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I segreti di Eliminalia, la “lavanderia” della reputazione online

I segreti di Eliminalia, la “lavanderia” della reputazione online

La trama inizia a disvelarsi con l’inoltro di un’email alla mia casella di posta, il 2 febbraio 2021. Proviene dalla redazione di Osservatorio Diritti, testata online con cui spesso ho collaborato. L’oggetto è un’inchiesta che avevo scritto l’anno precedente. La pubblicazione, si legge, risale a «quasi un anno fa, quindi configura un profilo inadeguato». Il pezzo manca «di interesse sociale ad oggigiorno». Al netto dell’italiano un po’ traballante, il concetto è chiaro: la storia è vecchia e inattuale. La permanenza online delle notizie contenute nell’articolo, secondo l’obiezione del mittente, non è di alcun interesse e danneggia invece il protagonista dell’articolo a norma del Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr). Non è messa in discussione la verità dei fatti, quanto l’opportunità di rappresentarli in quel modo.

La missiva offre tre possibilità: la rimozione per intero dell’articolo, la deindicizzazione (ovvero l’oscuramento dell’articolo agli occhi dei motori di ricerca), oppure la sostituzione delle generalità dell’assistito con le iniziali di nome e cognome.

Il pezzo della discordia, in realtà, è estremamente attuale, specialmente allora: parla di Piero Amara, ex legale esterno di Eni. La procura di Milano sospetta che abbia ordito, con altri complici, una trama per far deragliare il processo Opl 245. Le parole di Amara in quei giorni stanno spaccando la procura di Milano. Amara è la fonte che nel 2018 ha cominciato a rivelare i contorni di una presunta Loggia Ungheria, un sistema di potere che avrebbe avuto una grande capacità di influenzare la vita politica e giudiziaria del Paese, decidendo nomine e arrivando, in qualche caso, a influenzare l’andamento dei processi. Almeno fino al suo primo arresto nel febbraio 2018, è stato un depistatore reo confesso. Ancora nel 2023, le deposizioni di Amara continuano ad avere conseguenze giudiziarie. Resta ancora indagato o imputato in diversi procedimenti per calunnia, corruzione e frode fiscale.

Ho letto e riletto la mail, insieme a Marco Ratti, il direttore di Osservatorio Diritti. Non avevamo mai ricevuto un’email simile prima. Da un lato ci preoccupava, dall’altro, però, ci sembrava quasi “spam”. La firma in calce suonava posticcia:

Per quale motivo qualcuno di uno sconosciuto dipartimento che sembra legato alla Commissione europea avrebbe dovuto mandare un’email del genere? Perché non era un avvocato a prendersi carico della richiesta? Abbiamo così cominciato a cercare: l’indirizzo porta a un coworking di Bruxelles; Abuse-report.eu è un dominio inesistente; l’unico Raùl Soto di cui si trova traccia online è un deputato cileno che fa l’avvocato. Dopo una consulenza della legale dell’Ordine dei giornalisti di Milano, Marco ha deciso di ignorare la richiesta. Non c’erano scorrettezze, la notizia era ancora attuale.

Presa la decisione, l’email è finita immediatamente nel dimenticatoio sia per me, sia per Marco Ratti. A rileggerla oggi, appare invece come un presagio: messaggi simili sono diventati col tempo pressoché settimanali. Arrivano alle caselle di posta personali dei giornalisti e alle email delle redazioni, compresa la nostra. A volte sembrano “spam”, come quella di Raùl Soto; a volte prima di identificare l’articolo da rimuovere, cercano di instaurare un rapporto con i giornalisti, come se si trattasse di un favore da chiedere a un amico. Ogni email, che sia legittima o pretestuosa, va vagliata, perché contestare gli articoli è un diritto e correggerli in caso di errore è un dovere per chi scrive. Esiste il pericolo che altrimenti restino online dei contenuti effettivamente lesivi.

Trattare con attenzione i dati personali e glissare sugli aspetti del passato che non sono rilevanti per l’opinione pubblica sono due comportamenti prescritti dal Testo unico dei doveri del giornalista. Capita che, dopo la valutazione, qualche richiesta venga ignorata o che il nostro avvocato suggerisca una replica per respingere la richiesta al mittente. In entrambi i casi, segue spesso uno strano silenzio da parte degli scriventi.

L’inerzia, in realtà, è solo apparente: c’è un lavorio sotterraneo sugli url – le sequenze di lettere e numeri che identificano univocamente una pagina web – di cui nemmeno gli autori degli articoli o le testate si accorgono. È teso a “screditare” agli occhi di Google le notizie contestate, quindi farle scendere nella classifica dei risultati forniti dai motori di ricerca. Il lavoro è legale, per quanto a volte discutibile: chi cura l’immagine pubblica di aziende e volti noti può trovarsi a cercare di giustificare scelte ingiustificabili o cercare di cancellare indelebili macchie del passato. A svolgerlo al mondo ci sono circa duemila agenzie di “web reputation”.

Solo che alcune, come quella dell’avatar Raùl Soto, adottano tecniche fraudolente per arrivare al loro obiettivo. Negli ultimi anni, l’azienda per cui “lavora” Soto non solo si è specializzata nel manipolare l’indicizzazione dei siti web, ma ha anche cercato in silenzio di acquisire una fetta del mondo dell’informazione. Ha anche gestito clienti “in subappalto”, senza che questi ultimi ne fossero al corrente. Per scoprirlo, però, c’è voluto un database di 50 mila documenti che Forbidden Stories, l’organizzazione che ha coordinato l’inchiesta #StoryKillers, ha messo a disposizione di oltre cento colleghi grazie al supporto tecnico di Occrp.

Invisibile, scomparso, anzi peggio, in seconda pagina di Google

Qurium – The media foundation è un’organizzazione non profit registrata in Svezia che si occupa di proteggere media indipendenti e attivisti nel campo dei diritti umani. Tord Lundström ne è il direttore tecnico ed è stato consulente di Forbidden Stories per #StoryKillers. Insieme ai suoi colleghi, ha scoperto che le email di Raùl Soto e di altri alias partivano sempre dall’Ucraina, da un’organizzazione che si chiama Eliminalia ed è stata fondata nel 2013 dal giovane imprenditore Diego Sanchez Jimenez, meglio conosciuto come Didac Sanchez. Nel gennaio di quest’anno ha cambiato nome in iData Protection.

La sede principale è in Spagna, gli uffici sono in Italia, Ucraina, Messico, Bolivia, Repubblica Dominicana, Ecuador, Georgia, Portogallo, Taiwan, Turchia, Svizzera, Gran Bretagna e Stati Uniti. In un volantino pubblicitario del 2018, dichiaravano di avere oltre 900 clienti da tutto il mondo e di aver rimosso «10.000 link». La controlla una holding con sede a Kyiv, in Ucraina, la Maidan Holding, a cui appartiene una galassia che conta oltre 50 società impegnate in vari settori, con sedi in nove giurisdizioni diverse. La Maidan Holding controlla una fondazione, una banca, una società di analisi dei contenuti online, uno studio legale, una società d’investigazione privata e, sorprendentemente, anche delle cliniche per madri surrogate.

«L’orientamento e il contenuto della maggior parte delle vostre domande dimostra un approccio fazioso e disonesto», è stata l’unica risposta che hanno ottenuto i giornalisti dalla società.

Di certo, la mission di Eliminalia è far sparire ciò che non è gradito ai propri clienti. Cancellarli non è l’unica strategia. Infatti un contenuto è tanto più “di valore” – cioè in grado di ottenere più click – quanto più appare in alto nei motori di ricerca: il 92,81% degli utenti desktop, infatti, clicca solo le strisce che si trovano nella prima pagina di Google e fa lo stesso l’84,22% di quelli mobile, secondo il rilevamento del 2019 di Advanced Web Ranking. Stabilire che cosa esce nella prima pagina di Google significa quindi decidere che cosa la stragrande maggioranza della popolazione leggerà di un determinato tema.

Se Google fosse la Borsa dei contenuti online, quindi, le chiavi di ricerca sarebbero diversi listini “chiusi”, mentre gli url sarebbero i titoli azionari. Coloro i quali fanno scendere e salire le quotazioni degli url, gli operatori della Borsa di Google, sono i reputation manager. Secondo la percezione comune, l’algoritmo che stabilisce la classifica dei risultati del motore di ricerca è una cabala misteriosa. Almeno in parte, in realtà, esistono strumenti tecnici, come certi accorgimenti nel linguaggio o l’uso di certe parole chiave, che possono rendere un tema più o meno interessante per il motore di ricerca.

Un’altra credenza è che siano i personaggi popolari – i cosiddetti influencer – a rendere “virale” un contenuto. È vero per l’istante, ma non per il lungo periodo. I reputation manager sono i veri influencer di internet, professionisti che lavorano affinché i contenuti permangano stabilmente nella prima pagina dei risultati, e possibilmente fra i primi tre; sono ingegneri reputazionali, strateghi della comunicazione, broker che “vendono” al motore di ricerca le pagine web con i contenuti che più aggradano ai loro clienti.

Ma la Borsa ha impiegato secoli prima di dotarsi di un regolamento interno che proibisse la manipolazione del mercato, mentre internet solo adesso si sta accorgendo di quanto sia facile dirottare l’opinione pubblica dentro il mare delle pagine e post, troppo esteso e tempestoso per essere scandagliato in ogni angolo. Per ora quindi gli interventi sui motori di ricerca che abbiamo potuto rilevare non possono essere definiti illegali: sono acque ancora inesplorate, dove si sono avventurati solo alcuni pionieri.

Riciclatori di reputazione

I segreti di Eliminalia sono stati svelati attraverso un database di 50 mila contratti, scambi di email, screenshot di richieste a testate e piattaforme online per rimuovere contenuti e altri documenti. Al loro interno sono nominati circa 1.500 clienti provenienti da una cinquantina di Paesi, datati per lo più tra 2017 e 2021. Dai dati, emerge che per rimuovere un singolo link si pagano cifre tra duecento e duemila euro, a seconda dei casi. Ci sono 25 clienti che hanno sborsato più di 50 mila euro per ripulire la rete dal loro nome.

Tra i clienti stranieri ci sono banchieri condannati per riciclaggio, corruttori, trafficanti di droga, uomini dello spettacolo accusati di molestie sessuali, professionisti coinvolti in frodi finanziarie internazionali. Tra le banche, due casi rilevanti riguardano la Compagnie Bancaire Helvetique e Bandenia Plc: la prima è stata accusata di non aver impedito alcune operazioni di riciclaggio di denaro sporco, il direttore della seconda è stato condannato a quattro anni di carcere per aver ripulito i soldi di una trafficante di droga a settembre 2022. Ci sono imprenditori con un passato controverso. Ci sono riciclatori di denaro sporco.


Le sfumature dell’oblio

Il General data protection regulation (Gdpr) è un regolamento europeo che disciplina il trattamento e la circolazione dei dati personali di cittadini e organizzazioni. In vigore dal 25 maggio 2018 in tutta l’Unione europea, si pone l’obiettivo di porre fine al Far West della gestione dei dati. Il termine comprende non solo informazioni anagrafiche e di contatto ma anche informazioni sanitarie, coordinate geografiche, informazioni storiche sulla nostra vita online, l’orientamento sessuale, le appartenenze politiche o religiose e molto altro.

Per quanto sia ancora difficile metterlo pienamente in atto, il regolamento Gdpr è la più avanzata legge in materia di tutela della privacy esistente. È anche la base su cui si poggia la richiesta di rimozione di articoli dal web. Il cuore è l’articolo 17: semplificando, afferma che quando i dati personali sono usati al di fuori dei confini stabiliti da chi li ha concessi, allora si può chiederne la rimozione. Tra le eccezioni, però, la prima riguarda il caso in cui un dato sia necessario per l’esercizio della libertà di espressione e di informazione. Quale diritto debba prevalere è spesso una decisione da prendere caso per caso. Qui però si apre il conflitto tra interpretazioni diverse di quali siano le implicazioni di deindicizzare o anonimizzare. La tendenza più recente, in Italia e in Europa, è spingere verso un’applicazione più ampia del diritto all’oblio. La riforma della Giustizia che porta il nome dell’ex ministra Marta Cartabia ha ulteriormente allargato l’ambito dell’oblio: dal primo gennaio 2023, chi è stato archiviato o assolto può chiedere la deindicizzazione dei propri dati personali.

La Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa due volte, nel 2021, sul limite tra libertà di espressione e diritto all’oblio. In entrambi i casi – uno riguardante il sito italiano (oggi chiuso) Prima da noi, l’altro riguardante l’archivio online del giornale belga Le Soir – ha stabilito che la deindicizzazione non è in contrasto con la libertà di espressione. In particolare, nella sentenza che riguarda Le Soir, ha affermato che la misura non ha modificato l’articolo in sé, in quanto l’originale cartaceo non era modificabile, «ma solamente la sua accessibilità sul sito del giornale». Il rischio però è stabilire per le notizie una “data di scadenza” e rendere sostanzialmente impraticabile la costruzione di archivi online con articoli di cronaca giudiziaria. Sul tema torneremo nell’ultima puntata della serie #StoryKillers.


Il progetto #StoryKillers

La disinformazione è un mostro a più teste: censura, autocensura, minaccia fisica, minaccia legale. La disinformazione distorce i fenomeni, cambia la percezione dell’opinione pubblica sugli eventi, radica falsi miti nell’immaginario collettivo. Tra le teste dell’idra, c’è anche la deindicizzazione o la rimozione degli articoli, come dimostra un database di 50 mila documenti ottenuto da Forbidden Stories.

L’organizzazione francese ha coordinato più di cento giornalisti di trenta testate internazionali. L’inchiesta si intitola #StoryKillers, un progetto collaborativo che nasce per indagare i mercenari della disinformazione, a partire dall’omicidio della giornalista indiana Gauri Lankesh, editor del giornale Lankesh Patrike, avvenuto nel 2017.


Come opera Eliminalia

Eliminalia dispone di diversi strumenti per spingere o distruggere i contenuti.

Richieste di rimozioni articoli alle testate

Il primo strumento è il form utilizzato da Raùl Soto con Osservatorio Diritti. Anche IrpiMedia ne ha ricevuti diversi e non solo da Eliminalia. Il database di documenti ottenuto da Forbidden Stories conta centinaia di richieste simili inviate indicando come indirizzo email di contatto legal-abuse.eu@pec.it o italy@abuse-report.eu. La maggior parte sono a nome di Soto. Le richieste seguono un modello pre-configurato: la struttura e i riferimenti legali si ripetono e hanno un tono intimidatorio – anche l’indirizzo email indicato allude in modo fraudolento a un ufficio della Commissione europea.

A una lettura più attenta, però, le motivazioni della richiesta di diritto all’oblio non sono mai ben dettagliate tranne che per l’aspetto temporale: la notizia sarebbe «vecchia e irrilevante». Spesso non si specifica se effettivamente i dettagli relativi alla persona coinvolta siano scorretti o se la situazione processuale sia cambiata, sembra che nessuno abbia davvero letto il pezzo in questione. In alcuni casi, le richieste fanno riferimento a un potenziale reato di diffamazione, mentre in altri casi si parla solo di violazione dei dati personali in riferimento alla possibilità di esercitare il diritto all’oblio. Le richieste non sono accompagnate nemmeno dall’atto del cliente con il quale conferisce potere a Eliminalia di agire a suo nome, come è stato fatto notare dal Tribunale di Civitavecchia in una risposta inviata dopo aver ricevuto la richiesta da Raùl Soto.

Richieste di rimozione articoli a Google

Negli Stati Uniti la legge sul copyright si chiama Digital Millennium Copyright Act (Dmca). Dà la possibilità agli utenti di chiedere alle aziende con sede negli Usa che offrono servizi online, vedi Google, di rimuovere i link di contenuti copiati. Nel caso di Eliminalia, centinaia di richieste per rimuovere articoli in italiano sono state depositate spacciandosi per impiegati di gruppi editoriali, da Repubblica a Il Giornale, da La Stampa a Il Sole 24 Ore. Spesso Eliminalia copia e retrodata il contenuto che vuole sia rimosso.

Lo scopo è fare da esca con centinaia di blog e siti creati appositamente: attraverso l’articolo retrodatato chiedono la rimozione dell’originale. Se Google ci casca, l’obiettivo è raggiunto. Nel database di #StoryKillers risultano oltre duemila richieste di rimozione Dmca fatte da Eliminalia. Il proprietario della società di reputazione, Didac Sanchez, secondo diversi professionisti che abbiamo sentito, si è presentato come “l’inventore” dell’impiego delle false richieste per la violazione del copyright. Google, nelle risposte ai reporter di #StoryKillers, sostiene di opporsi attivamente alle richieste finte e afferma di accogliere principalmente quelle di giornalisti con un pregresso di domande già accolte. Ciò non toglie che Google, per il Dmca, possa ritenersi estraneo alla violazione solo se interviene dopo poco (l’azienda dichiara in media sei ore) che è al corrente di un contenuto copiato. Il fattore tempo, in casi “in bilico”, può quindi spingere per la rimozione. Rimettere online un contenuto rimosso è un procedimento molto difficile. Google riceve anche richieste di rimozione per violazione del Gdpr.

Secondo i dati della società, nel corso del 2022 sono state depositate 1,4 milioni di richieste per 5,3 milioni di link. Sono numeri doppi rispetto a quelli registrati nel 2017, e per i quali è impossibile stabilire gli effetti. L’aumento delle richieste è esponenziale, quello delle rimozioni ha una curva meno accentuata.

Costruzione e diffusione di fake news

Quando Eliminalia non riesce a far rimuovere i link allora cerca di farli scomparire “sotterrandoli” sotto una mole di articoli falsi che, sfruttando tecniche di posizionamento sui motori di ricerca, riescono a scalzare gli articoli legittimi spingendoli nel dimenticatoio della seconda o terza pagina di Google.

Qurium ha individuato oltre tremila articoli falsi, raccolti su 600 siti web, collegati ai nomi di 48 clienti di Eliminalia. Gli articoli includono il nome del cliente nell’url del link e riportano spesso il suo nome nel testo del pezzo. Il contenuto è totalmente inventato.

Tutti questi siti web presentano degli elementi in comune, come la stessa informativa privacy e pagina sui diritti d’autore, e tutti erano registrati in un primo momento a nome dell’azienda Communication Media Group Ltd, con sede in un business center del paradiso fiscale caraibico di Saint Kitts & Nevis. IrpiMedia ha verificato la presenza nel leak di screenshot che mostrano la tecnica in azione: in rosso sono indicati articoli negativi, in verde invece quelli positivi pubblicati su siti web sotto il controllo di Eliminalia che avanzano nei risultati di ricerca.

Backlinking

Tra le tecniche usate da Eliminalia per far scalare la classifica dei risultati ai propri articoli fasulli, c’è quella di condividere i link su forum e blog. Infatti, tra i fattori che Google tiene in considerazione per decidere la posizione di un link tra i risultati di ricerca c’è il backlink, ovvero quante volte quel link sia stato incluso in altri siti web. Un’inchiesta esclusiva finirà in alto tra i risultati anche perché tutte le altre testate includono il link all’inchiesta nei propri articoli. Per manipolare i risultati di ricerca si possono quindi creare backlink verso siti web fasulli. Qurium ha individuato un forum su cui Eliminalia ha postato migliaia di backlink per permettere di far scalare i risultati della ricerca ai propri articoli falsi. In questo modo le notizie rilevanti sarebbero sommerse dai risultati scelti da Eliminalia.




Un anniversario che parla alla tecnologia: perché Giordano Bruno ci aiuta a ridisegnare le intelligenze artificiali?

Un anniversario che parla alla tecnologia: perché Giordano Bruno ci aiuta a ridisegnare le intelligenze artificiali?

Ma bisogna davvero andare così lontano per dare un senso ai nuovi mondi digitali? Davvero sembra così eccentrica la potenza di Chat GPT che si basa su una memoria di 3 miliardi di lemmi e assetti cognitivi?

Oggi, nell’anniversario del rogo di Giordano Bruno potremmo forse ritrovarci in casa pensieri e materiali che renderebbero proprio la cultura italiana una delle matrici di quella direzione che ha preso la scienza e anche di strumenti in grado per ridare un’anima a quel processo tecnologico.

Proprio Bruno, anticipando quel secolo della matematica che si apriva mentre lui bruciava a Campo dei Fiori a Roma, aveva introdotto nel rinascimento italiano l’idea di memoria artificiale, come capacità di potenziare un’umanità aumentata, potremmo dire oggi. Una visione che lui contestualizzava in una cosmogonia che anticipava profeticamente la geometria del potere che la rete ha proposto quando scriveva nelle sue Opere magiche “nell’Infinito spazio possiamo definire centro nessun punto, o tutti i punti: per questo lo definiamo sfera il cui centro è ovunque”.

La radice di quanto ci circonda

Se questa è la radice di quanto ci sta attorno, perché non abitarlo questo mondo con confidenza e disinvoltura, sapendo di poter dominare e non di esserne ineluttabilmente dominati, perché lo abbiamo pensato e non solo contemplato.

Come ci spiega un grande analista dei testi bruniani quale è stato Aldo Masullo, recentemente scomparso e del quale proprio in questi giorni si ricorda i 100 anni dalla nascita, “Con Bruno il mondo cessa di essere un’idea e diventa un problema, che viene affrontato con la matematica”.

In questo sillogismo c’è tutto l’universo che abbiamo oggi intorno.

Proprio la problematicità del mondo, resa sempre più complessa dall’allargamento della popolazione che pretende di condividere modelli di vita e sistemi di assistenza che rende inevitabili i supporti tecnologici che permettono quest’estensione di attività.

E ancora Masullo, citando Bruno, aggiunge: la civiltà è conversazione. Esattamente quel paradigma che oggi diventa rete.

Cosa se non questa visione ellittica, per cui nel tempo dei poteri verticali e esclusivi, dall’impero al vicario di Cristo, porta un uomo ad attraversare quell’Europa per presentare ovunque, con ostinazione, questa straordinaria visione: ogni punto è centro e il mondo è concettualmente, prima che fisicamente, una sfera, dove il centro è ovunque.

La fragilità del tutto

Una concezione che proprio oggi ci troviamo dinanzi quando ci interroghiamo sulla confusione che regna nel pianeta: ma cosa rende tutto cosi instabile, precario, momentaneo? Cosa rende fragile i poteri, insicure le élites, incerte le istituzioni? Cosa fa sostituire i giganti della politica e della storia con un formicolare di nani così simili ad ognuno di noi? Cosa spinge ogni singolo uomo, anche il più derelitto e marginale, a poter interferire con i destini di tutti con una foto, un filmato, un tweet? Cosa ci fa vedere in diretta una guerra raccontata dalle sue vittime senza veli o filtri?

Sono considerazioni che ci potrebbero aiutare per un approccio più critico e consapevole a linguaggi e soluzioni che ineluttabilmente richiedono di potersi appoggiare a pensieri forti. Sono proprio quei pensieri, la matrice e la giustificazione dei meccanismi di intelligenza artificiale, che oggi diventano materia di conflitto e negoziazione per dare un’anima allo sviluppo di capacità che oggi cominciano a prendere forma e che cresceranno non secondo un determinismo incontrollabile, ma proprio in virtù del pensiero che sapremo metterci dentro. Avere nella nostra memoria e tradizione contributi quali quelli che ho ricordato non solletica solo la nostra vanità nazionale ma ci offre piste preziose per dare forma a percorsi e profili professionali più complessi, trasversali e competitivi.

Trovarsi dinanzi due giganti, come Giordano Bruno e uno dei suoi più lucidi analisti, quale Aldo Masullo, per un cronista che ha come unico titolo per impicciarsi della materia la sua origine nolana, è sempre temerario, ma, lo confesso, quanto mai lusinghiero. L’iniziativa che mi offre quest’opportunità, promossa dall’associazione degli amici di Aldo Masullo, nel giorno dell’anniversario del rogo di Bruno, mi permette di aggiungere agli interventi più autorevoli e prestigiosi una testimonianza corredata da due proposte operative, che spero, giustificheranno la mia presenza.

Collegamento fra Giordano Bruno e la rete

Nel suo libro “Giordano Bruno maestro di anarchia”, Aldo Masullo sostiene che c’è un collegamento tra l’opera di Giordano Bruno e il sistema moderno di comunicazione e di rete. Masullo sostiene che le idee di Bruno sulla pluralità dei mondi abitati, la natura infinita della materia e l’unità della conoscenza hanno influenzato la comprensione della comunicazione e della rete in molti modi.

Parola di Chat GPT

Non è mia questa constatazione sul pensiero di Aldo Masullo, che viene così sintetizzato cogliendo comunque il cuore ardito del  suo  contributo filosofico, ossia che il mondo digitale abbia una radice concreta e diretta con la riflessione rinascimentale e quel secolo del calcolo che fu il ‘600 e di cui Giordano Bruno è il più lucido e completo anticipatore.

Ad elaborarla è stata Chat GPT, a cui ho rivolto la domanda nel linguaggio più semplice e diretto: come valuti il contributo di Aldo Masullo nell’interpretazione di Giordano Bruno come filosofo della calcolabilità della vita?

L’ennesima acrobazia digitale in cui ormai tutti si cimentano, ma che nel nostro caso, oltre che confermare le stupefacenti proprietà del sistema ci offre un elemento prezioso.

Non è questa, infatti, la prova migliore di come sia oggi ancora più feconda e straordinariamente preveggente la capacità che ebbe Masullo di indagare questi anfratti dell’opera di Bruno che ancora rimangono sospesi?

La risposta del sistema

La risposta che avete ascoltato, e proseguendo il dialogo, cosa che vi invito a fare, avreste l’ebrezza di ritrovarvi dinanzi se non a lui direttamente, intendo Masullo, certo, ma sicuramente un modo di ragionare non dissimile da quello che Aldo ci ha trasmesso.

Scoprireste che pur in questa fase di collaudo di un prototipo in quale ci troviamo, l’argomentare del sistema di intelligenza artificiale si fa sempre più complesso e sottile nel cogliere le diverse sfumature dell’elaborazione sia di Aldo che di Bruno, come potete ricavare da questa altra risposta del sistema:

Ad esempio, Masullo sostiene che l’idea di Bruno che tutto è connesso e che la conoscenza è unitaria è simile all’idea di una rete globale di informazioni e conoscenze, come quella che esiste su Internet. Inoltre, l’enfasi di Bruno sulla libertà di pensiero e di espressione è simile alla natura aperta e libera della rete, che consente a tutti di condividere le proprie idee e di accedere a una vasta quantità di informazioni. In sintesi, secondo Masullo, c’è un collegamento fra le idee di Giordano Bruno e il sistema moderno di comunicazione e rete, e la sua opera contribuisce a comprendere come le idee filosofiche possano influenzare lo sviluppo della tecnologia e della società.

La catena Bruno-matematica-evoluzione-vita-digitale-Masullo viene qui confermata e circostanziata.

Squarcio profetico

Proprio quanto sta accadendo in queste settimane, con l’irruzione nella nostra vita di apparati di sapere e di memorie, ci dice che quella visione che Bruno ebbe della memoria artificiale, come ne parla nelle sue Opere Latine, è uno straordinario squarcio  profetico  che lo collega direttamente ai grandi ingegneri della nostra esistenza contemporanea, da Shannon a Turing a Minsk a Mc Luhan–  i padri di quello che Walter Benjamin avrebbe definito: la ragione umana al tempo della sua riproducibilità tecnica.

Sistema algoritmico e panteismo razionale

Poter dialogare con un sistema algoritmico che in tempo reale ti risponde  con linguaggio naturale in maniera pertinente, approfondita e problematica, realizzando quelle sinapsi che riconosciamo come umane non è esattamente la proiezione di quel cervello complessivo che venne intuito da Bruno come sostegno del panteismo razionale che elaborava? Non è per chi ci crede un modo per rintracciare l’orma di Dio nel mondo? E sentirsi dire da questo sistema intelligente che certo Bruno è il padre del mondo digitale  e che Masullo lo rileva prontamente nella sua opera, non  ci dice anche come sia profondamente radicato questo connubio nella comunità del sapere globale a partire dalla sua radice Nolana?

Come sapete Chat GPT al momento lavora su un corredo di tre miliardi di concetti ed espressioni semantiche memorizzate, da cui ricava le sintesi che ci propone. Diciamo esattamente quella memoria universale di cui vagheggiava Bruno.

Questo significa che nel senso comune del sapere del pianeta questa connessione fra i nodi concettuali che ho richiamato prima- Bruno/matematica/evoluzione/Vita/Digitale/Masullo- è consolidata. Paradossalmente lo è meno in Italia e per niente a Nola.

Chi mi ha invitato sa bene cosa pensi del modo in cui viene valorizzato e gestito questo patrimonio inestimabile del pensiero bruniano, ora arricchito anche dalla straordinaria eredità di Aldo Masullo, quindi se nonostante questo sono stato fatto entrare in questa sede vuol dire che sono autorizzato ad entrare nel tema. E lo farò in chiusura.

Prima vorrei però, rispondendo al compito che mi è stato assegnato da bravo bidello, focalizzare meglio il concetto che ChatGPT ha colto come fondante della relazione Bruno/Masullo: un pensiero che genera una realtà, persino divina.

Una relazione sia di dottrina ma anche di sensibilità.

Cogito ergo riproduco

Come Bruno, infatti Masullo riflette e analizza con originalità proprio la genesi del pensiero come prodotto umano. Lui decodifica l’incarnazione del pensiero individuale non come una pratica biologica, ognuno con il cervello pensa, ma come un destino della differenza della nostra specie che è il pensiero individualmente comunicante. In questo dobbiamo dire che Masullo è stato uno dei filosofi più attuali della nostra accademia.

Non solo cogito ergo sum, ma cogito ergo riproduco.

Vi è molto, se non tutto, di queste sue pionieristiche intuizioni, in cui con padronanza e grande libertà, ibridava tradizione e futuro, già nelle prime righe del suo ultimo saggio “ Giordano Bruno maestro di Anarchia”, dove instaura un’identità fra Bruno e Kant nella descrizione di un individuo ragionante libero perché responsabile. Un individuo che potenzia la sua libertà ragionante e responsabile con strumenti e ambizioni, questo mi pare il passaggio fondamentale che Masullo illumina dell’elaborazione bruniana, dando così una base sociale, alla cosmologia in cui non vi è centro perché tutti i punti lo sono. Proprio il punto di appoggio su cui è stato costruito fisicamente e teoricamente il sistema reticolare con cui oggi viviamo.

“Giordano Bruno Maestro di Anarchia”

Un testo, questo di “Giordano Bruno Maestro di Anarchia”, che mi è particolarmente caro, e per questo ringrazio gli amici dell’associazione Aldo Masullo che mi hanno regalato quest’opportunità di parlarne quasi che potessi aggiungere cose a quella materia ancora fluida e fosforescente.

Ma il mio legame a quel testo è il risultato della sua incubazione, contemporanea ad un periodo di chiacchierate avute con lui nella sua casa al Vomero, o in occasioni pubbliche, procurate anche da quell’impresario di cultura che è Gianfranco Nappi, o in incontri privati che mi sono stati concessi.

Tappeti digitali

In queste chiacchierate, non senza petulanza, cercavo di vendergli i miei tappeti digitali, riproponendogli quella suggestione che proprio a Nola, in occasione dell’unica edizione della Biennale di studi bruniani, provammo ad imbastire con Derrik De Kerkhove, il discepolo di Marshal Mc Luhan, grande cultore del monaco nolano, circa la primogenitura di Bruno rispetto ai linguaggi ipertestuali e all’ibridazione del calcolo con la sua filosofia.

Ritrovare poi nelle dense pagine di quel libro, la sua ultima fatica, l’eco  di una sua personale e affilata, come sempre, riflessioni innovativa che riconosceva come fondate le tesi forgiate  in quella direzione dai Media Studies, fondati da Marshal Mc Luhan, a cui mi richiamavo, assumendole come contributo per una nuova visione di Bruno, segnata, al nascere del nuovo millennio, proprio dall’evoluzione del linguaggio della matematica come forma di comunicazione sociale, non poteva non elettrizzarmi.

E’ ovvio naturalmente che nulla centravano le mie intrusioni a casa di Aldo, lo dico per evitare che qualcuno stia cercando uno scolapasta da mettermi in testa. Nulla poteva certo suggestionare Aldo delle confuse cronache di un giornalista in cerca di conferme, mentre si ritrova in quella sua temeraria attività speculativa quell’indomabile curiosità eversiva che lo portava a misurarsi con ogni latitudine di un pensiero che lo colpiva.

Una curiosità, la sua, che mi permise di passare qualche ora in più con lui. Un patrimonio di insegnamenti e ricordi che costantemente sto riassaporando come un privilegio esclusivo.

In quel testo nell’ambito del collegamento di cui accennavamo prima fra Bruno a Kant torna rimbombante la celeberrima citazione di Bruno  per cui  “nell’Infinito spazio possiamo definire centro nessun punto, o tutti i punti: per questo lo definiamo sfera il cui centro è ovunque” da Le Opere Magiche. Quella che io ritengo, senza forzare o violentare né la logica né la storia, la più preveggente, lucida e icastica definizione di quella rete  che sta organizzando da almeno tre decenni la nostra vita.

Con Bruno, scrive Masullo, Il mondo cessa di essere un’idea e diventa un problema, che viene affrontato con la matematica. In questo sillogismo c’è tutto l’universo che abbiamo oggi intorno. Proprio la problematicità del mondo, resa sempre più complessa dall’allargamento della popolazione che pretende di condividere modelli di vista e sistemi di assistenza che rende inevitabili i supporti tecnologici che permettono quest’estensione di attività.

E ancora Masullo, citando Bruno, aggiunge: la civiltà è conversazione. Esattamente quel paradigma che oggi diventa rete.

Cosa se non questa visione ellittica, per cui nel tempo dei poteri verticali e esclusivi, dall’impero al vicario di Cristo, porta un uomo ad attraversare quell’Europa per presentare ovunque, con ostinazione, questa straordinaria visione: ogni punto è centro e il mondo è concettualmente, prima che fisicamente, una sfera, dove il centro è ovunque.

Una concezione che proprio oggi ci troviamo dinanzi quando ci interroghiamo sulla confusione che regna nel pianeta: ma cosa rende tutto cosi instabile, precario, momentaneo? Cosa rende fragile i poteri, insicure le elites ,incerte le istituzioni? Cosa fa sostituire i giganti della politica e della storia con un formicolare di nani così simili ad ognuno di noi? Cosa spinge ogni singolo uomo, anche il più derelitto e marginale a poter interferire con i destini di tutti con una foto, un filmato, un tweet? Cosa ci fa vedere in diretta una guerra raccontata dalle sue vittime senza veli o filtri?

Di cosa ci parla quella filosofia nolana se non di questa nuova geometria delle relazioni sociali, di questo accorciamento delle distanza, di questo caotico addensarsi di moltitudini attorno a tematiche che forse non conoscono, ma che sanno bene che comunque di loro si occupano chi le conosce?

Bruno non è stato un sovversivo della politica, sappiamo che non la politica ma il sapere era il campo della sua sovversione.

Nel Candelaio “Il mondo sta bene come sta”

Mentre scriveva nel Candelaio “Il mondo sta bene come sta” poi ripeteva che imperi e religioni devono essere parte e non primato nell’umanità. Era quello il livello dello scontro, il più alto.  Masullo legge prima e meglio di altri questa contaminazione di Bruno con il nostro tempo e ne parla ai giovani. A quei giovani a cui non guarda mai con rancorosa recriminazione. Non gli mette mai in conto la loro irritante vitalità rispetto alla nostra decadenza. Ne riconosce la coerenza con i tempi e la relatività nelle culture. Come è stato per tutti i giovani che si sono succeduti nella storia del mondo.

Ma , tornando alla sua lettura di Bruno, Aldo nel suo libro insiste con l’altro suo grande diffidente amore, Hegel, quando scrive: “Per Hegel la filosofia è il proprio tempo appreso in pensieri”, e  oggi il tempo diventa pensiero con i calcoli; allora possiamo dire che quella straordinaria corsa cognitiva che vede da Pico e Ficino, attraverso Bruno, traghettare l’occidente nel secolo delle rivoluzioni scientifiche – il ‘600 di Galilei, Leibniz, Pascal, Newton, che accreditano la capacità di osservazione e di misurazione come metro dell’avventura umana – sia cadenzata proprio dall’ondivaga convergenza del pensiero filosofico con la potenza di calcolo.

In balia dell’automatismo

Oggi che il sistema computazionale si è impossessato delle nostre vite, condizionando, prevedendo e prescrivendo comportamenti e decisioni, diventa indispensabile, per rintracciare antidoti e vaccini ad una subalternità che rischia di identificarsi con un salto di genere della stessa natura umana, mettere a fuoco le matrici di un pensiero dialettico rigorosamente critico degli automatismi digitali per riportare la scienza nel novero delle forme di liberazione e civilizzazione dell’intero genere umano come appunto Bruno e Galileo avevano intuito.

Dai demoni di Alan Turing e del suo partner nella decodifica di Enigma Claude Shannon, fino a tutti gli attuali principi dell’algoritmo, da Bezos di Amazon a Larry Page e Sergey Brin di Google al contestatissimo Mark Zuckerberg di Facebook, fino a Chat GPT di queste ore, rintracciamo una inestirpabile radice di umano tormento nell’apparentemente idilliaco mondo dei numeri che governano.

Non a caso qualcuno ha annoverato Giordano Bruno nella schiera di quegli UFO che, come Leonardo, o Eistein, sarebbero stati inviati sulla terra da “infiniti mondi” che ci sorvegliano, e bonariamente, ci aiutano nei momenti di crisi del pianeta terra.

La sua opera ha più di un aspetto soprannaturale. A cominciare dalla caparbia e lucida autonomia intellettuale che ha portato il gran Nolano al rogo. Masullo ne incontrò la fascinazione della sua visione. Oggi ne dobbiamo constare la sorprendente preveggenza delle sue argomentazioni.

Un festival della panpatia a Nola

Fra queste recupero quella definizione che Masullo, nel pieno della pandemia, diede di un diverso approccio alla malattia che chiamò “Panpatia”. Un modo in cui la società diventava la prima terapia. Perché allora non recuperare questa visione promuovendo a Nola un festival internazionale della panpatia, per rendere patrimonio e proposta un modo di vivere l’emergenza come progresso e non regressione?

Aggiungo poi una vecchia traccia di lavoro, che oggi mi appare ancora più concreta e necessaria.

Con La fondazione Internazionale Giordano Bruno, quasi 15 anni fa volevamo con Nuccio Ordine e appunto Gianfranco Nappi attivare proprio l’attualità del pensiero bruniano in un contesto dove l’innovazione cercava sempre più insistentemente radici etiche e filosofiche. L’idea era ridare forza e efficacia  alle intuizioni bruniane nel nuovo mondo delle memorie artificiali di cui lui parlava  5 secoli fa. Oggi mi pare plausibile riproporre quell’idea: “usare” la scia di Bruno, per rendere il monaco il motore di un rilancio del marchio Nola a livello globale. Concretamente, proprio constatando come la rete ci vede come ci considera, la proposta è quella di lavorare ad un istituto di alta formazione del pensiero Bruniano sui linguaggi ipertestuali e le memorie artificiali da intitolarsi ad Aldo Masullo.

Una proposta che non è di nessuno se non dell’intelligenza diffusa che Masullo ha seminato, che sarà formattata da chi la prenderà in mano, a cominciare spero dal sindaco e poi dalla Fondazione Giordano Bruno e ancora dalla Città metropolitana guidata da un nolano.

Se non ora quando e se non noi chi?




Principali tendenze e previsioni per il marketing digitale nel 2023

Principali tendenze e previsioni per il marketing digitale nel 2023

Senza dubbio il 2023 sarà un anno in cui dovremo essere ancora più focalizzati.

Le sfide e i disagi causati dalla pandemia, dalle tensioni geopolitiche e dall’incertezza economica lo renderanno un anno unico nel suo genere.

Le aziende non possono, però, mettere in pausa la pianificazione per il 2023 e aspettare di vedere come si svilupperà la situazione. Per continuare a crescere e sopravvivere, i leader aziendali devono mettere in atto strategie sin da ora. E il marketing ha un ruolo importante da svolgere.

Per aiutare la tua attività a trovare chiarezza in un mare di incertezza e andare avanti con fiducia, ho chiesto ai leader di Google di farci partecipi delle principali tendenze e previsioni di marketing per il 2023. Spero che i loro approfondimenti ti aiutino a orientarti mentre ci avviciniamo al nuovo anno.

Piani media più inclusivi

Black-and-white headshot of contributor Nishma Robb, Senior Director of Marketing, Brand, and Reputation at Google U.K.

Il settore pubblicitario si è concentrato molto su una rappresentazione più inclusiva in ambito creativo negli ultimi anni. Questo lavoro deve ora estendersi ai piani media. Non è solo importante che le persone sentano affinità con chi vedono e ascoltano, ma, soprattutto, è fondamentale che l’esperienza si svolga in ambienti a loro familiari.

A intralciare la stesura di piani media inclusivi, tuttavia, possono intervenire pregiudizi involontari. Per poter veramente coinvolgere un pubblico eterogeneo ed entrare in sintonia con quest’ultimo, i professionisti del marketing devono affrontare questi preconcetti e includere nelle campagne, in tutta la loro ampiezza, i contenuti fruiti dal loro pubblico.

Quest’anno abbiamo notato che inserzionisti come Domino’s e Diageo hanno rivalutato significativamente le loro scelte di posizionamento sui media e hanno ampliato i momenti in cui appaiono i loro annunci, per entrare meglio in contatto con tutto il loro pubblico. Per farlo, hanno rimosso le esclusioni di parole chiave e argomenti che contenevano potenziali preconcetti e hanno investito in modo proattivo in voci autorevoli e publisher selezionati con cura.

Nel 2023 i brand dovrebbero effettuare un audit del loro piano media. Valuta se il mix di canali e publisher raggiunge l’ampiezza del pubblico previsto ed esamina eventuali pregiudizi nelle esclusioni di parole chiave e argomenti. Considera anche quale azione affermativa può essere intrapresa per supportare in modo autentico le voci e le comunità sottorappresentate.

Pubblicità con uno scopo

Black-and-white headshot of contributor Mailine Swildens, Director of Creative Works in Europe, the Middle East, and Africa at Google.

Le persone danno priorità alla sostenibilità e vogliono che i brand le aiutino a rendere le scelte sostenibili più gestibili. Si aspettano, inoltre, che le organizzazioni intensifichino il loro impatto sulla società e mantengano le promesse quando passano all’azione. In risposta, vediamo che i brand passano dal semplice cercare di ridurre al minimo il proprio impatto ambientale a concentrarsi su uno scopo di più ampio respiro. Stanno assumendo un ruolo più attivo per evidenziare cause importanti e ispirare l’azione.

Il brand di cibo per gatti Sheba, ad esempio, si è assunto il compito di salvare il pesce a livello mondiale e per farlo ha utilizzato una campagna pubblicitaria innovativa. Il team ha lanciato il più vasto programma al mondo per ripristinare le barriere coralline realizzando video sul lavoro svolto e utilizzando le entrate pubblicitarie di YouTube per contribuire a finanziare la campagna.

Per altri brand, lo scopo è anche la loro ragion d’essere. L’azienda francese Back Market ha sfruttato il mantra di “riutilizzo, riduzione, riciclo” in risposta alla quantità di rifiuti elettronici nella società. Ha creato un’economia circolare con il suo marketplace online per dispositivi tecnologici ricondizionati volto a ridurre l’impatto ambientale del settore. I loro annunci comunicano in modo intelligente questo scopo.

Quando allinei la pubblicità a uno scopo, evita il “purpose-washing”. L’impegno per le cause deve essere autentico, a lungo termine e rafforzato da azioni che vanno oltre le parole.

Privacy e serenità d’animo

Black-and-white headshot of contributor Matt Brittin, President of Europe, the Middle East, and Africa at Google.

Nel 2023 le attività dovranno differenziarsi e nello stesso tempo affrontare la concorrenza in un mercato incerto. Dovranno dimostrare i loro valori per mantenere e acquisire clienti. Ora che le persone gestiscono più che mai la vita quotidiana online, la privacy in questo canale non è mai stata così importante.

L’anno scorso abbiamo condotto un sondaggio su oltre 7000 europei e abbiamo scoperto che, quando i brand rispettano la privacy del pubblico, i loro annunci hanno un rendimento migliore. Quest’anno abbiamo approfondito la nostra analisi: abbiamo chiesto a 20.000 persone quali fossero le conseguenze di esperienze di privacy positive e negative.

Abbiamo scoperto che le esperienze di privacy incidono sulla fiducia degli utenti. Siamo rimasti sorpresi nell’apprendere quanto possa essere dannosa una cattiva esperienza di privacy online. I consumatori considerano le cattive esperienze sulla privacy dannose quasi quanto un furto dei loro dati. È sufficiente per far passare il 43% di loro a un altro brand.1

Le esperienze online devono essere fornite garantendo la privacy che le persone si meritano, da brand di cui possono fidarsi. Nel 2023 assicurati di fornire ai clienti tutto il necessario perché siano e si sentano in controllo dei propri dati. Quando manca loro il controllo sui propri dati, le persone diventano scettiche nei confronti del marketing digitale. Fornisci strumenti accessibili e comprensibili che i clienti possono utilizzare per gestire la propria privacy, ogni volta che lo desiderano.

È il mondo della generazione Z, noi siamo solo ospiti

Black-and-white headshot of contributor Julia Hoffmann, Director of Create Lab for Europe, the Middle East, and Africa at Google.

La generazione Z è la prima a essere completamente cresciuta con Internet e il modo in cui naviga e interagisce online è in continua evoluzione. Le piattaforme più rilevanti per questa generazione oggi sono quelle dinamiche e con contenuti altamente visivi, che soddisfano le loro mutevoli esigenze in modi nuovi e innovativi. La generazione Z esprime preferenze rispetto ai luoghi e ai modi in cui vuole impegnarsi e lo fa con la sua presenza nelle occasioni più importanti per lei.

Ecco perché la nostra ultima campagna rivolta alla generazione Z promuoveva un nuovo modo di cercare le immagini. “Find that thing” era una celebrazione della ricerca visiva, che offriva a questo pubblico orientato alle immagini un modo di utilizzare Google Lens per trovare gli oggetti indescrivibili che cercava. Abbiamo creato diversi video nati dalle tendenze della generazione Z, dalla moda (stivali da cowboy) agli interessi (pattini a rotelle) passando per gli artisti (Aitch), adattandoli alle specifiche piattaforme social.

Nel 2023 non cercare di portare il pubblico della generazione Z nel tuo mondo, ma incontralo nel suo. Comprendi i suoi bisogni insoddisfatti, dai la priorità a pertinenza e autenticità piuttosto che alla singolarità omogenea e abbraccia la varietà di mondi visivi in cui si muove.

Esperienze di realtà aumentata

Black-and-white headshot of contributor Stephanie Horton, Global Marketing Director of Commerce at Google.

La pandemia ha fatto registrare un’impennata dello shopping online, che ha accresciuto (come previsto) l’importanza per i brand di essere innovativi negli ambienti offline. Nel 2023 l’esperienza del cliente in negozio dovrebbe aggiungere un valore unico. Si tratta di incoraggiare le visite nel negozio fisico parallelamente allo shopping online.

La realtà aumentata (AR) e altre esperienze immersive sono diventate fondamentali per raggiungere questo obiettivo. L’aumento dell’uso della tecnologia AR significa inoltre che nel 2023 si diffonderà sempre più la domanda di esperienze coinvolgenti da parte dei consumatori. In effetti, le previsioni indicano che più di un terzo della generazione Z farà acquisti con l’AR entro il 2025.

Alcuni brand hanno già sperimentato campagne AR. Miss Dior ha incoraggiato gli acquirenti a utilizzare Google Lens in negozio per creare un giardino AR di fiori che sbocciano. Burberry ha celebrato la sua collezione Olympia con un negozio pop-up da Harrods in cui le persone potevano usare lo smartphone per dare vita a una statua della dea greca Elpis. Queste esperienze non devono essere limitate ai negozi. L’API ARCore Geospatial consente ai brand di utilizzare il mondo come se fosse la tela di un pittore, ancorando contenuti creativi a luoghi reali.

Inizia oggi stesso a creare e testare esperienze coinvolgenti con gli smartphone. Ti troverai in una posizione di vantaggio quando l’adozione dell’hardware AR emergente, come gli occhiali, si diffonderà maggiormente.

Le superapp creano grandi aspettative (per le app)

Black-and-white headshot of Pendo O’Donohoe, Director of Large Customers for the Middle East and Africa at Google.

Le superapp sono applicazioni mobile multifunzionali con una gamma di funzionalità diverse racchiuse in una sola, come marketplace, messaggistica e servizi di pagamento. Sono già salite alla ribalta in Asia e nel settore della tecnologia finanziaria in Africa, dove hanno aperto le porte all’inclusione finanziaria. Nel resto del mondo non sono ancora così note, ma alcuni brand ci stanno provando. Il retailer statunitense Walmart, ad esempio, sta costruendo la sua versione di superapp proprio in questo momento.

Questo non vuol dire che ogni app si presti a essere super o debba esserlo per forza. Tutti i professionisti del marketing possono però imparare da come le superapp stanno sconvolgendo lo status quo nel mobile, creando aspettative più elevate per le app e le esperienze mobile nel loro complesso. Un loro aspetto fondamentale è che ci dimostrano che le persone cercano la comodità. Le superapp occupano meno spazio di archiviazione sul dispositivo rispetto a più app distinte e non costringono gli utenti a passare da una all’altra.

Nel 2023 cerca di capire come rendere più comoda la tua esperienza con l’app. Evita di creare un’app dedicata a cui le persone accedono una volta e che poi eliminano. Crea, invece, un’app olistica, incentrata sul cliente, che consolidi le funzionalità e costringa gli utenti a integrarla nella loro vita quotidiana.




Il design è lo strumento dell’impresa per governare l’era della complessità

l design è lo strumento dell’impresa per governare l’era della complessità

Le Imprese si trovano oggi a navigare nelle difficili acque dell’Era della complessità. Si tratta di un Tempo ostico e destabilizzante, che assiste al tramonto di vecchi e rassicuranti punti di riferimento e ancora non vede il sorgere di nuovi e affidabili punti fiduciali. Lo stesso concetto di complessità costituisce un interrogativo. La difficoltà nel codificare l’idea di complessità appare confermata da Edgar Morin, ritenuto il massimo studioso del fenomeno, il quale ha scritto – non senza un filo di ironia – che “la parola complessità esprime contemporaneamente la situazione contorta della cosa designata e l’imbarazzo di chi parla, la sua incertezza nel determinare, chiarire, definire, e, infine, la sua impossibilità a farlo” (La sfida della complessità, 2021, 27). Conseguentemente “la parola complessità, nel suo uso banale, significa tutt’al più “non è semplice, non è chiaro, non è bianco né nero, non bisogna fermarsi alle apparenze, ci sono dubbi, non si sa bene” (ibidem).

Alessandro Cravera, in “Allenarsi alla complessità”, richiamando “La sfida della complessità” di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti, scrive che “si ha complessità quando sono inseparabili i differenti elementi che costituiscono un tutto” (2021,19).

Ai fini del presente scritto possiamo, con grossolana approssimazione, individuare l’essenza della complessità nella straordinaria quantità di interconnessioni e di interazioni proprie del Contemporaneo, caratterizzate dal sovrapporsi e dal contaminarsi di elementi molto diversi tra di loro, tradizionalmente viaggianti su binari autonomi e distinti.

Nella Società dei nostri giorni, infatti, si vive costantemente immersi in un flusso ininterrotto di messaggi, stimoli e informazioni, con un progressivo assottigliamento dei confini tra lavoro e tempo libero, economia e cultura, politica e comunicazione, verità e narrazione, scienza e spettacolo, etc.

Questo fenomeno ha un impatto forte sull’Impresa, che deve affrontare grandi e rapidi cambiamenti, sia nel suo funzionamento interno sia nelle sue funzioni esterne.

Sul versante interno, l’azienda diventa un vero e proprio crocevia di dinamiche e di materie diverse e distanti, alcune delle quali tradizionalmente estranee al suo ambito: dalla comunicazione all’arte, dal welfare alla governance. Sul versante esterno, l’Impresa è chiamata a svolgere un ruolo su temi che solo pochi lustri addietro difficilmente sarebbero stati associati alla mission aziendale: dall’ambiente al sociale, dalla cultura alla politica.

Le profonde trasformazioni che oggi interessano l’azienda hanno origini diverse e solo parzialmente sovrapponibili. Una spinta importante, nell’allargamento del raggio di azione dell’Impresa, proviene senz’altro dai dettami della corporate social responsability, ossia da quella innovativa visione che vede le aziende come fondamentali player anche nell’ambito del sociale, non in funzione del profitto, ma a favore dell’intera collettività. Il concetto di corporate social responsability, in buona sostanza, si traduce in un inedito dovere dell’Impresa di andare oltre quelli che sono i suoi interessi economici e di occuparsi anche del benessere dell’intera collettività.

L’azienda, poi, oggi deve ripensarsi e riorganizzarsi alla luce del pervasivo paradigma della sostenibilità, punto di snodo ineludibile per le imprese che vogliono mantenere e alimentare la propria competitività sui mercati.

La sostenibilità, come noto, rappresenta per sua stessa natura un fenomeno dalla natura articolata e complessa, declinandosi e dispiegando i suoi effetti lungo tre distinti versanti: quello ambientale, quello economico e quello sociale. Così, nella valutazione di un’azienda, rivestono un peso sempre più determinante i cosiddetti fattori extra finanziari, usualmente riassunti con la formula ESG: Environmental, Social e Governance.

Luca Dal Fabbro, in “ESG, La Misurazione della Sostenibilità” (2022), acutamente illustra “cosa sono i fattori ESG: 

Environmental – I fattori ambientali riguardano il mondo che ci circonda: rifiuti e inquinamento, esaurimento delle risorse naturali, preservazione della biodiversità, emissione di gas serra, deforestazione, cambiamento climatico.

Social – I fattori sociali riguardano come le aziende e gli Stati trattano le persone: relazione con i dipendenti, condizioni di lavoro, compreso il lavoro minorile e la schiavitù, finanziamento di progetti o istituzioni che serviranno le comunità povere e sottosviluppate a livello globale, salute, sicurezza, gestione dei conflitti sociali.

Governance – I fattori di governance racchiudono il complesso delle strutture, delle regole e delle strategie che presiedono alla guida di un’azienda o di uno Stato: strategia fiscale, remunerazione dei dirigenti, donazioni e pressioni politiche, strategie anti-corruzione, diversità e struttura di governo aziendale e statale” (19).

La sopravvenuta varietà ed eterogeneità delle ricadute esterne dell’attività d’impresa ha, negli ultimi anni, trovato una sua interessante coniugazione nel concetto di Impact Economy.

L’Impact Economy, in estrema sintesi, rappresenta un modello economico che aggiunge ai due tradizionali pilastri del rischio e del rendimento quello dell’impatto, tanto ambientale quanto sociale.

Giovanna Melandri, da tempo impegnata sull’argomento, ha dichiarato in una intervista a Pandora: “L’impact economy è il paradigma che consente al capitalismo una exit strategy. Queste nuove direzioni si definiscono con l’ottimizzazione non solo del rischio e del rendimento, ma aggiungendo a queste due dimensioni quella dell’impatto. L’impatto è il punto centrale e – volendo essere provocatori e lanciando uno spunto che meriterebbe un approfondimento ulteriore – ciò che importa non è tanto se un’organizzazione economica è profit o non profit, quello che importa sono la generatività e l’impatto che produce” (27 marzo 2022).

Dice la medesima Autrice, nel saggio “Ripartire Insieme”, firmato insieme a Isabella Guanzini: “Per generare il cambiamento profondo che serve non possiamo che dotarci di una lente a tre dimensioni: a quelle tradizionali del rischio e del rendimento finanziario bisogna aggiungere, in maniera strutturale, definitiva e universale quella dell’impatto generato, sia ambientale che sociale, una tripla elica, dunque: rischio-rendimento-impatto” (2023, 24).

Scrive Ronald Cohen: “Il termine “impatto sociale” è riferito all’incremento sia del benessere degli individui e delle comunità, sia della loro capacità di avere una vita produttiva. Rappresenta un autentico progresso sociale: istruire i giovani, dare da mangiare agli affamati, curare i malati, creare posti di lavoro e fornire ai poveri il necessario per vivere” (Impact, 2022, 19).

E aggiunge: “L’espressione “impatto ambientale” significa proprio quello che suggerisce: sono le conseguenze positive per il pianeta delle attività delle imprese e degli investimenti. In parole povere, stiamo preservando il mondo per consegnarlo alle generazioni future in modo che possano beneficiarne e affidarlo a loro volta a quelle successive” (ibidem).

Le funzioni svolte dalle Imprese nell’ambito della società sono ormai talmente vaste, centrali e trasversali che ci si spinge addirittura a ragionare su ipotetiche e inesplorate forme di impegno delle aziende nella gestione della cosa pubblica.

Personalmente, in un articolo pubblicato alcuni mesi addietro su Lanterna, sono giunto a ipotizzare – in modo largamente provocatorio – una assunzione di responsabilità diretta da parte delle Imprese nel campo della Politica:

“Le Aziende oggi non si limitano a guardare al proprio business, ma sono capaci di visioni lunghe, di spinta ai processi di innovazione, di attenzione alle esigenze del sociale. Le Imprese, a ben guardare, sono già chiamate – sotto vari aspetti – ad impegnarsi per realizzare una società diversa, che sia più giusta, equa e sostenibile.

È ora che le Aziende dismettano il ruolo di meri osservatori delle devianze e delle patologie del Palazzo e che vengano coinvolte in modo trasparente nei meccanismi della Cosa Pubblica. Per portarvi, nel superiore interesse di tutti i Cittadini, le proprie competenze, le proprie visioni, la propria forza, il proprio coraggio e la propria tenacia” (Imprese e Palazzo: un nuovo ruolo per le Aziende in Politica?).

Vitttorio Cino e Andrea Fontana, in “Corporate Diplomacy”, hanno scritto: “la gente vuole che i brand prendano posizione e incidano concretamente sulla società, in sostituzione o a integrazione di quanto fanno la politica e istituzioni sempre più deboli” (2019, 59).

Gli stessi autori, parlando di “brand democracy”, sottolineano che “sempre più i brand sono sollecitati ad andare oltre i semplici interessi aziendali per partecipare da protagonisti alla costruzione di una società migliore” (ibidem).

L’Impresa, insomma, nell’Economia della complessità, è chiamata a grandi e destabilizzanti sfide, per vincere le quali deve ridefinire al tempo stesso la sua organizzazione interna e le sue funzioni esterne, con entrambi i versanti caratterizzati da un intenso intersecarsi e contaminarsi di elementi diversi ed eterogenei.

Il Design, in questo contesto, assume in Azienda una straordinaria centralità e diventa uno strumento di insostituibile utilità per governare le spinte e gestire le esigenze proprie della complessità.

Da alcuni lustri, infatti, il Design è andato a sua volta modificando, ampliando e diversificando le funzioni svolte nell’ambito dell’Impresa, con riferimento sia al suo interno (i meccanismi e le logiche di funzionamento) sia al suo esterno (i risultati e le ricadute della sua attività).

Ho già scritto che “oggi il Design ha una natura composita e rappresenta sostanzialmente un metodo di lavoro, trasversale e multidisciplinare, finalizzato ad apportare Innovazione nei campi dell’Estetica, della Tecnologia e della Semiotica” (Il Design Crisalide, 2019, 163).

In modo più brillante, con afflato quasi romantico, Walter Da Silva, nella Prefazione della medesima opera dice che “il Design è un modello culturale in evoluzione costante. Sviluppa sistemi analogici e digitali, estetici e poetici. Definisce le strategie d’impresa ed è al centro delle decisioni. Rende meno ambigui i prodotti dando un valore aggiunto e ripetuto nel tempo, per un reciproco beneficio tra cittadino/utente e impresa/paese” (ibidem, 20).

Il Design contemporaneo, insegna Francesco Trabucco, interviene a “tradurre opportunità tecnologiche in nuove qualità comunicative, estetiche, prestazionali ed ergonomiche dei prodotti industriali”; “rende percepibili i valori qualitativi, sia tecnici sia semantici del prodotto” (Trabucco, Design, 2015, 31, 135).

Le Imprese, grazie al Design, possono oggi affrontare con successo le sfide che la complessità pone sul loro cammino, coniugando in modo efficace e virtuoso economia e cultura, ambiente e finanza, comunicazione e sociale.

Tornano così alla mente, quasi profetiche, le parole di Flaviano Celaschi, che già tre lustri addietro ebbe a definire il Design come “mediatore di saperi”, “come disciplina che si insedia a metà strada tra quattro sistemi di conoscenze (in-put) tra di loro difficilmente dialoganti: le “humanities” e la tecnologia/ingegneria su un asse, e l’arte/creatività e l’economia e la gestione su un altro asse perpendicolare al primo” (Il Design come mediatore di saper, in Uomo al centro del progetto – Design per un nuovo umanesimo, 2008, 20).

Non dobbiamo mai dimenticare che, per ricordare una celebre frase di Pietro Nenni, “le idee camminano sulle gambe degli uomini”.

Affinché il Design possa esprimere, nell’Impresa e nella Società, tutte le proprie potenzialità e svolgere le importanti funzioni delle quali abbiamo detto, è dunque necessario creare, diffondere e alimentare conoscenze e competenze adeguate.

Bisogna che gli operatori del Design assumano piena consapevolezza dell’importanza degli innovativi compiti ai quali sono chiamati e che si dotino degli strumenti più adeguati per portarli avanti con successo.

Nel campo del Design, quindi, si pone in modo particolare l’urgenza e la necessità di una formazione larga, profonda, trasversale e multidisciplinare, che ricomprenda materie molto varie, tali da includere Tecnologia e Diritto, Comunicazione e Cultura.

Walter Da Silva, nella sua Prefazione a Il Design Crisalide, ha stigmatizzato con parole di fuoco la leggerezza e la superficialità di un diffuso approccio al mondo del Design:

“La parola Design è abusata, sfruttata e maltrattata. Utilizzata come una maschera carnacialesca per coprire lacune culturali e professionali inconfessabili. Un opportunismo trasformista che lascia attoniti. In questa nostra epoca ex artisti dello spettacolo, sportivi, modelle, cantanti, blogger, politici, piccole e grandi star, marketing manager e persino semplici frequentatori di social network, diventano e si autoproclamano designer, senza pudore e senza rispetto verso una delle professioni più complesse e articolate del mondo. Questi signori (che ovviamente non si trasformano in avvocati, medici, chirurghi, etc.) sono mutanti prefabbricati dal marketing e dal consumo sfrenato e superficiale. Sono dannosi.” (op. cit., 18).

Si tratta di una posizione da condividere in pieno.

L’importanza e la centralità che l’Epoca della complessità assegna al Design implicano la necessità di consapevolezze nuove, di comportamenti responsabili e di competenze effettive, solide e avanzate.

Soltanto così, poggiando su un adeguato e contemporaneo sostrato conoscitivo, il Design potrà compiutamente assolvere, nell’Impresa e nel Secolo, al suo fondamentale “compito di dare forma al linguaggio della modernità” (Francesco Trabucco, Design, 2015, 31).




Google e Baidu hanno svelato i propri ChatGpt

Google e Baidu hanno svelato i propri ChatGpt

Google e il suo rivale cinese Baidu hanno presentato a poche ore di distanza e in modo ufficiale i propri progetti di intelligenza artificiale conversazionale, qualcosa di paragonabile al fenomeno del momento ChatGpt di OpenAI. Il colosso californiano di stanza a Mountain View svelerà domani a Parigi in modo più approfondito l’AI chiamata Bard che è l’ultimo passo di un percorso iniziato due anni fa con la piattaforma di modello linguistico LaMDA (Language Model for Dialogue Applications): inizieranno da subito i test beta con un ristretto gruppo di utenti che potranno fornire i primi preziosi feedback. Baidu lancerà la propria i.a. a marzo col nome cinese di Wenxin Yiyan (Ernie Bot in inglese) basata a sua volta su modelli linguistici per la prima volta intravisti nel 2019 e per il momento utilizzati solo internamente.

Con un post sul blog ufficiale, il numero uno di Alphabet, Sundar Pichai ha presentato il progetto affermando che “Bard cerca di combinare l’ampiezza della conoscenza del mondo con le abilità, l’intelligenza e la creatività dei nostri grandi modelli linguistici. Attinge informazioni dal web per fornire risposte fresche e di alta qualità“. Vengono forniti esempi che suggeriscono come Bard possa creare un testo informativo da sorgenti considerate fidate e aggiornate da Google, modulando la complessità del linguaggio a seconda di chi deve leggerlo e con tutte le possibili personalizzazioni già viste con ChatGpt. La speranza è che non si riscontrino anche tutte le lacune del progetto di OpenAI, da errori grossolani in matematica e logica fino a comportamenti discriminatori. Di sicuro Alphabet ha anticipato come si prenderà il tempo necessario per mettere a punto Bard senza affrettare troppo i tempi e diffondendolo solo quando sarà maturo e sotto controllo, con l’i.a. che sarà sempre più presente non solo nelle funzioni di chat, ma anche negli altri prodotti dell’ecosistema.

L’impropriamente detto Google cinese ovvero Baidu, ha seguito a ruota con Wenxin Yiyan o Ernie Bot, che si basa su modelli di linguaggio sviluppati sin dal 2019 e attualmente in fase di test interno. Sarà una AI a tutto tondo che non solo potrà produrre testi di vario tipo e complessità, ma anche generare immagini. Insomma, la stagione delle intelligenze artificiali è solo alla sua prima fase e diventerà sempre più diffusa in modo capillare, con tutti i grandi nomi del tech pronti a offrire i propri servizi.