stando a unaindiscrezione quella che Steve Jobs aveva definito una “guerra termonucleare” contro Android sta costando più di ogni ragionevole supposizione. 

La prima battaglia legale contro HTC sarebbe costata 100 milioni di dollari. Meglio non sapere il conto onnicomprensivo degli avvocati, considerato che sono in corso decine di cause in altrettanti Paesi. Ne valeva la pena, o quei soldi sarebbero stati meglio investiti in attività diverse?




Stanco della mia vita l'ho VENDUTA

Ha messo tutto su eBay. La sua casa, il suo lavoro, i suoi hobby. Ha incassato 300mila euro. E ha deciso di realizzare 100 sogni in 100 settimane. Oggi la sua storia finisce in un libro. E presto sarà la trama di un film
Ian Usher vieva a Perth, in Australia e faceva una bella vita. Lavorava in una miniera d’oro, guidava un grosso camion. Aveva 45 anni, una macchina, una moto, un po’ di soldi, una bella casa. Un sacco di amici e una moglie adorata. Poi, un giorno, la trova a letto con il suo miglior amico (“ma questo è un dettaglio irrilevante che non mi va di discutere”) e il mondo gli crolla addosso. Dopo la disperazione, Ian trova l’idea di vendere tutta la sua vita su eBay.
Come hai fatto?
“Mi sono trovato da solo nella casa che avevo progettato insieme a mia moglie, circondato da tutti gli oggetti che avevo condiviso. Ne aveva abbastanza della mia vita: non la volevo più. Dovevo sbarazzarmi di tutto e ricominciare. E, per ripartire da zero, ho messo tutto quel che avevo in vendita su eBay”.
Hai venduto tutta la tua vita?
“La mia casa, la mia moto, addirittura la mia posizione lavorativa. Mi sono tenuto qualche vestito e un portafoglio vuoto. Dalla vendita ho incassato 399.300 dollari australiani (circa 29mila euro). Pensavo di ricavare più soldi, ma poi ho capito che quella cifra mi sarebbe bastata per un progetto che iniziava a prendere forma nella mia testa”.
Qual’era?
“Nella vita ho sempre avuto una lista di desideri, sogni da raggiungere, cose da fare. Ho pensato che era arrivato il momento di metterli tutti insieme e realizzarli. Cosi ho fissato 100 obbiettivi e mi sono dato 100 settimane per raggiungerli. Sono partito: il primo era sciare nello Skydome di Dubai. Mi sono divertito un sacco facendo snowboard, ma era davvero impossibili dimenticarsi che all’esterno fossero più di 40° C”.
Quali erano gli altri desideri?
“Vedere il Gran Canyon, guidare sulla Route 66, imparare a suonare l’armonica, immergermi con le balene in Giappone, conoscere Richard Branson di Virgin, parlare spagnolo e francese, vincere 1.000 dollari al poker, visitare la Grande muraglia, cavalcare uno struzzo, fare parapendio nudo e di notte…”
Poi è arrivato l’obbiettivo 25 e la tua vita è cambiata di nuovo…
“Ho sempre sognato di partecipare a una corsa su una slitta trainata da cani in Canada. L’ho fatto nel dicembre del 2008. la temperatura era -25°C, ma è stata un’esperienza imperdibile, il paesaggio era incantevole e diverso da tutto ciò che avevo fatto finora. Li ho incontrato Moe, un’istruttrice di cani, e mi sono innamorato. Sono ripartito, ma mi sono detto: prima o poi torno a prenderla. A gennaio 2009 ero in Nuova Zelanda, a marzo in Gran Bretagna, ad aprile sono tornato da lei”.
Terminate le 100 settimane hai realizzato tutti i tuoi obiettivi?
“Ne ho realizzati 93, ma l’ultimo è stato uno dei più importanti. Mentre organizzavo l’asta su eBay, molte persone mi scrivevano e mi raccontavano di eventi assai peggiori di quelli che ho dovuto affrontare io. Volevo aiutare chi, come me, era stato fregato. Così ho creato blindsidednetwork.com, per chi è stato “preso alle spalle” dalla vita”.
Che cosa stai facendo ora?
“Ho scritto un libro, in vendita su Amazon, in cui racconto la mia storia. E mi occupo della sua promozione. Intanto la Walt Disney ha comprato i diritti del libro per farci un film. Oggi la mia vita è fantastica. Vivo a Whitehorse in Canada, con Moe, in mezzo alla natura, non ho bisogno di niente. Sono felice e rifarei tutto quello che ho fatto, senza ripensamenti”.
Cosa consigli a chi è insoddisfatto?
“Decidi cosa vuoi fare della tua vita e cerca in ogni modo di realizzarlo. Nessuno è responsabile della tua infelicità. Ognuno ha il dovere di fare tutto per essere felice”.




Le utilities puntano sul fotovoltaico e sostengono la musica “zero”

Le fasce orarie che prevedono consumi ridotti sono ormai entrate nella routine quotidiana di molte case: la sera, nei week and, i giorni festivi si può utilizzare energia spendendo meno. Ma l’impegno dei grandi player del mercato va anche oltreNel 2008, per esempio, Enel ha dato ufficialmente vita a Enel Greenpower, società che si occupa prevalentemente di realizzare impianti utilizzando diverse tecnologie che rispettino l’ambiente e di rinnovare i poli esistenti – soprattutto geotermici e idroelettrici – per renderli ancora più preformanti. “Nel periodo 2011-2014 prevediamo investimenti per 6 miliardi di euro per aumentare la nostra capacità. Di questi poco meno di un quarto sarà destinato al mercato italiano”, spiega Roberto Deambrogio, responsabile dell’area Italia/Europa di Greenpower. “Per quanto riguarda poi i cittadini abbiamo un franchising, Enel.si, con circa 500 affiliati impegnati nell’istallazione di impianti fotovoltaici sui tetti. E in questo ambito siamo leader del settore con 150 MW sugli 800 MW totali posizionati in Italia nel 2010”.
Chi porta avanti, invece , una battaglia per la riduzione di emissioni di CO2 è Edison: “Abbiamo un parco di centrali che dimezza l’inquinamento grazie a fonti rinnovabili e un piano di check up energetici che vengono incontro alle esigenze del cittadino per aiutarlo a diminuire i propri consumi attraverso interventi di ottimizzazioni e auto produzione di energia”, precisa Andrea Prandi, direttore relazioni esterne. Ma non è tutto, perchè la società concentra grandi sforzi anche su un progetto legato alla musica. “Si chiama “Edison – Change the Music” e quest’anno è sostenuto da Legambiente. Quello che ci proponiamo è di ridurre l’impatto ambientale e risparmiare energia attraverso manifestazioni musicali, come accadrà nei prossimi mesi con Milan Jazzin’ Festival e la Prima della Scala”, continua Prandi. Ma cosa prevede un concetto sostenibile? Per prima cosa l’utilizzo di un generatore alimentato a biodiesel, poi strutture di eco design riciclabili al termine dell’evento, il ricorso a spostamenti sopratutto con mezzi pubblici e auto a basse emissioni, una comunicazione efficace attraverso i mass media per limitare il consumo di carta e, infine un’efficace raccolta differenziata. Conti alla mano un concerto tradizionale produce circa 78.903 kg di  CO2, lo stesso in versione eco-compatibile arriva a 17.5337 kg di CO2.




L'eco stadio

Ristrutturato con pannelli solari e turbine eoliche, il nuovo stadio di Filadelfia sarà a impatto zero. E venderà energia alla città
Presto i tifosi dei Philadelphia Eagles avranno un motivo in più per seguire le partite dei loro beniamini: lo stadio della squadra di football americano, il Lincoln Financial Fied, sarà il primo al mondo a funzionare con energia rinnovabile auto-prodotta. In collaborazione con la società energetica Usa Solar-Blue, il team renderà lo stadio “verde” entro settembre 2011.
Sole, vento e gas. Il 25% dell’energia verrà fornito da 2.500 pannelli solari e 80 turbine coliche ad asse verticale altre 6 m installati sulle facciate e sulla copertura dell’edificio. Il resto proverrà da un vicino generatore a biodiesel e gas naturale. L’impatto, del costo di 30 milioni si $, fornirà 1.039 miliardi di kilowattora di elettricità nei prossimi 20 anni, più di quanto serva alla struttura, che rivenderà il surplus: lo stadio risparmierà 60 milioni di $ di costi energetici. L’energia prodotta ogni anno con fonti rinnovabili sarà equivalente ai consumi elettrici di 26 mila case. Con un taglio di emissioni di CO2, pari a quelle prodotte da 41 mila auto in un anno. Già ora lo stadio fa il compostaggio dei rifiuti, risparmia acqua e converte in biocarburante gli scarti d’olio alimentare.




Dimmi tu che azienda siamo

Una nuova metodologia per misurare il grado di sostenibilità
Se non misura il proprio livello di performance sociale e di sostenibilità, sarà impossibile tentare di migliorare. La valutazione del capitale sociale, uno di questi asset intangibili che stanno alla base della cultura aziendale, è fra i rebus più difficili da risolvere nel vasto gioco della responsabilità sociale e della sostenibilità del business. La misurazione e rappresentazione del capitale sociale, infatti, sono legate a una grande soggettività e parzialità, tant’è vero che l’utilizzo di codici etici, bilanci di sostenibilità e comitati di controllo sulla governance non hanno impedito ad aziende come Parmalat o Enron – considerate campioni di responsabilità sociale prima del crollo – di rivelarsi tutt’altro che etiche. Proprio per evitare questi clamorosi infortuni, gli studiosi della gestione aziendale si stanno concentrando sulla valutazione della qualità delle politiche di sostenibilità aziendale. “È chiaro che più ampia sarà la trasparenza e l’apertura dei processi interni all’esame di controlli esterni, maggiori saranno le probabilità che il modello funzioni”, spiega Maurizio Zollo, professore di Strategia e responsabilità sociale alla Bocconi e direttore de Center for research in organization and Management. Zollo ha diretto per tre anni il progresso Response, ricerca finanziata alla Commissione europea – in partnership con Ibm, Johnson & Johnson, Microsoft, Shell e Unilever – sullo sviluppo di orientamenti e pratiche socialmente responsabili nelle grandi multinazionali. “Il progetto è stato il primo tentativo di analizzare sistematicamente l’importanza dell’allineamento tra l’approccio dei manager e degli stakeholder, tema che abbiamo indagato con una serie di interviste a manager di multinazionali, oltre a rappresentanti di organizzazioni di  stakeholder” precisa Zollo. Risultato? ” La soddisfazione degli stakeholder non dipende affatto degli sforzi di comunicazione delle aziende, ma dalla loro disponibilità a investire nel cambiamento dei processi interni”>. In pratica, la risposta giusta sta nell’azione, non nelle chiacchiere. Le aziende reattive, dinamiche, che si evolvono rapidamente in relazione all’ambiente circostante e alle sollecitazioni dall’esterno, hanno decisamente più successo nei loro rapporti con gli stakeholder. Sulla base dell’esperienza Response, Zollo ha messo a punto insieme VerA e Great place to work (guidata in Italia da Gilberto Dondè) un modello di valutazione sofisticato, che misura la percezione, dall’esterno e dall’interno, delle politiche aziendali, si sostenibilità. Il punto fondamentale, secondo Zollo, è proprio colmare gap tra le due percezioni, quella punta il suo modello, che si chiama rewords (responsible workplace developing sustainbility. La Fater di Pescara, join venture paritetica fra gruppo Angelini e Procter & Gamble, ha accettato di sottoporsi a rewords. Fater, azienda leader in Italia nei prodotti assorbenti per la persona, è molto impegnata sui temi della sostenibilità e l’anno scorso è stata eletta migliore ambiente di lavoro in Italia da Great  Place to Work. “In un certo senso, per noi di Fater la sostenibilità è più semplice: da un lato beneficiamo di tutta la cultura e dei sistemi gestionali che ci arrivano da P&G, dall’altro della sensibilità tipica delle piccole e medie imprese italiane”, commenta il direttore generale Roberto Marinucci. E snocciola i suoi successi ambientali: “Negli ultimi cinque anni abbiamo ridotto il peso de pannolini Pampers del 47%. Abbiamo  tagliato del 45% i consumi di gas, del 10% quelli di elettricità e di acqua , abbiamo ridotto del 20% i camion circolanti, usando meglio lo spazio e trasferendo alcune forniture su nave. Inoltre mandiamo al riciclo il 97% degli scarti di produzione e P&G considera quello di Fater il miglior stabilimento nel nostro settore”. Ma il suo punto di forza; più che pure porta risparmi non indifferenti sul conto economico, è il rapporto persone con le persone. “La gente che lavora in azienda, un migliaio di persone in tutto, è una fonte costante di stimoli e idee, tanto che ci incontriamo tutti quattro volte l’anno per parlarne “, spiega Marinucci. Anche la gente che sta fuori non è sempre meno importante. Per sottoporsi a rewords, Fater ha aperto da febbraio per sei mesi i suoi uffici e il suo stabilimento di produzione all’analisi esterna, che sta passando in rassegna documenti societari, certificazioni ambientali e bilanci, per confrontali con gli indici attualmente disponibili come Global Reporting Initiative o di Emas. Verrà analizzato il processo produttivo con questionari specifici ai dipendenti predisposti ad Ambiente Italia. Verrà intervistato il top management sulla consapevolezza e sulla loro visione della sostenibilità, mediante questionari psicologici con dilemmi morali da risolvere. Verrà analizzata la policy di sostenibilità presso un numero elevato di dipendenti di ogni ordine e grado con questionari suddivisi per area funzionale. Verrà intervistato un gruppo rappresentativo di stakeholder esterni. Al termine dell’analisi, Cittadinanzattiva e Legambiente formuleranno una third opinion sua sull’analisi che sui risultati emessi. In base a queste indicazioni, Fater s’impegna, se necessario, a modificare la strategia e quindi le politiche di sostenibilità adottate. “È la prima volta – commenta Zollo- che un’azienda italiana molto radicata sul territorio si sottopone a un’analisi così approfondita e si mette concretamente in discussione, per di più sotto una stretta supervisione scientifica. Alla fine pubblicheremo la ricerca e credo che sarà un bel passo avanti in tema di valutazione della sostenibilità aziendale”.