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ESISTE IL DIRITTO AD ESSERE DIMENTICATI?

ESISTE IL DIRITTO AD ESSERE DIMENTICATI

Una delle grandi questioni democratiche è il tema della governance della società digitale, che deve delineare il miglior equilibrio tra informazione e tutela della privacy. Ne abbiamo parlato con Rosalba Tubère, Avvocato del Foro di Torino, nota esperta di tematiche di eccezionale attualità come il diritto all’oblio.

Avvocato, il rapporto tra informazione, nuove tecnologie e la dignità della persona pone nuovi interrogativi e nuove sfide. Qual’è la situazione ad oggi?

La Corte di Giustizia Europea ha trattato questo rapporto nelle sentenze sin dal 2014, attraverso il prisma del diritto all’ oblio che è stato recepito nella normativa contenuta nel Regolamento Europeo per la protezione dei dati G.D.P.R. 2016/679 all’ art.17. È il diritto a non subire effetti pregiudizievoli dalla ripubblicazione a distanza di tempo di una notizia non più attuale.

Può esistere un equilibrio tra diritto all’informazione e diritto all’oblio?

Certamente, il rapporto tra attualità della notizia, pubblicazione e oblio è mutato profondamente con l’avvento delle nuove tecnologie, ma il legislatore ha preso in carico queste preoccupazioni. Quando esisteva solo la carta stampata come mezzo di informazione, la diffusione delle notizie coincideva con la conservazione fisica del giornale. La rete invece ospita senza soluzione di continuità notizie spesso superate dagli eventi e non più attuali: annulla le distanze temporali.

Quali danni può generare l’impropria permanenza di una notizia in rete, ad esempio una notizia parziale, od obsoleta, su un procedimento giudiziario concluso da tempo?

Le ricadute della permanenza dei dati riferiti a vicende personali nell’ambito lavorativo, politico, giudiziario, sanitario possano rivelarsi devastanti, e avere una portata negativa, generando un danno all’immagine, alla reputazione, un danno alla vita di relazione, a quella lavorativa e via discorrendo. Ricadute destinate potenzialmente a perpetuarsi con la permanenza dei dati nella rete, e tali da generare anche danni economici certamente rilevanti e intrinsecamente ingiusti.

Situazioni di questo genere possono anche essere eteroindotte?

Certo che si, purtroppo, si pensi ad esempio a chi voglia orchestrare una campagna in danno di una determinata persona per presunti precedenti giudiziari, omettendone l’esito. In generale l’esposizione mediatica negativa costituisce una forma di danno gravissimo. E lo sa bene anche chi desidera danneggiare intenzionalmente una persona.

Quale può essere la soluzione?

Si può porre rimedio a questi effetti distorsivi esercitando il diritto all’oblio: che consiste nel diritto a essere dimenticati, in relazione ai fatti in questione. Ed il ricorso da parte di cittadini a questo rimedio è sempre più rilevante, allo scopo di garantire il diritto al giusto ridimensionamento della propria visibilità mediatica, rispetto all’implicazione decisamente più incisiva, pervasiva e apparentemente permanente dell’informazione in rete. La potenza dell’indicizzazione di identità digitali connotate negativamente, e insensibili al trascorrere del tempo, può essere contrastata con mezzi totalmente legali, esercitando, appunto, un proprio diritto stabilito dalla legge.

Quale può essere il risultato di questa azione di tutela?

Il suo esercizio ha come effetto la cancellazione delle informazioni negative presenti nella rete internet e/o la deindicizzazione, ovvero il non mostrare al pubblico le pagine dei siti internet contenenti le informazioni stesse, e/o la anonimizzazione, con inserimento delle sole iniziali del nome e del cognome, dai motori di ricerca. Questa azione di tutela bilancia il diritto all’informazione di cui godono le testate giornalistiche online, e può essere esercitato, ad esempio, anche nei confronti degli Organi Parlamentari della Camera e del Senato per le informazioni su dati personali contenute negli atti parlamentari che si desidera rimuovere, insomma, verso qualunque informazione presente in rete. Non tutti sono al corrente di questo diritto garantito al cittadino, per questo è necessario fare sempre più cultura su questi argomenti di grande attualità che riguardano la tutela della sfera personale e della nostra dignità come esseri umani.




Loro Piana, deal con Aura blockchain per la tracciabilità

Loro Piana, deal con Aura blockchain per la tracciabilità

Loro Piana sempre più etica e sostenibile. L’azienda controllata dal colosso del lusso francese Lvmh ha firmato un accordo con Aura blockchain consortium per la tracciabilità dei suoi prodotti. L’associazione guidata dai più importanti gruppi del lusso come PradaOtb e Richemont, vuole essere un hub tecnologico a garanzia dell’autenticità, tracciabilità ed eccellenza dei prodotti. Su questa scia, la maison ha aderito al progetto realizzando un Qr code per le etichette di 20 capi che, a seguito della scansione con un device elettronico, fornisce le informazioni di tracciabilità del prodotto, nonché la storia della sua manifattura, dalla fattoria produttrice della fibra all’arrivo del capo finito in boutique. I capi selezionati per il progetto sono interamente realizzati in lana «The gift of kings», una particolare fibra brevettata dal brand ottenuta dalla tosatura di selezionati esemplari di pecore merino allevate in Australia e Nuova Zelanda.

Attraverso il Qr code, è inoltre possibile registrare la proprietà del capo che, secondo un approccio di tracciabilità ereditaria, sarà tramandato di generazione in generazione, previa trasmissione del suddetto certificato di proprietà. Infine, ciascuno dei venti pezzi è associato ad un’esclusiva opera d’arte digitale 3d realizzata dall’artista londinese Charlotte Taylor, che reinterpreta il viaggio del tessuti The gift of kings.

Lo store di Loro Piana a Palo Alto (courtesy Loro Piana)

Questa iniziativa farà il suo debutto nella nuova boutique di Palo Alto, in California. Inaugurato oggi, lo store presenta uno spazio minimalista dal design contemporaneo e dall’atmosfera sofisticata ma dinamica. La facciata in kummel, colore iconico di Loro Piana, accompagna la scelta dei i toni neutri degli interni in oro, beige e blu, che mettono in risalto le sfumature dei tessuti. Anche gli arredi in rovere e i rivestimenti in cashmere per pareti e imbottiti confluiscono nel creare un’esperienza multisensoriale. 

Dopo la California, tuttavia, a partire da metà marzo e con la collezione primavera-estate 2023, la certificazione digitale sarà estesa a tutti i nuovi capi realizzati con questo tessuto particolare e saranno disponibili in tutte le boutique Loro Piana nel mondo. Segno di un crescente investimento nel savoir faire artigianale e nell’attenzione all’ambiente, della biodiversità e delle comunità locali.




Metaverso, i tre architetti milanesi che progettano gli spazi digitali: «ll primo cliente? Una banca araba che voleva una sala riunioni per Zoom. Con due cammelli»

Hanno ampliato il loro orizzonte lavorativo portandolo nel digitale: «Le esperienze virtuali che generiamo sono un ampliamento e non la sostituzione dell’esperienza fisica

Da qualche anno la parola metaverso è entrata nel nostro dizionario. A questo ora si aggiunge quella di spazio virtuale. Due concetti da non confondere, ma parte della stessa rivoluzione che sembrerebbe in grado di dare una potente scossa alle nostre vite, seppur ancora agli albori. In questa precisa fase, sono nate figure in grado di inglobare lavori più tradizionali con nuove tecnologie. Sono gli architetti del metaverso

L’esperimento a Milano

A Milano tre giovani architetti, tra i 25 e i 30 anni, oltre a svolgere il lavoro tradizionale di architetti, creano spazi tridimensionali su commissione di brand e aziende, in cui i clienti possano muoversi sia attraverso dei semplici clic, magari con un avatar, sia indossando un visore, e quindi con il proprio corpo. Il loro studio si chiama SesamoLab, ha un anno di vita, e loro sono Marco Angrisani, Leonardo Sollami e Marco Grattarola. Al progetto lavora anche Ginevra Turco, collaboratrice game developer.

La definizione migliore

Quando li incontriamo sono seduti a un tavolo di un bar a Milano. Non serve nemmeno fargli delle domande, continuano a discutere tra di loro su come possa essere definito quello su cui lavorano. Fanno mente locale per spiegare i passaggi dei loro progetti, li disegnano anche su un tovagliolo per renderlo più chiaro possibile. Ogni fase è fatta di diverse strade da percorrere in base all’obiettivo del committente. Quindi, prima di vedere nel dettaglio come viene costruito uno spazio virtuale, bisogna capire il perché. 

L’obiettivo di creare spazi virtuali

Uno spazio virtuale può essere utilizzato come mezzo di comunicazione diretto. Le aziende che commissionano i progetti a Sesamo Lab lo fanno con l’intento di posizionarsi in un settore innovativo, fortemente tecnologico. O di raggiungere un pubblico più ampio. 

Il nuovo spazio

Cosa succede una volta trovato un cliente? Il primo passo è il brief: «Noi apriamo le porte di uno spazio che nemmeno conoscono – spiegano -. Fare un progetto significa mettere insieme diverse esigenze e dare una risposta spaziale». Prima di tutto però, bisogna immaginarlo. Molti committenti si affidano a loro al cento per cento, non conoscendo i limiti del mezzo e non sapendo fino a dove possono spingersi. Che il mezzo sia nuovo lo si capisce anche da come hanno ottenuto il primo lavoro: «Abbiamo trovato un annuncio su una community nel metaverso. Era una banca araba che voleva realizzare un centro per le riunioni dove i dipendenti potessero entrare e vivere un’esperienza diversa dalla classica chiamata su Zoom. Noi abbiamo risposto e ottenuto il lavoro» raccontano. 

Lo studio virtuale

Il secondo passo è quello di realizzare un progetto architettonico da trasformare poi in un modello tridimensionale. «Già dal primo incontro, invece della solita call, invitiamo il cliente all’interno del metaverso». Basta un link, e non bisogna per forza usare il visore. A seguire realizzano un concept, modellano lo spazio e pensano a funzioni e interazioni. Infine, la parte dell’allestimento: contenuti digitali, materiali e luci. Quello che ne esce è una sorta di cantiere virtuale dove il cliente può dare feedback e suggestioni prima della consegna finale. 

Le richieste dei clienti

«Generalmente il committente ci chiede una di queste due cose: o un’esperienza virtuale da usare nel corso di un evento, fruibile dai presenti tramite visore, oppure uno spazio virtuale online, accessibile a chiunque tramite il metaverso». Le differenze sostanziali tra spazio virtuale e metaverso sono due: lo spazio virtuale è privato, il metaverso è pubblico e permette all’utente di muoversi liberamente. E poi, la realtà virtuale è più versatile: «Attualmente esistono diverse infrastrutture che ospitano il metaverso. Quella più famosa è di Meta-Facebook ma esistono anche Roblox, Spatial e Decentraland. Ognuna di queste ha delle regole da seguire (come la quantità e la qualità delle interazioni possibili, la quantità di persone che possono fruire lo spazio allo stesso momento, la quantità degli oggetti che vanno ad allestire lo spazio, e molto altro, ndr) Invece, realizzare un’app offline da caricare sul visore non ha limiti, se non quelli che scegliamo noi di imporre». 

Metaverso, anche agli architetti la rivoluzione piace : «Apriamo uno spazio che i brand non conoscono»
Uno degli spazi lavorativi progettati da Sesamo

Progetti realizzati

Trattandosi di un mezzo nuovo, viene concesso un alto grado di libertà creativa, e lo confermano anche le loro esperienze: «La committenza si lascia guidare perché non sa come realizzarlo, quindi è difficile che modifichi drasticamente un nostro progetto». Al massimo può capitare di ricevere proposte strane. I proprietari della banca di Riyadh, che gli hanno commissionato il primo lavoro, non avevano alcun appunto da fare, se non che ci fossero almeno due cammelli che si aggiravano per la sala meeting. «All’inizio eravamo meno convinti dell’efficacia del concept – ammettono -. Adesso sappiamo che con l’approccio giusto si possono realizzare opere intelligenti e interessanti». 

Sette progetti

In meno di un anno – sono partiti a giugno 2022 – con Sesamo Lab hanno realizzato sette progetti. Il primo è stato pensato come un centro per il ritrovo dei dipendenti della banca, da fruire per delle riunioni o delle presentazioni. Hanno realizzato una passerella che accompagna i dipendenti dall’ingresso alla sala e lungo la quale è possibile scoprire la storia dell’azienda. Il logo della banca arreda il pavimento, mentre la sua forma, un esagono, è stata utilizzata per creare la struttura esterna della sala meeting. «Quando l’evento finisce lo spazio rimane, e continuerà a raccontare la loro storia senza costi di manutenzione o energia» aggiungono i tre. 

Le ultime sfide

Il progetto più recente, invece, lo hanno presentato a febbraio 2023 a Dubai. Si trattava di un’esperienza virtuale da vivere con il visore, presentata all’interno di una fiera. Il committente era un’azienda specializzata nella produzione di creme vegetali per cucinare: «Dovevamo trovare qualcosa in grado di far vivere al pubblico un’esperienza eccezionale. Molto difficile se il luogo di presentazione (Dubai, ndr) è un parco giochi urbano. Abbiamo quindi pensato di realizzare una navicella spaziale che entra nell’atmosfera terrestre e sorvola la città fino alla Tiffany Tower, la sede dell’azienda. Una volta entrata nella torre, inizia il gioco, un escamotage per far vedere tutti i brand del gruppo». 

L’impatto sulla realtà

Tra i punti del manifesto di Sesamo Lab uno recita: «Sappiamo che ciò che viene realizzato nello spazio virtuale ha conseguenze in quello fisico». Esattamente come ciò che condividiamo sui social ha un impatto sulla nostra quotidianità: «Le esperienze virtuali che generiamo – spiegano – sono un ampliamento e non la sostituzione dell’esperienza fisica. Proprio perché sappiamo che i nostri spazi influenzano le persone che ne fruiscono, cerchiamo di avere particolare attenzione in quello che creiamo. Non vogliamo fare una copia del mondo reale, o meglio, se così dovesse essere, almeno che venga rotto qualche schema, magari qualche legge della fisica». 




L’analisi di materialità e le strategie aziendali

Il processo di rendicontazione dell’impegno “sostenibile” delle aziende prevede anche la realizzazione della matrice di materialità. Uno strumento complesso, ma allo stesso tempo molto valido, per avere una valutazione generale dei temi importanti per un’attività.

Il Global Reporting Initiative e altre iniziative, come ad esempio l’italiano CSR Global Network, hanno profuso il loro impegno per definire le linee guida utili a effettuare un’analisi di materialità e a crearne la matrice. In questo processo di analisi, gli attori sono due: l’azienda – con il suo management – e gli stakeholder. Quest’ultimi sono rilevanti per la creazione di un reale percorso di sostenibilità e delle sue strategie di comunicazione (qui un approfondimento).

Materialità: dall’analisi alla matrice

L’analisi di materialità è l’insieme delle attività utili a mappare gli aspetti di sostenibilità rilevanti (materiali appunto) per un’azienda – in termini di business e impatti – e per gli stakeholder.

Grazie ai cosiddetti framework di riferimento, l’analisi consente di avere un quadro generale su quelle che sono le sfide, e quindi gli obiettivi, prioritari per un’impresa.Vuoi scoprire di più sulle imprese e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile?Scarica gratuitamente l’abstract del nostro eBook!

La matrice ne è la naturale conseguenza in quanto rende visibile – con molteplici rappresentazioni grafiche – quanto emerso dall’analisi: i temi individuati sono ordinati in base al grado di rilevanza e di interesse per gli stakeholder.

Il grafico così rappresentato diventa una parte imprescindibile del bilancio di sostenibilità che l’azienda può, o in casi indicati dalla legge deve, pubblicare.

Materialità: come realizzarla

L’individuazione dei temi rilevanti richiede una certa flessibilità, pur confluendo poi in uno “schema”. Perché si parla di flessibilità? Gli strumenti di analisi possono essere diversi e con diverso grado di approfondimento. Una volta individuati gli stakeholder, l’azienda ha infatti a disposizione una serie di soluzioni per coinvolgere e interrogare i portatori di interesse: dai questionari alle interviste, dai focus group alle survey interne.

Ovviamente, la realizzazione di queste attività richiede una preventiva fase di assessment che i consulenti conducono con l’azienda nella sua totalità (dirigenti, dipendenti, stakeholder interni) per valutare la documentazione aziendale e per confrontare gli impegni aziendali con le strategie di sostenibilità che si intendono perseguire.

Una volta raccolte queste informazioni, i dati sono riportati graficamente in uno schema che può avere aspetti grafici tra i più disparati. I temi materiali rilevati, come ad esempio la disponibilità di risorse energetiche, la parità di genere, l’innovazione, la biodiversità, il risk management o la privacy, sono riportati in uno spazio in base alla rilevanza – per l’azienda e per gli stakeholder – e quindi al rischio. Molto spesso i temi sono confrontati con gli SDGs o confluisconoi nella macrocategoria “ambiente, sociale, governance”.

Analisi di materialità, perché è utile

Nel lungo percorso che termina con la rendicontazione di sostenibilità, l’analisi di materialità – e la sua matrice – è un esercizio fondamentale per un’azienda che intende perseguire gli obiettivi delle strategie sostenibili condivise. Le informazioni raccolte rappresentano dunque un bagaglio utile a dare concretezza alle azioni da intraprendere e a mantenere un continuo coinvolgimento degli stakeholder. L’efficacia di questo strumento risiede, infatti, nella sua dinamicità: ogni due-tre anni, l’azienda può ripetere l’analisi modificando, integrando, approfondendo i temi individuati.




Riso Gallo, Action Biova e La Orange: dalla collaborazione nasce una nuova birra sostenibile

Dalla collaborazione tra Biova Project, La Orange e Riso Gallo nasce un progetto unico, capace di unire impatto sociale, buona nutrizione e sostenibilità, in linea con i principi ESG.

Action Biova è una birra senza glutine nata dal recupero di rotture di riso rosso, ovvero chicchi di riso non commercializzabili per una questione estetica. In ottica di economia circolare, il surplus di riso viene utilizzato in sostituzione del 30% di malto d’orzo, andando così ad aumentare la produttività delle materie prime.

L’idea nasce dalla collaborazione incrociata di due startup con una grande azienda, in puro stile Open Innovation.

L’operazione di recupero e riutilizzo, così come lo stile della birra, è stato ideato ed eseguito da Biova Project, startup innovativa specializzata in prodotti alimentari frutto di economia circolare e filosofia upcycling. Tra i prodotti Biova Project troviamo infatti la prima gamma di birre artigianali contro lo spreco, fatte recuperando invenduti e surplus in ottica di economia circolare.

La Orange è una startup specializzata in birre artigianali pensate apposta per chi è attento al proprio stile di vita: basse gradazioni, alto contenuto in sali minerali e carboidrati facilmente assimilabili per far recuperare energie rapidamente e senza appesantire. DeQou Action Beer è la prima gamma italiana di birre sviluppate in ambito di ricerca universitaria per facilitare il recupero post sforzo e ottenere un rapido ripristino energetico senza provocare un picco glicemico.

Riso Gallo è una delle più grandi aziende alimentari italiane e da sempre è sinonimo di riso di qualità e attenzione verso l’ambiente e l’agricoltura. Tra i suoi progetti, l’azienda è impegnata in termini di sostenibilità per migliorare l’efficienza delle risorse e diminuire gli scarti lungo la filiera attraverso una serie di partnership di valore con startup del territorio nazionale, volte a trovare nuove destinazioni d’uso atte a valorizzare i sottoprodotti del riso.

Da diversi anni noi di Riso Gallo abbiamo intrapreso un percorso volto alla sostenibilità e crediamo fortemente nel potenziale della collaborazione con Biova Project, un’eccellenza italiana che ha saputo dare nuova vita alle eccedenze del riso rosso attraverso un progetto innovativo e sostenibile che permette di minimizzare l’impatto sull’ambiente ed estendere il ciclo di vita di questo prodotto”, ha dichiarato Emanuele Preve, Consigliere Delegato di Riso Gallo.

Nasce così un progetto di Open Innovation che si concretizza in un prodotto unico e senza precedenti. Action Biova è un’ambrata leggerissima, 3,3% ABV, ricca di sali minerali e di carboidrati super assimilabili provenienti dal riso. Action Biova è inoltre senza glutine, per rispettare ancora di più gli stringenti standard alimentari degli sportivi.

Action Biova sarà disponibile online, sulle pagine e-commerce di Biova Project e La Orange e, presto, sia in GDO che in horeca.