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Edelman Trust Barometer 2023: alle imprese e ai CEO il compito di guidare il cambiamento

Edelman Trust Barometer 2023: alle imprese e ai CEO il compito di guidare il cambiamento

Il 2022 è stato un anno altalenante per l’Italia. La graduale ripresa dagli effetti della pandemia ha dovuto fare i conti con una guerra alle porte dell’Europa a cui, a metà anno, si è aggiunta la crisi politica che ha portato alle nuove elezioni.

Il risultato? Sebbene l’indice generale di fiducia abbia fatto registrare un leggero calo rispetto allo scorso anno (-3 punti) toccando quota 50, l’Italia resta tra i “best performer” in Europa preceduta di poco solo da Olanda (54 punti) e Francia (51 punti). E se il mondo delle imprese con 57 punti resta il baluardo della fiducia degli italiani – con le imprese familiari che svettano a quota 64 punti – tra i settori economici brillano quello della Tecnologia (72 punti) e quello alimentare (66 punti). Il mondo accademico (74 punti) e “il proprio datore di lavoro” (72 punti), infine, restano i punti di riferimento tra i nostri concittadini.  

Sono questi alcuni dei dati emersi dall’Edelman Trust Barometer 2023, la più importante ricerca condotta a livello globale dalla società di consulenza Edelman su un campione di oltre 32.000 persone in 28 Paesi e che, da oltre 20 anni, studia l’andamento del rapporto di fiducia tra i cittadini e quattro tra le principali istituzioni che operano nella società: Governo, Business, Media e Organizzazioni Non Governative (ONG).

I dati della ventitreesima edizione relativi al nostro Paese sono stati presentati da Fiorella Passoni (CEO di Edelman Italia) che li ha commentati insieme a Federico Petroni (Analista di Limes e coordinatore didattico della Scuola di Limes), moderati da Davide Sicolo (SVP Corporate & Crisis, Edelman Italia).

Numeri in crescita rispetto a 10 anni fa: le imprese guidano la classifica tra le istituzioni

Dall’analisi dei dati del nostro Paese, dove emerge un gap tra la fiducia dei redditi più alti, a quota 59, e quelli più bassi a 46, l’indice generale registra un lieve calo di tre punti (da 53 a 50) che, se inquadrato in una prospettiva più ampia, rappresenta una crescita di ben 10 punti rispetto a 10 anni fa quando il dato era di appena 40 punti.

Il “Business” si attesta a quota 57 restando l’istituzione che gode della maggior fiducia e facendo segnare una crescita di ben 12 punti rispetto al 2013. E mentre le “Organizzazioni Non Governative” raggiungono un indice di 49 (vs. 54), “Media” e “Governo” toccano rispettivamente quota 47 (vs.50) e 46 (vs. 49) con quest’ultimo che registra la crescita più alta (+25 punti) rispetto al decennio scorso quando il livello di fiducia era solamente di 21 punti.

Le nuove preoccupazioni degli italiani

Rispetto allo scorso anno si registra una discesa dell’ottimismo per le prospettive economiche da qui a 5 anni: passa infatti dal 27% al 18% la percentuale di chi pensa che tra 5 anni la situazione per sé e per la propria famiglia sarà migliore. Un dato in linea con il trend globale e che tocca tutti i Paesi sviluppati come Stati Uniti (36%), Regno Unito (23%), e che ci vede davanti a Germania (15%), Francia (12%) e Giappone (9%) che chiudono la classifica.

E se tra le principali preoccupazioni personali degli italiani troviamo nel 95% dei casi il posto di lavoro seguito dall’inflazione (78%), tra quelle “esistenziali” resta alta l’attenzione per il cambiamento climatico (82%) a cui se ne sono aggiunte due nuove: la guerra nucleare (79%) la carenza di energia (77%).

I media e la fiducia “di prossimità”

A giocare un ruolo importante nel creare un clima di fiducia nell’opinione pubblica sono i media che, rispetto alla rilevazione effettuata nel 2013, fanno registrare un salto in avanti di 2 punti (da 45 a 47).  In questo ambito cresce rispetto allo scorso anno l’indice dei “motori di ricerca” che restano la fonte di notizie più credibile per gli italiani con 63 punti (vs. 62 del 2022). I “media tradizionali” a 53 punti (vs. 52 del 2022), invece, restano in area neutrale mentre chiudono la classifica i “media di proprietà” (37 punti) e i “social media” (31 punti) che, rispetto al 2013, fanno un trend discendente di -14 punti di fiducia.

Sebbene quella degli scienziati – con 77 punti – resta la categoria che guida la classifica della fiducia tra i leader, nel nostro Paese si registra una situazione in cui le persone “più vicine” sono anche quelle più fidate: a partire dai colleghi di lavoro (67 punti), i vicini (55 punti), il proprio CEO (55 punti), le persone della propria comunità locale (52 punti) e i propri connazionali (52 punti), con questi ultimi in crescita di ben 6 punti. Nella parte bassa della classifica, invece, troviamo i leader politici (35 punti) e giornalisti e i CEO appaiati a 33 punti.

Il rischio di una maggiore polarizzazione

Dai dati del Trust Barometer 2023 emerge un trend importante, relativo al concetto di polarizzazione inteso come la somma virtuale tra la convinzione che il proprio Paese sia estremamente diviso e la propensione a considerare queste divisioni superabili. Sei sono i Paesi a trovarsi in questa situazione: Argentina, Colombia, Stati Uniti, Sudafrica e, in Europa, Spagna e Svezia. In questo contesto l’Italia – che fa registrare i numeri più alti a livello globale in termini di “trinceramento”, ovvero della convinzione che sarà molto difficile trovare una soluzione alle divisioni – si trova un gradino più in basso, in una zona definita “a rischio polarizzazione” insieme ad altri Paesi come Brasile, Sud Corea, Messico, Giappone e, in Europa, come Francia, Regno Unito, Germania e Paesi Bassi.

Secondo il 55% degli italiani, inoltre, oggi siamo “più divisi che nel passato” ma, in questo contesto, emergono diverse categorie in grado da poter fungere da forze “unificatrici”, primi tra tutti gli insegnanti e i leader d’azienda.

La chiave è nel ruolo delle aziende

In un quadro generale in cui le quattro istituzioni – Governo, Business, Media e ONG – non primeggiano per competenza ed etica, si registra però una tendenza importante: il livello di etica delle aziende continua a salire facendo registrare una crescita di ben 19 punti rispetto al 2020. Se a questo dato si aggiunge che gli italiani vedono ancora nel “proprio datore di lavoro” (72 punti) la figura più affidabile, è chiaro che dal mondo del business e dai CEO ci si aspetta un maggiore impegno soprattutto per quanto riguarda i temi sociali più sentiti come la condizione di lavoro dei dipendenti 91%, gli effetti dei cambiamenti climatici (83%) e la discriminazione (83%).

In generale tre sono le tematiche su cui gli italiani si aspettano che i CEO lavorino per rilanciare l’ottimismo sul mercato: stipendi più equi (77%), investimenti sulla formazione dei dipendenti (73%), garanzia di benessere e sicurezza per la comunità di appartenenza (70%). Per sei italiani su dieci (61%), inoltre, le aziende – che per aumentare la propria efficacia nel riattivare l’ottimismo dovrebbero collaborare anche con il governo – devono utilizzare il potere iconico dei brand per creare una identità condivisa sottolineando gli aspetti che uniscono e che rinforzino il tessuto sociale.

“Analizzando i dati del Trust Barometer emerge che alle aziende italiane, così come accade nel resto del mondo, spetta il compito di guidare il cambiamento e fungere da moltiplicatore dell’ottimismo – ha dichiarato Fiorella Passoni, CEO di Edelman Italia. “Per questo il nostro invito è rivolto ai CEO e alle imprese affinché assumano un ruolo sempre più centrale affrontando a viso aperto – e, dove possibile, in partnership con i governi e le altre istituzioni – quelli che sono i temi sociali più sentiti dai cittadini: stipendi sempre più equi e, come emerso anche in molte discussioni durante l’ultimo World Economic Forum di Davos, spingendo sul retraining e sulla formazione continua dei dipendenti. Tutti elementi necessari per contribuire a rinforzare le fondamenta della fiducia che, a sua volta, agisce da stimolo per la crescita economica”.




Gucci investe in Toscana con un nuovo hub per la moda sostenibile

Gucci investe in Toscana con un nuovo hub per la moda sostenibile

Gucci, con il supporto di Kering, annuncia oggi il progetto per l’avvio del primo hub per il lusso circolare in Italia. Il circular hub nasce con l’obiettivo di accelerare la trasformazione del modello produttivo del settore moda in Italia in chiave circolare per creare il prodotto del lusso circolare del futuro: un prodotto che massimizza l’utilizzo di materiali riciclati, la durabilità, la riparabilità e la riciclabilità dei prodotti a fine vita.

L’hub sarà collocato all’interno del territorio toscano e porterà benefici all’intero sistema moda su diversi fronti: promuovendo la ricerca condivisa di materiali circolari e l’innovazione sugli impianti industriali dei distretti locali; sviluppando nuovi canali di approvvigionamento locali e di consolidamento della filiera e minimizzando gli impatti ambientali e sociali delle filiere produttive coinvolte grazie alle economie di scala e di scopo. Tutto ciò infatti renderà possibile consumare meno risorse, ridurre le emissioni di gas serra, creare occupazione di qualità e contribuire al benessere del territorio. Da una prima stima degli impatti ambientali effettuata sull’ecosistema Gucci pelletteria, sarà possibile arrivare a una riduzione sino al 60% delle emissioni di gas serra attualmente generata nella gestione degli scarti produttivi.

Quando partiranno i lavori

La prima fase dei lavori prenderà il via nel primo semestre 2023 e si avvarrà delle competenze dei ricercatori del Kering Material Innovation Lab di Milano e del supporto di tecnici e ricercatori di prodotto per abbigliamento, pelletteria, calzature e accessori dei centri d’avanguardia di artigianato industriale e sperimentazione di Gucci di Scandicci e di Novara. Per lo sviluppo delle attività progettuali, la piattaforma prevedrà inoltre il supporto di partner industriali e la collaborazione scientifica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che opererà nel perimetro di intervento delle linee di ricerca industriale e di sviluppo di soluzioni circolari, anche relativamente ai modelli operativi e logistici.

“L’industria della moda ha oggi la responsabilità di stimolare azioni concrete e trovare soluzioni in grado di accelerare il cambiamento, ripensando anche alle modalità produttive e all’impiego delle risorse. La creazione del circular hub è un importante traguardo e nasce proprio per perseguire quest’obiettivo. È motivo di orgoglio per me che l’hub nasca in Italia, sede di alcuni dei più importanti e rinomati poli produttivi e del know-how del Gruppo”, ha commentato Marie-Claire Daveau, chief sustainability and institutional affairs officer di Kering. “La collaborazione con Gucci ha dato vita al nuovo progetto e ciò è testimonianza non solo di una forte comunità di obiettivi all’interno del gruppo ma anche di un esempio ambizioso che, nella logica dell’open source, vuole essere un invito aperto ad altre realtà a unirsi in questo percorso”.




EDU-MOB2, IL PROGETTO TRANSFRONTALIERO TRA LIGURIA E PROVENCE-ALPES-COTE D’AZUR PROMUOVE LA MOBILITÀ SOSTENIBILE IN LUOGHI DI GRANDE FASCINO

EDU-MOB2, IL PROGETTO TRANSFRONTALIERO TRA LIGURIA E PROVENCE-ALPES-COTE D'AZUR PROMUOVE LA MOBILITÀ SOSTENIBILE IN LUOGHI DI GRANDE FASCINO

L’obiettivo è favorire il cambiamento di comportamenti sulla mobilità di residenti e turisti, sul territorio di confine tra la Liguria e la regione Provence-Alpes-Cote d’Azur. L’evento finale è in calendario dal 3 al 5 marzo 2023 in occasione del termine del progetto Edu-Mob2 cofinanziato dal Programma di cooperazione transfrontaliera Italia Francia Alcotra, da Regione Liguria, Dipartimento 06 Alpes Maritimes e dai Comuni di Bordighera, Vallecrosia, Ventimiglia, Mandelieu, Villeneuve Loubet e Mentone, e con la collaborazione della Fiab Riviera dei Fiori. Venerdì 3 marzo, a Ventimiglia, al Forte dell’Annunziata, si tiene il seminario sugli esiti di Edu-Mob2, in particolare riferiti alle ciclovie Eurovelo 8 e Tirrenica, mentre sabato 4 si svolgerà la prima pedalata transfrontaliera da Ventimiglia a La Turbie e domenica la seconda pedalata transfrontaliera tra Bordighera e Mentone. Il progetto Interreg Edu-Mob2 ha riguardato il territorio di confine tra Italia e Francia sia con azioni di informazione ed educazione alla mobilità sostenibile, sia con la realizzazione di alcune opere infrastrutturali nei Comuni di Bordighera, Vallecrosia, Ventimiglia, Mandelieu, Villeneuve Loubet e Mentone, su cui è ora opportuno fare il punto.

Edu-Mob2, il progetto transfrontaliero tra Liguria e Provence-Alpes-Cote d'Azur promuove la mobilità sostenibile in luoghi di grande fascino
Edu-Mob2, il progetto transfrontaliero tra Liguria e Provence-Alpes-Cote d'Azur promuove la mobilità sostenibile in luoghi di grande fascino
Edu-Mob2, il progetto transfrontaliero tra Liguria e Provence-Alpes-Cote d'Azur promuove la mobilità sostenibile in luoghi di grande fascino

“Il bisogno di mobilità è fondamentale per gli individui ma il suo soddisfacimento ha un impatto notevole in termini economici, sociali e ambientali – spiegano i promotori – per questo motivo il rapporto città, mobilità e ambiente ha assunto nell’ultimo decennio un ruolo centrale nelle iniziative dell’Unione Europea e sta diventando fondamentale per le politiche comunali e del territorio. Ecco perchè il Progetto ha l’obiettivo di stimolare cittadini e turisti a scegliere una mobilità a basso impatto ambientale (meno auto, più spostamenti a piedi, in bicicletta e con i mezzi pubblici)”. Sono 1,6 milioni di euro i fondi stanziati per nuove piste ciclabili, nel Ponente Ligure, dal progetto Edu-Mob. In particolare gli interventi infrastrutturali hanno contribuito all’avanzamento di due importanti ciclovie: Eurovelo 8 è la Ciclovia del Mediterraneo che, partendo da Cadice, attraversa la Spagna, la Francia e l’Italia, in parte su ferrovia, per poi proseguire, attraverso i Balcani, fino alla Grecia e a Cipro, con uno sviluppo di oltre 7.000 km, attraverso 10 nazioni. E poi la Tirrenica che, nel quadro del Sistema Nazionale delle Ciclovie Turistiche – Snct, collegherà lungo la costa Ventimiglia con Roma. Con la realizzazione di queste ciclovie l’area di confine diventerà nei prossimi anni un importante snodo per la ciclabilità internazionale, in un magnifico contesto ricco di storia, cultura e bellezze paesaggistiche.

Grazie al progetto, in territorio francese sono state installate 590 rastrelliere per biciclette, principalmente nei comuni situati lungo l’EuroVélo 8, a Sophia-Antipolis e in 16 scuole del Dipartimento. Inoltre, sono stati posizionati e messi in funzione 5 box per biciclette, 9 stazioni di ricarica Vae (3 ad Antibes, Valbonne, St Vallier-de-Thiey e Villefranche-sur-Mer e 5 nella valle della Roya). In aggiunta, è stato acquistato e posizionato a Villeneuve-Loubet un totem in grado di conteggiare gli accessi alla pista ciclabile e l’installazione nella regione di circa 60 stazioni di gonfiaggio e riparazione è prevista entro il primo trimestre del 2023. In territorio italiano, i fondi di progetto permettono al Comune di Ventimiglia di concorrere alla realizzazione di ulteriori 450 metri di pista ciclabile (Via Tacito /Via Trento Trieste), al Comune di Bordighera di effettuare opere di sistemazione finale del lotto già realizzato con il precedente progetto e al Comune di Vallecrosia di acquistare e posizionare una serie di attrezzature per completare l’arredo e migliorare la sicurezza e la fruibilità della tratta di ciclabile realizzata.

Edu-Mob2, il progetto transfrontaliero tra Liguria e Provence-Alpes-Cote d'Azur promuove la mobilità sostenibile in luoghi di grande fascino
Edu-Mob2, il progetto transfrontaliero tra Liguria e Provence-Alpes-Cote d'Azur promuove la mobilità sostenibile in luoghi di grande fascino



Dipendenti meno stressati, ricavi in crescita: l’esperimento britannico sulla settimana corta è stato un successo

Dipendenti meno stressati, ricavi in crescita: l’esperimento britannico sulla settimana corta è stato un successo

“Mi aspettavo che le persone apprezzassero, ma una risposta così entusiastica mi ha sorpreso. Tutti parlano dell’effetto di questa iniziativa sul loro benessere. Molti colleghi dicono di sbrigare le commissioni nel giorno libero aggiuntivo e di poter trascorrere così il weekend con le loro famiglie. Una persona ha imparato a guidare, un’altra ha ridato vita a un suo progetto di punto croce”. Claire Hall lavora nelle risorse umane per l’associazione benefica Citizens Advice Gateshead e ha raccontato al Guardian l’esperimento sulla settimana lavorativa di quattro giorni – a parità di stipendio – a cui ha preso parte tra giugno e dicembre 2022. Un successo, secondo i dati diffusi dai promotori.

L’esperimento ha coinvolto 61 aziende e 2.900 lavoratori in tutto il Regno Unito. Il 92% delle imprese (56) ha deciso di continuare con la settimana corta, 18 hanno reso permanente il nuovo regime. “Questo momento è fondamentale per la transizione verso una settimana lavorativa di quattro giorni”, ha dichiarato Joe Ryle, direttore di 4 Day Week Campaign, la no profit che ha promosso l’iniziativa. “In molti settori diversi i risultati dimostrano che la settimana corta a parità di stipendio funziona. È di certo arrivato il momento di cominciare ad adottarla in tutto il paese”.

Il test britannico è il più vasto condotto finora sulla settimana corta. Gli autori del report finale sono quattro membri della società di ricerca Autonomy e professori di varie università: Boston College, Università di Cambridge, University College di Dublino e Vrije Universiteit di Bruxelles.

I numeri dell’esperimento

Il 39% dei dipendenti sostiene di essere meno stressato. I livelli di ansia e fatica sono diminuiti, al pari dei disturbi del sonno. La salute mentale e fisica è migliorata. Il 54% ha trovato più facile bilanciare il lavoro e le incombenze domestiche. I dipendenti si sono detti più soddisfatti anche della gestione delle finanze, delle relazioni e del tempo. Per sei su dieci è diventato più facile conciliare lavoro e vita sociale.

Il numero di persone che hanno lasciato le loro aziende durante l’esperimento è sceso del 57% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il totale dei giorni di malattia è calato di due terzi. Il 15% ha dichiarato che per nessuna cifra tornerebbe ai cinque giorni lavorativi.

Se il gradimento dei dipendenti poteva essere scontato, non lo erano gli effetti positivi sugli indicatori economici. Secondo Autonomy, la società di ricerca che ha elaborato i risultati, i ricavi delle aziende, pesati in base alle dimensioni delle imprese, sono aumentati in media dell’1,4%.

Alcuni casi

David Mason, chief product officer dell’azienda di robot Rivelin Robotics, dove oggi si lavora dal lunedì al giovedì tra le 8 e le 17.30, ha dichiarato al Guardian che l’orario ridotto potrebbe facilitare le future assunzioni: “È qualcosa a che ci rende diversi dalla media”. Mentre il chief technology officer, David Alatorre, ha spiegato di avere voluto “creare una cultura aziendale che mette il benessere al primo posto. Intendiamo assicurarci che tutti siano riposati e trovino un buon equilibrio tra lavoro e vita privata”. I due hanno ammesso anche che ci sono stati momenti di difficoltà, complice uno staff composto da sole otto persone, e che alcuni membri dello staff preferirebbero cinque giorni più brevi rispetto a quattro.

Ed Siegel, amministratore delegato dell’istituto di credito Charity Bank di Tonbridge, nel Kent, ha definito l’esperimento “un corso intensivo sui miglioramenti della produttività”. Simon Ursell, managing director della società di consulenza ambientale Tyler Grange, ha detto alla Npr statunitense che i quattro giorni hanno richiesto investimenti in tecnologia e la fine della “spazzatura” legata ad alcuni compiti amministrativi quotidiani. “Se dai alle persone un incentivo a fare qualcosa – il genere di incentivo che i soldi non possono comprare, come un intero giorno libero per fare ciò che vogliono, senza abbassare lo stipendio – le spingi a concentrarsi davvero”.

Le voci contrarie

Non tutti sono ancora convinti. Jay Richards, cofondatore di Imagen Insights, che aiuta le imprese a raccogliere opinioni dai membri della Generazione Z, ha dichiarato a Sky News che “una settimana di quattro giorni suona come una bella cosa. Nella pratica, però, come può aiutare il benessere dei dipendenti comprimere in quattro giorni il lavoro di cinque?”.

L’azienda di Richards ha proposto allora un altro tipo di riduzione di orario. “Facciamo una settimana di cinque giorni, ma lavoriamo dalle 10 del mattino alle 4 del pomeriggio. Accorciamo le giornate in modo che i dipendenti possano raggiungere l’armonia tra lavoro e vita privata, ma senza cambiare la loro settimana, cosa che metterebbe troppa pressione su di loro”.

Nel resto del mondo

Il principale esperimento sulla settimana da quattro giorni, prima di quello inglese, era stato condotto in Islanda tra il 2015 e il 2019. Aveva coinvolto 2.500 persone in 66 luoghi di lavoro e, secondo Autonomy e l’Associazione islandese per la sostenibilità e la democrazia, è stato “un successo straordinario”. Anche in quel caso la produttività era rimasta costante o era aumentata, mentre i dipendenti avevano accusato meno stress.

Anche Spagna e Portogallo hanno approvato progetti pilota sulla settimana corta. La Scozia ha stanziato 10 milioni di sterline per un programma sperimentale. Il Belgio ha proposto di permettere la scelta tra quattro o cinque giorni a parità di stipendio, all’interno di una riforma che sancisce anche il diritto di spegnere i dispositivi elettronici e ignorare le comunicazioni legate al lavoro fuori orario.

Perfino il Giappone nel 2021 ha introdotto la settimana corta nel suo Piano economico annuale. Una misura pensata sia per contrastare il fenomeno della morte per eccesso di lavoro – il cosiddetto karoshi, che secondo il Consiglio nazionale per la difesa delle vittime uccide 10mila persone all’anno -, sia per permettere alle coppie di fare più figli e ringiovanire una società sempre più vecchia.

In Italia

In Italia, finora, i test si sono limitati alle iniziative di alcune aziende. Intesa Sanpaolo ha proposto una settimana di quattro giorni da nove ore, a parità di retribuzione. Magister Group passerà da 40 a 32 ore nelle sue società Ali e Repas, Lavazza si è fermata ai venerdì brevi tra maggio e settembre.

“La notizia deve aprire anche in Italia un confronto tra le parti sociali”, ha dichiarato a Wired Roberto Benaglia, segretario generale dei metalmeccanici della Fim Cisl. “È tempo di regolare il lavoro, soprattutto nel settore manifatturiero, in modo più sostenibile, libero e produttivo. I salti tecnologici e organizzativi che la digitalizzazione e il lavoro per obiettivi stanno portando in tante aziende ci devono spronare. È possibile ripensare gli orari aziendali e ridurli non contro la competitività aziendale, ma alla ricerca di nuovi equilibri e migliori risultati”.

Sul tema dei mutamenti tecnologici insiste anche Joe Ryle di 4 Day Week Campaign: “L’economia non ha bisogno che lavoriamo ancora cinque giorni a settimana. La transizione ai cinque giorni è avvenuta 100 anni fa. Da allora l’economia si è trasformata”.




La Commissione europea mette al bando TikTok: la richiesta a tutti i dipendenti di disinstallare l’app

La Commissione europea mette al bando TikTok: la richiesta a tutti i dipendenti di disinstallare l'app

Dopo il bando del governo federale americano, anche l’Unione europea chiede ai suoi dipendenti di non usare.  TikTok: «Decisione sbagliata e basata su pregiudizi»

Mentre TikTok diventa sempre più popolare sugli smartphone – e non solo di quelli dei più giovani ma anche degli adulti – le preoccupazioni sulla sicurezza del social cinese non fanno che aumentare. Dopo il governo federale americano, anche l’Unione europea ha sollevato i suoi dubbi, che hanno preso forma in una richiesta formale a tutti i dipendenti della Commissione (uno dei tre organi dell’Ue insieme a Parlamento e Consiglio) di disinstallare l’app dai propri telefoni. Sia da quelli professionali sia da quelli personali. Chi proprio non potrà fare a meno di scorrere i video scelti dall’algoritmo di TikTok, potrà continuare a farlo solo sul dispositivo personale, assicurandosi però che tutti i documenti relativi al suo lavoro siano eliminati. Per il momento, come detto, la richiesta è arrivata soltanto ai dipendenti della Commissione europea, ma è altamente probabile che giungerà a breve anche a coloro che ricoprono cariche al Parlamento e al Consiglio.

«Estremamente attenti a proteggere i nostri dati»

«La Commissione europea è un’istituzione e come tale ha un forte focus sulla protezione della sicurezza informatica ed è su questo che abbiamo preso questa decisione», ha spiegato Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno. «Siamo estremamente attenti a proteggere i nostri dati» e precisa: «No, non c’è stata alcuna pressione dagli Stati Uniti». La decisione sul bando a TikTok, ha chiarito, è stata presa dal commissario Ue Johannes Hahn. I dipendenti avranno tempo fino al 15 marzo per disinstallare l’app.

La risposta di TikTok

Arriva il commento di TikTok: «Siamo delusi da questa decisione, che riteniamo sbagliata e basata su pregiudizi. Abbiamo contattato la Commissione per mettere le cose in chiaro e spiegare come proteggiamo i dati dei 125 milioni di persone che sono su TikTok ogni mese in tutta l’Unione Europe». Al Corriere Giacomo Lev Mannheimer, Responsabile Relazioni Istituzionali Sud Europa di TikTok, ha inoltre spiegato: «Riteniamo che questa decisione sia fondata su pregiudizi. Ci preoccupa e ci delude ancora di più il metodo: è stata una decisione improvvisa che non è stata preceduta da nessun confronto. Non è l’esito di un processo chiaro e trasparente, e non è stato specificato il capo d’accusa mosso, né è stata data possibilità d’appello». Mannheimer specifica anche come questa sia una decisione interna e non politica, ma comprende che possa destare preoccupazioni tra gli utenti: «Noi abbiamo un rapporto costante con la Commissione, il nostro Ceo è stato a Bruxelles due settimane fa. Abbiamo a cuore la sicurezza degli utenti in Europa e cerchiamo di fare sempre di più. Nel dialogo con l’Unione europea è stato ripetuto un grande messaggio: qui si rispettano le regole. E TikTok le regole le rispetta: finché siamo in quel campo di gioco rimaniamo sereni e fiduciosi».

Il bando del governo americano

La decisione dell’Unione europea di prendere precauzioni sul più popolare social cinese segue a quella del governo federale americano: lo stesso presidente Joe Biden ha chiesto a fine dicembre a tutti i dipendenti di disinstallare l’app dagli smartphone usati per lavoro. Un’imposizione che arriva dopo le precedenti decisioni di diversi Stati (dall’Ohio al New Jersey) ma anche del Pentagono di vietare l’app. Il motivo? Le tante preoccupazioni di sicurezza nazionale. Che non fanno che crescere soprattutto dopo l’avvistamento – a abbattimento – di una serie di palloni-spia che sorvolavano il territorio del Nord America. Secondo gli Stati Uniti, TikTok – e la società proprietaria ByteDance – potrebbero sfruttare il social installato su milioni di dispositivi per accedere ai dati personali dei cittadini americani, nonché – nel caso del governo federale – per accedere a informazioni riservate che transitano sui telefoni dei dipendenti. TikTok aveva risposto, attraverso le parole di un portavoce, descrivendo la decisione come «un gesto politico che non farà nulla per portare avanti gli interessi di sicurezza nazionale».

La battaglia di Trump

Ora anche l’Unione europea ha deciso di alzare il suo livello di attenzione su TikTok. E così stanno iniziando a fare anche alcuni Paesi membri, come l’Olanda, che sta considerando un bando dell’app per i suoi politici nazionali. Se per l’Ue questo è il primo atto politico contro la cinese ByteDance, nel caso degli Stati Uniti la pressione su TikTok prosegue da anni. Fu Trump il primo ad annunciare un bando dell’applicazione, scatenando le proteste non solo dalla Cina ma anche tra i giovanissimi utenti americani che consideravano inaccettabile rinunciare al social. Dopo settimane di caotiche dichiarazioni, si è passati a mesi in cui la società doveva garantire che i dati dei cittadini statunitensi rimanessero su suolo americano. Non si è ancora trovata una soluzione definitiva, ma con Biden si è tornati sul tema. Ci sono promesse ma non sicurezze sul fatto che questi dati non viaggino attraverso il Pacifico per raggiungere la Cina.

Dove finiscono i dati dei cittadini europei?

In Unione europea la questione è diversa. I nostri dati sono protetti dal GDPR – il regolamento europeo sulla privacy – che prevede tra le altre cose che i dati degli europei devono rimanere in Europa. TikTok, che ha già aperto un data center in Irlanda, sta pianificando di aprirne altri due per poter contenere le informazioni degli oltre 125 milioni di utenti attivi mensilmente nel nostro continente. Al momento è poco chiaro dove finiscano i nostri dati condivisi con il social. Sebbene ci siano state tante rassicurazioni da parte del Ceo Shou Zi Chew sia alle autorità Usa sia alle autorità Ue, un recente annuncio di cambiamento della privacy policy ha rivelato come in realtà i dipendenti di ByteDance abbiamo accesso ai dati degli utenti europei, «per garantire che la loro esperienza sulla piattaforma sia coerente, piacevole e sicura». Come riporta il Guardian, la stessa responsabile della privacy di TikTok in Europa, Elaine Fox, ha spiegato: «Sulla base di una comprovata necessità di svolgere il proprio lavoro, nel rispetto di una serie di solidi controlli di sicurezza e protocolli di approvazione, e attraverso metodi riconosciuti dal Gdpr, consentiamo ad alcuni dipendenti del nostro gruppo aziendale situati in Brasile, Canada, Cina, Israele, Giappone, Malesia, Filippine, Singapore, Corea del Sud e Stati Uniti, l’accesso remoto ai dati degli utenti europei di TikTok». Saranno davvero al sicuro e il Gdpr rispettato? Non c’è molta convinzione, vista la mossa dell’Ue.