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La nuova Comunicazione della Commissione Europea sulla CSR

Il 25 ottobre la Commissione Europea ha pubblicato l’attesa Comunicazione A renewed EU strategy 2011-14 for Corporate Social Responsibility (COM 2011/681), che traccia la nuova strategia dell’Unione Europea sulla CSR.
Una nuova definizione di CSR
La Comunicazione – dopo aver ricordato le sue finalità di contribuire allo sviluppo sostenibile e ad una economia sociale di mercato altamente competitiva sostenendo la Strategia Europe 2020, e aver richiamato i progressi realizzati dal 2001 – fornisce una nuova definizione della CSR: “La responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società.
Per rispondere in pieno a questa responsabilità, le imprese dovrebbero dotarsi di un processo per integrare le problematiche relative a società, ambiente, etica, diritti umani e consumatori nelle loro operazioni e strategia, in stretta collaborazione con gli stakeholders, con l’obiettivo di massimizzare la creazione di valore condiviso per proprietà e società/stakeholders, di identificare/prevenire/mitigare i possibili impatti negativi. Il rispetto delle norme applicabili e degli accordi tra le parte sociali ne costituise il prerequisito. Viene inoltre richiamato il global frame work dellaCSR, costituito da un set di principi e linee guida riconosciuti internazionalmente: OECD Guidelines for Multinational Enterprises, United Nations Global Compact, United Nations Guiding Principles on Business and Human Rights, ILO Tri-partite Declaration of Principles Concerning Enterprises and Social Policy, ISO 26000 Guidance Standard on Social Responsibility.
Il ruolo guida delle imprese
Lo sviluppo della CSR dovrebbe essere guidato dalle imprese stesse, garantendo loro la flessibilità di innovare e impostare un approccio adatto alle proprie dimensioni e circostanze. Il ruolo delle Pubbliche Autorità è di supporto, con un mix intelligente di volontarietà, regolamentazione complementare ove necessaria, incentivi di mercato. Sindacati e organizzazioni della società civile possono identificare problemi e collaborare costruttivamente colle imprese nello sviluppo delle soluzioni. Mentre investitori e consumatori possono premiare con le loro scelte le imprese socialmente responsabili.
L’Agenda di azione 2011-2014
Viene poi definita  una Agenda di Azione 2011-2014, con 30 tra impegni della Commissione e proposte a imprese, Stati membri, stakeholders, raggruppati come segue:
– aumentare la visibilità della CSR e disseminare buone pratiche (creazione nel 2013 di piattaforme multi-stakeholder settoriali, premio europeo per partnership CSR imprese e stakeholders)
– migliorare e monitorare il livello di fiducia nelle imprese (misure contro il greenwashing, dibattito aperto su ruolo e potenziale delle imprese nel 21° secolo)
– migliorare i processi di auto e co-regolamentazione (lancio nel 2012 di un processo per sviluppare un codice di condotta in materia)
– potenziare gli incentivi di mercato per la CSR (public procurement, richiesta a tutti gli investitori istituzionali di informare i clienti sui criteri di investimento responsabile adottati)
– migliorare trasparenza/disclosure delle informazioni sociali e ambientali (proposta legislativa e incoraggiamento alle imprese di misurare/benchmark la performance ambientale usando un metodologia comune di life-cycle-assessment)
– integrare la CSR nella ricerca, educazione e formazione
– enfatizzare l’importanza di politiche CSR nazionali e locali (entro il 2012 piani/azioni prioritarie CSR nazionali, meccanismo di peer review)
– allineamento degli approcci alla CSR europei e globali (focus su principi e guidelines riconosciuti, guide settoriali e per le PMI nella applicazione dei UN Principles on business and human rights).
Previsto a metà 2014 un Review Meeting con imprese, stati membri e stakeholders per monitorare il progresso.
La Commissione riconosce l’iniziativa Enterprise 2020 di CSR Europe come un esempio di business leadership particolarmente rilevante per gli obiettivi politici in materia.




Una stanza per il baratto

Piccoli suggerimenti e idee per rendere i nostri figli protagonisti consapevoli nella salvaguardia del benessere dell’ambiente.
In molte scuole d’infanzia e scuole primarie esiste la bella abitudine di adibire una stanza ad uso biblioteca. L’iniziativa è senza dubbio da apprezzare moltissimo, perchè incoraggia il bambino ad approcciarsi al libro in modo attivo, motivato e ludico, restituendo a questo strumento di conoscenza e di piacere un po’ della gloria che l’era tecnologica gli ha inevitabilmente sottratto. Un ‘altro suggerimento che si potrebbe proporre al proprio insegnante è quello di dedicare una stanza della struttura scolastica a “camera baratto”: l’idea è la stessa della biblioteca, soltanto che invece di scambiarsi e prendere in prestito il libri, qui si tratterebbe di mettere a disposizione i giocattoli. Si potrebbe attivare tra i bambini una raccolta dei loro giocattoli più in buono stato e che sono disposti a cedere in prestito. Qualche adulto di riferimento potrebbe occuparsi di gestire il baratto, così come solitamente avviene che un genitore o un insegnante si renda garante del buon funzionamento della biblioteca scolastica. In questo modo i bambini avrebbero la possibilità di utilizzare i giocattoli sempre diversi senza bisogno di acquistarli e questo a vantaggio del portafoglio del genitore, della varietà di scelta e della salute dell’ambiente: si risparmierà infatti lo smaltimento di plastiche, stoffe, materiale inerte costitutivo dello stesso giocattolo. La “camera del baratto” attraverso gli anni potrebbe arricchirsi maggiormente e i giocattoli passare di mano in mano godendo di sempre nuova vita.  Se vogliamo guardare anche ai vantaggi “spirituali” di questa iniziativa, si può dire che va tutto a beneficio dell’idea del riciclo, della condivisione, della riduzione degli sprechi e del non attaccamento alle cose materiali.”




Computer Rivoluzione Qwiki, ora lo schermo parla l' enciclopedia del futuro ha una nuova voce

Il computer ha iniziato a parlare. Con voce sintetica, certo, ma in grado di discorrere di qualsiasi argomento. Poco importa che lo si interroghi sugli ultimi vincitori di Sanremo, sui romanzi di Cormac McCarthy, sulle fortune e sfortune di Steve Jobs o sulla storia di Montparnasse a Parigi. Lui racconta con tono neutro, cita date, mostra video, foto, mappe, fa scorrere testi e ipertesti, offre collegamenti ad altri aspetti in un mosaico in continuo movimento. Mette in scena un “qwiki”, modo tutto nuovo di chiamare una voce in questa strana via di mezzo fra un motore di ricerca e un’ enciclopedia futuribile. «Siamo sommersi di dati», ha spiegato Doug Imbruce, una delle menti dietro questo progetto che a breve dovrebbe aprire i battenti. «E l’ unico sistema per salvarci è fare in modo che queste informazioni diventino qualcosa che si può guardare». Come un telefilm, o meglio come un documentario interattivo. Il servizio, provato in anteprima e che sarà disponib i l e a n c h e p e r smartphone, unisce la ricchezza di Wikipedia, prendendo da qui i testi introduttivi da recitare, con quella di Google Maps per le indicazioni geografiche, dei motori di ricerca più usati per immagini e documenti, di YouTube o Vimeo per i video. Si scrive un nome, il cofondatore di Facebook Eduardo Saverin ad esempio, ed ecco che la voce sintetica comincia a raccontarci quando è nato e dove è cresciuto, ci fa vedere le immagini del social network più popolare al mondo che ha contribuito a creare, quelle del suo ex amico Mark Zuckemberg, le sequenze del film girato da David Fincher tratto liberamente dalla loro vicenda. Eduardo Saverin in Qwiki ci crede a tal punto da aver investito otto milioni di dollari. Perché, come ha detto lui stesso, «è ancora all’ inizio, ma ha tutte le carte per diventare un punto di svolta». E ci crede anche Louis Monier, a capo del progetto assiemea Imbruce, già noto per aver fondato nel 1995 il motore di ricerca Altavista.A bordo, come investitore, c’ è perfino Jawed Karim, che assieme a Steve Chen e Chad Hurley diede vita a YouTube sei anni fa. Una schiera di grandi ex, insomma, che nella maggior parte dei casi, escluso Monier nato nel 1956, hanno appena superato i trent’ anni. Se l’ idea alla base di Qwiki è semplice, trasformare le informazioni sparse per la Rete in un’ esperienza visiva, il suo eventuale successo ha implicazioni più profonde. Da un lato raccoglie, sintetizza e banalizza le fonti, andando quindi incontroa tutti coloro che non hanno tempo per cercare e approfondire. Dall’ altro è in linea con una moda sempre più diffusa nel campo della tecnologia che cerca di limitare al minimo l’ uso di mouse e tastiera, preferendo altre forme di interazione per noi più naturali. Che nel caso di Qwiki significa voce e sguardo, per l’ iPhone di Apple e Surface della Microsoft significa invece il tatto, infine per Eye Toy (PlayStation), la Wii della Nintendo e Kinect per Xbox 360 vuol dire trasformare i gesti in comandi da usare nei videogame. Ma c’ è, come sempre accade, chi si vuol spingere molto più avanti. In un’ azienda di neuroingegneria (la Emotiv), ad esempio, hanno messo in commercio un dispositivo, l’ Epoc, dotato di 19 sensori che una volta indossato sulla testa riesce a trasformare le onde cerebrali in comandi comprensibili da un pc. Giocattolo da 299 dollari che, a oggi, permette sì e no di muovere qualche oggetto in ambienti digitali. Ma chissà, magari per il World Wide Web di domani sarà più che sufficiente.
 




Secondo una nuova ricerca Weber Shandwick il 64% dei CEO delle più grosse aziende del mondo non è attivo online

Secondo una nuova ricerca di Weber Shandwick, la multinazionale leader in Italia nel settore delle relazioni pubbliche, la maggior parte dei CEO delle più grosse società del mondo – il 64% – non è ancora “social”, ovvero non ha presenza attiva sui social media e non promuove online attività di engagement degli stakeholders.

Lo studio “Socialising Your CEO: From (Un)Social to Social” ha preso in esame la presenza e le attività digital dei CEO delle prime 50 aziende a livello globale.
“In questo periodo di precarietà e di incertezza generali, si registra un forte trend dei CEO a non rimanere in silenzio. Anzi, partecipano ai più importanti forum e convegni delle loro industry e le loro parole e i loro messaggi sono ampiamente presenti sulla stampa economica. Ma quando si parla di digital engagement, i CEO dimostrano di non essere pienamente “social” commenta Leslie Gaines-Ross, chief reputation strategist di Weber Shandwick ed esperta di online reputation. “Tuttavia il top management sta progressivamente prendendo confidenza con i new media, di conseguenza ci aspettiamo che la tendenza attuale si inverta molto rapidamente.”
Più di 9 su 10 CEO delle maggiori 50 aziende mondiali (il 93%) hanno comunicato all’esterno in maniera tradizionale: il 93% è stato recentemente intervistato sui principali giornali generalisti ed economici e il 40% ha sfruttato la leva delle speaking opportunities per veicolare i propri messaggi ad audience esterne.
La Comunicazione online, tuttavia, non è andata di pari passo. La presenza sul web dei CEO si limita prevalentemente ad una pagina su Wikipedia, l’enciclopedia online costituita dal sapere dagli utenti. A parte Wikipedia la visibilità online dei CEO è piuttosto ridotta – solo il 36% può essere definito a pieno titolo “social” e intrattiene in qualche modo relazioni con l’esterno sul sito aziendale o sui social media (es. messaggi/ video/podcasts sui siti aziendali o su Youtube; presenza su Twitter, Facebook, LinkedIn, MySpace o nel blog aziendale).




Welfare aziendale, un dipendente su 4 non ne sa le iniziative

Per il 55% delle aziende è il costo il maggior freno alle politiche di welfare.
A fare il punto sulle politiche responsabili delle aziende italiane è una ricerca di Edenred condotta su un campione di giovani fino ai 35 anni e su un panel di manager e responsabili delle risorse umane.
Roma, 4 nov. – (Adnkronos) – Le attività di welfare aziendali sono insufficienti e, quando presenti, non sono promosse e valorizzate adeguatamente. Tanto che un dipendente su quattro non ne è a conoscenza. A fare il punto sulle politiche responsabili delle aziende italiane è una ricerca di Edenred condotta su un campione di giovani fino ai 35 anni e su un panel di manager e responsabili delle risorse umane che oltre a rilevare un sistema inefficiente, segnala anche la mancanza di una comunicazione adeguata.
Nonostante l’enorme interesse verso questi temi, dunque, c’è ancora molto da fare. Eppure i vantaggi di una adeguata azione comunicativa sono tanti: “dal miglioramento dell’immagine, all’attrazione di nuovi clienti, dal miglioramento del clima interno ad una più elevata capacità produttiva, dalla riduzione dell’assenteismo al miglioramento del senso di appartenenza alla valorizzazione del capitale umano, fino anche alla fidelizzazione dei lavoratori” spiega all’Adnkronos, Andrea Casadei, direttore della ricerca di Bilanciarsi, network che opera in merito alle tematiche inerenti la Responsabilità Sociale d’Impresa e la Sostenibilità.
Se sono ancora molte le aziende a non offrire piani di welfare, la ragione è ben precisa. Da un’indagine di Astraricerche svolta per Edenred, emerge che per il 55% delle aziende è il costo il maggior freno alle politiche di welfare. Ma quali sono le regole della buona comunicazione? Secondo Casadei, una volta definite le caratteristiche della comunicazione e gli argomenti da trattare, l’azienda, dovrebbe considerare diversi canali.
Prima di tutto “riunioni e assemblee, per comunicare all’intero staff, in modo personale, le attività di Csr da sviluppare. L’efficacia di questo mezzo comunicativo risiede, in particolare, nel confronto diretto con i dipendenti, i quali possono anche fornire feed-back sui progetti implementati”. Un altro strumento sono le cassette dei suggerimenti “per ricevere feed-back dai dipendenti e coinvolgerli nell’organizzazione dei progetti di Csr”.
Anche “comunicati in bacheca, poster e banner, hanno un’alta visibilità per i dipendenti e trasmettono, in modo efficace i valori dell’azienda e le particolari strategie votate alla sostenibilità delle proprie azioni”. Nell’era della digitalizzazione non possono mancare newsletter e house-organ, “per informare il personale su quanto accade all’interno dell’azienda, magari inserendo costantemente un articolo dedicato alle tematiche della responsabilità sociale”.
Ma per lo scambio interno di informazioni gioca un ruolo chiave anche l’intranet: ideale per pubblicare rapporti settimanali, promemoria; per dare vita a bacheche virtuali, messaggistica immediata e chat moderate. In questo modo, tutti dispongono delle medesime informazioni con un notevole risparmio di tempo. In Telecom Italia, ad esempio, “uno degli strumenti principali di comunicazione con i nostri dipendenti è proprio l’intranet aziendale, a cui nel tempo abbiamo affiancato blog, community dedicate ed e-convention. La multimedialità, dunque, gioca un ruolo chiave” commenta all’Adnkronos, Paolo Nazzaro, responsabile Group Sustainability di Telecom Italia.
Grazie all’interazione online, ma anche attraverso incontri e focus group, l’azienda ha individuato quattro ambiti nei quali sviluppare iniziative specifiche: equilibrio tra vita lavorativa e tempo libero; supporto alle esigenze dei figli e della famiglia, supporto alle iniziative di volontariato dei dipendenti e valorizzazione delle forme di diversità presenti nel contesto lavorativo.
Alle iniziative più tradizionali, spiega il responsabile Group Sustainability di Telecom Italia, “l’azienda affianca progetti più innovativi come ad esempio il servizio di counseling per i dipendenti offerto dal Centro People Caring e curato da psicologi professionisti”. Il servizio, sottolinea Nazzaro, “ha lo scopo di offrire un sostegno alle persone a fronte di possibili disagi sia nell’ambiente lavorativo che nella sfera privata”.
Il progetto, partito in via sperimentale in Friuli, Liguria, Lazio e Sicilia, “è stato molto apprezzato e per questo l’azienda ne sta valutando l’estensione anche nelle altre regioni”. Inoltre, aggiunge Nazzaro, “ogni due anni effettuiamo un’analisi del clima aziendale”. Dall’ultima indagine, quella del 2010, emerge che il dato medio di soddisfazione generale, su scala da 1 a 10, si attesta in Italia a 7,23 (6,35 nella precedente edizione del 2008).