Dedicato a chi il weekend lo passa a faticare
Il futuro dei servizi alle persone.
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Il futuro dei servizi alle persone.
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La comunità del web ha deciso.
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L’esercizio di una pressione senza precedenti da parte degli stakeholder, sospinta dalle nuove tecnologie web, rende necessario un nuovo approccio alla Corporate Social Responsibility (CSR)
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Un blogger pubblica un post molto critico sull’omeopatia che accompagna con la foto di un prodotto di una nota casa farmaceutica. L’azienda, con in altri casi recenti, ha cercato di far modificare il commento e addirittura farlo rimuovere. Ne è scaturita una querelle ripresa dai media, anche internazionali
Il 2 di agosto i pochi italiani che ancora non erano partiti per le ferie si sorbivano annoiati le agenzie che relazionavano on-line sugli “straordinari” di Governo e Parlamento per la messa a punto della manovra correttiva di bilancio. Agosto è per tradizione un mese in cui non succede nulla: tutto sembra “congelato” in attesa della ripresa delle attività a settembre. Eppure una persona almeno sul web era molto attiva, e ben presto non pochi gli avrebbero dedicato qualche minuto di attenzione: Samuele Riva, l’agguerrito animatore di Blogzero, uno dei tanti blog informativo/ricreativi che appassionano in Italia una cerchia tutto sommato ristretta di appassionati di scienza e argomenti collaterali.
Il blogger nei giorni precedenti aveva pubblicato un post molto critico sull’omeopatia, nel quale ribadiva – invero senza peccare in alcun modo di originalità – le critiche al paradigma di salute proprio delle medicine non convenzionali e complementari. La differenza – rispetto ad altri post di questo “filone” di discussioni on-line – era però sostanziale: Samuele non esitò a pubblicare anche il nome di uno specifico prodotto e quello dell’azienda produttrice del medesimo, con foto della confezione, affiancati – neanche a dirlo – da commenti tutto fuorché lusinghieri. A posteriori, più che una vera e propria provocazione ai vertici dell’impresa in questione, l’articolo era inquadrabile piuttosto come un attacco assai duro al settore delle medicine di origine biologica.
Tanto però è bastato per irritare oltremodo la farmaceutica tirata in causa – Boiron Italia, filiale della nota multinazionale francese – i quali a loro dire dopo alcuni tentativi vani di contattare il blogger per chiedergli di “sfumare” i riferimenti al prodotto in questione, in considerazione del possibile danno reputazionale e commerciale hanno inviato allo stesso una lettera di diffide legale, nella quale – con il linguaggio “asciutto” e ben poco “friendly” tipico degli avvocati – non solo si intimava la rimozione del post – pena richiesta di danni – ma si ingiungeva al gestore del server il blocco dello spazio web del blog stesso.
Il blogger ha trovato gioco assai facile nel denunciare in un nuovo post – in modo invero un pò strumentale – l’arroganza della grande azienda internazionale, che sfruttava le proprie ingenti risorse finanziarie per soffocare la libertà di espressione in rete: un attentato alla libertà di parola on-line, a suo dire un pericoloso precedente di “censura” del libero pensiero, un’inaccettabile entrata “a gamba tesa” da parte di una grande impresa che prende posizione contro un piccolo blogger di provincia…
Sotto il profilo legale, i diritti di Boiron erano stati indubbiamente lesi dal blogger, nel momento stesso in cui è stato fatto un abbinamento tra la dicitura di un prodotto in commercio con parole certamente non lusinghiere e comunque in grado di nuocere al profilo commerciale del prodotto stesso. Il diritto di cronaca – in ambito giornalistico, ma egualmente anche in ambito non giornalistico qual è un blog web – può essere esercitato nel rispetto di determinati limiti e purché la notizia non trasmodi nell’offesa dell’altrui onorabilità. Anche se spesso si tende a considerare internet una “giungla” priva di regole, le leggi invece valgono anche sul web: l’esercizio del “diritto di critica” è tutelabile solo fin dove non giunga ad essere gravemente lesivo dell’altrui dignità morale e professionale, cosa che vale sia per le persone fisiche che per quelle giudice – le aziende – egualmente tutelate, e la giurisprudenza al riguardo è così ricca da non rendere necessario richiamarla in questa sede.
Pur tuttavia, ancoro più della nota case-history di qualche anno fa sul Mobilificio Mosaico (1), la case-history Boiron/Blogzero presentava in se tutti gli ingredienti necessari per confezionare una vera e propria “bomba” mediatica, e ciò a prescindere da cosa ne potessero dire gli avvocati dell’azienda francese, evidentemente veri e propri dilettanti nel crisis management e nella crisis communication.
Bomba che – neanche a dirlo – non ha tardato ad innescarsi: nel giro di appena 48 ore, già 500 persone avevano condiviso il post di Riva sulla propria bacheca Facebook, e 37 tra siti e blog avevano pubblicato articoli nei quali si univano coralmente nel denunciare il “sopruso” di Boiron.
Ho personalmente contatto telefonicamente nelle prime ore di questa issue l’Amministratore Delegato di Boiron Italia, Silvia Nencioni – firmataria della lettera di diffida, predisposta però dal loro studio legale – rintracciandola mentre stava partendo per le proprie ferie: pur nutrendo a mio avviso già qualche dubbio e incertezza sulla strategia adottata, ha con grande onestà intellettuale rivendicato il diritto dell’azienda che Lei rappresenta a difendersi da accuse insensate, pretestuose e a tratti di cattivo gusto, quali erano obiettivamente quelle del primo post critico di Blogzero, offensive non solo della dignità di un’azienda che è seriamente sul mercato da ottant’anni ma anche di milioni di italiani che fanno uso di medicine di origine biologica, e – soprattutto – della libertà di scelta terapeutica di decine di migliaia di medici che nel nostro paese ogni giorno prescrivono quel tipo di farmaci.
Ma quel 4 agosto, giorno del nostro contatto telefonico, la bufera era davvero ancora di là da venire: nei dieci giorni successivi, la polemica è divampata per certi versi ben oltre l’immaginabile, e – interessante da considerare – ben oltre qualunque valutazione sul merito o sullo stile dell’iniziale post di Riva: molti blogger l’hanno reputato troppo duro, anche fazioso, ma il web ha le sue regole, e la libertà di espressione on-line è una di quelle che non può e non deve mai essere posta in discussione.
Per farla breve, la questione si è trasformata nella più straordinaria debacle reputazionale nella quale un’azienda farmaceutica italiana del comparto biologico sia mai incorsa nel nostro Paese, e – forse – la più delicata in cui la multinazionale francese sia mai incorsa: il caso ha avuto una eco su oltre mille tra siti, blog e profili Facebook nel nostro paese, ma soprattutto è assunto alle cronache nazionali, con una rassegna stampa presumo di almeno un centinaio di pagine, da La Repubblica a Wired, da Il Punto Informatico a L’Unità, fino al “tombale” articolo di critica a Boiron pubblicato dalla più autorevole rivista scientifica del mondo, il British Medical Journal, che ha elevato il dossier a livello internazionale, con diverse testate inglesi, francesi, americane, tedesche, spagnole, slovacche, brasiliane, argentine, australiane e giapponesi che hanno dedicato attenzione al caso nella propria edizione web.
Inoltre, molti tra gli stessi sostenitori dell’omeopatia si sono schierati contro l’azienda francese, contestando di aver esposto il fianco ad una querelle che di certo non ha giovato all’immagine del settore: il blog critico di Riva, ad esempio, ha avuto un’impennata nelle visite del 4100% (quattromila e cento per centro) in meno di un mese, passando nel ranking dei blog italiani da quota 5.000 ad essere il 4° blog più letto in agosto nel nostro paese!
Mentre questo “sufflè” montava, e Samuele si godeva il suo wharoliano e inaspettato quarto d’ora di notorietà grazie al noto effetto Streisand (2) , rilasciando interviste a più non posso, i vertici di Boiron – purtroppo – tacevano, perlomeno sul web.
Interpellati telefonicamente dal BMJ, in considerazione dell’autorevolezza dell’interlocutore non hanno potuto esimersi dal fornire la propria versione, difendendo le posizioni circa la diffamazione ricevuta e minimizzando la portata dell’intervento legale, sostanzialmente parlando di “equivoco e travisazione”. A tutti gli effetti prendendo tempo, dal momento che a ben quindici giorni di distanza dalla denuncia di Riva, Boiron non aveva ancora emesso né un comunicato né una qualunque nota di rettifica o chiarimento sull’accaduto.
L’utilizzo dello strumento della diffida legale – impropria in quanto tale sia per i toni della lettera che per l’ambito di pubblicazione, il web, libertario per definizione – ha dimostrato una volta di più tutti suoi limiti. Tutto ciò è apparso ancor più grave agli addetti ai lavori in relazione alla mancanza di “autenticità” dell’azienda francese: Boiron è un’azienda che dovrebbe basare la propria strategia commerciale su un approccio “dolce” al mercato e al paziente, e da un’impresa di questo genere gli utenti si aspettano disponibilità al dialogo e al confronto, non minacce e diffide.
Un’altra azienda – Guna, il leader di mercato italiano del settore omeopatia – nelle stesse identiche settimane si è trovata ingaggiata in un analogo confronto con un altro blog, Medbunker: stessi toni del post, questa volta era chiamato in causa il prodotto Guna Awareness, distribuito in USA con autorizzazione della Food & Drug Administration per la terapia degli spettri autistici nel bambini. La strategia di gestione della crisi e la comunicazione on-line è stata differente, se lo stesso blogger in un suo successivo post ha commentato: “(…) Stessa situazione negli stessi giorni l’ha vissuta la Guna (un’altra azienda omeopatica) nei confronti del sottoscritto perché avevo spiegato indignato ciò che contiene un loro prodotto omeopatico commercializzato negli USA, di fatto semplice alcol, e venduto per la cura dell’autismo (…) Probabilmente alla Guna hanno qualcuno che conosce meglio il web, e così l’azienda ha preferito la forma del “diritto di replica” a quella della “diffida” ed alla luce di ciò che sta succedendo alla rivale Boiron probabilmente stanno tirando un sospiro di sollievo”.
In ogni caso, quasi fuori tempo massimo, a tarda sera del 23 agosto, è giunta a Samuele Riva una breve ma significativa lettera dell’Amministratore delegato di Boiron, Silvia Nencioni, che riporto per intero: “Buonasera Sig. Riva, sono dispiaciuta che il nostro intervento a difesa dell’azienda, dei medicinali e dei pazienti che li utilizzano, sia stato vissuto come una minaccia alla libertà della rete. Se questo è stato l’effetto, abbiamo sbagliato e comprendiamo la sua reazione. Da due secoli l’omeopatia è oggetto di controversie, che hanno tutte un’origine ben comprensibile: la scienza non è ancora in grado di raggiungere le frontiere dell’infinitamente piccolo. Siamo abituati quindi alle critiche, come potrà vedere sul nostro sito www.boiron.it, dove è presente un dibattito tra Christian Boiron, Direttore Generale del Gruppo, e il prof. Silvio Garattini, che non si può certo definire un amico dell’omeopatia. Le critiche in molti casi ci hanno anche permesso di progredire e di trovare ricercatori aperti e desiderosi di capirne di più. Il nostro obiettivo, nel suo caso, non era quello di oscurare le idee, ma di far togliere dal suo blog le frasi offensive e diffamatorie nei confronti dell’azienda e dei pazienti che si curano con i medicinali omeopatici. Ci soddisfa, quindi, che quelle frasi siano state rimosse. La nostra volontà non è quella di convincere, ma informare e fornire elementi di approfondimento a chi è interessato a discutere e condividere, senza pregiudizi, le realtà mediche, scientifiche e sociali che l’omeopatia rappresenta. Per questo motivo in cambio della bambola, che ci manderà in ricordo di questa vicenda, saremmo lieti di contraccambiare con il libro Il futuro dell’omeopatia, scritto da Christian Boiron, dove potrà leggere quanto molte cose che si dicono su di noi e sull’omeopatia siano lontane dalla realtà. Cordiali saluti, Silvia Nencioni”.
Boiron ha porto le sue scuse, in modo genuino, sincero e garbato, pur difendendo il proprio diritto a preservare la propria buona reputazione. La Nencioni – donna assai intelligente – ha fatto ammenda, tardivamente – complice forse anche la pausa estiva – e senza quindi poter rimediare i “side effects” reputazionali ormai conclamati, ma ha comunque fatto la cosa giusta, l’unica che restava da fare.
Resta da capire come sia stato possibile per il management Boiron, forse mal consigliato dal proprio ufficio stampa e dai propri avvocati, dar la parola ai legali – atteggiamento tipico di “big-pharma”, le arroganti multinazionali farmaceutiche allopatiche – contro un microscopico blog, incuranti del tipo di “rebound” che ciò avrebbe causato, e garantendo così a Samuele Riva – che ora sorride e ringrazia, dal momento che prima di questa vicenda riceveva sul proprio blog malcontati 100 visitatori al giorno! – la possibilità di amplificare il proprio messaggio critico contro l’omeopatia ai quattro angoli del pianeta.
Un’ulteriore case-history, utile specie ai relatori pubblici, per riflettere sull’importanza del crisis-management, disciplina spesso considerata con sufficienza dai comunicatori e ancor più dagli imprenditori nostrani, abituati a stipulare la polizza assicurativa puntualmente dopo che i ladri hanno svaligiato la casa.
(1) Una storia di cattiva crisis communication spesso citata dagli addetti ai lavori, una breve sintesi di cosa è avvenuto si può leggere su http://www.manuelpratizzoli.it/mosaico-arredamenti-e-la-peggior-crisis-management-della-storia/
(2) L’effetto Streisand è un fenomeno tipico della rete internet, in cui un tentativo di censurare o rimuovere una informazione provoca al contrario l’ampia pubblicizzazione dell’informazione stessa. Come riporta Wikipedia, il blogger Mike Masnick coniò originariamente il termine Streisand effect in riferimento ad una causa del 2003, nel corso della quale la famosissima attrice statunitense Barbra Streisand citò, senza successo, il fotografo Kenneth Adelman e il sito web Pictopia.com per ben 50 milioni di dollari di danni, nel tentativo di far rimuovere la foto aerea della propria casa dalla raccolta disponibile al pubblico di 12.000 immagini della costa californiana, citando preoccupazioni afferenti alla sua personale privacy. Adelman dichiarò che stava fotografando le proprietà di fronte alla spiaggia per documentare l’erosione costiera come parte di un progetto di salvaguardia promosso da un ente benefico americano, portando le prove delle sue affermazioni. Come risultato di questo caso, la conoscenza pubblica di questa foto fu sostanzialmente incrementata, ed essa divenne così popolare su Internet che più di 420.000 persone visitarono il sito entro il mese successivo, e decine di migliaia si “appostarono” nel periodo successivo sotto la casa dell’attrice per tentare di fotografarla.
Come farsi rubare i data-base della Polizia e vivere felici.
Nella notte tra il 24 ed il 25 luglio 2011, il gruppo di hackers internazionale denominato Anonymous – già agli onori della cronaca per l’attacco contro i siti di Scientology, rivendicato in nome dello spirito libertario del web e contro i metodi massimalisti e di censura praticati da quell’organizzazione (1), e per i più celebri interventi in difesa di Wikileaks – hanno forzato i server della Polizia italiana, e per la precisione del CNAIPIC, il Centro Nazionale Italiano per la Protezione delle Infrastrutture Critiche, la sezione della Polizia di Stato preposta alla difesa di tutti i “nodi” informatici cruciali delle istituzioni della penisola. Come dire: un gruppo di ragazzi sorvegliati a vista svaligia la casa superprotetta del Giudice preposto a controllarli mentre sono agli arresti domiciliari.
Questo discusso gruppo di hackers aveva già forzato in una precedente occasione, a inizi 2011, le piattaforme web del Governo Italiano, per protesta “politica” contro lo stile di governance del Premier Berlusconi, mandando in tilt nel corso della cosiddetta Operazione Italia i siti di Palazzo Chigi e di vari Ministeri. All’epoca un Dirigente della Polizia Postale, il corpo di vigilanza italiano contro gli abusi informatici, da cui dipende anche il CNAIPIC, aveva dichiarato: “Questo genere di azioni difficilmente si può contrastare perché provengono da più computer sparsi non solo in Italia, ma anche all’estero”. Gli Anonymous avevano risposto con un breve ma per certi versi fascinoso comunicato stampa: “Noi non amiamo la violenza, noi non vogliamo la guerra, noi non cerchiamo di creare disordini. Noi siamo i protettori umili e innumerevoli e della libertà di parola. Noi siamo la massa critica”.
Ma la beffa appare ancor più clamorosa di quella di inizi anno, se consideriamo che non più di un mese prima, i cyber-detective del Ministero degli Interni avevano effettuato alcuni arresti, dichiarando pomposamente alla stampa: “Decapitati i vertici italiani di Anonymous”. Gli stessi hackers formalmente “decapitati” che poche settimane dopo hanno inferto un durissimo colpo di credibilità al CNAIPIC, il corpo scelto della Polizia Postale, i guardiani della sicurezza informatica di tutti noi. Peraltro, come fosse possibile “decapitare” un’organizzazione non verticistica e che ha in una struttura “a rete” il suo stesso DNA, era poco chiaro a qualunque addetto ai lavori del settore, ma si sa: la comunicazione si muove sui binari dello “scoop” e raramente su quelli dell’autenticità.
L’esperto informatico Roberto Preatoni ha dichiarato in un’intervista al cliccatissimo quotidiano on-line Affari Italiani: “…Non ho idea di come abbiano fatto, non mi serve saperlo: c’è sempre stato un modo e sempre ci sarà. E’ inutile: da un lato ci sono decine di tecnici che si arrovellano per cercare di mettere in sicurezza le infrastrutture critiche, dall’altro c’è sempre un singolo creativo che ragionando in maniera non lineare riesce a trovare un modo per metterli nel sacco. E se il modo non c’è, lo inventa, non c’è verso. Il creativo che ragiona in maniera non lineare si chiama hacker, per l’appunto. Non esiste definizione migliore”.
Gli Anonymous hanno dichiarato su uno dei loro blog ufficiali: “Questa corrotta organizzazione (il CNAIPIC, ndr.) ha raccolto del materiale sequestrato dai computer di professionisti della sicurezza e lo ha utilizzato negli anni per condurre operazioni illegali in accordo con servizi segreti stranieri, invece che utilizzarlo per condurre investigazioni lecite”. Poco importa che gli stessi Anonymous due giorni dopo i fatti abbiano preso le distanze dall’accaduto, attribuendo la forzatura dei data-base della Polizia ad un altro gruppo di hackers, i Nkwt Load: ciò che conta è che ben 8 Giga di file riservati siano stati sottratti da depositi informatici considerati super-sicuri e con scioltezza pubblicati in rete, su tre distinti siti, disponibili alla lettura da parte di chiunque si sia preso la briga in quelle ore di downlodarne con sollecitudine il contenuto. Se non è crisi questa…
Come ha risposto il Ministero dell’Interno alla crisi? Sollecitato da Daniele Tigli, un collega di Faenza particolarmente attento a tutto ciò che è oltre i confini del web tradizionalmente inteso, ho preso contatto con l’Ufficio stampa della Polizia poche ore dopo la pubblicazione della notizia on-line. Mi hanno rassicurato che “un comunicato stampa stava per essere diramato” (2), e in effetti l’ho trovato nella mia casella di posta poche ore dopo. Lo sconcerto è stato però grande quando ho aperto il file, che recitava (riporto verbatim): “In relazione alla divulgazione in Rete di documenti sottratti dai suoi sistemi informatici, la Polizia delle Comunicazioni ha in corso attente verifiche tecniche mirate ad accertare la reale portata degli eventi. Di fatto, risultano pubblicati online contenuti apparentemente riconducibili al CNAIPIC della stessa Polizia delle Comunicazioni sulla cui autenticità sono in corso accertamenti”. Fine del comunicato. Due frasi. Nessun dettaglio. Nessun virgolettato. Nessuna analisi nel merito della tipologia di file trafugati. Nessuna dichiarazione del Ministro su quella che appare la più eclatante violazione informatica mai avvenuta in Italia da quando esiste la rete internet.
Mentre realizzavo un servizio sull’accaduto (3) per la SBS (4), con la quale collaboro, ho chiesto all’Ufficio Stampa del Ministero di tenermi sollecitamente al corrente sugli sviluppi della questione. A parte una bulimica e imbarazzante quantità di comunicati stampa sulla situazione del traffico sulle autostrade italiane prese d’assalto dai vacanzieri, non è pervenuta nei giorni successivi nella mia casella e-mail alcuna news di aggiornamento su questo delicato dossier, e alla data di chiusura di questo articolo sul sito ufficiale della Polizia di Stato non risulta pubblicato alcunché al riguardo. Anzi, con mio stupore, ho anche verificato che anche il laconico – e ben poco utile – comunicato del 25 luglio il cui testo vi ho riportato sopra, non risulta pubblicato sulla media room della Polizia (5): o non vi è mai stato, o è stato rimosso…
È appena utile evidenziare che – con tutto il rispetto per la necessaria riservatezza delle indagini – sono state violate dagli addetti alla comunicazione della Polizia le più elementari regole della gestione di casi di crisi:
A oltre 15 giorni dall’evento, da un corpo altamente specializzato come la Polizia Postale ci si aspettava certamente di più, se non altro sotto l’aspetto del flusso informativo. Ma più ancora, stupisce l’assoluta assenza d’iniziativa politica dei vertici del dicastero degli Interni e del Governo, una volta ancora apparentemente “distante” dai problemi concreti della vita dei cittadini. Con decine di milioni di connessioni web attive in Italia, il profilo della sicurezza dei data-base informatici non mi sembra affatto una issue da trascurare o sottostimare.
(1) Vedasi il mio articolo “Scientology: critiche ragionate alla strategia di comunicazione” pubblicato su Ferpi News all’indirizzo internet http://www.ferpi.it/ferpi/novita/notizie_rp/internazionale/scientology-critiche-ragionate-alle-strategie-di-comunicazione/notizia_rp/43153/7
(2) Il mio contatto con il Ministero risale al 25/07/11, h 16:00 circa
(3) Downlodabile su http://www.sbs.com.au/yourlanguage/italian/highlight/page/id/179547/t/Hackers-at-work
(4) La radio di Stato Australiana, il più importante network nazionale che trasmette – in più lingue – anche in tutta l’Oceania
(5) http://www.poliziadistato.it/articolo/183-Ufficio_stampa/