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Sensi di colpa per lo spreco alimentare? Ci pensa Cameo, con la campagna “Sensi di Polpa” 

Avete sensi di colpa per lo spreco alimentare? Li risolve Cameo: con la campagna “Sensi di Polpa"

Cameo…in poche parole!

Cameo è un’azienda alimentare specializzata in torte, dessert e pizze. Produce e distribuisce, su tutto il territorio nazionale, oltre 200 prodotti. Ha sede a Desenzano del Garda (Brescia) e conta oltre 360 collaboratori.

Da più di 90 anni, con la consapevolezza del ruolo importante che il cibo riveste nelle vite delle persone, siamo fedeli al nostro purpose: creare il gusto di casa. Lo facciamo attraverso i prodotti dei nostri marchi più iconici, cameo, Paneangeli e Bertolini, con i quali milioni di italiani continuano a scoprire il piacere di creare qualcosa con le proprie mani ma anche a vivere esperienze di gusto e di condivisione. Creiamo il gusto di casa anche attraverso il nostro impegno sociale ed ambientale con la volontà di preservare il mondo in quanto casa in cui valga la pena vivere, adottando una strategia di lungo termine e attenta al risparmio delle risorse. E infine, per i nostri collaboratori, creare il gusto di casa vuol dire lavorare in un ambiente inclusivo, capace di ispirare, dove imparare ad agire secondo una logica imprenditoriale, dando forma al proprio futuro.

Gli scarti della filiera sono differenti per ogni comparto ma presenti purtroppo sempre, e quella dell’alimentare una vera piaga in termini di spreco: secondo un’indagine della Commissione Europea, nel 2019, solo in Italia, sono finiti tra i rifiuti 5.4 milioni di tonnellate di frutta, il 38.6% dell’intero spreco alimentare. Voi vi siete posti la domanda di cosa poter fare di concreto a riguardo. Che risposta vi siete dati?

La “filosofia anti-spreco” è da sempre parte del DNA di cameo: diversi dei prodotti per i quali siamo conosciuti sono nati per combattere gli sprechi e per recuperare gli avanzi. Il budino, per esempio, si faceva originariamente per recuperare un avanzo di latte, aggiungendo un po’ di fecola, di zucchero, e quando c’era anche un po’ di cacao. Ma, al di là di questo, c’è da sempre una forte sensibilità in azienda verso la riduzione degli sprechi: abbiamo raggiunto negli anni un’elevata efficienza nella nostra filiera produttiva e, nonostante questo, ci siamo comunque dati a livello di gruppo un obiettivo di ulteriore riduzione degli sprechi del 25% entro il 2025. Siamo partiti dalla definizione di ciò che intendiamo con “spreco alimentare” perché operando in diverse realtà, con produzioni diversificate, non è banale trovare un indicatore comune. Siamo quindi passati alla raccolta dei dati e alla loro analisi, fasi necessarie per la ricerca di specifiche aree di intervento e soluzioni che ci consentiranno di raggiungere l’obiettivo. Dei 30 progetti che abbiamo lanciato, per raggiungere gli obiettivi della nostra strategia di sostenibilità, ben 5 sono quelli indirizzati alla riduzione degli sprechi. Nello specifico, relativamente alla produzione dei prodotti che si conservano a temperatura ambiente, ad oggi lo spreco alimentare è già stato ridotto del 5,1%.

Quando abbiamo lavorato alla Carta della Sostenibilità abbiamo inoltre deciso di estendere il nostro campo d’azione al di là delle fasi che sono sotto il nostro diretto controllo, quindi a monte e a valle della nostra produzione, attraverso il coinvolgimento di diversi stakeholder: in primis i cittadini, i consumatori. Ed è proprio a loro che si rivolge la nostra campagna Sensi di Polpa. Partita nel 2021, è nata proprio con lo scopo di sensibilizzare i cittadini contro lo spreco, in particolare della frutta. La frutta e la verdura sono infatti in assoluto gli alimenti più sprecati: oltre 600 tonnellate ogni anno vengono buttate. E questo spesso accade per ragioni estetiche: da qui la nostra idea di dare una seconda chance alla “frutta brutta” che è invece ancora ottima per fare, ad esempio, confetture e marmellate. Infatti, nonostante la frutta sia ammaccata o imperfetta, esteticamente brutta, il suo gusto e proprietà nutrizionali sono intatte. Portiamo l’attenzione delle persone sul fatto che spesso mettiamo la bellezza davanti a tutto ma dovremmo pensare prima “alla polpa”, alla sostanza: da qui il nome della nostra campagna.

Nel 2021 abbiamo sottoscritto la partnership con Too Good To Go, l’App e azienda BCorp nata per mettere in contatto, ma anche ispirare e responsabilizzare, i cittadini, gli esercizi commerciali e le aziende ad agire contro lo spreco di cibo, nonché il più grande marketplace al mondo per le eccedenze alimentari. Da allora ci impegniamo su più fronti: forniamo ai nostri collaboratori e consumatori idee e consigli pratici su come agire contro lo spreco di cibo nelle proprie case e forniamo a Too Good To Go una parte dei nostri prodotti prossimi alla scadenza distribuendoli attraverso le Box Dispensa. Inoltre, a meno di un anno dall’inizio della collaborazione abbiamo allargato ulteriormente la sfera d’azione iniziando ad implementare l’etichetta “spesso buono oltre” sulle confezioni di più di dieci nostri prodotti. L’obiettivo di questa etichetta è aiutare i consumatori a capire meglio la sottile, ma fondamentale, differenza tra due diciture che si trovano sui prodotti alimentari: “da consumare entro” (data di scadenza) e “da consumarsi preferibilmente entro” (Termine Minimo di Conservazione). Questa confusione apparentemente innocua ha però un enorme impatto sul nostro pianeta: gli studi mostrano come in Europa il 10% degli sprechi alimentari sia attribuibile proprio alla scorretta interpretazione delle etichette.

Nell’accattivante grafica sia sito web del progetto, sensidipolpa.cameo.it si nota una pesca “toccata”, quella che voi chiamate “frutta brutta” che si pensa crostata… come sta andando il progetto?

In due anni, tra il 2021 – anno del lancio – e il 2022, siamo riusciti a salvare grazie al contributo dei nostri consumatori ben 10.000 kg di frutta brutta, equivalenti a 25.000 kg di CO₂ risparmiati, la quantità emessa da circa 73 voli da Roma a Londra. Da giugno 2023, mese del lancio della terza edizione, ne sono già stati salvati oltre 2.500 kg. Sensi di Polpa è un invito che lanciamo a tutti i nostri consumatori – e non – fornendo spunti per utilizzare la frutta molto matura o imperfetta in modi alternativi come, ad esempio, la preparazione di marmellate e confetture. Proprio grazie a questo messaggio di sensibilizzazione, la campagna si è recentemente aggiudicata il premio per la categoria Comunicazione Ambientale ai Touchpoint Awards Engagement 2023, il riconoscimento che premia le iniziative in grado di generare un alto livello di coinvolgimento e partecipazione da parte dei consumatori.

Avete indagato l’impatto del progetto sulle vostre persone? Cosa pensano i collaboratori di cameo del vostro impegno per la sostenibilità?

Per cameo, i collaboratori sono da sempre il primo stakeholder, i primi ad essere informati e coinvolti nelle nostre iniziative perché possano diventare ambassador del nostro impegno o anche semplicemente sentirsi orgogliosi di quello che facciamo. Internamente poi, emerge molto chiaramente come la popolazione aziendale chieda di essere costantemente aggiornata sul livello di progresso dei 30 progetti attivati per raggiungere gli obiettivi della nostra Carta della Sostenibilità. Sono infatti numerosi gli appuntamenti a cui possono partecipare: dai live streaming del lunedì con la Direzione Generale agli appuntamenti quadrimestrali, fino alle Q&A session.

Non solo frutta, la vostra attenzione per la sostenibilità ho letto va ben oltre: ci racconti qualcosa

Sostenibilità e responsabilità aziendale hanno una lunga tradizione in cameo. Da oltre 90 anni, sviluppiamo costantemente la nostra azienda e creiamo la strada per un futuro sempre più sostenibile. Questo è il motivo per cui nel 2020 abbiamo riformulato la nostra strategia di sostenibilità dando forma alla Carta della Sostenibilità di cameo, il documento che riassume tutti i nostri obiettivi, ancorando saldamente così la nostra ambizione a ogni nostra azione. La Carta della Sostenibilità si compone di tre dimensioni “Our Food”, “Our World” e “Our Company” e contiene sia obiettivi concreti in termini di sostenibilità che obblighi che ci siamo imposti in quanto azienda responsabile. “Our Food” esprime l’impegno di offrire ai consumatori la possibilità di condurre uno stile di vita sano e sostenibile. In quest’ottica, continuiamo a lavorare per ottimizzare i profili nutrizionali dei nostri prodotti, anche e soprattutto attraverso la riduzione di sale, zucchero, e sviluppandone di nuovi, nella stessa direzione. “Our World” raggruppa tutte le attività attraverso le quali diamo forma al nostro impegno nei confronti dell’ambiente e delle comunità in cui operiamo. “Our Company”, infine, è la dimensione che interessa direttamente tutti i nostri collaboratori e sostiene progetti che garantiscono le pari opportunità, promuovono la diversità, confermando una cultura aziendale consolidata nella quale le persone sono poste al centro.

Cameo nel futuro: cosa avete in programma per i prossimi anni? E che mondo immaginate?

Con il lancio della Carta della Sostenibilità, nel 2020, abbiamo deciso di rispondere alle sfide globali aprendo la strada per un futuro più sostenibile. Oggi, dopo tre anni, abbiamo pubblicato il nostro primo bilancio di sostenibilità di gruppo, guardando ai risultati già raggiunti. Sostenibilità, innovazione e digitalizzazione: sono queste le aree in cui continueremo a concentrare i nostri investimenti nei prossimi decenni per garantire il completo raggiungimento di tutti gli obiettivi. Con la Carta della Sostenibilità, infatti, abbiamo chiaramente definito l’orizzonte temporale per tutti gli anni a venire: lavoriamo a obiettivi il cui completamento è fissato per la fine del 2023, come per l’approvvigionamento sostenibile della vaniglia, un ingrediente per noi fondamentale, e ad obiettivi che completeremo per la fine del 2050, come, ad esempio, il raggiungimento della completa neutralità climatica in tutte le fasi che impattiamo anche indirettamente




Big Tech, big impact? Ecco l’analisi dei loro bilanci ESG

Big Tech, big impact? Ecco l’analisi dei loro bilanci ESG

Sono ancora molti, troppi, coloro che credono che il proprio navigare on line non generi emissioni e non consumi troppa energia. È un gesto così semplice, un’azione così “immateriale”, che pare impossibile abbia un impatto ambientale degno di nota. Eppure, il mondo del digitale contribuisce in modo importante alla crisi climatica, tanto che non può esimersi dal mettersi in riga.

Più che i governi, in tal senso la grande responsabilità ce l’hanno le aziende, a partire dalle big tech. Ecco perché Karma Metrix per la seconda volta ha dedicato uno studio ad hoc a questi giganti, analizzandone i bilanci di sostenibilità. Con l’aiuto di dati aggregati e di quelli specifici, ha saputo tracciare i ruoli giocati da Amazon, Google, Apple, Meta e Microsoft negli ultimi quattro anni. Sia dal punto di vista dei consumi energetici, sia da quello delle emissioni di CO2.

Impatto ambientale pesante e in accelerazione

Solo nell’ultimo anno, queste cinque grandi aziende tecnologiche hanno emesso 125,9 milioni di tonnellate di CO2e, superando l’intero Belgio, che ha raggiunto 125,4 milioni di tonnellate. Ciò rappresenta un aumento del 30,8% delle emissioni totali dal 2018 al 2021 e una crescita del 14% solo dal 2020 al 2021.

La realtà più impattante dal punto di vista della carbon footprint è certamente Amazon: il 56,8% delle emissioni del quintetto sono sue. Nel 2021 questa azienda ha dichiarato 71 milioni di tonnellate di CO2e, segnando un +18% su base annua che spaventa chi è chiamato ad azzardare previsioni per gli anni successivi, influenzati dall’entrata in scena dei sistemi di Intelligenza Artificiale generativa.

Un altro gigante delle emissioni è Apple (18,4% del totale) che conclude il 2021 dichiarando 23 tonnellate e un incoraggiante +3% rispetto al 2020. Di molto maggiore è il balzo in avanti per le restanti 3 Big Tech: Google segna un + 10% con 11 tonnellate di CO2, Meta con un +11% e 5 tonnellate di CO2e e Microsoft supera tutte con un +21% ed emissioni da 14 tonnellate.

Guardando ai consumi di energia delle cinque aziende scelte da Karma Metrix, nel 2021 si raggiunge un totale di 75,6 milioni di MWh. È un valore che supera addirittura i livelli dichiarati da Paesi come l’Austria, l’Algeria o il Venezuela e che posizionano lo “Stato delle Big Tech” al 42esimo posto nella classifica delle country più energivore. Se però il tasso di crescita resterà uguale, +25% rispetto al 5,7% di media globale, tale immaginario Paese risalirebbe al 34esimo posto a fine 2023 e al 14esimo entro il 2030. Proiezioni che fanno ben comprendere come l’attività digitale di ciascun utente impatti fortemente sul pianeta Terra.

Dal punto di vista delle aziende, quella che più contribuisce a disegnare tale panorama è di nuovo Amazon (40,8% del consumo totale delle 5 aziende) seguita da Google (24,5%). Entrambe dal 2020 al 2021 hanno visto aumentare parecchio i propri consumi energetici, rispettivamente del 29 e del 20%. Il balzo più ampio lo ha però compiuto Meta, segnando un +31%, ma “solo” 9 MWh. Considerevole anche il +25% di Microsoft, nulla a che vedere con i numeri di Apple che nel 2021 dichiara 3 MWh con un + 10% in rapporto al 2020.

La “big” to do list in chiave ESG

Dati alla mano, pubblicati e pubblici, tutte e 5 le aziende raccontano il proprio impegno per migliorare la propria sostenibilità, ridurre l’impronta di carbonio e affrontare le sfide del cambiamento climatico.

Tra le iniziative più diffuse vi sono l’aumento dell’uso di fonti di energia rinnovabili e la conseguente riduzione dell’uso di combustibili fossili e di risorse. Ma non si fermano qui: dai vari bilanci emerge anche un’attività di ricerca continua per massimizzare l’efficienza energetica nei data center.

Google, per esempio, vuole minimizzarne anche il consumo di acqua, considerando che l’attuale è pari a quello di una città italiana di 128mila abitanti. La stessa azienda si è anche impegnata a diventare 100% carbon free entro il 2030 e a migliorare il livello di sostenibilità di tutta la sua supply chain.

I data center compaiono anche nella lista dei buoni propositi di Microsoft che ne sta cambiando il sistema di raffreddamento, per consumare meno acqua. È una mossa con cui mira a diventare Water footprint zero entro il 2030 mentre lavora anche per rendere più in linea con gli ESG il mondo del gaming in cui è uno dei leader.

Il consumo di acqua sta molto a cuore anche a Meta che, nel 2030, ha annunciato di voler diventare water positive. A questo obiettivo unisce la volontà di adottare un approccio di economia circolare, utilizzando sempre di più il calore di scarto, per esempio quello dei propri data center che già oggi, nel Nord Europa, riesce a scaldare le abitazioni.

Tra le promesse che saltano all’occhio sfogliando il bilancio di sostenibilità di Apple c’è invece l’impegno di ridurre le emissioni del 75% in 10 anni, lavorando anche sull’efficienza energetica dei propri prodotti e sull’uso di materiali riciclabili, senza trascurare il ruolo della supply chain che entro il 2030 potrebbe diventare al 100% “powered” dalle energie rinnovabili. Vantando numerosi progetti di sostenibilità in tutto il mondo, anche Amazon racconta il proprio impegno in ambito ESG e si focalizza sulla riduzione delle emissioni legate a spedizioni e trasporti. L’idea è di utilizzare sempre meno packaging e sempre più veicoli a zero emissioni. 




Dai laboratori alla città: sono oltre 100 i progetti per la Milano del futuro

Dai laboratori alla città: sono oltre 100 i progetti per la Milano del futuro

 Un algoritmo per individuare le falde d’acqua nascoste di Milano, un software basato sull’intelligenza artificiale per il monitoraggio dell’hate speech online, una dashboard per gestire al meglio le potenzialità della telemedicina e un progetto di desealing per utilizzare l’acqua piovana in agricoltura e in altri ambiti. Sono solo alcune delle attività di ricerca che stanno prendendo forma nell’ambito di MUSA (Multilayered Urban Sustainability Action), il progetto nato lo scorso anno dalla collaborazione tra l’Università di Milano-Bicocca, ente proponente, il Politecnico di Milano, l’Università Bocconi e l’Università degli Studi di Milano, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca attraverso un investimento complessivo di 116 milioni di euro.

Al progetto, che vede coinvolti 26 soggetti pubblici e privati, stanno lavorando, su oltre 100 linee di attività, 973 ricercatori; di questi, 194 sono ricercatori appena assunti, il 55% donne e con un’età media di 32 anni.

Il primo bilancio di MUSA è stato presentato questa mattina, presso l’Aula Magna dell’Università di Milano-Bicocca, alla presenza del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, della Consigliera per le politiche dell’Innovazione e della sostenibilità in ambito universitario e della ricerca anche in attuazione del Pnrr del Mur, Alessandra Gallone, della presidente di MUSA e rettrice dell’Università di Milano-Bicocca, Giovanna Iannantuoni, del Rettore dell’Università Bocconi, Francesco Billari,  del Delegato del Rettore per il Trasferimento Tecnologico del Politecnico di Milano, Marco Bocciolone, del Rettore dell’Università degli Studi di Milano, Elio Franzini, del Presidente CRUI, Salvatore Cuzzocrea, del Presidente di Assolombarda, Alessandro Spada, del Presidente della Fondazione Global Compact Italia, Marco Frey e del consulente del ministero dell’Università per il Pnrr e professore di Analisi dei sistemi finanziari e public management dell’Università degli Studi di Bergamo, Stefano Paleari, coordinati dal vicedirettore del Corriere della Sera, Venanzio Postiglione. Ad approfondire l’impatto sul territorio, sulla società e sulla tecnologia del progetto, la tavola rotonda pomeridiana alla presenza di esponenti del mondo accademico, scientifico e imprenditoriale, moderati dalla giornalista Martina Pennisi, Vice-Caporedattrice Corriere della Sera.

“MUSA ha l’obiettivo di avere impatto, di creare un ambiente urbano sostenibile e inclusivo, dove la tecnologia e la ricerca colmino le disuguaglianze, abbattano le emissioni, creino efficienza e risparmino le risorse. Un nuovo ecosistema – ha sottolineato Giovanna Iannantuoni, Rettore dell’Università di Milano-Bicocca e Presidente di MUSA – per la rigenerazione urbana e la sostenibilità dedicato all’area milanese ma che grazie alle oltre 100 iniziative già avviate in questo primo anno di attività creerà soluzioni e innovazioni utilizzabili su scala regionale e nazionale. MUSA rappresenta inoltre un innovativo modello di collaborazione fra pubblico e privato, in grado di creare valore per il territorio, per il tessuto sociale e per quello economico, come dimostrano anche i 194 giovani ricercatori già assunti e gli altri che assumeremo nei prossimi mesi. Sono entusiasta dei risultati di questo primo anno di attività e a tutte le persone di MUSA va il mio ringraziamento per l’impegno e la passione”.

“Se guardiamo alle iniziative e alle attività avviate in questo primo anno, possiamo dire senza timore di smentita che MUSA è un progetto di valore, in grado di ispirare e stimolare tanti ricercatori a trovare soluzioni per rendere la nostra città e le città in generale un luogo più sostenibile a livello economico, ambientale e sociale in cui vivere – ha commentato il Sindaco di Milano Giuseppe Sala -. Sono orgoglioso che il Comune sia parte attiva in questo progetto, perché collaborando tra loro, con le istituzioni e con i partner privati, l’Università Bicocca, il Politecnico, la Bocconi e l’Università degli Studi di Milano stanno dimostrando che se si uniscono le forze, le energie, le menti, e se si condividono impegno e obiettivi, si può davvero avere un impatto positivo, innovativo e di qualità sul territorio e sulla vita quotidiana delle persone”.

“Grande soddisfazione” è stata espressa dall’Assessore all’Università, ricerca e innovazione della Regione Lombardia, Alessandro Fermi per “la presentazione del primo anno di MUSA. Non ero Assessore quando il progetto è stato lanciato, ma ne ho seguito lo sviluppo e la crescita e oggi non posso che essere orgoglioso di quanto si sta facendo e fiducioso su quanto ancora si farà nei prossimi anni. I numeri parlano da sé: a questo progetto – ha aggiunto Fermi – stanno lavorando infatti quasi mille ricercatori e il 55% di questi sono donne. Il binomio Università – Ricerca genera sempre grandi opportunità e in Regione Lombardia questo accade sempre più spesso”.

“MUSA è un progetto che guarda lontano, un progetto che aprirà nuove prospettive e nuovi scenari. Un progetto che creerà valore ambientale, economico e sociale attraverso laboratori, impianti pilota e simulatori”, spiega Alessandra Gallone, consigliere del Ministro dell’Università e della Ricerca. “MUSA, acronimo di Multilayered Urban Sustainability Action, ha l’ambizione di trasformare l’area metropolitana di Milano in un ecosistema di innovazione per la rigenerazione urbana – aggiunge il consigliere Gallone -. È stato proposto dall’Università degli Studi di Milano Bicocca e vede il coinvolgimento di 26 soggetti tra pubblici e privati. L’ambizione è di fare di questo progetto un modello nazionale ed europeo concentrandosi in particolar modo sulla sostenibilità ambientale e sociale, la promozione dell’inclusione sociale, la progettazione e l’adozione di processi produttivi più circolari nei settori chiave tra cui verde, design, moda, lusso e benessere, nonché sviluppo di soluzioni per la gestione dei rifiuti e per la creazione di piattaforme digitali per la raccolta e l’utilizzo di dati biomedici. MUSA – conclude il Consigliere Gallone – può contare su uno stanziamento di quasi 116 milioni nell’ambito del PNRR”.

Entusiasta del progetto anche Alessandro Spada, Presidente di Assolombarda: “MUSA rappresenta un esempio positivo di ecosistema che attraverso il PNRR favorisce rigenerazione urbana e sostenibilità. Si tratta di un acceleratore di innovazione situato proprio nel territorio che genera di più a livello nazionale: qui, a Milano e in Lombardia, si concentra il 20% di spesa in ricerca e sviluppo e hanno sede il 27% delle start-up innovative. Ora occorre agire – ha concluso Spada – per colmare quei gap che esistono nel confronto internazionale. Rafforziamo sempre di più la collaborazione tra mondo della ricerca e sistema delle imprese con l’obiettivo, tra gli altri, di favorire lo sviluppo di competenze coerenti con quelle richieste dal mercato del lavoro, una vera emergenza per le aziende”.

L’evento è stato l’occasione per illustrare alcuni dei filoni di ricerca portati avanti durante il primo anno di attività, tra questi:

Rigenerazione urbana

Sfruttare l’energia geotermica del sottosuolo e l’energia fotovoltaica per rendere Milano-Bicoccaun campus a zero emissioni. È partito lo scorso 12 giugno il progetto di transizione energetica dell’ateneo che sarà replicabile in altre zone della città. Al via anche lo studio di brevetti di desealing per utilizzare l’acqua piovana in agricoltura e in altri ambiti. All’Università Bocconi il compito di valutare l’impatto economico, sociale e ambientale di questi nuovi sistemi di rigenerazione urbana.

Digitalizzazione

Dal trasporto intelligente e sostenibile alla salute e alla green energy, l’uso delle tecnologie 5G e dell’intelligenza artificiale consentiranno un’ottimizzazione della capacità di lavoro sui big data per supportare, digitalizzare e implementare una serie di servizi utili alla cittadinanza, come la telemedicina e il remote monitoring per le persone fragili.  A coordinare il progetto, l’Università statale di Milano.

Imprenditorialità tecnologica

Fondamentale nella vision di MUSA è la sinergia tra mondo accademico e imprenditoriale. Sono state avviate 17 attività di scouting tecnologico che coinvolgono il Politecnico di Milano e gli altri atenei. Il progetto StartCup Lombardia, promosso dalla Regione Lombardia e organizzato dai quattro atenei di MUSA, risponde all’obiettivo di sostenere l’innovazione tecnologica e favorire la nascita e lo sviluppo di nuove imprese ad alto potenziale di business. Il 30 novembre e l’1 dicembre 2023, poi, col supporto della Regione Lombardia e in collaborazione con l’associazione PNI Cube, MUSA ospiterà a Milano il Premio Nazionale per l’Innovazione, la competizione nazionale che coinvolge i vincitori delle challenge regionali tra start-up.

Innovazione sostenibile e living labs

MUSA coinvolge nei suoi progetti anche la cittadinanza. Espressione di questa convivenza virtuosa sono i sei Living Labs realizzati dal Politecnico di Milano e dall’Università degli Studi di Milano, laboratori di ricerca che, attraverso l’interazione con diverse categorie di utilizzatori, miglioreranno le condizioni di vita della cittadinanza e la qualità dell’ambiente.

Inclusione sociale

Si chiama Human Hall ed è un vero e proprio Rights Hub realizzato in collaborazione con il mondo delle imprese, il terzo settore e le istituzioni del territorio. Sotto la guida della Statale di Milano, docenti, ricercatori e dottorandi di diversi ambiti disciplinari hanno avviato 18 progetti dedicati al monitoraggio delle categorie a rischio, dagli stranieri alle donne vittime di violenza. Nello stesso ambito anche un software basato sull’intelligenza artificiale per il monitoraggio dell’hate speech online.

Sempre nell’ambito dell’inclusione sociale si collocano il progetto Patti Digitali rivolto ai minori, in collaborazione con il Comune di Milano, e B-Youth Forum, nell’ambito del Festival Generazioni, un laboratorio di ricerca organizzato dall’Università di Milano-Bicocca aperto ai giovani tra i 14 e 25 anni sui temi della partecipazione dello spazio pubblico.




«L’intelligenza artificiale non ci ruberà il lavoro. E soprattutto non è intelligente». Parola di Luciano Floridi

«L’intelligenza artificiale non ci ruberà il lavoro. E soprattutto non è intelligente». Parola di Luciano Floridi

gni giorno i media affrontano il tema dell’intelligenza artificiale e la narrazione è spesso catastrofica. «Se non poniamo le domande giuste avremo risposte sbagliate». Il professor Luciano Floridi è forse il massimo esperto mondiale di etica dell’intelligenza artificiale. Da tempo si occupa dell’impatto dell’informatica e dell’attività digitale nella vita delle persone. Fino a pochi giorni fa ha insegnato filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford ma adesso è arrivata la chiamata dall’Università di Yale. La prestigiosa università americana lo ha nominato “founding director” del suo nuovo “digital ethics center” e professor di scienze cognitive. Nello specifico si occuperà di dirigere uno dei rarissimi centri di ricerca mondiali con l’obiettivo di avvicinare l’ecosistema del digitale al mondo umanistico e sociale. Il professore coordinerà attraverso il centro vari dipartimenti dell’Università di Yale, dalla facoltà di legge, sociologia, data science, geografia, per dare corpo e struttura alla ricerca sul tema del digitale. «La vita del pioniere è sempre stata solitaria, mi sono divertito ma sono sempre stato da solo. Questo riconoscimento mi emoziona per i trent’anni di lavoro che ho investito su questo tema». Non è una fuga dall’Europa, il professore infatti manterrà la cattedra all’Università di Bologna come docente di Sociologia della Cultura e della Comunicazione. «Era importante per me mantenere una connessione con l’Europa soprattutto con Bologna dove esiste il più grande centro di calcolo computazionale». Il suo ultimo libro “Etica dell’intelligenza artificiale. Sviluppi, opportunità, sfide” (Raffaello Cortina Editore) aiuta a decifrare il mondo complesso del mondo del digitale.

Luciano Floridi

Professore, l’intelligenza artificiale sta facendo passi da gigante. Stiamo delegando sempre più mansioni a questa tecnologia. Quali sono le sfide etiche da affrontare?
Dobbiamo riflettere sui compiti che stiamo delegando all’AI. Nel dibattito manca l’attenzione sull’allocazione della responsabilità. Quando, non se, ci saranno dei problemi, chi si assumerà la responsabilità? Se sarà un algoritmo a negarmi un mutuo, con chi potrò prendermela? Se l’assicurazione non mi liquida perché è un’intelligenza artificiale che gestirà il processo, come facciamo? Su questo c’è molto da fare. Se ho un incidente stradale, esistono regole e procedure chiare, vorrei che ci fosse la stessa attenzione anche nel campo dell’AI.

“Nel dibattito manca l’attenzione sull’allocazione della responsabilità”

Ed a che punto siamo con la governance dell’AI? Come al solito rincorriamo un’auto già partita?
Abbiamo delegato all’industria il motore ed il pedale dell’acceleratore ma le mani sul volante le deve tenere la società. Dal punto di vista sociopolitico ci dedichiamo poco alla guida. La legislazione sul GDPR ha avuto moltissimi anni per essere sviluppata, poi è entrata in vigore e tutti si sono adeguati.

Quindi è soddisfatto del via libera del Parlamento Europeo al regolamento sull’AI?
Sì. Il 14 giugno il Parlamento Europeo ha approvato l’AI Act che, dopo altri passaggi istituzionali, dovrebbe entrare in vigore entro la fine dell’anno. Quindi, a chi chiede regole, l’EU risponde che sono in arrivo. Per chi le teme, sarà meglio che se ne faccia una ragione e inizi a adeguarsi. Il mercato europeo è troppo importante per ignorarlo, nonostante quello che suggerisce Sam Altman, l’AD di OpenAI. E per chi, come me, sostiene una via europea alla regolamentazione del digitale, resta il problema di capire se e come migliorare l’AI Act, che è tutt’altro che perfetto, almeno nella sua fase di attuazione.

Di tutto quello che legge sui giornali riguardo l’IA, cosa non le piace?
Purtroppo, l’informazione è parte del problema e non della soluzione. Ripetere, ingigantire, esaltare messaggi sbagliati non aiuta a creare consapevolezza. Qualcuno potrebbe ad esempio spiegare in modo chiaro che Chat GPT non è una banca dati? Oppure perché non guardare dietro agli interessi, alle motivazioni che spingono i baroni del digitale? Perché anche a loro fa comodo generare rumore che crea confusione nell’opinione pubblica sull’AI. È buffo perché su determinati argomenti, autorevoli giornali come l’Economist, pubblica dati, statistiche, fatti, ma quando si parla di AI non si pone la stessa attenzione, come se fosse più intrattenimento.

“L’output non è indice di intelligenza. È il processo quello che conta”

Fino a poco tempo fa pensavamo che l’intelligenza artificiale avrebbe sostituito lavori ripetitivi e con basso valore aggiunto, oggi invece vediamo che l’AI è creativa, può creare musica dal niente, progettare, creare design, abbiamo perso il controllo?
Questa è una narrazione sbagliata. Definiamo intanto i lavori creativi. Ho provato ad usare DALL-E e ho ottenuto output pessimi semplicemente perché non ho le competenze di un designer. Per usare gli strumenti tecnologici al meglio, bisogna essere capaci di sfruttarne le potenzialità. È come se qualcuno dicesse di essere un grande matematico perché sa usare la calcolatrice, oppure se qualcuno mi desse un auto da Formula 1 e io pensassi di saperla guidare. Non saprei che fare o mi schianterei dopo un minuto perché non capisco i vari comandi. Smontiamo il mito della creatività autonoma dell’AI. La differenza può farla chi sa gestire gli strumenti. A Roma ci sono artisti bravissimi che per terra ricreano la cappella Sistina, vogliamo dire che quella persona è come Michelangelo?

In effetti la startup che aveva creato i robot pizzaioli è fallita. I pizzaioli sono salvi
Non mi sorprende affatto. La nostra cultura fomentata dai baroni del digitale è una cultura del prodotto che è consumista. Una scarpa fatta in serie costerà ovviamente meno di una fatta a mano ma è la stessa cosa? Ovviamente possiamo chiedere a ChatGPT di scrivere una storia breve sulla vita nei lager. Questo testo sarà uguale ad uno degli scritti di Primo Levi che ha vissuto nei lager? Proprio no. L’eccessiva enfasi tardo moderna, un po’ industriale, un po’ consumista, sul prodotto e basta, fa perdere di vista il processo, la storia, quello che c’è dietro. In modo consumistico, ci focalizziamo solo sull’output. Se un bambino di quattro anni corre dal papà e la mamma mostrando il disegno dell’alberello, i genitori gli faranno una festa ed incorniceranno il disegno. Non sono focalizzati sull’alberello, ma attribuiscono significato al processo del bambino.

“Qualcuno potrà dire che ChatGPT è intelligente, ma non lo è”

Però gli sviluppatori di ChatGPT ad ogni release dicono di aver creato uno strumento sempre più intelligente
Qui nasce il problema di fondo. Cosa intendiamo per intelligenza? Nella storia umana abbiamo sempre assistito ad un matrimonio tra essere intelligenti e capacità di agire il che vuol dire che per ottenere qualcosa devo avere intelligenza. Con l’AI, per la prima volta, assistiamo ad un divorzio ovvero per ottenere il suo obiettivo l’AI non ha bisogno di essere intelligente. Qualcuno potrà dire che ChatGPT è intelligente, ma non lo è.

“I signori del digitale stanno degradando il concetto di intelligenza umana”

Perché no? In fondo impara dai propri errori
Mettiamola così. Se lei gioca a scacchi con il suo smartphone in casa sua, ad un certo punto scoppia un incendio, lei che è intelligente lascerà la casa, il suo smartphone porterà a termine la partita per vincerla. Chi è intelligente qui? Se lei gioca a carte con suo figlio, magari in certe occasioni, lo lascerà vincere, un AI perché dovrebbe farlo? Il grosso problema è che i signori del digitale stanno degradando il concetto di intelligenza umana a qualcosa di troppo elementare.

In effetti molti neuroscienziati dicono che il nostro cervello in fin dei conti non è altro che una serie di neuroni iperconnessi. Se ricreiamo quello, abbiamo intelligenza.
A parte il fatto che la neuroscienza si sta sempre più distanziando da semplicistici modelli computazionali, se metto su una tavolozza dei colori, prendo un pennello e sono in grado di rifare la Monnalisa sono Leonardo Da Vinci? Guardare gli essere umani come strumenti significa la fine dell’umanità che è in noi.

Però stiamo lavorando per rendere “etiche” le risposte di chatGPT. L’algoritmo viene istruito da umani, questo non la tranquillizza?
Chi decide che cosa è etico? È una questione molta opaca, tanto che chiamerei Open AI, Opaque AI. Ho fatto un piccolo esperimento recentemente. Ho chiesto a ChatGPT una ricetta per cucinare la carne di cavallo. Mi ha fatto una predica spiegando che non dovrei mangiare la carne di cavallo. Poi ho chiesto come cucinare una bistecca di manzo e non ha detto niente, mi ha fornito la ricetta. Probabilmente qualcuno all’interno di Open AI ha deciso che mangiare carne di cavallo non è etico.

L’algoritmo imparerà e risolverà piano piano tutti questi conflitti.
Il punto è un altro. Noi sappiamo che Open AI si trova negli Stati Uniti e siamo “tranquilli”. Cosa succede nel momento in cui il 51% della società dovesse essere acquistato dalla Cina? Saremo comunque tranquilli? Prendere decisioni in modo opaco non è una gran strategia.

Molte persone sostengono che nei prossimi anni l’addestramento delle AI sarà talmente elevato che potrebbe raggiungere almeno l’intelligenza di un topo. Non è d’accordo?
Non è vero. L’idea che a forza di accumulare sintassi, alla fine venga fuori la semantica, è sbagliata. È come se io le dicessi che a forza di aggiungere degli zeri, tra cinque anni raggiungerò il numero 1 e poi il 2 e così via. Non ha importanza, saranno sempre zeri. Una cosa che non è intelligente resta non intelligente, e accumulare tanta zero-intelligenza non genera qualcosa d’intelligente. Anche in questo caso non poniamo l’attenzione sull’aspetto rilevante.

Quale sarebbe?
La capacità d’azione è sempre stata costruita in termini di capacità biologiche. Oggi non è più così perché abbiamo una capacità di agire con successo a zero intelligenza, come la gestiamo questa cosa? È una domanda che nella storia non ci siamo mai posti perché non è mai stato un problema.

Tornando ai lavori che si perderanno, alcuni ipotizzano un futuro in cui tutte le mansioni saranno automatizzate, le AI verranno tassate e noi come umanità, vivremo di rendita percependo un reddito che le macchine genereranno. La convince questo scenario?
Mi dispiace darvi una brutta notizia, il mondo non andrà in quella direzione, ma state tranquilli, il lavoro non mancherà. Quando sento dire, “la professione dell’avvocato scomparirà” mi viene da ridere. Guardiamo i dati. Dall’avvento del digitale abbiamo assistito da un’esplosione di problemi legali da gestire. È vero, magari l’avvocato che faceva le pratiche per l’assicurazione scomparirà ma a fronte di altre opportunità. Oggi negli Stati Uniti ci sono due posti di lavoro per ogni persona che lo cerca eppure siamo nell’epoca dell’intelligenza artificiale e della robotica che è partita negli anni ’60. A quest’ora avremmo dovuto essere tutti disoccupati. L’AI aumenta enormemente la produttività, quindi, serviranno competenze per gestire questi strumenti. Quello che è vero è che stiamo attraversando una rivoluzione di produttività e ricchezza ma la sua distribuzione è iniqua, e l’impatto su ambiente e società deleterio. Ecco perché servono le mani sul volante.

“Conoscere i linguaggi è la miglior preparazione per affrontare il futuro”

A proposito di competenza. A dei genitori che devono iscrivere i propri figli alle superiori cosa consiglierebbe in un mondo che cambia sempre più velocemente?
Probabilmente il liceo scientifico. È importante imparare più linguaggi possibili, non basta il greco ed il latino, servono anche i linguaggi della matematica, della fisica, della chimica, della musica. Questi linguaggi non invecchieranno mai e chi li saprà padroneggiare avrà la possibilità di capire, gestire e costruire il mondo che lo circonda. Se il mondo va più veloce è inutile accelerare di più, bisogna fare l’opposto, non inseguire ma focalizzarsi sui fondamentali. Uscire dalla scuola e saper “leggere e scrivere” il maggior numero di linguaggi parlati dall’informazione permetterà di vivere in un mondo meno misterioso.

Qualche mese fa la Universal Music si è scagliata contro l’AI dicendo che è una frode allenare gli algoritmi sfruttando le melodie del loro catalogo senza pagare il copyrights. Cosa ne pensa?
Le potrei rispondere in modo semplice dicendo che se le canzoni sono coperte da diritti d’autore è giusto che la Universal venga pagata. Se usano melodie libere da diritti allora non c’è alcun problema. Oppure se il modello ottenuto è usato solo per scopi educativi, l’accesso potrebbe essere gratuito, ma vorrei dare un’altra analisi se posso.

Certamente.
L’output della canzone creata dall’intelligenza artificiale attraverso il machine learning sulle canzoni esistenti, di chi è? Dell’autore della canzone o del software? Se io utilizzo Word per scrivere il mio libro, i diritti sono miei o anche di Microsoft? Per me che ho una visione strumentale di zero intelligenza dello strumento, il diritto d’autore è e resta mio. Chi pensa invece che questi strumenti siano intelligenti, allora è giusto che riconoscano un copyright anche all’AI, il che mi pare assurdo, ma almeno coerente.

Lei pensa che tra tre anni sarò sempre io ad intervistarla oppure sarò sostituito da un bot che magari sarà in grado di porre domande più intelligenti delle mie?
Più intelligenti delle sue non credo. Il futuro dipenderà dal suo editore. Se Startup Italia vorrà diventare un giornale di quantità allora sarà probabile che si affidi a dei bot, se invece vorrà continuare a produrre qualità allora sarà sempre lei ad intervistarmi. E comunque, se deciderete di affidare l’intervista ad un bot, non troverete me a rispondere, sarò rimpiazzato anche io da un bot.




Quanto guadagna un influencer in Italia? Piattaforma per piattaforma ecco le tabelle

Quanto guadagna un influencer in Italia? Piattaforma per piattaforma ecco le tabelle

Nel 2022 in Italia il giro d’affari degli influencer sui social è stato di 308 milioni e quest’anno salirà a 348.

A stimare una crescita del 13% è DeRev, società di strategia e comunicazione digitale, che ha aggiornato il tariffario dei compensi del settore.

 “Notiamo un rallentamento del mercato italiano rispetto a quello internazionale, che dovrebbe crescere il doppio. Si tratta – ha spiegato il Ceo Roberto Esposito – di una conseguenza della revisione da parte delle aziende degli investimenti in marketing, che in Italia (e in Europa, in generale) è più accentuata che in Usa”. Il settore più redditizio è quello di Fashion and Beauty passato dal 15% del 2022 al 25% del 2023, il Gaming è al 12,9%) e Travel & Lifestyle al 12,5%. Notevole la crescita dello sport passato dal 4 al 12% mentre al contrario Health & Fitness sono scesi dal 13% al 6,8%.

Per quanto riguarda invece il listino dei compensi, questi variano molto a seconda del social network e del tipo di influencer.

“Se il caso di Facebook è omogeneo e chiaro – ha spiegato Esposito -, con una progressiva scomparsa dei creator che riflette l’andamento negativo della piattaforma, su Instagram e TikTok occorre fare dei distinguo: nel primo caso, la crescita maggiore dei compensi (+14,4%) è per chi ha fino a 300mila follower e molto meno per i mega influencer (+1,8%) con una community superiore al milione. Questo perché gli utenti si sono stancati di celebrity lontanissime e prediligono creator che gli parlano in modo autentico di temi sostanziali e coincidenti con i loro reali interessi. TikTok presenta lo schema contrario: crescono molto (+10,5%) i compensi di chi ha tra 300mila e un milione di follower e calano quelli dei più piccoli. La responsabilità è di un algoritmo acerbo, che consente a molti e facilmente di ampliare la community ed emergere, con il risultato che i brand considerano affidabili soltanto i creator con un numero di follower consolidato e alto. È come dire che su TikTok si è alzata l’asticella per ottenere il “patentino” da influencer”. I compensi per un contributo da parte delle celebrities con milioni di follower possono arrivare anche a 80 mila euro, mentre i micro influencer con un seguito di diecimila persone possono ottenerne dai cinquanta ai millecinquecento. A pagare di più Youtube, di meno Facebook. 

I COMPENSI PER PIATTAFORMA

Per la prima volta, dunque, l’aumento dei compensi dei creator non riguarda più tutte le tipologie di professionisti (dai nano ai micro, dai mid-ter ai macro, fino ai mega influencer e alle celebrity) e se nel 2022 si arrivava a pagare fino a 80mila euro per un contenuto, oggi si conferma questo record su YouTube, ma si cominciano a vedere le flessioni tipiche di un’economia in aggiustamento.

Facebook

La piattaforma ha smesso da tempo di essere redditizia per i creatori di contenuti, e probabilmente non è mai stata un terreno fertile per l’influencer marketing a causa di un target e uno stile di interazione molto lontani da ciò che serve per diffondere messaggi o promuovere temi. Nel 2021 già servivano mediamente più follower per ricevere un compenso (10mila al minimo), mentre su Instagram e TikTok si può già essere pagati con un bacino di 5mila follower, e su YouTube ne bastano 3mila. Oggi quei 10mila non sono più sufficienti e per provare a incassare 100 euro per un post bisogna approssimarsi ai 50mila che un una volta garantivano, per lo stesso contenuto, fino a 250 euro. Non va meglio alle altre categorie di influencer, considerato che chi è compreso tra 50mila e 100mila follower ha visto diminuire i compensi del 23%, ossia da 150-500 euro a post nel 2022, agli attuali 100-400 euro.

Instagram

Instagram è il social media per eccellenza della creator economy, che si esprime soprattutto attraverso i creator che hanno follower fino al milione. Questo perché la predilezione degli utenti si sta orientando su professionisti che non sono personaggi in senso stretto, ma che vengono recepiti come esperti affidabili di un determinato settore. La crescita dei compensi, quindi, da 100-250 euro a 100-300 euro a contenuto (+14,3%) comincia a vedersi già dai creator più piccoli (dai 5 ai 10mila follower) e si replica per i micro influencer (10-50mila follower) che passano dai 250-750 euro a contenuto del 2022 agli attuali 300-850 euro (15%), e per i mid-tier (da 50mila a 300mila follower) che aumentano di 100 euro il minimo compenso (da 750 a 850 euro) e di 500 euro il massimo (da 3.500 a 4.000 euro) per una media del +14%. A salire, si va scemando: i compensi dei macro influencer (200mila – 1 milione di follower) aumentano del 6,7%, quelli dei mega dell’1,8%, mentre restano stabili quelli delle celebrity: personaggi noti sempre più al margine della creator economy, che trovano i guadagni (comunque alti) per il loro lavoro di testimonial secondo uno stile tradizionale, maggiormente connesso al mercato pubblicitario.

TikTok

La piattaforma di ByteDance mostra uno spaccato interessante complementare a quello di Instagram. Se sul social media di Meta un numero tutto sommato contenuto di follower, connesso a un engagement di livello, è sinonimo di qualità, su TikTok la facilità con la quale si può emergere ha spostato in alto la soglia di ingresso della reale creator economy. Con 5mila follower si può ambire a 50 euro a contenuto, vale a dire lo stesso del 2021 e la metà del 2022. Idem se si hanno tra i 10mila e i 50mila follower: si poteva arrivare a 750 euro a post, ora non si va oltre i 650. Al contrario, superati i 300mila follower, il listino mostra i rialzi: da 3000-6.500 euro a contenuto, si passa a 3.500-7mila euro: qui il tariffario si allinea all’andamento crescente del mercato perché in questa fascia gli influencer risultano davvero tali su TikTok.

YouTube

Su YouTube circolano da sempre i compensi più alti, ma l’aggiornamento del listino DeRev segna la prima battuta d’arresto. Rispetto allo scorso anno, nessun creator, in nessuna categoria, guadagna di più. Restano salde le tariffe da capogiro, anche in ragione della complessità dei contenuti destinati a questa piattaforma, ma la curva ha smesso di impennarsi. “È difficile prevedere cosa succederà in futuro – ha concluso Roberto Esposito – e molto dipenderà dal braccio di ferro tra social media. Il caso Facebook ci dice che il mercato si contrare con la perdita di appeal della piattaforma e quella di Google non sembra in pericolo ma, certamente, soffre la concorrenza diretta di TikTok e quella indiretta di Instagram, dove trova la seconda casa il 28% degli youtuber. È verosimile che i prezzi si stabilizzeranno definitivamente con minime oscillazioni e che altri scenari, come un nuovo balzo in rialzo o un crollo, si verifichino soltanto in caso di plateali scossoni nell’ecosistema social”.

Altre piattaforme e tendenze

Dal listino DeRev è assente Twitter.

Se un anno fa l’economia dei creator sulla piattaforma era minima e del tutto irrilevante per il mercato, l’arrivo di Elon Musk al timone del social network ha fatto fuggire gli inserzionisti e azzerare quasi del tutto i budget destinati alle collaborazioni con gli influencer sul social media. Da tenere d’occhio, invece, la rinascita di LinkedIn che sta investendo molto e si sta evolvendo in modo favorevole alla nascita di una creator economy sulla piattaforma. Infine, si segnala l’esplosione dei virtual influencer, che DeRev aveva già preannunciato lo scorso anno. A questa tendenza contribuiscono molto sia l’intelligenza artificiale che il metaverso con i suoi avatar.