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Una stanza per il baratto

Piccoli suggerimenti e idee per rendere i nostri figli protagonisti consapevoli nella salvaguardia del benessere dell’ambiente.
In molte scuole d’infanzia e scuole primarie esiste la bella abitudine di adibire una stanza ad uso biblioteca. L’iniziativa è senza dubbio da apprezzare moltissimo, perchè incoraggia il bambino ad approcciarsi al libro in modo attivo, motivato e ludico, restituendo a questo strumento di conoscenza e di piacere un po’ della gloria che l’era tecnologica gli ha inevitabilmente sottratto. Un ‘altro suggerimento che si potrebbe proporre al proprio insegnante è quello di dedicare una stanza della struttura scolastica a “camera baratto”: l’idea è la stessa della biblioteca, soltanto che invece di scambiarsi e prendere in prestito il libri, qui si tratterebbe di mettere a disposizione i giocattoli. Si potrebbe attivare tra i bambini una raccolta dei loro giocattoli più in buono stato e che sono disposti a cedere in prestito. Qualche adulto di riferimento potrebbe occuparsi di gestire il baratto, così come solitamente avviene che un genitore o un insegnante si renda garante del buon funzionamento della biblioteca scolastica. In questo modo i bambini avrebbero la possibilità di utilizzare i giocattoli sempre diversi senza bisogno di acquistarli e questo a vantaggio del portafoglio del genitore, della varietà di scelta e della salute dell’ambiente: si risparmierà infatti lo smaltimento di plastiche, stoffe, materiale inerte costitutivo dello stesso giocattolo. La “camera del baratto” attraverso gli anni potrebbe arricchirsi maggiormente e i giocattoli passare di mano in mano godendo di sempre nuova vita.  Se vogliamo guardare anche ai vantaggi “spirituali” di questa iniziativa, si può dire che va tutto a beneficio dell’idea del riciclo, della condivisione, della riduzione degli sprechi e del non attaccamento alle cose materiali.”




Computer Rivoluzione Qwiki, ora lo schermo parla l' enciclopedia del futuro ha una nuova voce

Il computer ha iniziato a parlare. Con voce sintetica, certo, ma in grado di discorrere di qualsiasi argomento. Poco importa che lo si interroghi sugli ultimi vincitori di Sanremo, sui romanzi di Cormac McCarthy, sulle fortune e sfortune di Steve Jobs o sulla storia di Montparnasse a Parigi. Lui racconta con tono neutro, cita date, mostra video, foto, mappe, fa scorrere testi e ipertesti, offre collegamenti ad altri aspetti in un mosaico in continuo movimento. Mette in scena un “qwiki”, modo tutto nuovo di chiamare una voce in questa strana via di mezzo fra un motore di ricerca e un’ enciclopedia futuribile. «Siamo sommersi di dati», ha spiegato Doug Imbruce, una delle menti dietro questo progetto che a breve dovrebbe aprire i battenti. «E l’ unico sistema per salvarci è fare in modo che queste informazioni diventino qualcosa che si può guardare». Come un telefilm, o meglio come un documentario interattivo. Il servizio, provato in anteprima e che sarà disponib i l e a n c h e p e r smartphone, unisce la ricchezza di Wikipedia, prendendo da qui i testi introduttivi da recitare, con quella di Google Maps per le indicazioni geografiche, dei motori di ricerca più usati per immagini e documenti, di YouTube o Vimeo per i video. Si scrive un nome, il cofondatore di Facebook Eduardo Saverin ad esempio, ed ecco che la voce sintetica comincia a raccontarci quando è nato e dove è cresciuto, ci fa vedere le immagini del social network più popolare al mondo che ha contribuito a creare, quelle del suo ex amico Mark Zuckemberg, le sequenze del film girato da David Fincher tratto liberamente dalla loro vicenda. Eduardo Saverin in Qwiki ci crede a tal punto da aver investito otto milioni di dollari. Perché, come ha detto lui stesso, «è ancora all’ inizio, ma ha tutte le carte per diventare un punto di svolta». E ci crede anche Louis Monier, a capo del progetto assiemea Imbruce, già noto per aver fondato nel 1995 il motore di ricerca Altavista.A bordo, come investitore, c’ è perfino Jawed Karim, che assieme a Steve Chen e Chad Hurley diede vita a YouTube sei anni fa. Una schiera di grandi ex, insomma, che nella maggior parte dei casi, escluso Monier nato nel 1956, hanno appena superato i trent’ anni. Se l’ idea alla base di Qwiki è semplice, trasformare le informazioni sparse per la Rete in un’ esperienza visiva, il suo eventuale successo ha implicazioni più profonde. Da un lato raccoglie, sintetizza e banalizza le fonti, andando quindi incontroa tutti coloro che non hanno tempo per cercare e approfondire. Dall’ altro è in linea con una moda sempre più diffusa nel campo della tecnologia che cerca di limitare al minimo l’ uso di mouse e tastiera, preferendo altre forme di interazione per noi più naturali. Che nel caso di Qwiki significa voce e sguardo, per l’ iPhone di Apple e Surface della Microsoft significa invece il tatto, infine per Eye Toy (PlayStation), la Wii della Nintendo e Kinect per Xbox 360 vuol dire trasformare i gesti in comandi da usare nei videogame. Ma c’ è, come sempre accade, chi si vuol spingere molto più avanti. In un’ azienda di neuroingegneria (la Emotiv), ad esempio, hanno messo in commercio un dispositivo, l’ Epoc, dotato di 19 sensori che una volta indossato sulla testa riesce a trasformare le onde cerebrali in comandi comprensibili da un pc. Giocattolo da 299 dollari che, a oggi, permette sì e no di muovere qualche oggetto in ambienti digitali. Ma chissà, magari per il World Wide Web di domani sarà più che sufficiente.
 




Secondo una nuova ricerca Weber Shandwick il 64% dei CEO delle più grosse aziende del mondo non è attivo online

Secondo una nuova ricerca di Weber Shandwick, la multinazionale leader in Italia nel settore delle relazioni pubbliche, la maggior parte dei CEO delle più grosse società del mondo – il 64% – non è ancora “social”, ovvero non ha presenza attiva sui social media e non promuove online attività di engagement degli stakeholders.

Lo studio “Socialising Your CEO: From (Un)Social to Social” ha preso in esame la presenza e le attività digital dei CEO delle prime 50 aziende a livello globale.
“In questo periodo di precarietà e di incertezza generali, si registra un forte trend dei CEO a non rimanere in silenzio. Anzi, partecipano ai più importanti forum e convegni delle loro industry e le loro parole e i loro messaggi sono ampiamente presenti sulla stampa economica. Ma quando si parla di digital engagement, i CEO dimostrano di non essere pienamente “social” commenta Leslie Gaines-Ross, chief reputation strategist di Weber Shandwick ed esperta di online reputation. “Tuttavia il top management sta progressivamente prendendo confidenza con i new media, di conseguenza ci aspettiamo che la tendenza attuale si inverta molto rapidamente.”
Più di 9 su 10 CEO delle maggiori 50 aziende mondiali (il 93%) hanno comunicato all’esterno in maniera tradizionale: il 93% è stato recentemente intervistato sui principali giornali generalisti ed economici e il 40% ha sfruttato la leva delle speaking opportunities per veicolare i propri messaggi ad audience esterne.
La Comunicazione online, tuttavia, non è andata di pari passo. La presenza sul web dei CEO si limita prevalentemente ad una pagina su Wikipedia, l’enciclopedia online costituita dal sapere dagli utenti. A parte Wikipedia la visibilità online dei CEO è piuttosto ridotta – solo il 36% può essere definito a pieno titolo “social” e intrattiene in qualche modo relazioni con l’esterno sul sito aziendale o sui social media (es. messaggi/ video/podcasts sui siti aziendali o su Youtube; presenza su Twitter, Facebook, LinkedIn, MySpace o nel blog aziendale).




Welfare aziendale, un dipendente su 4 non ne sa le iniziative

Per il 55% delle aziende è il costo il maggior freno alle politiche di welfare.
A fare il punto sulle politiche responsabili delle aziende italiane è una ricerca di Edenred condotta su un campione di giovani fino ai 35 anni e su un panel di manager e responsabili delle risorse umane.
Roma, 4 nov. – (Adnkronos) – Le attività di welfare aziendali sono insufficienti e, quando presenti, non sono promosse e valorizzate adeguatamente. Tanto che un dipendente su quattro non ne è a conoscenza. A fare il punto sulle politiche responsabili delle aziende italiane è una ricerca di Edenred condotta su un campione di giovani fino ai 35 anni e su un panel di manager e responsabili delle risorse umane che oltre a rilevare un sistema inefficiente, segnala anche la mancanza di una comunicazione adeguata.
Nonostante l’enorme interesse verso questi temi, dunque, c’è ancora molto da fare. Eppure i vantaggi di una adeguata azione comunicativa sono tanti: “dal miglioramento dell’immagine, all’attrazione di nuovi clienti, dal miglioramento del clima interno ad una più elevata capacità produttiva, dalla riduzione dell’assenteismo al miglioramento del senso di appartenenza alla valorizzazione del capitale umano, fino anche alla fidelizzazione dei lavoratori” spiega all’Adnkronos, Andrea Casadei, direttore della ricerca di Bilanciarsi, network che opera in merito alle tematiche inerenti la Responsabilità Sociale d’Impresa e la Sostenibilità.
Se sono ancora molte le aziende a non offrire piani di welfare, la ragione è ben precisa. Da un’indagine di Astraricerche svolta per Edenred, emerge che per il 55% delle aziende è il costo il maggior freno alle politiche di welfare. Ma quali sono le regole della buona comunicazione? Secondo Casadei, una volta definite le caratteristiche della comunicazione e gli argomenti da trattare, l’azienda, dovrebbe considerare diversi canali.
Prima di tutto “riunioni e assemblee, per comunicare all’intero staff, in modo personale, le attività di Csr da sviluppare. L’efficacia di questo mezzo comunicativo risiede, in particolare, nel confronto diretto con i dipendenti, i quali possono anche fornire feed-back sui progetti implementati”. Un altro strumento sono le cassette dei suggerimenti “per ricevere feed-back dai dipendenti e coinvolgerli nell’organizzazione dei progetti di Csr”.
Anche “comunicati in bacheca, poster e banner, hanno un’alta visibilità per i dipendenti e trasmettono, in modo efficace i valori dell’azienda e le particolari strategie votate alla sostenibilità delle proprie azioni”. Nell’era della digitalizzazione non possono mancare newsletter e house-organ, “per informare il personale su quanto accade all’interno dell’azienda, magari inserendo costantemente un articolo dedicato alle tematiche della responsabilità sociale”.
Ma per lo scambio interno di informazioni gioca un ruolo chiave anche l’intranet: ideale per pubblicare rapporti settimanali, promemoria; per dare vita a bacheche virtuali, messaggistica immediata e chat moderate. In questo modo, tutti dispongono delle medesime informazioni con un notevole risparmio di tempo. In Telecom Italia, ad esempio, “uno degli strumenti principali di comunicazione con i nostri dipendenti è proprio l’intranet aziendale, a cui nel tempo abbiamo affiancato blog, community dedicate ed e-convention. La multimedialità, dunque, gioca un ruolo chiave” commenta all’Adnkronos, Paolo Nazzaro, responsabile Group Sustainability di Telecom Italia.
Grazie all’interazione online, ma anche attraverso incontri e focus group, l’azienda ha individuato quattro ambiti nei quali sviluppare iniziative specifiche: equilibrio tra vita lavorativa e tempo libero; supporto alle esigenze dei figli e della famiglia, supporto alle iniziative di volontariato dei dipendenti e valorizzazione delle forme di diversità presenti nel contesto lavorativo.
Alle iniziative più tradizionali, spiega il responsabile Group Sustainability di Telecom Italia, “l’azienda affianca progetti più innovativi come ad esempio il servizio di counseling per i dipendenti offerto dal Centro People Caring e curato da psicologi professionisti”. Il servizio, sottolinea Nazzaro, “ha lo scopo di offrire un sostegno alle persone a fronte di possibili disagi sia nell’ambiente lavorativo che nella sfera privata”.
Il progetto, partito in via sperimentale in Friuli, Liguria, Lazio e Sicilia, “è stato molto apprezzato e per questo l’azienda ne sta valutando l’estensione anche nelle altre regioni”. Inoltre, aggiunge Nazzaro, “ogni due anni effettuiamo un’analisi del clima aziendale”. Dall’ultima indagine, quella del 2010, emerge che il dato medio di soddisfazione generale, su scala da 1 a 10, si attesta in Italia a 7,23 (6,35 nella precedente edizione del 2008).




Csr: A Torino esperti a convegno sui diversi modelli di business

Asili nido per bimbi stranieri. Sviluppo di energie alternative. Film di utilità sociale. Sempre più aziende sviluppano un modello di business “etico”, attento anche all’ambiente e alla collettività. Ma non tutti pensano che questo sia il modo giusto per far crescere l’economia. Come il consulente internazionale di Relazioni pubbliche Paul Seaman, che sostiene “la necessità di puntare al profitto”.
E l’esperto italiano di Csr Luca Poma sceglie Affaritaliani.it per replicare. “Ho avuto uno scontro con Seaman – spiega –  proprio sul concetto di responsabilità sociale d’impresa. Secondo lui in un periodo di crisi è superfluo affiancare agli utili altri tipi di responsabilità e soprattutto è superfluo fare filantropia. Sono d’accordo con lui solo su quest’ultimo punto: secondo me la Csr non deve fare filantropia ma deve fare gli interessi veri degli azionisti con relazioni stabili con tutti gli stakeholder, cioè dai fornitori ai dipendenti fino ai clienti di un’azienda. La Csr parte dal dna dell’azienda che realizza poi progetti sul territorio. E queste iniziative alla fine fanno anche guadagnare le imprese in reputazione. Dallo scontro con Seaman è nata poi l’idea di organizzare un dibattito sui diversi modelli di business”.
Il convegno organizzato dal Club della Comunicazione d’Impresa di Torino, dal titolo “RES – Responsabile Etico Sostenibile” con focus sul ruolo delle strategie industriali e della comunicazione da “corporate responsability” a “human responsability” si svolgerà il 26 ottobre dalle 14.30 alle 19.30 nel capoluogo piemontese.
L’incontro, moderato dal giornalista economico finanziario Oscar Giannino, vedrà gli interventi di esperti in Relazioni Pubbliche come Toni Muzi Falconi della New York University e Luca Poma giornalista e professionista di CSR, di Emilia Costa, docente di Psichiatria a La Sapienza, e di Paul Seaman, Editor di 21st – Century PR Issues e accanito detrattore della cultura della responsabilità sociale d’impresa.
Il Presidente del Club, Luca Glebb Miroglio, afferma che il convegno è nato per “stimolare un confronto tra realtà imprenditoriali differenti per settore merceologico, dimensioni, territorio e cultura, sull’importanza dell’attenzione al sociale nelle attività di comunicazione e nelle strategie industriali. E’ evidente che il consumatore di oggi è sempre più informato e opera le proprie scelte tenendo conto di una pluralità di fattori, inclusi il rispetto per l’ambiente e per i diritti umani e i benefici per la collettività, ed è facile intuire che, a parità di rapporto qualità-prezzo verrà sempre più spesso preferito/a il prodotto o l’azienda che s’impegna per osservare questi requisiti ”.
Tra le aziende partecipanti, FIAT Group, Michelin e Ikea per il settore industriale, Grom e Cascina Cornale per il settore alimentare, la Fondazione Cittadellarte-Pistoletto e Papili Factory per la moda, Lifegate, La Esco del Sole e Centro Riciclo di Vedelago per l’ambiente, Bayer e GUNA per il settore pharma. Proprio quest’ultima rappresenta un caso d’eccellenza italiana nell’ambito delle attività di CSR.
E di progetti di responsabilità sociale d’impresa ce ne sono tanti. “Guna per esempio – sottolinea Poma – è un’impresa best in class in Csr. Tra i vari progetti l’azienda ha contribuito alla realizzazione dell’asilo multietnico ‘Sogno di bimbo’ nel quartiere Palmanova di Milano. Non solo raccogliendo soldi, con una campagna nelle farmacie, per la ristrutturazione dell’edificio ma anche distaccando i propri dipendenti che sono andati lì a fare volontariato. E poi Guna è attenta anche ai fornitori, ha fatto una mappa di tutti i fornitori e monitora l’eventuale sfruttamento eccessivo del territorio per l’estrazione delle materie prime”.
“Ma non è la sola – aggiunge -. Anche Bayer è impegnata nel sociale: un esempio è ‘Asfalto Rosso’, il film girato contro le stragi del sabato sera dovute all’abuso di alcol. E La Esco del Sole ha sviluppato progetti per rendere autonomi dal punto di vista energetico gli edifici sequestrati alla mafia.