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Finti progetti green in Cina per avere “sconti” sulle emissioni di CO2: in Germania scoppia lo scandalo dei petrolieri. “Truffa da 623 milioni”

Finti progetti green in Cina per avere “sconti” sulle emissioni di CO2: in Germania scoppia lo scandalo dei petrolieri. “Truffa da 623 milioni”

Pressata da un’interrogazione parlamentare del gruppo Cdu/Csu, la ministra dell’Ambiente tedesca Steffi Lemke (Verdi), ha ammesso carenze nei controlli sui progetti per il recupero della CO2 in Cina, parlando di un caso di grave criminalità ambientaleuna truffa che ricorda quella di cui in Italia è accusata la vecchia gestione dell’ex Ilva. Vediamo di che si tratta. Le aziende petrolifere che operano sul mercato tedesco devono mischiare alla benzina dei distributori anche biocarburanti, per abbattere la loro impronta climatica. In alternativa, dal 2020, possono ottenere certificati per progetti di tutela del clima, con cui compensare le emissioni prodotte in Germania fino all’1,2% della propria quota obbligatoria di riduzione di gas serra, e che possono essere anche venduti ad altre aziende. Quasi tutti i petrolieri hanno quindi avviato progetti in Cina: ma molti di questi, è venuto fuori, esistevano solo sulla carta. Per ottenere l’autorizzazione è bastato presentare documenti falsi all’Agenzia federale per l’ambiente, ente controllato dal ministero: i controlli in loco, infatti, erano affidati a società di certificazione esterne. E l’emittente pubblica ZdF ha verificato che esisteva un monopolio di fatto: circa il 70% dei progetti avviati in Cina è stato convalidato e verificato da due agenzie, la Verico con sede in Baviera (41 progetti) e la Müller-BBM in Nord-Reno Vestfalia (38 progetti).

Così, su 69 progetti di riduzione certificata delle emissioni, quaranta dovranno essere ricontrollati dall’Agenzia, che ha presentato denuncia alla Procura di Berlino per dieci casi in cui emergono indizi di truffa. I segnali del raggiro sono venuti a galla in modo consistente verso la fine dell’anno scorso, e il ministero ha avuto notizia del primo caso sospetto ad agosto 2023. Lemke però afferma di essere stata informata solo a maggio di quest’anno e rivendica di aver reagito rapidamente, convincendo il governo a rinunciare prima del previsto al meccanismo, mentre l’opposizione l’accusa di passività. Secondo la ministra invece la colpa è dei governi passati, che non hanno previsto adeguati meccanismi di controllo: “Abbiamo ereditato un sistema soggetto a errori”, ha dichiarato. Ad ogni modo, dal 1° luglio sono stati bloccati tutti i progetti in corso e la presentazione di nuovi: secondo ZdF, il valore della truffa tocca i 623 milioni di euro.

Dopo mesi di ricerca l’emittente ha denunciato a maggio di aver individuato almeno una dozzina di frodi in cui vecchi impianti sono stati spacciati come nuovi e progettati in difesa del clima. La sede di uno di essi, del valore stimato di circa ottanta milioni, era un grosso pollaio abbandonato vicino a Pechino, mentre il progetto, promosso dalla Shell, avrebbe dovuto comprendere 61 caldaie clima-neutrali. Il colosso energetico dichiarò di aver abbandonato il progetto dal 2021 e che comunque tutto era stato verificato e validato in modo indipendente. “Non possiamo verificare se abbiamo una documentazione completamente falsificata, se manca un controllo visivo sul posto”, aveva commentato allora il presidente dell’Agenzia per l’ambiente Dirk Messner. Il meccanismo, infatti, si basa sulla fiducia nei verificatori e nei validatori, che successivamente e in modo indipendente l’uno dall’altro dovrebbero valutare un progetto prima dell’approvazione.

Lo scandalo è scoppiato quando l’Agenzia ha ricevuto una lettera di una società petrolifera cinese, che denunciava come cinque dei suoi impianti fossero stati presentati come progetti a tutela del clima in Germania. L’ente ha quindi presentato una denuncia contro ignoti, appoggiandosi a uno studio legale internazionale con sede in Cina. Le verifiche sono ancora all’inizio, ma un dirigente responsabile per le certificazioni è già stato sospeso e l’iter di due progetti è stato bloccato, mentre in altri quattro casi le domande sono state ritirate dagli stessi richiedenti. Il commercio dei certificati, ha ammesso il ministero, comunque continua e non può essere fermato, seppure le aziende che li acquistano corrano il rischio che possano essere dichiarati falsi in seguito: nel 2023 il giro d’affari ha raggiunto i 18,4 miliardi di euro, registrando un aumento del 40% rispetto al 2022. La Csu, con la sua responsabile ambiente Anja Weisgerber, accusa la ministra Lemke di responsabilità politica per la truffa, mentre il collega della Cdu Christian Hirte sottolinea come il vero danno sia piuttosto la mancata realizzazione dei progetti a tutela del clima.




I «buchi» della Consob sul fallimento Bio-On

I «buchi» della Consob sul fallimento Bio-On

Poteva la Consob intervenire prima, sospendere il titolo, ed evitare che su una società controllata si innescassero il domino di notizie vere e panico da mercato che poi hanno portato al fallimento di Bio-On, la start up che aveva il sogno di realizzare plastica
biodegradabile? Ha fatto la stessa Consob le necessarie verifiche sulla veridicità e le motivazioni per le quali Quintessential, il fondo attivista di Gabriele Grego, ha pubblicato con tanto di video in rete (fine luglio del 2019) un report dove descriveva l’unicorno di Marco Astorri e Guido Cicognani come una scatola vuota? Quali responsabilità (ammesso che ce ne siano) sono

addossabili alla Consob e quali invece addebitabili alla Borsa Italiana?

A questa e ad altre domande sta cercando di rispondere un procedimento penale partito dalla Procura di Bologna, nel corso del quale è stato sentito Paolo Marchionni, che all’epoca dei fatti (nel 2019 ma anche adesso) era direttore responsabile dell’ufficio informazione mercati della Consob, quello che si occupa anche di abusi di mercato e ha seguito l’indagine.

Marchionni, per esempio, ammette di non aver trasmesso il report (che gli era stato anticipato il giorno prima della pubblicazione) a Borsa Italiana. Eppure il dossier poteva avere rilevanza nell’ambito dei poteri di vigilanza sul mercato Aim dove era quotata Bio-On. Così come il manager dell’authority alla domanda su eventuali indagini portate avanti per appurare la correttezza delle informazioni diffuse dal fondo Quintessential e su Gabriele Grego risponde: «Io personalmente non ho fatto indagini, non so però se l’ufficio abusi di mercato abbia effettuato ulteriori accertamenti sullo studio di Quintessential». Per la cronaca, a capo dell’ufficio c’era Maria Antonietta Scopelliti che nonostante la richiesta della Procura bolognese non è riuscita ad essere presente.

Mentre replica con un «non mi ricordo segnalazioni di questo tipo» alle richieste di chiarimenti sugli appelli degli amministratori di Bio-On, negli incontri di quelle drammatiche settimane (dal 24 luglio al 24 ottobre 2019) di sospendere il titolo. «In condizioni di parità informativa», evidenzia, «la Consob non valuta se sospendere il titolo perché c’è uno studio come ce ne sono tanti sulle società, ripeto ne diffondono a decine in ogni seduta e l’analista risponde di quello che scrive, quindi ripeto noi abbiamo fatto una valutazione proprio all’istante sullo studio, se fosse in qualche modo ben supportato, documentato, non ci siamo posti il problema di valutare la sospensione perché c’era uno studio». Eppure dalle testimonianze di un dipendente Bio-On, presente agli incontri con Consob, risulta che la richiesta di sospensione fosse stata esplicitamente avanzata all’authority.«Noi avevamo chiesto a Consob di sospendere il titolo finché non fosse stata fatta chiarezza e gli abbiamo anche chiesto di creare nel più breve tempo possibile una commissione», sottolinea, l’investor relator Lorenzo Foglia.

Tanti quindi i punti poco chiari della vicenda. E fare un passo indietro per ripercorrerla può aiutare. Bio-On nasce da un’intuizione dei due fondatori, Marco Astorri e Guido “Guy” Cicognani, che nel 2007 volano alle Hawaii per acquistare il brevetto del Pha, un gruppo di polimeri biodegradabili che ha le caratteristiche per diventare l’alternativa sostenibile alle plastiche tradizionali a base di petrolio. Cresce esponenzialmente nel giro di una dozzina d’anni, il modello di business si basava sulla creazione di proprietà e la commercializzazione di brevetti e marchi, nell’arco dei quali raggiunge una capitalizzazione di un miliardo e 300 milioni. E muore, come detto, nel giro di pochi mesi a partire dal luglio del 2019 dopo le accuse del finanziere Gabriele Grego che definisce Bio-On un «bluff», una «nuova Parmalat».

Oggi c’è un nuovo capitolo. La società è stata rilevata da dalla piemontese Maip. Gli impianti sono in fase di ripartenza. E qualche settimana fa un tribunale ha annullato la sanzione inflitta all’epoca dalla Consob, certificando che «non ci fu manipolazione del mercato».

Quindi torniamo al procedimento penale, al quale ha partecipato anche il co-fondatore Astorri. Che ha rilasciato delle dichiarazioni spontanee. «…Confermo», ha voluto sottolineare in tribunale, «di essere stato seduto vicino alla Scopelliti (Maria Antonietta all’epoca responsabile della divisione mercati della Consob ndr) in tutti e due gli incontri che sono stati estremamente lunghi e ho chiesto ripetutamente di chiedere come potevamo sospendere il titolo per tutelare gli investitori perché ci sentivamo sotto attacco». Risposta? «Nulla. Mi ha guardato con il viso attonito e non mi ha mai detto né di sì e né di no […] Alzando le braccia e dicendo che ci avrebbe fatto sapere».




Una buona relazione nasce da una sana solitudine

Una buona relazione nasce da una sana solitudine

Ci sono libri che hanno molteplici livelli di lettura, spesso destinati a pubblici diversi.
La necessità di approfondire alcuni argomenti specialistici in questi testi trova la strada per fare un giro panoramico dove tutti possiamo trovare godimento e scoprire qualcosa, almeno per un pezzo del percorso.

È il caso de “L’ottava solitudine. Il cervello e il lato oscuro del linguaggio” di Antonino Pennisi, professore ordinario di Filosofia del Linguaggio nel Dipartimento di Scienze Cognitive dell’Università di Messina, che ha un lungo curriculum di pubblicazioni sui temi del rapporto tra  linguaggio e scienze cognitive.

L’ultima pubblicazione trova il modo di stupire anche chi ha letto già la sua ampia bibliografia e, allo stesso tempo, riesce affascinante anche a chi non ha ancora deciso di approfondire questi temi.

La solitudine come momento di ricchezza è un concetto su cui molti filosofi si sono espressi: da Agostino a Heidegger, da Wittgenstein a Nietzsche, che addirittura ne individuava ben sette gradini verso una forma perfetta, passando dallo sviluppo di nuovi livelli di comprensione sensoriali, visiva e uditiva, ad esempio, all’apertura della logica e della possibilità emozionale e sentimentale per acquisire altri aspetti della verità che infine porteranno alla settima e ultima solitudine, il distacco dal mondo.

Un’ascesa inquietante, soprattutto per chi si occupa di relazioni pubbliche e trova nel confronto, nella condivisione e nello scambio gli elementi essenziali per costruire significato.

Eppure questa lettura semplicistica della solitudine rischia di sottovalutare un elemento indispensabile, che Pennisi mette invece al centro della trattazione: è l’ottava solitudine, ovvero quella dove “il linguaggio può farsi autocoscienza”. Uno spazio necessario, a cui il nostro cervello ha persino dedicato un network di reti neurali, che si trovano nel cosiddetto DMN, ovvero il Default Mode Network. Si tratta di un insieme di ragioni cerebrali che si attivano in maniera quasi esclusivamente complementare, escludendosi cioè a vicenda. Quando siamo impegnati in compiti che richiedono la nostra attenzione verso l’esterno, se ne attiva una; quando invece ci troviamo in uno stato di riposo e solitudine interiore, si attiva l’altra. Quest’area, presente anche in altre specie animali come scimmia, gatto e topo, comporta un alto dispendio energetico. Il paradosso è che il nostro cervello, analizzato attraverso i moderni metodi di tracciamento di immagine cerebrale, consuma di più quando è “a riposo” che quando è impegnato nella risoluzione di un problema.

Cosa accade nell’area del nostro cervello quando “riposa” in solitudine dalle attività del mondo? Le ipotesi sono diverse e ancora ampiamente dibattute; le posizioni più accreditate tra i vari studiosi sono tutte legate alla consapevolezza personale o sociale dell’individuo, un tassello fondamentale per chi si occupa di Relazioni Pubbliche.

Ecco le principali.

1. L’ipotesi della preoccupazione
Le indagini scientifiche rivelano che i pazienti monitorati in questo stato hanno trascorso la maggior parte del tempo a pensare al loro passato o al loro futuro e in particolare a fatti appena accaduti o a quelli che si sarebbero verificati da lì a breve.
2. L’ipotesi del ricorso intensivo alla memoria autobiografica
Le persone monitorate hanno passato in rassegna ricordi personali che coinvolgono forti componenti emotive, spesso con l’obiettivo di avere spunti per risolvere problemi attuali.
3. L’ipotesi del default self
Si tratta di un’attività cognitiva che genera narrazioni e autonarrazioni del sè, sia sull’aspetto corporeo che spirituale.
4. L’ipotesi della cognizione sociale e della teoria della mente
Le attività che prendono vita nella mente richiedono delle simulazioni, scene immaginate o decisioni morali. In questo caso si generano mappe cognitive sul comportamento che l’individuo potrebbe avere in occasioni di interazione sociale.

Tutte e quattro le ipotesi mi sembrano particolarmente rilevanti per chi si occupa di comunicazione; la quarta, in particolare, svolge un ruolo fondamentale nella maturazione relazionale dell’individuo che, attraverso le simulazioni mentali, esplora le varie possibilità relazionali, aggiusta il tiro, le seleziona, rafforza alcuni aspetti e ne modifica altri.

Se è vero, infatti, che, le relazioni hanno una componente esperienziale fondante, l’ottava solitudine ci aiuta a ritrovare l’importanza del contributo che ciascun singolo dà alla relazione, non solo nell’azione, ma anche nella maturazione di una consapevolezza personale che rafforza le interazioni umane “in potenza” attraverso la simulazione cognitiva.

Cosa ha quindi da dirci – e da darci – oggi l’ottava solitudine?

Una prospettiva cognitiva più completa, in cui scopriamo cosa accade nei momenti in cui il nostro cervello è “a riposo”.

Una prospettiva psicologica, che dà valore alla costruzione della consapevolezza come strumento individuale di accesso alla propria vita interiore, ma anche alle possibilità che questa possono intessere nella comunità.

Una prospettiva sociale, che ci aiuta a restituire valore al contributo del singolo nella costruzione delle relazioni.

La possibilità di rileggere questa epoca di continua connessione come uno spazio da non subire, ma da gestire.

Perché se è vero che “l’igiene della solitudine può atterrire questi giovani, stiano essi dalla parte degli influenze o da quella dei follower”, d’altra parte come ci dice Pennisi nell’introduzione del libro, “fermarsi ad ascoltare in silenzio il linguaggio interiore, ciò che abbiamo da dire a noi stessi, in primo luogo, è un esercizio cognitivo da cui non possiamo esimerci per salvaguardare la salute mentale e la ricerca della felicità”.


L’ottava solitudine
Il cervello e il lato oscuro del linguaggio
Antonino Pennisi
Il Mulino, 2024
pp. 192, € 22,00 




Caporalato anche nel mondo della logistica e del trasporto

Caporalato anche nel mondo della logistica e del trasporto

Anche il mondo del trasporto e della logistica deve fare i conti sul caporalato. A squarciare il velo su questo fenomeno è il caso di una gang di pachistani che in provincia di Modena forniva corrieri a una società che aveva lavori in appalto per il corriere espresso Sda, azienda del gruppo Poste Italiane. I corrieri dal 2020 al 2022 sono stati massacrati di botte. Gli autori dei pestaggi lavoravano per la società per la quale le vittime svolgevano il ruolo di corrieri. Società che già in passato era entrata nel mirino della Guarda di Finanza che aveva negato il rinnovo all’iscrizione alla white list antimafia. Il caso è stato pubblicato dalla rivista bimestrale “Lavialibera”, fondata dall’associazione Libera. Al periodico, Poste Italiane ha precisato che la società in questione è “qualificata nell’albo fornitori” e aveva “i documenti in regola” e “contratti esigui”.
I componenti della gang, tutti pachistani, sui social postavano foto in cui imbracciavano fucili d’assalto e reclutava manodopera per la società fornitrice di Sda, azienda parte del gruppo Poste Italiane, impresa pubblica che fornisce servizi postali, finanziari e assicurativi. Secondo la procura di Modena chi non rispettava le condizioni imposte dalla gang veniva punito con violenti pestaggi, anche all’aperto e in strada. Aggressioni portate avanti con mazze ferrate, bastoni, coltelli. Non mancavano le minacce di ritorsione nei confronti delle famiglie dei lavoratori rimaste in Pakistan.




TENIAMOCI PER MANO

TENIAMOCI PER MANO

Si discute molto, nella nostra professione – e in senso più estensivo nel settore scientifico-disciplinare delle scienze della comunicazione e nelle comunità professionali dei relatori pubblici e dei comunicatori – dell’importanza di costruire relazioni.

Un pioniere di questa disciplina è senz’altro Toni Muzi Falconi (abbreviato per gli amici TMF), docente in Italia e USA, decano delle relazioni pubbliche italiane, con oltre sessant’anni di esperienza – le sue prime attività professionali risalgono alla fine degli anni ‘50 del secolo scorso – una carriera semplicemente spettacolare e un’intensa attività di mentorship della quale hanno beneficiato generazioni di colleghi.

Tra i tantissimi lavori di Toni, un’articolata ricerca presentata nel 2019 in occasione di BledCom, il simposio internazionale sulle Relazioni Pubbliche che si tiene ogni anno nella bellissima cittadina sull’omonimo lago in Slovenia. Nel documento, Muzi Falconi, insieme ad altri validi specialisti del nostro settore, analizzava lo scenario relativo al terremoto del 2012 in Emilia Romagna dal punto di vista della comunicazione e della governance delle relazioni pubbliche: “si è infatti trattato di un caso di studio assolutamente straordinario, soprattutto se visto alla luce di quanto era successo soltanto qualche anno prima con il disastroso terremoto de L’Aquila”, ha dichiarato TMF in un’intervista.

Nel 2012 l’area colpita fu infatti quella di Modena, con epicentro tra i paesi di Mirandola e di Medolla, dove già dagli anni ‘60 si era formato un importante agglomerato di imprese e di attività in parte connesse al settore dell’industria biomedica, un distretto già allora riconosciuto come uno dei più importanti in Europa in termini di produzione, di fatturato, di laboratori di sviluppo e di personale. Il sisma danneggiò gravemente l’intero distretto: enti di ricerca, impianti industriali, centri logistici e uffici amministrativi.

“Fu un disastro senza precedenti – procede Muzi Falconi – ma immediatamente venne attivato un piano di gestione della crisi basato sugli strumenti del dialogo e del confronto continui; non solo con le autorità e gli enti locali, ma anche con gli ospedali, con i rappresentanti del sistema produttivo, con i sindacati dei lavoratori, persino con le comunità religiose. Già nei primi confusi momenti successivi al terremoto, i rappresentanti di questi stakeholders si incontrarono per definire una strategia coordinata, decidendo il tipo di comunicazione da adottare e in che misura e con quali modalità coinvolgere i vari attori. Si formarono diversi gruppi di lavoro e iniziò un intenso processo di ‘governance relazionale’, con l’obiettivo di informare i soggetti interessati, ascoltarne le aspettative, capirne bisogni e interagire con loro per trovare soluzioni comuni. E fu un successo: lo sforzo collettivo non solo permise di affrontare in modo efficace la contingenza del terremoto, ma pose anche le basi per la crescita economica e sociale che si ebbe poi negli anni successivi, ed è indicativo che proprio quell’area abbia poi reagito così bene alla pandemia Covid-19. È chiaro che la funzione delle relazioni pubbliche, in particolare di quella figura che io chiamo ‘tessitore sociale’, abbia avuto un ruolo centrale in tutto questo. Grazie al lavoro fatto, dal 2012 a seguire, la zona del distretto biomedicale è ora una delle più importanti in Italia in termini di crescita economica e sociale. Ho avuto modo di parlarne con l’amministratore delegato di una delle più grandi aziende del distretto, Medtronic, il quale mi ha confermato che tutti i dati in suo possesso – quelli relativi al passato, così come quelli stimati per i prossimi mesi – mostrano l’area di Medolla come quella a maggiore crescita economica non solo in Italia, ma addirittura in Europa. Quello che voglio dire è che se il lavoro di comunicazione e di tessitura sociale viene fatto seriamente, allora funziona, non c’è alcun dubbio”.

Toni  si è soffermato a più riprese proprio sulla figura del tessitore sociale, termine da lui stesso coniato, e in grado di dare nuovo senso e nobilitare una figura – quella del relatore pubblico – troppo spesso impropriamente e riduttivamente percepito come “lobbista” o semplice “comunicatore”.

Da molto tempo si discute, in ambito accademico e aziendale, della classificazione e della rendicontazione del capitale immateriale delle imprese, dei singoli influencer – politici, artisti, sportivi, etc. – così come delle ONG o del settore pubblico ed istituzionale. Il capitale relazionale – strettamente connesso a quello reputazionale, nonché uno dei principali motori di esso – è una delle dimensioni nelle quali le organizzazioni complesse realizzano la propria missione; e il relatore pubblico, nella sua funzione di tessitore sociale, è colui che governa modi e tempi della costruzione delle relazioni, incidendo concretamente sul profilo quali-quantitativo di esse.

È anche interessante – adottando un modello di pensiero circolare, che come sostengo da sempre è l’unico in grado di supportare la generazione di valore nella nostra professione – apprezzare gli stimoli e le convergenze che dal mondo delle scienze dure contaminano le scienze sociali.

Come riportato in un articolo del Washington Post a firma della dott.sa Trisha Pasricha, medico al Massachusetts General Hospital e docente all’Harvard Medical School, l’atto di tenersi per mano non è solo una gestualità antica, ma ha degli effetti straordinari sul nostro organismo: “contribuisce ad abbassare la pressione, a ridurre il dolore e a mitigare le esperienze stressanti”, conferma Pasricha. “È un gesto semplice, ma che può limitare l’impatto dello stress sul sistema nervoso autonomo, regolando funzioni corporee involontarie come la dilatazione delle pupille. Stringere le mani di una persona cara riduce l’attività delle regioni cerebrali responsabili della risposta emotiva”.

I risultati di queste ricerche sono stati confermati anche da James Coan, psicologo clinico e direttore del Laboratorio di neuroscienze affettive dell’Università della Virginia: “la risonanza magnetica cerebrale dimostra che stringere la mano di una persona conosciuta o, ancor più, amata, riduce lo stress e fa diminuire la paura”.

Pasricha ricorda che per molti scienziati la regolazione delle emozioni è governata dalla corteccia prefrontale, la regione del cervello che ci aiuta a controllare gli istinti: non per niente, come ricordo spesso ai discenti nelle mie lezioni in università, utilizzare l’intelligenza emotiva significa anche trovare il giusto accordo ed equilibrio tra ragione e sentimento.

Le ricerche che abbiamo richiamato, e molte altre di questo tipo, confermano anche un altro dettaglio, per nulla secondario: il cervello non percepisce il gesto di stringere la mano come una “novità” rispetto ad una situazione precedente di assenza di contatto, bensì – sorprendentemente – é vero esattamente il contrario, in quanto la condizione neuropsicofisiologica di base è proprio il senso di contatto, di vicinanza e di comunanza con gli altri, e la situazione “anomala” è invece il senso di solitudine, che destabilizza noi e – conseguentemente – l’intero nostro ecosistema.

I nostri neuroni si aspettano quindi del tutto naturalmente che esistano delle relazioni e dei rapporti di reciproca connessione, e questo vale per il cervello umano e anche – a mio avviso, per estensione – per le aziende e le organizzazioni sociali complesse in genere: di qui, il ruolo fondamentale di quel tessitore di relazioni ben descritto da Toni Muzi Falconi.

Più in generale, come tra le persone, sono le connessioni virtuose tra organizzazioni a generare valore, ed è anche per questo che nel – per l’epoca innovativo – metodo di mappatura degli stakeholder da me ideato nel 2008, applicato per la prima volta a un’azienda farmaceutica italiana nel 2012, e successivamente presentato al congresso International Marketing Trend Conference di Parigi, avevo posto al centro del mio approccio proprio la misurazione della qualità delle relazioni tra un’organizzazione e i suoi pubblici.

Avevo poi riflettuto anche sull’impatto di questi concetti, entrati di buon grado tra i principi fondamentali del reputation management, sui singoli individui: l’uomo e le organizzazioni da esso create nascono per condividere, ovvero dividere con, sinonimo di possedere insieme, partecipare, offrire del proprio ad altri, e viceversa, all’estenuante ricerca del giusto equilibrio che ci permetta di essere utili, come anche di trarre sopravvivenza da chi circonda, per proseguire nella nostra personale missione, quale che sia, nella quale coinvolgere sempre più altre persone, sempre più altre parti di noi.

In definitiva, le relazioni sono un vero e proprio solvente universale, forse il più potente che esista, in grado di permetterci di risolvere più velocemente qualunque crisi, di portare a buon fine qualunque piano di comunicazione, di gestire con successo qualunque processo di change management, nella professione e sul lavoro, come anche nella vita.