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La nuova frontiera tra brand e consumatori: gli Nft

La nuova frontiera tra brand e consumatori: gli Nft

In un mercato sempre più competitivo, la costruzione di un forte rapporto tra brand e consumatori diventa essenziale per il successo a lungo termine. Con l’avvento delle criptovalute e delle tecnologie blockchain, è emersa una nuova soluzione affinché questo rapporto possa consolidarsi: gli Nft (Non-Fungible Token), un tipo speciale di “token” che rappresenta un’immagine, un video o qualsiasi altra cosa digitale, unica e irripetibile e che le persone possono comprare e vendere.

Un po’ di numeri

Solo l’anno scorso il mercato degli Nft ha generato un totale di 24,7 miliardi di dollari di volume, in leggero calo rispetto ai 25,1 miliardi di dollari registrati nel 2021 (Fonte: “Behavior report – What Do Consumers Want from Nft?” – Dappradar). Considerando il significativo calo del 60% del prezzo di Eth (criptovaluta maggiormente scambiata nel mercato degli Nft: Ethereum), questo indica una resilienza significativa dell’attività del mercato. Sono arrivati ad essere 10,6 milioni gli utenti che scambiano Nft, con un incremento dell’87,7% rispetto all’anno precedente. Ciò suggerisce che il mercato è stato in grado, nonostante il momento negativo, di attirare nuovi partecipanti e rappresenta sicuramente un ottimo segno per il futuro del settore. Lato aziende, nel 2022 sono più di 240 i brand che sono entrati nel mondo degli Nft. NikeAdidas e Gucci sono solo alcuni dei brand che si sono immersi nel mondo di web3 (terza evoluzione del web, che utilizza tecnologie decentralizzate per creare un ecosistema più sicuro, aperto e inclusivo) e hanno dimostrato come la tecnologia possa arricchire i punti di contatto con i consumatori finali.

Quali sono i vantaggi per i brand? Il primo riguarda l’attenzione da parte dei media: sfruttando ancora un mercato di cui tutt’ora si parla e si conosce poco, i brand che entrano nel mercato vengono percepiti come innovativi e progressivi con la conseguente possibilità di rafforzare la loro immagine e generare Pr positive. Inoltre, punto ben più importante, gli Nft possono essere utilizzati per creare un senso di appartenenza tra i consumatori e il brand, attraverso l’emissione di pezzi unici e limitati. In questo modo, i brand lover possono dimostrare la loro fedeltà possedendo un pezzo esclusivo. Allo stesso tempo, gli investitori possono utilizzare gli Nft come strumento di investimento, acquistando opere d’arte, oggetti rari e collezionabili digitali associati al brand. Ma gli Nft non sono solo un modo per rafforzare il rapporto tra marca e consumatori; possono anche rappresentare una nuova fonte di guadagno per i brand stessi, aumentando la visibilità e generando un’entrata finanziaria extra. E il prezzo? Maggiore l’esclusività del brand, più elevato il prezzo a cui gli Nft possono essere proposti. Gli Nft possono essere quindi una soluzione vincente per costruire e consolidare il rapporto tra brand e consumatori, creare nuove opportunità di investimento e aumentare la visibilità della marca sul mercato.

Il caso Porsche

Pur essendoci grandi opportunità e potenziale per la creazione di business con gli Nft, non sempre raggiungere risultati positivi è semplice. Ne è un esempio Porsche nella gestione del suo progetto legato agli Nft. Nel novembre del 2022 ha annunciato la sua prima collezione ufficiale di Nft, aprendo conseguentemente il canale Discord e il profilo Twitter dedicato (@eth_porsche). Il prezzo (0.911 ETH circa 1.500 euro) per una supply di 7.500 Nft, è risultato probabilmente troppo alto e non in linea con l’attuale situazione di mercato. Vedendo la risposta della community, la casa automobilistica si è trovata costretta a ridurre la quantità di Nft data l’impossibilità di vendere. Il progetto di Porsche ha un potenziale immenso e questa può essere un’occasione per ascoltare i propri fan e risolvere gli eventuali problemi emersi imparando a conoscere il target e costruire valore nel futuro. Occorre però mettere a punto una strategia di mercato che parta dai bisogni dei propri clienti.

Per una buona riuscita di un progetto bisogna tenere presente di dover identificare correttamente il target (essere un grande brand non è garanzia di successo nel web3, per farlo devi parlare con il pubblico giusto). Ma non solo: una comunicazione errata crea bad reputation (ascoltare/considerare tardi la community indebolisce il progetto) e, infine, occorre considerare lo stato del mercato e le aspettative risposte della marca.

Il caso Nike

Altre volte, invece, i grandi brand possono fare bene anche sul web3. È il caso di Nike, il marchio che ha performato meglio finora sul mercato e ha generato più di 185 milioni di dollari. I ricavi negli Nft sono generati sia dalle vendite dirette che dal mercato secondario, cioè dalla trattenuta di royalties quando l’attività è scambiata tra i clienti stessi (in altre parole, il mercato dell’usato). Quindi più tempo passa, più gli Nft aumenteranno di valore e più royalties entreranno nelle casse dell’azienda in modo completamente passivo. Gli Nft rappresentano dunque un’opportunità interessante per i brand per creare valore e connessione con la propria audience. Il potenziale è enorme e sta solo aspettando di essere sfruttato.

to-do list

Cosa devono considerare i brand per avere successo nel mondo degli Nft:

  1. Valutare il Fit – consistenza con la marca: gli Nft sono la cosa giusta per il tuo brand?
  2. Posizionamento: un corretto posizionamento è di cruciale importanza per portare vantaggi immediati e duraturi nel tempo e deve essere considerato in tutte le espressioni che la marca attiva.
  3. Analisi di mercato: la comprensione del mercato e della categoria è fondamentale per capire cosa funziona e cosa no.
  4. Comprendere i need e sviluppare un piano di lancio: partendo dai bisogni che si vogliono soddisfare e dal valore che si può offrire ai potenziali investitori fino ad arrivare a quali Nft si portano sul mercato e qual è la roadmap del progetto.
  5. Community: è uno dei capisaldi degli Nft; affinché il tutto funzioni, è necessario creare entusiasmo e interesse intorno al progetto.

Fonte: Nft Behavior Report – DappRadar x Alsomine, febbraio 2023




I dati sulla rendicontazione Esg nei bilanci delle aziende europee: solo una su 4 si sottopone a verifiche e audit affidabili e indipendenti

ESG E BILANCI: SOLO UN'AZIENDA SU 4 SI SOTTOPONE A VERIFICHE

Sette organizzazioni su 10 (70%) che pubblicano i bilanci di sostenibilità convalidati da una società di certificazione esterna, dichiarano che questi si basano solamente sull’analisi di documenti ed evidenze autoprodotte dall’azienda stessa. Anche per questo il grado di fiducia da parte della cittadinanza verso l’impegno delle aziende sulla sostenibilità è basso: quasi un cittadino europeo su due (45%) pensa che le imprese utilizzino il tema green solo per motivi pubblicitari e di marketing.

Le imprese europee corrono il rischio di essere percepite dai cittadini come poco trasparenti rispetto al loro reale impegno in tema di sostenibilità. Sono ben 7 su 10 (70%) le aziende del Vecchio Continente che pubblicano bilanci di sostenibilità approvati unicamente sulla base di documenti ed evidenze autoprodotti, senza alcuna verifica da parte di un professionista esterno circa la genuinità e veridicità delle informazioni contenute nei report. Mentre sono solo un quarto (25%) le organizzazioni che affermano di essersi sottoposte a uno specifico audit interno sulla rendicontazione dei criteri ESG (Environmental, Social, Governance). Criticità di questo tipo si incrociano con i dati rilevati dall’analisi svolta sulla percezione della cittadinanza europea, in cui emerge, come ovvia conseguenza, che il grado di fiducia nelle dichiarazioni di sostenibilità prodotte dalle aziende risulta tra il basso (44,5%) e il bassissimo (19,5%) e che una parte significativa dei cittadini europei ritiene che le aziende utilizzino il tema della sostenibilità solo per motivi pubblicitari e di marketing (45,5%). Sono questi alcuni dei principali dati sul tema della rendicontazione dei criteri ESG nei bilanci aziendali che emergono dalla ricerca “Rating ESG delle imprese, asserzioni etiche aziendali e percezione dei cittadini riguardo alle scelte green delle aziende”, condotta su due diversi campioni, uno di 100 aziende, di vari settori e dimensioni, e un secondo di 500 cittadini rappresentativi di tutte le età, condizioni sociali, promossa dall’On. Tiziana Beghin, eurodeputata (gruppo Non Iscritti) e presentata nel corso di un talk a Bruxelles presso la sede del Parlamento Europeo, anche al fine di elaborare e presentare raccomandazioni utili al legislatore per migliorare le normative in questo settore di enorme importanza e attualità.

L’indagine è stata realizzata da un team di ricerca al 100% italiano e in larga parte femminile: sono donne, infatti, 4 ricercatrici del gruppo su 5, coordinate dalla Dott.ssa Giorgia Grandoni. “Scopo del progetto di ricerca – ha dichiarato Luca Poma, Professore di Reputation management all’Università LUMSA di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino, referente scientifico dell’indagine – è quello di fotografare lo stato dell’arte sul tema della rendicontazione non finanziaria ed ESG nei bilanci delle aziende europee, al fine di intercettare punti di forza e di debolezza delle prassi attualmente messe in campo e favorire, nel contempo, un miglioramento della qualità informativa di questa forma di rendicontazione, riflettendo anche sulla percezione che i cittadini hanno delle scelte green compiute dalle aziende. Il lavoro si innesta, infatti – conclude Poma – nello sforzo sostenuto dall’Unione Europea di promuovere una cultura della sostenibilità non solo tra cittadine e cittadini comunitari ma anche all’interno delle PMI e dei grandi gruppi aziendali”.

“Lo scenario competitivo mondiale è caratterizzato dalla circolazione sempre più libera di persone, beni e capitali, filiere di fornitura lunghe e frammentate su scala globale e uno spazio geografico degli scambi e degli investimenti sempre più ampio, con una crescente esposizione ai rischi”, ha dichiarato l’On. Beghin. “Cresce quindi la domanda di informazioni credibili e affidabili sulla reputazione delle imprese, non solo limitate al profilo generale e organizzativo, ai prodotti o servizi e ai relativi prezzi, ma anche a quelli che possono essere i rischi di impatti avversi futuri sull’impresa e i suoi stakeholder e a un’ampia gamma di aspetti di natura non finanziaria (governance, diritti umani e condizioni di lavoro, sicurezza, ambiente ed etica di business), denominati sempre più frequentemente “rischi ESG” – Environmental, Social, Governance. È quindi di assoluta attualità per noi legislatori – ha concluso l’eurodeputata – comprendere come poter rendere più trasparente questo tipo di rendicontazione, garantendo rating appropriati e non fuorvianti agli occhi dei cittadini dello spazio comune europeo”.




I dubbi sulla rendicontazione Esg nei bilanci aziendali

ESG E BILANCI: SOLO UN'AZIENDA SU 4 SI SOTTOPONE A VERIFICHE

Le imprese europee corrono il rischio di essere percepite dai cittadini come poco trasparenti rispetto al loro reale impegno in tema di sostenibilità. Sono ben sette su dieci (70 per cento) le aziende del Vecchio Continente che pubblicano bilanci di sostenibilità approvati unicamente sulla base di documenti ed evidenze autoprodotti, senza alcuna verifica da parte di un professionista esterno circa la genuinità e veridicità delle informazioni contenute nei report. Mentre sono solo un quarto (25 per cento) le organizzazioni che affermano di essersi sottoposte a uno specifico audit interno sulla rendicontazione dei criteri ESG (Environmental, Social, Governance). 

Criticità di questo tipo si incrociano con i dati rilevati dall’analisi svolta sulla percezione della cittadinanza europea, in cui emerge, come ovvia conseguenza, che il grado di fiducia nelle dichiarazioni di sostenibilità prodotte dalle aziende risulta tra il basso (44,5 per cento) e il bassissimo (19,5 per cento) e che una parte significativa dei cittadini europei ritiene che le aziende utilizzino il tema della sostenibilità solo per motivi pubblicitari e di marketing (45,5 per cento). 

Sono questi alcuni dei principali dati sul tema della rendicontazione dei criteri ESG nei bilanci aziendali che emergono dalla ricerca “Rating ESG delle imprese, asserzioni etiche aziendali e percezione dei cittadini riguardo alle scelte green delle aziende, condotta su due diversi campioni, uno di 100 aziende, di vari settori e dimensioni, e un secondo di 500 cittadini rappresentativi di tutte le età, condizioni sociali, promossa dall’onorevole Tiziana Beghin, eurodeputata (gruppo Non Iscritti) e presentata nel corso di un talk a Bruxelles presso la sede del Parlamento Europeo, anche al fine di elaborare e presentare raccomandazioni utili al legislatore per migliorare le normative in questo settore di enorme importanza e attualità.

L’indagine è stata realizzata da un team di ricerca al 100% italiano e in larga parte femminile: sono donne, infatti, quattro ricercatrici del gruppo su cinque, coordinate da Giorgia Grandoni. 

“Scopo del progetto di ricerca – spiega Luca Poma, professore di Reputation management all’Università Lumsa di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino, referente scientifico dell’indagine – è quello di fotografare lo stato dell’arte sul tema della rendicontazione non finanziaria ed ESG nei bilanci delle aziende europee, al fine di intercettare punti di forza e di debolezza delle prassi attualmente messe in campo e favorire, nel contempo, un miglioramento della qualità informativa di questa forma di rendicontazione, riflettendo anche sulla percezione che i cittadini hanno delle scelte green compiute dalle aziende. Il lavoro si innesta, infatti – conclude Poma – nello sforzo sostenuto dall’Unione Europea di promuovere una cultura della sostenibilità non solo tra cittadine e cittadini comunitari ma anche all’interno delle PMI e dei grandi gruppi aziendali”.

“Lo scenario competitivo mondiale è caratterizzato dalla circolazione sempre più libera di persone, beni e capitali, filiere di fornitura lunghe e frammentate su scala globale e uno spazio geografico degli scambi e degli investimenti sempre più ampio, con una crescente esposizione ai rischi – dichiara l’onorevole Beghin“Cresce quindi la domanda di informazioni credibili e affidabili sulla reputazione delle imprese, non solo limitate al profilo generale e organizzativo, ai prodotti o servizi e ai relativi prezzi, ma anche a quelli che possono essere i rischi di impatti avversi futuri sull’impresa e i suoi stakeholder ea un’ampia gamma di aspetti di natura non finanziaria (governance, diritti umani e condizioni di lavoro, sicurezza, ambiente ed etica di business), denominati sempre più frequentemente “rischi ESG” – Environmental, Social, Governance. È quindi di assoluta attualità per noi legislatori – ha concluso l’eurodeputata – comprendere come poter rendere più trasparente questo tipo di rendicontazione, garantendo rating appropriati e non fuorvianti agli occhi dei cittadini dello spazio comune europeo”.




Sostenibilità, scatta l’allarme sulla rendicontazione Esg nei bilanci delle aziende europee: solo una su 4 si sottopone a verifiche e audit affidabili e indipendenti

ESG E BILANCI: SOLO UN'AZIENDA SU 4 SI SOTTOPONE A VERIFICHE

Le imprese europee corrono il rischio di essere percepite dai cittadini come poco trasparenti rispetto al loro reale impegno in tema di sostenibilità. Sono ben 7 su 10 (70%) le aziende del Vecchio Continente che pubblicano bilanci di sostenibilità approvati unicamente sulla base di documenti ed evidenze autoprodotti, senza alcuna verifica da parte di un professionista esterno circa la genuinità e veridicità delle informazioni contenute nei report. Mentre sono solo un quarto (25%) le organizzazioni che affermano di essersi sottoposte a uno specifico audit interno sulla rendicontazione dei criteri ESG (Environmental, Social, Governance). Criticità di questo tipo si incrociano con i dati rilevati dall’analisi svolta sulla percezione della cittadinanza europea, in cui emerge, come ovvia conseguenza, che il grado di fiducia nelle dichiarazioni di sostenibilità prodotte dalle aziende risulta tra il basso (44,5%) e il bassissimo (19,5%) e che una parte significativa dei cittadini europei ritiene che le aziende utilizzino il tema della sostenibilità solo per motivi pubblicitari e di marketing (45,5%). Sono questi alcuni dei principali dati sul tema della rendicontazione dei criteri ESG nei bilanci aziendali che emergono dalla ricerca “Rating ESG delle imprese, asserzioni etiche aziendali e percezione dei cittadini riguardo alle scelte green delle aziende”, condotta su due diversi campioni, uno di 100 aziende, di vari settori e dimensioni, e un secondo di 500 cittadini rappresentativi di tutte le età, condizioni sociali, promossa dall’On. Tiziana Beghin, eurodeputata (gruppo Non Iscritti) e presentata nel corso di un talk a Bruxelles presso la sede del Parlamento Europeo, anche al fine di elaborare e presentare raccomandazioni utili al legislatore per migliorare le normative in questo settore di enorme importanza e attualità.

L’indagine è stata realizzata da un team di ricerca al 100% italiano e in larga parte femminile: sono donne, infatti, 4 ricercatrici del gruppo su 5, coordinate dalla Dott.ssa Giorgia Grandoni. “Scopo del progetto di ricerca – ha dichiarato Luca Poma, Professore di Reputation management all’Università LUMSA di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino, referente scientifico dell’indagine – è quello di fotografare lo stato dell’arte sul tema della rendicontazione non finanziaria ed ESG nei bilanci delle aziende europee, al fine di intercettare punti di forza e di debolezza delle prassi attualmente messe in campo e favorire, nel contempo, un miglioramento della qualità informativa di questa forma di rendicontazione, riflettendo anche sulla percezione che i cittadini hanno delle scelte green compiute dalle aziende. Il lavoro si innesta, infatti – conclude Poma – nello sforzo sostenuto dall’Unione Europea di promuovere una cultura della sostenibilità non solo tra cittadine e cittadini comunitari ma anche all’interno delle PMI e dei grandi gruppi aziendali”.

“Lo scenario competitivo mondiale è caratterizzato dalla circolazione sempre più libera di persone, beni e capitali, filiere di fornitura lunghe e frammentate su scala globale e uno spazio geografico degli scambi e degli investimenti sempre più ampio, con una crescente esposizione ai rischi”, ha dichiarato l’On. Beghin. “Cresce quindi la domanda di informazioni credibili e affidabili sulla reputazione delle imprese, non solo limitate al profilo generale e organizzativo, ai prodotti o servizi e ai relativi prezzi, ma anche a quelli che possono essere i rischi di impatti avversi futuri sull’impresa e i suoi stakeholder e a un’ampia gamma di aspetti di natura non finanziaria (governance, diritti umani e condizioni di lavoro, sicurezza, ambiente ed etica di business), denominati sempre più frequentemente “rischi ESG” – Environmental, Social, Governance. È quindi di assoluta attualità per noi legislatori – ha concluso l’eurodeputata – comprendere come poter rendere più trasparente questo tipo di rendicontazione, garantendo rating appropriati e non fuorvianti agli occhi dei cittadini dello spazio comune europeo”.




Molestie e abusi sulle donne, Guastini vs. Diaferia: un caso reputazionale?

Un’intervista choc rilasciata da Massimo Guastini sta facendo discutere – fin qui dietro le quinte, e vedremo perché – l’intero mondo della pubblicità italiana, e non solo: esiste oggi, post #Metoo, un tema relativo agli abusi e violenze sessuali nel mondo glamour dei creativi pubblicitari italiani? E ancora: come reagire, se le stesse interessate non denunciano? E più nello specifico: c’è qualche noto protagonista del settore che si è reso impunemente “colpevole” di questo genere di abusi, tacitati da parte delle stesse vittime per paura di ritorsioni? Il terreno – come mi ha ben rappresentato un amico e stimato collega – è assai sdrucciolevole, quindi andiamo per passi, e vediamo nel dettaglio cosa è successo.

I protagonisti

Massimo Guastini è un pubblicitario dal 1983, ed è l’artefice di moltissime campagne pubblicitarie nazionali di successo, tra cui quelle di eBay, Jaguar, PayPal, EasyJet, Siemens, Il Sole 24 Ore, Badedas, Champion, Abbey National Bank, Yamaha. È stato per due mandati il Presidente dell’Art Directors Club Italiano (ADCI), che è l’associazione che da quasi 40 anni riunisce i migliori professionisti nel campo della comunicazione pubblicitaria in Italia.

Pasquale Diaferia – analogamente – è un altrettanto famoso pubblicitario, conosciuto nell’ambiente e in generale dal pubblico per la famosa campagna “Toglietemi tutto, ma non il mio Breil”, ma anche per essere l’ideatore di altre campagne nazionali per noti marchi come Barilla, Moschino, Olivetti, Panorama: insomma, che esista il presupposto dell’esistenza di un interesse del pubblico alla conoscenza dei fatti, allo scrivente pare assodato.

Perché secondo Guastini, Diaferia – che, è bene subito specificarlo, non è stato mai condannato per un reato del genere, e pare, per quanto pubblicamente noto, neppure indagato o denunciato – sarebbe un molestatore e abusatore seriale di giovani e meno giovani colleghe pubblicitarie o tirocinanti. E Guastini questo non lo confida nel silenzio delle sacre stanze delle agenzie dei creativi, ma lo dice forte e chiaro, in un’intervista pubblicata online ieri sui Social, a firma di Monica Rossi, nom de plume di un personaggio noto nel mondo dell’editoria che intervista scrittori, giornalisti e persone di un certo spessore intellettuale.

I fatti, per come sono raccontati

L’autrice dell’intervista a un certo punto chiede a Guastini (riporto verbatim): “Veniamo alla domanda personale. Io ho intuito che nel Vostro mondo, il mondo della pubblicità, attualmente ci sia un problema di molestie sessuali. È così?”

E Guastini risponde convinto: “Sì, è proprio così” . Ma aggiunge, sorprendentemente:

E di uno di questi molestatori seriali conosciamo bene il nome e il cognome: Pasquale Diaferia. E la questione è tornata d’attualità recentemente visto che è stato nuovamente invitato dall’ADCI (il Club dei pubblicitari, ndr) a fare il mentore, vale a dire incontrare giovani professioniste del settore pubblicitario per valutarne il talento ed eventualmente favorirne l’ingresso nel mondo del lavoro.Ruolo e funzione per i quali servirebbero, secondo me, requisiti morali estranei a Diaferia. Perché nel ruolo di mentore dovremmo mostrare il meglio del nostro lavoro e non il peggio dell’essere umano.

L’intervistatrice aggiunge: “Ma è un caso isolato?”

“No, non lo è”, dice Guastini, che precisa a sua volta:

Potrei parlarti di una famosa chat in cui diversi uomini catalogavano e davano i voti chi al culo, chi alle tette, chi alle gambe di queste giovani stagiste che potevano essere le loro figlie. Agenzia di pubblicità molto famosa, molto potente, molto importante. Una sera a cena con due colleghi che sono divenuti anche amici, le due ragazze scoprono di una chat tra maschi e chiedono di cosa parlino. Uno dei due ragazzi mostra loro la chat. Comprende almeno 80 uomini. Quasi tutti quelli che lavorano nell’agenzia, dagli stagisti ai capi reparti. Manca solo il grande capo. Restano agghiacciate. Decine e decine di messaggi ogni giorno. Un solo argomento: quanto sono scopabili, fighe, ribaltabili o cesse le colleghe. Una chat che si svolge in ambiente di lavoro, durante l’orario di ufficio, con una sfilza infinita di messaggi espliciti, degradanti e umilianti. Si va da un capo Team che parlando di una sua sottoposta (con il suo nome e cognome) scrive: “glielo infilerei così tanto nel culo da farle uscire le palle dalla gola” a un nuovo arrivato nel Team, nemmeno da due settimane, che parla così di una collega: “è talmente cessa e grassa che le infilerei un sacchetto in testa e me la scoperei comunque, di prepotenza.” Il tutto in una chat, vale la pena ricordarlo, lavorativa in cui i membri più attivi sono i capi dei vari Team di lavoro. Arrivano a scoprire anche l’esistenza di foglio Excel che non contiene numeri e voti ma i nomi delle proprietarie dei più bei culi femminili in azienda.

“Tu credi veramente che Pasquale Diaferia sia un molestatore?”, incalza a quel punto l’intervistatrice… E Guastini:

Cercherò di essere chiaro. Io non so se Pasquale Diaferia sia attualmente un molestatore sessuale. So per certo che lo è stato tra il 2007 e il 2016. Perché me l’hanno raccontato una dozzina di ragazze (…) Io sino al 2011 ignoravo questo suo “vizietto”. Le cose cambiarono appunto quando una stagista che lavorava nella mia agenzia mi raccontò la sua esperienza diretta. Ed era letteralmente scioccata. Si erano incontrati in un’occasione pubblica e avevano cominciato a parlare della professione comune: la scrittura per la pubblicità. Lei aveva 20 anni e lui 50. Si offrì di accompagnarla a casa. Invece parcheggiò in una zona isolata e tentò approcci sessuali inopportuni dal momento che lei continuava a respingerlo. Non ci fu stupro, ma decisamente quelle furono molestie sessuali.

L’intervistatrice pressa Guastini, gli chiede come fa lui a sostenere questa accusa, e lui risponde convinto:

Temendo che non le credessi, mi mostrò una lunga chat avvenuta su Skype, tra le 22 e le 23 dell’otto gennaio. Anche quella conversazione era una molestia sessuale reiterata. Lei alla fine decise di rinunciare alla denuncia perché sarebbe stata la sua parola contro quella di lui nonostante quell’aberrante conversazione telematica.

E ancora: “Ti risulta solo quest’episodio?”. Risposta di Guastini:

Solo quell’episodio? Purtroppo quella è solo una delle storie ignobili in cui mi sono imbattuto. Ad esempio verso la fine del 2016 due socie dell’ADCI mi segnalarono la storia di una ragazza che aveva subito molestie sessuali chiedendomi se potessi dare visibilità alla vicenda anche senza fornirmi il nome della ragazza. Lessi la testimonianza della vittima. Feci una domanda alle due socie ADCI: “le iniziali di questo professionista sono P.D.?” Sì, mi risposero è Pasquale Diaferia. Poi il 27 settembre pubblicai un post e il giorno dopo mi arrivarono tre testimonianze da delle ragazze che l’avevano riconosciuto dal modus operandi. E mi contattò anche un uomo, amministratore delegato di un’agenzia, la cui moglie gli aveva raccontato di aver subito un’esperienza analoga sempre con lo stesso soggetto: Pasquale Diaferia. Andiamo avanti. Una sera, che per me fu drammatica, mi contattò una giovane donna, sui 30 anni. La sua è sicuramente la storia peggiore tra quelle di cui ho avuto una testimonianza diretta.

Qui la versione di Guastini si fa disturbante, molto forte:

La incontrai il 30 settembre 2016, in un bistrot. Si era portata dietro anche un block-notes dove aveva annotato tutto. Piangeva e parlava, parlava e piangeva. La sua storia oltre a essere la peggiore era molto recente, e ben lungi dalla prescrizione. Mi raccontò di aver preso un caffè shakerato con Pasquale Diaferia e poi di essersi ritrovata a letto con lui che dormiva, stordita e confusa. Soprattutto non poteva capacitarsi di avere trascorso la notte con un uomo che aveva sempre percepito come viscido e sgradevole. Ricordava benissimo il caffè shakerato ma nebbia totale sul come da quello si fosse arrivati al letto. “È folle pensare che mi abbianarcotizzata e violentata?” mi chiese la donna. Ebbene, tutte queste ragazze sono delle povere pazze? Perchè la storia non è mica finita. In seguito mi contattò una donna, una certa Annita Lucrezia Barberi, che aveva delle informazioni su quella e altre vicende. E questa donna è l’ex moglie (di Diaferia, ndr). A un certo punto della nostra conversazione, dopo che mi raccontò delle cose agghiaccianti, pensò bene di salutarmi con queste parole: “Sono stata la moglie di Pasquale per 34 anni fino ad agosto dello scorso anno. Con lui ho avuto quattro figli e un nipote. Ti dico solo questo: tre su quattro dei suoi figli mi hanno chiesto di non informarli quando lui morirà.

“Eppure sulla sua bacheca sembra che lui continui a scrivere che contro la Sua ex moglie in Tribunale abbia vinto lui tutto quello che c’era da vincere”, richiama l’intervistatrice.

E Guastini:

(…) Vuoi sapere i fatti? Pasquale Diaferia ha perso il processo in primo grado (sentenza del 15 marzo 2020). Poi ha perso anche in appello (sentenza 9 giugno 2021 esattamente due anni fa).  È anche importante sapere perché ha perso. Ecco, di seguito riporto pari pari le motivazioni delle due sentenze: “…rilevanti i ripetuti episodi di violenza e di maltrattamento, perpetrati dal Signor Diaferia ai danni della Signora Barberi, come peraltro emerso dalle testimonianze dei tre figli maggiorenni, dai verbali del Pronto Soccorso e dalle innumerevoli denunce sporte” (…). Come vedi, Pasquale Diaferia scrive menzogne su menzogne. Tra l’altro con che coraggio proprio non lo so.

L’ultima domanda dell’intervistatrice a Guastini apre il tema dell’omertà generata dalla paura di ritorsioni, salito agli onori delle cronache mondiali con il #Metoo: “A proposito di denunce: sai dirmi perché a oggi Pasquale Diaferia non è, ad esempio, in galera?” Guastini risponde netto:

Banalmente? Perché tutte le vittime hanno avuto e hanno paura di denunciare. Uno, perché non vogliono rivivere quel trauma, due perché hanno bisogno di lavorare e gravitano nel medesimo ambiente, tre per la vergogna, quattro per la paura di ritorsioni e cinque per il terrore di non essere credute e tutelate. Tu però Monica puoi dire che ti ho fatto vedere una dozzina di testimonianze firmate con nomi e cognomi? Lo puoi dire per favore?

L’intervista si chiude quindi con l’ammissione dell’intervistatrice: “Si, confermo che ho letto molte di queste testimonianze. Di mio, aggiungo che ho contattato alcune persone per avere una conferma diretta, e tutte hanno confermato. Pasquale Diaferia non è un personaggio moralmente idoneo al ruolo di mentore di giovani pubblicitarie. E chi gli offre visibilità, che sia un ruolo di portfolio reviewer, di speaker, di insegnante o di articolista su testate di settore, alla luce di tutto ciò, dovrebbe – almeno – dichiarare che Pasquale Diaferia è completamente estraneo alle vicende sopra riportate. Altrimenti si chiama complicità”

L’intervistatrice riferisce anche di aver contattato ripetutamente Pasquale Diaferia, via Facebook, per ottenere un commento o una smentita rispetto al contenuto delle dichiarazioni di Guastini, proponendo anche a lui un’intervista con le stesse modalità e dello stesso ingombro, ma che lo stesso ha rifiutato.

La reputazione, al di la del merito

Pasquale Diaferia è colpevole di aver molestato e abusato di giovani donne e colleghe? Secondo Guastini, confortato dalle sue fonti di prima mano, si, ma in realtà l’accusato non solo non è mai stato condannato, ma – come abbiamo premesso in apertura – da ciò che risulta, ad oggi, neppure indagato o denunciato.

Il grado di colpevolezza – vera, presunta, accertata, o per contro completamente inesistente o inventata – di Diaferia, però, non riduce di una piuma il peso della vicenda sotto il profilo squisitamente reputazionale.

Come ben sappiamo – e come abbiamo scritto centinaia di volte nelle nostre analisi, che si intendono qui integralmente richiamate – al giorno d’oggi la reputazione è (quasi) tutto, e va ben oltre il “parlar bene o parlar male”: come insegnano i fondamentali del reputation management, reputazione è eguale a valore, orienta i comportamenti di acquisto e può fare la fortuna (o la distruzione) di un brand. E il personal branding è altresì incluso in questo perimetro: il profilo di ogni singolo professionista, in quest’epoca così fluida e disintermediata, è condizionato pesantemente dalla licenza di operare che gli viene concessa dalla comunità, che è a sua volta condizionata dalla sua (buona o cattiva) reputazione. Anche per questi motivi, le buone prassi di crisis communication suggerirebbero all’accusato una chiara e inequivoca presa di posizione (che non esiteremmo ad ospitare anche in questa rivista, con la giusta enfasi), che trovi nella tempestività uno dei suoi punti di forza: nel XXI secolo il banalizzante “no comment” non trova decisamente più spazio (letteratura pacifica).

Anche se tutte le accuse a Diaferia fossero state completamente inventate di sana pianta, e chi lo accusa fosse solo un “diffamatore”, la querelle Guastini versus Diaferia esce quindi – per entrambi, beninteso – da un perimetro relativo alla “morale”, al giusto e allo sbagliato, allo scontro personale, e diventa fin da ora un caso di studio sotto il profilo reputazionale, del tutto a prescindere da cosa possa essere realmente successo a quelle ragazze e a quelle donne. Nulla, spero, per loro, ma… to be continued.

AGGIORNAMENTO del 11/06/23 h 17:15: a seguito molto probabilmente del pubblico dibattito sollevato negli ultimi giorni sul Suo caso, Pasquale Diaferia è stato espulso – con votazione all’unanimità – dall’ADCI – Art Director Club Italiano.

AGGIORNAMENTO del 15/06/23 h 11:58: pare che l’agenzia pubblicitaria della quale si parla nell’articolo (quella della chat misogina e sessista) sia stata individuata, con conseguente sviluppo di un acceso thread di discussione su Facebook. Crisi reputazionale d’impatto nazionale alle porte…?