In questi mesi si parla molto di “great resignation” e di “quiet quitting”, ossia di dipendenti che lasciano spontaneamente le aziende o che di fatto perdono interesse per il proprio lavoro, riducendo il proprio impegno al minimo necessario. Secondo un’indagine Gallup del 2022, “State of the Global Workplace”, i dipendenti italiani sono i lavoratori più tristi d’Europa. Su 38 paesi analizzati, l’Italia è ultima con solamente il 4% di dipendenti soddisfatti del proprio posto di lavoro. Al tempo stesso, secondo uno studio effettuato da GlobalNR, anche i livelli di soddisfazione dei Clienti italiani sono i più bassi d’Europa.
«Senza una forza lavoro ingaggiata e motivata, è molto difficile tradurre esperienze individuali in Customer Journey soddisfacenti» spiega Pier Paolo Bucalo, Adjunct Professor, Luiss Business School e coordinatore scientifico dell’Executive Programme in Customer & Employee Experience Management.
A contribuire a risolvere tali criticità sono chiamati i Chief Experience Officer (CXO), figure al centro della prima edizione del programma. Obiettivo: creare una Human Experience che porti valore alle aziende.
Professor Bucalo, dopo quattro edizioni dell’Executive Programme in Customer Experience Management debutta un nuovo programma che include anche la Employee Experience. Perché?
Perché molti executive hanno nel tempo lamentato una poca sensibilità sul tema “experience” da parte delle proprie funzioni Risorse Umane. Ed un programma che abbia l’obiettivo di realizzare esperienze di valore per i Clienti non può ignorare il ruolo fondamentale che i dipendenti giocano nel merito.
Chi è il Customer & Employee Experience Manager?
Troppo spesso in azienda la misurazione della Customer Satisfaction è una responsabilità della Direzione Sales & Marketing, mentre la Employee Satisfaction viene gestita dalla Direzione People/HR. I limiti principali di tale approccio sono molteplici. In primo luogo, controllante e controllore coincidono, con rischio di bias sui risultati delle analisi. Poi, i dati che emergono non sempre vengono condivisi con l’intera organizzazione. Infine, si rischia di perdere le sinergie tra gestione dell’esperienza del cliente e del dipendente. Per ovviare a questa situazione nasce il ruolo del Chief Experience Officer (CXO), ruolo già presente in numerose aziende internazionali ma ancora assente in Italia. È appunto la figura che formiamo nel nostro percorso Executive. Si tratta del punto di sintesi tra Employee Experience Manager e Customer Experience Manager.
Di cosa si occupa il Chief Experience Officer?
Il CXO ha innanzitutto il compito di misurare i livelli di salute e di soddisfazione di Clienti e dipendenti. Risultati che deve poi condividere con l’intera organizzazione. Facilita e aumenta la conoscenza e la comprensione dei clienti tra i dipendenti, e fa lo stesso affinché i manager comprendano meglio i dipendenti e le loro esigenze. Supporta le direzioni HR e Marketing nel disegno e nell’implementazione di esperienze destinate a dipendenti e clienti. Inoltre, evidenzia e sviluppa sinergie tra Customer Experience ed Employee Experience. Infine, misura l’impatto della Customer Experience sui dipendenti e quello della Employee Experience sui Clienti, nonché l’impatto di entrambe sui KPI aziendali.
Quali sono le sue competenze?
Il CXO deve avere un mix di competenze “hard” (capacità di analisi in primis) e competenze “soft” (psicologia e empatia sono indispensabili). Queste ultime sono cruciali. Infatti, se si tratta di studiare e comprendere l’uomo “lavoratore dipendente”, le competenze sono (o dovrebbero essere) all’interno della funzione Risorse Umane (HR), che – in estrema sintesi – si sforza di comprendere cosa motivi e renda soddisfatto l’essere umano quando lavora, e ne consenta lo sviluppo professionale. In questo contesto vengono utilizzate parole come empowerment, fulfillment, purpose. Se invece si tratta di comprendere l’uomo “consumatore”, le competenze ricadono nella funzione Marketing (almeno quelle “teoriche”), che cerca di analizzare cosa motivi ed influenzi l’essere umano nel processo di analisi, scelta ed acquisto di un prodotto o un servizio. Se poi ci domandiamo chi, in azienda, conosca davvero, “in pratica”, il comportamento dell’essere umano “consumatore”, allora è probabile che si tratti della funzione Commerciale, la “front line” e gli agenti commerciali. Ma credo sia opportuno ricordare che l’essere umano è sempre lo stesso, ed è attratto da esperienze gratificanti, siano esse legate al posto di lavoro o quando si tratta di fare acquisti. Il CXO può rappresentare l’anello mancante per consentire alle aziende di condividere al proprio interno tutto il know-how e le competenze in materia psicologica, sociologica e comportamentale. Vi sono, infatti, profonde sinergie tra le competenze di cui un’azienda ha bisogno per diventare “best employer of choice” e le competenze necessarie affinché la stessa azienda sia in grado di offrire ai propri clienti una “superior customer experience”.
Customer experience, vecchie pratiche e nuovi trend: quali sono i principali cambiamenti legati a questo tema?
La multicanalità è realtà da molti anni, ma le aziende continuano a considerare i diversi mezzi come alternativi e non sinergici, gestendoli in modo separato. Sempre più spesso le esperienze dei clienti oscillano tra canali digitali e fisici, il cosiddetto “ROPO effect” (Research Offline, Purchase Online e viceversa). I clienti cercano sia online per poi comprare offline, sia viceversa. Per questo, qualsiasi canale venga scelto, l’utente deve poter vivere la stessa esperienza. Inoltre, l’azienda deve sapere ciò che il cliente ha fatto sugli altri canali. In più, non bisogna dimenticare di aggiungere empatia a qualsiasi canale. Il dipendente non empatico può fare danni su tutti i “touchpoint”: sia nel punto vendita fisico che al telefono o su via email o web-chat.
Un secondo trend da tenere in considerazione è quello legato all’innovazione.
In che modo l’innovazione incide sulla Customer & Employee Experience?
L’innovazione sta avendo ed avrà sempre di più un impatto enorme sulla rapidità e sulla qualità della raccolta dei dati. Prima i dati venivano raccolti attraverso focus group, i cui risultati venivano analizzati nel tempo per poi produrre risultati con mesi di ritardo. Oggi la tecnologia ci aiuta ad avere molte più informazioni in tempi molto più rapidi, sempre nel rispetto della privacy, non solamente sui canali online, ma anche sui canali fisici. Pensiamo ad esempio al riconoscimento facciale, che consente di avere in tempo reale un quadro sintetico delle emozioni dei clienti raccolte nei punti vendita. Credo sia davvero importante per un’azienda poter sapere se il proprio cliente è uscito dal punto vendita più o meno felice di quando vi è entrato.
Employee Experience e Customer Experience: in che modo si influenzano a vicenda?
Se l’azienda riesce ad aumentare il livello di soddisfazione e di coinvolgimento dei propri dipendenti, i risultati si vedranno su tutte le variabili critiche. I dipendenti soddisfatti hanno maggiore produttività, maggiore motivazione, minore assenteismo, ed offrono un migliore servizio quando interagiscono con i clienti, che avranno così un migliore Customer Journey.
Quali sono le leve per ottenere dipendenti più soddisfatti?
Come dimostrato dai prof. Teresa Amabile and Steven Kramer di Harvard Business School, la grande maggioranza dei manager non è in grado di comprendere ciò che davvero motiva i dipendenti. Secondo i manager il salario è la principale leva di motivazione dei dipendenti, mentre, sulla base di ricerche lunghe e ripetute nel tempo, le leve di motivazione sono più emotive che economiche. Il salario deve essere sufficiente a non rappresentare un problema. Sono però le emozioni positive a incrementare la motivazione: il desiderio di autonomia crescente, le opportunità di crescita, la voglia di contribuire e ricevere il riconoscimento per un lavoro ben fatto, la possibilità di trovare il purpose aziendale in tutto ciò che si fa.
Quali sono i trend più recenti di cui i manager devono tenere conto nel ridisegnare una Customer Experience in maniera innovativa?
Come ci ricorda Simon Sinek, People don’t buy what you do, they buy why you do it. I clienti non comprano ciò che un’azienda offre, ma sposano la ragione per la quale un’azienda fa ciò che fa. Secondo una ricerca Accenture, oltre a prezzo, qualità dei prodotti e dei servizi e customer experience, ciò che conta per i clienti sono trasparenza, attenzione nei confronti dei dipendenti, presenza di valori etici e la dimostrazione di autenticità e coerenza in tutto ciò che l’azienda fa. Secondo Larry Fink, CEO di BlackRock, purpose is the engine of long-term profitability (il purpose è il motore per una profittabilità di lungo periodo).
Inoltre, c’è un cambiamento tra gli obiettivi dell’azienda: non si deve più generare valore per i soli azionisti, ma per tutti gli stakeholder. Quindi per i clienti, per i dipendenti, per i fornitori, con cui bisogna rapportarsi in modo equo ed etico, per le comunità nelle quali le aziende devono generare valore.
Infine, consumatori e dipendenti sono sempre più sensibili alle tematiche ESG (Environmental, Social e corporate Governance). Per le nuove generazioni, l’obiettivo principale di un’azienda deve essere quello di migliorare la società.
Quali sono le soft skill che possono fare la differenza? Come verranno allenate in aula?
Principalmente l’empatia e la capacità di ascolto. All’interno del programma, gli studenti avranno l’opportunità di vestire i panni del mistery shopper, per giudicare la competenza tecnica, l’abilità, ma anche le soft skill degli addetti alla clientela nei diversi punti vendita.
Quali sono i fattori necessari per una trasformazione aziendale in un’ottica customer-centric?
Per realizzare una trasformazione customer centric c’è bisogno in primis del commitment del top management, a volte poco attento al “fattore umano”. Ci devono essere poi una comprensione e consapevolezza condivisa e diffusa dell’impatto della visione customer centric sull’organizzazione. Bisogna conoscere i propri clienti e i propri dipendenti, trasformando i dati che li riguardano in metriche e insight. Ci deve essere abilità nell’utilizzo di nuove tecnologie e si deve scegliere il corretto modello organizzativo, che consenta la responsabilizzazione dei dipendenti. Ultimo, ma non meno importante, bisogna ragionare sull’orizzonte temporale dei propri obiettivi.
In che modo?
Un dipendente soddisfatto resterebbe nella stessa azienda per 20 anni. Anche un cliente soddisfatto non sente alcuna necessità di cambiare azienda. Purtroppo, a volte è proprio il top management ad avere obiettivi ed incentivi di breve periodo, il che può impoverire l’organizzazione.
Per questo, quando parliamo di sostenibilità, non pensiamo solamente all’ambiente. Pensiamo piuttosto alla sostenibilità economica. I risultati di un’azienda sono sostenibili nel tempo solo se tali risultati sono generati da dipendenti soddisfatti e da clienti altrettanto soddisfatti.
Compito del CXO è tenere sotto controllo queste due variabili chiave, soddisfazione di clienti e dipendenti, le uniche che possono garantire all’azienda una lunga vita in salute.