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Londra, il grande inganno di Facebook, Twitter e c.

Il Cio ha (avrebbe) dato il via libera a Facebook, Twitter, Youtube e blog al Villaggio Olimpico di Londra, tanto che si era parlato addirittura della prima Olimpiade dove i social network avranno quello spazio che prima non avevano mai avuto (figuriamoci quattro anni fa, a Pechino…). Ma attenzione, c’è l’inganno. Perché non è vero che il Cio ” incoraggia attivamente e appoggia gli atleti a partecipare ai social media e parlare delle proprie esperienze tramite di blog…”, come sostiene, perché ha messo tanti e tali “paletti”  che alla fine gli atleti potranno scrivere solo messaggi banali, tipo “mamma qui a Londra tutto bene, mi sono allenato e domani spero di fare una bella gara…”. Sì, perché le limitazioni del Cio tolgono spazio a qualsiasi fantasia o voglia di comunicare con il mondo esterno. E tutte le Nazioni partecipanti ai Giochi londinesi dovranno adeguarsi. Il Coni ha tradotto le norme previste dal Cio: gli atleti e gli “officials” che andranno a Londra dovranno quindi studiare con la massima attenzione un opuscolo chiamato “Linee guida social media, blogging e Internet Cio per i partecipanti e altre persone accreditate ai Giochi Olimpici di Londra 2012”. Cosa prevede? Non c’è la possibilità di “postare” liberamente foto, video, tweet: solo messaggi in prima persona, foto di se stessi (se ci sono altri atleti va chiesta l’autorizzazione). Vietati i filmati, sia al Villaggio sia ai luoghi di gara (solo uso personale e non “potranno essere condivisi tramite posting, blog o tweet…”). I cinque cerchi olimpici non si possono usare e non è permesso “promuovere qualsiasi marchio, prodotto o servizio nell’ambito di posting, blog o tweet o altro su qualunque piattaforma social media o sito web. Ai partecipanti e altre persone accreditate è vietato firmare qualsiasi accordo commerciale esclusivo”. Insomma, è proibito praticamente tutto (e pensare che il Cio voleva “incoraggiare”… ). I rischi per chi sgarra sono altissimi, anche dal punto di vista penale.




Csr: Nissan e FedEx Express trasportano a zero emissioni gli aiuti alla Croce Rossa britannica

Nissan e FedEx collaborano ancora una volta a Londra dimostrando il proprio impegno in favore della sostenibilità ambientale e della responsabilità sociale d’impresa.
Un corriere di FedEx Express ha guidato il veicolo 100% elettrico a zero emissioni Nissan e-NV200 Concept fino alla sede londinese della Croce Rossa britannica: oggetto della consegna, le donazioni raccolte fra il personale Nissan oltre a un contributo filantropico aziendale di FedEx Express. Con questo viaggio si è concluso il primo test su strada di e-NV200 Concept nel Regno Unito e il collaudo da parte di FedEx Express del nuovo prototipo van Nissan 100% elettrico. Molti dipendenti del Nissan Technical Centre Europe (NTCE) di Cranfield, che hanno fornito il supporto tecnico a e-NV200 Concept, hanno partecipato all’annuale raccolta benefica della Croce Rossa britannica per il fondo di emergenza a supporto dei disastri. Sono stati proprio loro a chiedere che le donazioni venissero consegnate in modo memorabile, a bordo del veicolo a zero emissioni. In segno di solidarietà e di responsabilità sociale, FedEx Express ha raddoppiato il contributo economico del personale Nissan e si è incaricata di recapitare il denaro utilizzando il Nissan e-NV200 Concept, che aveva collaudato sulle strade di Londra.
“Siamo orgogliosi di consegnare i fondi raccolti dai nostri dipendenti a sostegno della Croce Rossa britannica e siamo lieti che FedEx Express, nostro partner in questo progetto di mobilità ecologica, abbia voluto sostenere concretamente l’iniziativa” ha dichiarato Graeme Burn, ingegnere senior nell’NTCE incaricato dello sviluppo degli apparati propulsori.
“La collaborazione con FedEx Express sui fronti della sostenibilità ambientale e della responsabilità sociale d’impresa dimostra che, quando due aziende uniscono le forze, ottengono grandi risultati. L’esperienza con e-NV200 Concept è stata coinvolgente, positiva ed estremamente innovativa. Colgo l’occasione per ringraziare il nostro personale per la generosità dimostrata e per il tenace supporto al nostro impegno sociale.” ha aggiunto l’ingegnere.
“Da sempre FedEx Express promuove campagne di solidarietà internazionale e lavora in un’ottica di sostenibilità ambientale, fornendo i propri servizi di trasporto in tutto il mondo e inviando donazioni filantropiche nelle aree colpite da emergenze umanitarie e disastri” ha detto William Martin, direttore generale del trasporto via terra nel Regno Unito, FedEx Express EMEA. “Siamo felici di aver rafforzato la collaborazione con Nissan in questi due mesi di test della mobilità elettrica e di aver sostenuto concretamente le attività della Croce Rossa britannica.” ha concluso Martin.




Csr: le fabbriche cinesi della Apple sotto la lente della Fair Labour Association

Turni di lavoro massacranti, salari da fame, dormitori senza acqua corrente. Tanti gli abusi, dal lavoro minorile alle condizioni insicure, che vanno in scena nelle fabbriche cinesi in cui vengono prodotti e assemblati i gioielli della Apple.
Ora, però, la Mela di Cupertino ha ceduto e ha annunciato che la Fair Labour associaton, organizzazione no-profit che si propone di far rispettare le norme internazionali sul lavoro, condurrà delle ispezioni nelle ditte di assemblaggio asiatiche.
Se nel non lontano 2010 decine di lavoratori della Foxconn, la fabbrica cinese che lavora per la Apple, si sono suicidati gettandosi dall’ultimo piano dello stabilimento di Shenzen, nel 2012 la Apple diventa, invece, la prima azienda tecnologica ad unirsi alla Fla. E ora i risultati delle ispezioni, che sono partite lo scorso 13 febbraio proprio dalla Foxconn di Shenzhen,  verranno resi pubblici a marzo, spiega l’associazione in un comunicato.
Ma queste ispezioni aiuteranno davvero i lavoratori cinesi? Se l’è chiesto il giornale Good, che ha intervistato Dan Viederman, l’amministratore delegato di Verité, una ONG che si occupa di diritti del lavoro. “La FLA come istituzione è governata da una combinazione di aziende, ONG e università, così da questo punto di vista, è molto più credibile di un’istituzione fatta solo da imprese”, spiega Viederman. Il più grande fattore di distinzione per la credibilità della valutazione è la qualità delle informazioni che verranno raccolte direttamente dai lavoratori, che dovranno sentirsi sicuri nel rivelare le condizioni in cui stanno lavorando o le violazioni della sicurezza.
La valutazione, poi, non è che la prima parte, “una prima risposta per chiarire cosa sta succedendo. Ciò che conta davvero è il beneficio che ne traggano i lavoratori dopo che la valutazione è stata completata”, dice Viederman. Insomma, l’indagine e le sue valutazioni sono solo il primo risultato. È successivamente che bisogna intraprendere le modifiche di un intero sistema.




Nel bilancio sociale l’identità dell’azienda

L’esperienza di Tecnocasa, società di franchising immobiliare, nel racconto di Gianfranca Beretta, presidente di Tecnomedia: un percorso verso una maggiore consapevolezza della propria missionNato nel 1986, il gruppo Tecnocasa, rete di agenzie di intermediazione immobiliare in franchising, ha festeggiato lo scorso anno il 25° compleanno. E ha colto l’occasione per cimentarsi con il suo primo bilancio sociale. “Il nostro obiettivo era misurare le ricadute della nostra azienda sul tessuto economico”, spiega Gianfranca Beretta, presidente di Tecnomedia, una delle società del gruppo e referente interno per il bilancio sociale.
“E infatti si è trattato di un esercizio utile soprattutto per noi. Il percorso di analisi ha coinvolto tutte le società del gruppo, ogni singolo ramo aziendale per analizzare il valore aggiunto di ciascuno per i nostri stakeholders. Ne è emerso un quadro complessivo che ci ha dato maggiore consapevolezza: perché possiamo dire di essere riusciti ad assolvere la nostra responsabilità, che non può essere solo la creazione di valori economici, ma deve assumere una valenza nell’ambito sociale”.
Domanda: In quale ambiti avete rilevato i risultati più significativi?
Risposta: Per esempio nella formazione: abbiamo istituito un’attività di audit sulla formazione che forniamo agli affiliati. Il nostro obiettivo è preparare tutti gli operatori a esprimere una professionalità esperta e trasparente, e la valutazione è stata positiva soprattutto per quanto riguarda la metodologia: abbiamo scelto infatti di decentrare i pacchetti formativi in modo che in tutta Italia gli affiliati possano contare sullo stesso livello di qualità, senza differenze tra ‘centro’ e ‘periferia’.
Noi non vendiamo il nostro marchio ad agenzie esistenti: selezioniamo giovani neo diplomati o neo laureati e li avviamo a un percorso formativo obbligato, basato su step definiti fino a portarli all’esame per il ‘patentino’ di agente immobiliare. Nel giro di due anni e mezzo, tre al massimo sono pronti per l’affiliazione. Crediamo che anche questo sia centrale nella nostra mission: contribuire a elevare il livello di professionalità della categoria.
D: Avete adottato anche un approccio originale ai mezzi di comunicazione…
R: Da 15 anni il nostro ufficio studi rileva, attraverso tutte le agenzie sul territorio i prezzi di mercato, che vengono poi elaborati attraverso un software dedicati. Il risultato è un’informazione non di parte, non strumentale sulla situazione del mercato immobiliare, che ci consente di essere costantemente presenti sugli organi di informazione senza acquisire spazi, e quindi senza ‘sporcare’ con aspetti commerciali il nostro rapporto con i giornalisti.
Questo tipo di attività ha anche consentito una crescita personale importante ad alcuni affiliati che sono diventati i nostri portavoce in giro per l’Italia: grazie a loro riusciamo a realizzare ben 60 conferenze sul territorio.
D: Gli ultimi anni sono stati abbastanza difficili anche per il mercato immobiliare. Come affrontate questa fase?
R: La crisi del mercato è seguita ad anni di boom durante i quali si sono radicate cattive abitudini: alcuni affiliati hanno aumentato eccessivamente il loro tenore di vita, e ora la situazione diventa difficile. Rischiamo di dover tagliare alcuni rami secchi: cerchiamo di aiutare il più possibile, anche sospendendo il pagamento delle royalties, ma abbiamo anche un bilancio economico, e non possiamo, per salvare qualcuno, mettere a rischio l’intero sistema.
Ma proprio grazie al bilancio sociale, abbiamo scoperto alcuni punti di forza: il valore del nostro marchio, la qualità delle persone che lavorano con noi, l’efficacia di una comunicazione “trasversale”. E con stupore abbiamo verificato che la nostra non è un’azienda piramidale con un “capo illuminato” e i suoi sottoposti. Certo, c’è un fondatore, con il suo carisma e la sua leadership, ma la nostra crescita è avvenuta soprattutto attraverso una comunicazione orizzontale, che ha facilitato il diffondersi di una cultura aziendale e ha portato chi lavora con noi a interiorizzare il nostro stile.




L'azienda etica se sbaglia chiede scusa a salvaguardia della business continuity

E’ proprio alle situazioni di crisi che è dedicato il libro ‘Crisis Management. Come comunicare la crisi: strategie e case history per salvaguardare la business continuity e la reputazione’ di Luca Poma, giornalista e consulente in Csr e Crisis Communication e Giampietro Vecchiato, esperto in relazioni pubbliche, direttivo nazionale FerpiPer recuperare, almeno in parte, ad un danno reputazionale si deve iniziare dalla scuse. L’azienda, infatti, che si assume le proprie responsabilità riesce più facilmente a recuperare posizione sul mercato. Ed è proprio alle situazioni di crisi che è dedicato il libro ‘Crisis Management. Come comunicare la crisi: strategie e case history per salvaguardare la business continuity e la reputazione’ di Luca Poma, giornalista e consulente in CSR e Crisis Communication, e Giampietro Vecchiato, esperto in relazioni pubbliche, Direttivo nazionale Ferpi, presentato in occasione di “Dal dire al fare”, il salone della CSR in corso all’università Bocconi di Milano. Crisis Management, spiega all’Adnkronos, Luca Poma, “è il manuale del Sole 24 Ore per la comunicazione di crisi. In questo libro analizziamo tutta una serie di case histories: navi che affondano, aerei che cadono, intossicazioni alimentari o crisi reputazionali. Insomma, tutto quello che può dare pregiudizio al regolare business di un’azienda e pregiudicarne la reputazione, proponendo delle tecniche ah hoc per trattare questo tipi di situazioni”. La CSR, secondo Poma, “è una chiave per uscire dalla crisi. Lo dice uno studio dell’università di Harvard che ha monitorato 90 aziende che per 18 anni hanno promosso politiche di CSR e 90 che non lo hanno fatto. Il risultato è + 25% di valore in borsa in tutte quelle che si sono impegnate. Questo dimostra che la CSR è una chiave di sviluppo competitivo e incrocia molto la comunicazione di crisi”, perchè secondo Poma, “porci prima il problema di cosa può succedere di negativo ad un nostro stakeholder significa fare management preventivo di crisi”. Ma come si esce da un danno reputazionale? “Non esiste una ricetta valida per tutte le stagioni, ma ci sono delle regole base. La prima – e anche la più importante – è saper chiedere scusa. E’ confermato da molti studi scientifici e universitari che le aziende che si assumono le proprie responsabilità e si scusano nei confronti degli utenti e consumatori in maniera schietta e sincera sono anche quelle che recuperano prima il proprio valore”. In secondo luogo, aggiunge Poma, “bisogna capire come fare affinché lo scenario di crisi non si ripeta più e prendersi realmente cura dei danni che si sono causati nell’ambiente che ci circonda. Questo significa rifondere se si tratta di danni di carattere economico finanziario o comunque fare in mondo che l’evento negativo impatti il meno possibile sui nostri stakeholder”. Il problema, però, conclude l’autore, è che “le aziende chiedono troppo poco scusa, anche perché gli avvocati le consigliano male. Gli avvocati non sono comunicatori e dicono che non bisogna mai ammettere le proprie responsabilità. Non è vero. Un grande esempio di case histories di crisi in Italia è Thyssen Krupp, che ci dimostra come gli esiti giudiziari sono comunque terrificanti e sfavorevoli quando l’azienda non ha un approccio etico alla crisi che ha contribuito a generare”