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Il "pasticciaccio" Italo-cinese e l'irresponsabilità sociale

Alle Olimpiadi non ci va nessuno, ci van tutti, ci va solo un delegato. E le aziende soffrono, poverine…
Di: Luca Poma
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Profumo di Crisis

UniCredit: la CSR in periodo di crisi

La più solida banca italiana è in piena bufera, tutti i giorni sulle prime pagine dei quotidiani nazionali: difficile non parlare di crisi, se non altro dal punto di vista della comunicazione.
Una serie di circostanze incredibilmente favorevoli mi ha però permesso d’incontrare a quattr’occhi – il 24 settembre, qualche ora prima della bufera – i vertici delle relazioni pubbliche del gruppo, gli uomini che hanno gestito in questi anni di crescita esponenziale la CSR di UniCredit. Parlare con chi sta letteralmente in cima alla piramide, in un gruppo così articolato e complesso come può essere una grande banca internazionale, è un’esperienza particolare per un addetto ai lavori.
Mi sono confrontato per la prima volta in modo approfondito con la CSR di UniCredit agli inizi di quest’anno, mentre predisponevo dei benchmark sui bilanci sociali su incarico di un grande gruppo multinazionale delle telecomunicazioni. Nella mia “classifica”, UniCredit è stato posizionato come best-in-class, ancorchè di un settore diverso dalle TLC: il lavoro di questa banca sulla CSR la pone davvero all’avanguardia in Italia, ed oltre. Il che stupisce, se consideriamo che una banca è fatta di numeri, statistiche, performance, budget: è molto complesso riuscire a trasmettere i valori della CSR a funzionari la cui principale preoccupazione quotidiana è la giacenza media sui conti dei clienti. Eppure, una volta all’anno, tutte – e dico proprio tutte – le Filiali della banca chiudono un’intera mattina per discutere e condividere il bilancio sociale del gruppo.
Sono molte le caratteristiche che fanno di UniCredit un’esperienza d’eccellenza: dal “Manager per le diversità”, che si occupa dell’integrazione razziale tra i dipendenti delle diverse nazioni ove il gruppo è presente, all’istituzione di un vero e proprio “sistema giudiziario interno”, un arbitrato per gestire le dispute tra i dipendenti, alle linee di credito agevolate per le imprese che prestano particolare attenzione all’impatto ambientale, al sistema “Q48” per la risoluzione in 48 ore (!) dei reclami dei correntisti, al “Progetto Arte” che vede coinvolti i più grandi artisti contemporanei del mondo in progetti di assoluta avanguardia (“…perchè l’arte contemporanea sviluppa la creatività del tessuto sociale dove noi lavoriamo…”), sono molte le esperienze da monitorare con attenzione in quel bilancio sociale.
La cosa se vogliamo bizzarra è che chi “tira le fila” non è un esperto di CSR, bensì un uomo di comunicazione: non un comunicatore qualunque, beninteso, dal momento che era al vertice della comunicazione di colossi come General Motors ed ha organizzato le RP per la Coppa del Mondo di Francia! Però, ripeto, non un esperto di CSR, quanto piuttosto una persona “sensibile” al tema. Un approccio non ipocrita alle faccende della CSR, dal momento che per Sua decisione la parola “etica” è stata bandita dal vocabolario di UniCredit: “…noi non lavoriamo per fare beneficenza e poi farlo sapere, ma rivendichiamo il profitto come nostro obiettivo… semplicemente siamo convinti che sia possibile incrementare il valore per i nostri azionisti anche e soprattutto prendendoci cura di ciò che circonda la banca. Assicurare il benessere dell’ambiente che ci circonda, ci aiuta sicuramente a sostenere il nostro business”. Evviva, finalmente qualcuno che parla chiaro, non rinnega la propria vocazione al business, e non usa la CSR solo per farsi un lifting!
Però, qualcosa non ha funzionato, in questi ultimi dieci giorni: la foto su un quotidiano a tiratura nazionale di Alessandro Profumo, AD del gruppo, seduto per terra, su di un gradino, alla fine di una giornata d’inferno e con la testa tra le mani, ha colpito molti lettori comuni, ma soprattutto chiunque mastichi qualcosa di RP e comunicazione. Ecco un esempio lampante di come la Crisis Communication s’incrocia con la CSR, di come ne faccia parte, fino a fondersi in un unica disciplina: mancanza di capacità di previsione di scenari sulla mappa degli stakeholders, perchè è di tutta evidenza che se acquisti banche in Germania ed in Est-Europa esci definitivamente da una dimensione nazionale, e quindi i contraccolpi dei mercati finanziari internazionali si faranno sentire marcatamente (non a caso, UniCredit è contemporaneamente la prima banca del paese ed anche quella che sta patendo di più). I tentennamenti di Profumo e del suo CdA, che prima nega la necessità di un aumento di capitale (“…siamo solidi, non ne abbiamo bisogno…”), poi tace per interminabili giorni mentre il titolo cade in picchiata, e poi ammette la necessità di un aumento di capitale e lo delibera (inevitabile per gli stakeholders leggere quindi: “…non sono così solidi, se alla fine ne hanno bisogno…”), dimostra al di la di ogni dubbio che se c’era un piano di gestione della crisi, esso non era pienamente condiviso dal top management, o di fatto è stato sottostimato.
La comunicazione di crisi deve interessare – in via tassativamente preventiva – ogni area della mappa degli stakeholders: cosa devo fare (e cosa non devo fare) se un’azienda di armi che finanzio produce mine antiuomo che uccidono i bambini, se mi chiudono 50 filiali, se un funzionario scappa con la cassa (vedi recente maxi buco da 5 miliardi di euro alla Societè Generale, causato da un solo dipendente), e – perchè mai non tenerne conto – anche se crollano i mercati finanziari internazionali, ipotesi non troppo remota (gli allarmi lampeggiavano da mesi!) e che ritengo dovrebbe essere d’interesse per ogni istituto di credito. Ogni evenienza dev’essere prevista in un Crisis Plan, ed i contraccolpi verso tutti gli stakeholders devono essere previsti con la maggior precisione possibile e governati al meglio. Forse saranno chiamati in qualche modo a rispondere di questa crisi nelle relazioni esterne della banca i competenti dirigenti delle RP che ho incontrato nel bel palazzo del centro di Milano, la scorsa settimana. Ma è proprio colpa loro? Dubito siano i primi che Profumo ha contattato, quando il 30 settembre il titolo è sceso a picco in Borsa. Eppure, avrebbe dovuto farlo, perchè il tradizionale ufficio stampa non è certo lo strumento opportuno per gestire crisi di questo tipo, dal momento che esegue solo (magari anche bene) ma non “pensa”.
Quante volte un dossier di Crisis Communication, confezionato con cura e competenza dagli uomini della CSR, è rimasto per mesi sul tavolo di un amministratore delegato, perchè “ora non c’è tempo di occuparsi di queste cose” (…finchè poi è troppo tardi per occuparsene)? Le mie sono solo supposizioni, ma come diceva Giulio Andreotti, a pensar male si fa peccato, ma ogni tanto..




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Dal CRM al FRM: il Fans Relationship Management per le società sportive.

Dal CRM al FRM: il Fans Relationship Management per le società sportive.

Scrivo questo post mentre sono in treno, in rientro da Roma. Oggi sono stato ospite del CONI (alla Scuola Dello Sport): ho portato la testimonianza del @ParmaCalcio1913, i progetti realizzati e quelli futuri.

Poi abbiamo parlato tra le altre cose di Digital Marketing nelle società sportive e di nuove opportunità.

Mi aggancio a questo per condividere una tematica che trovo estremamente importante per chi lavora in una società sportiva. Provo però prima a fare un passo in dietro…

GRANDI BRAND in mano a PMI

Le società sportive sono ormai diventate grandi aziende, che però si trovano a dover gestire grandi Brand (a volte anche internazionali) con strutture da PMI.

Con il termine PMI non voglio sminuire la società, al contrario l’Italia è fatta di PMI e sono io un grande sostenitore di questi modelli imprenditoriali. Ma è un dato di fatto che se società sportive sono realtà che hanno curato per anni la componente sportiva (che è, e rimane, il cuore pulsante della società) senza però sviluppare il modello manageriale ed imprenditoriale. Quindi spesso c’è uno squilibrio (in termini di quantità e/o qualità) con quella che dovrebbe essere la componente manageriale di marketing e comunicazione, quando al contrario credo che questa componente potrebbe portare del valore aggiunto.

La mia non vuole essere una critica ma vedo grandi potenzialità e margini di crescita nelle realtà italiane. Interessa non tanto le persone competenti che lavorano nel settore quanto il modello di società che forse ha funzionato sino al 2008 ma che oggi credo sia necessario ridefinire, partendo proprio dai vertici.

Devo precisare che io ho l’enorme fortuna di lavorare per una realtà nuova, dinamica e per una proprietà fatta di grandissimi imprenditori, dai quali si può solo che imparare.

Proprio un anno fa, una persona (una guida per me) mi disse: “nel calcio la squadra e la parte “campo” è come il prodotto per un’azienda” e questa frase mi ha illuminato. Perché senza qualità nel prodotto non si va da nessuna parte, senza prodotto non c’è azienda. Ma qual’è questo prodotto? Cosa “vende” realmente una società sportiva e qual’è l’obiettivo?

Forse un gol, un punto in classifica forse, una vittoria?! In realtà penso sia qualcosa di più: ovvero un emozione, una passione. In questo sicuramente una medaglia o una coppa aiuta, ma visto che a vincere è solo uno non può essere l’unica cosa.

Lo so, sembra banale, lo sport è una passione… ma mi chiedo questo perché senza comprendere quelli che sono i reali bisogni delle persone non è possibile creare quel valore aggiunto da dare a loro (che siano questi fan o clienti).

Per questo le società sportive spesso sono dei GRANDI BRAND, perché vendono qualcosa di più che un biglietto o una maglietta. Così come fanno i grandi brand: una persona non compra l’iPhone non perché ha bisogno di telefonare o una Ferrari perché ha semplicemente bisogno di spostarsi.

Appreso questo primo punto, i Dati possono essere utili a comprendere meglio cosa vogliono i fan, così da poter rispondere alle loro richieste.

BIG DATA

Alcune delle più importanti aziende al mondo, in questo momento stanno investendo proprio sull’analisi, la raccolta e l’elaborazione dei Big Data.

Qualche tempo fa ho conosciuto il caso di un’azienda che tramite l’elaborazioni dei dati (banalmente dai trend di ricerca su google) poteva prevedere con 2 settimane di anticipo la diffusione di un virus in un territorio, occupandosi quindi della distribuzione e organizzando l’offerta prima ancora che iniziasse ad arrivare la domanda. Un tipo esempio di come i dati possano diventare un servizio, ed il punto di congiunzione tra Bisogni e Business.

Il calcio per esempio è una passione che coinvolge 3,5 miliardi persone e più di 240 mila lo praticano. Se è vero che oggi stiamo attraversando una Rivoluzione Digitale che coinvolge industria, cultura e società allora le società sportive possono giocare un ruolo da protagoniste in tutto questo, perché sono spesso il punto di congiunzione tra le comunità ed il loro territorio.

Il caso Real Madrid

Sicuramente uno degli esempi più importanti al mondo, 450 milioni di fan in tutto il mondo, 90B di fan su Facebook e con una canale YouTube che registra più di 17M di visualizzazioni al mese. Un’azienda che ha sfruttato i social per rompere le barriere nazionali del tifo e che vende 2,533 M di magliette. Con una bandiera come Cristiano Ronaldo che ha più di 200M di followers sui social.

Questi numeri hanno pesato sicuramente sull’accordo record che il club ha recentemente firmato con Adidas: 140 Milioni di € a stagione per 10 anni. Sponsor che non compra più solamente uno spazio pubblicitario e nemmeno si parla più solamente di immagine o “brand positioning” ma oggi il valore aggiunto di un club sta anche nel numero “dati” che riesce a veicolare.

NON SOLO GRANDI CLUB

Il caso del Real è quello che fa i titoli sui giornali ma sicuramente molto lontano dalle tante altre realtà sportive. Questo per quanto riguarda i numeri e la struttura, ma non di certo per quelle che potrebbero essere le possibilità, infatti il bello degli strumenti e delle tecnologie digitali è che spesso si possono adattare perfettamente anche a modelli provinciali o locali.

È estremamente semplice applicare gli stessi strumenti e gli stessi modelli anche a realtà locali. È ormai di uso comune anche per piccoli club (così come per piccole aziende) trattare argomenti come:

  • Siti internet, blog, e-commerce
  • social media marketing (attività su facebook, linkeding, instagram, twitter, snapchat…)
  • DEM, newsletter…

così come

  • App (news, sezione gaming, geolocalizzazione GPS o beacon, notifiche push)
  • loyalty card
  • ERP, CRM e Business Intelligence

CRM: customer relationship management.

Il CRM è quello strumento che permette di raccogliere dati da tutte le relazioni e profilare i clienti. SalesForce è sicuramente uno dei leader mondiali e uno dei primi standard globali ma ci sono poi tante altre alternative e soluzioni custom.

Pensato inizialmente per gestire la rete agenti di un azienda oggi è diventato molto di più, con strumenti che integrano i social network, strumenti di analisi e report e molto altro ancora

La stessa Microsoft ha stretto un accordo proprio con il Real Madrid per lo sviluppo di soluzioni tecniche tra cui Dynamics (il CRM di Microsoft). Sono stato in Microsoft Italia proprio qualche settimana fa e mi dicevano che è un servizio che sta facendo registrare un aumento del 200% negli ultimi anni e diventata una tematica su cui investire da qui al 2020, con molti clienti proprio nelle PMI.

Dal CRM al FRM, pensato per i Fan e per le società sportive

Il problema con i CRM è che sono spesso pensati per gestire venditori in scala globale (e quindi con modello esportabile) mentre quasi sempre in ogni settore bisogna poi rispondere ad esigenze specifiche. Ci sono diverse aziende che stanno provando ad entrare nel Verticale dello sport offrendo questi servizi (molte di queste però con offerte di scarsa qualità) e non è sicuramente semplice scegliere (persino per chi è competente tecnicamente).

Le variabile sono diverse: legate alle funzionalità, ai dettagli, agli strumenti aggiuntivi, all’ usability, agli standard di programmazione e anche al modello.

Una società sportiva ha sicuramente venditori da gestire, in quelle che sono le relazioni B2B con gli sponsor ma ha anche (e principalmente) da gestire un flusso che potremmo definire B2C (B2F in questo caso, trattandosi appunto di fan).

Una società sportiva (anche una società locale) ha quindi potenzialmente un grande quantitativo di dati da raccogliere e diversi touchpoint. Primo tra tutti i dati che arrivano dai canali social (che grazie a strumenti dedicati oggi possono essere anche interpretati, così da vedere non solo se una persona ha fatto un like o meno ma anche analizzare se parlano di una determinata tematica o addirittura interpretare se ne parlano bene o male)

Cosa fare quindi?

  1. Raccogliere dati.
  2. ANALISI dati
  3. PUSH: comunicazione one2one con i fan

Le potenzialità quindi sono infinite, in termini di business (diretto o indiretto) ma anche per poter dare un valore aggiunto ai propri fan.

Cosa fa la differenza?

In realtà spesso si investe l’80% delle risorse nelle raccolta dei dati e poi solo il 20% nell’analisi, l’equilibrio dovrebbe invece essere l’opposto: investire il 20% sul primo punto (quindi nella raccolta di dati) e il restante 80% in risorse di analisi e poi in modelli di comunicazione one2one.

Quindi lo sviluppo di questi strumenti non è il punto di arrivo, ma al contrario quello di partenza.

La differenza, come sempre, la faranno la qualità delle persone che andranno a sfruttare questi strumenti. Sicuramente due figure chiave che vedrei come “nuove” nelle società sportive potrebbero essere quella del CMO (executive con competenze trasversali B2B/B2C e anche di digital marketing) e figure di Business Intelligence campaci di analizzare i dati e trasferirle in attività di marketing e comunicazione.

Non riesci a farlo da solo? Perché non farlo assieme…

Quello che mi chiedo è: se le esigenze sono comuni, perché non unire le forze per creare un modello comune che possa rispondere ai singoli bisogni delle società sportive… piccole o grandi.

Escludendo i grandi club, orami sempre più internazionali, (che hanno sicuramente le disponibilità economiche e si presume all’interno le competenze per poter gestire soluzioni completamente custom e/o tailor made) nel solo mondo del calcio, solo in Italia tra serie A, serie B ed alcune importanti realtà di serie C ci sono molti club che ancora non hanno previsto l’utilizzo di tali strumenti. E così anche per altri importanti realtà sportive come il Volley, il Rugby o Basket.

Di certo, senza parlare di “gruppi di acquisto” la definizione di uno standard esportabile potrebbe aiutare le società, specialmente le provinciali, che potrebbero avere uno strumento in più (come opportunità di business e come servizio per la propria community) senza dover coprire da soli la delicata fase di startup, che richiede competenze specifiche e costi di personalizzazione del modello. Infondo si tratta semplicemente di uno strumento tecnico, una volta pensato e definito, facilmente trasferibile…

Un servizio che le le stesse Federazioni avrebbero l’interesse ad offrire, come servizio e strumento di crescita. Perché no?




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Fonte: RSINews.it
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