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Crash Reputation: difendere la reputazione nella dimensione dell’infosfera

Crash Reputation: difendere la reputazione nella dimensione dell’infosfera

Nella bella cornice della Fondazione dell’Avvocatura Torinese Fulvio Croce ho avuto il piacere di partecipare come relatore alla presentazione del libro scritto dal professor Luca Poma e da un team di suoi collaboratori, tra cui la brillante Giorgia Grandoni.

Il titolo – CRASH REPUTATION – edizioni Engage – da subito l’idea del tema affrontato e comunica proprio la sensazione fisica degli effetti di una crisi reputazionale che, come una valanga, può piombare addosso ad una persona, ad una impresa ma anche su una comunità o ente locale.

Il libro affronta l’ipotesi del cosiddetto “danno reputazionale” cioè quello che si viene a subire quando la nostra immagine sociale improvvisamente e massivamente viene messa in discussione, aggredita con una comunicazione digitale moltiplicata dalle piattaforme social che ne vada ad appannare la percezione da parte della comunità e dei soggetti con cui si è in relazione. L’immagine sociale è la caratteristica saliente di un soggetto, nel senso che in ogni epoca la reputazione della persona è stata posta in relazione alla sua capacità di avere autorevolezza e dare fiducia nelle sue relazioni. Nel mio intervento – riallacciandomi alla bella introduzione al libro del prof. Alberto Pirni della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – ho voluto mettere in evidenza l’aspetto su cui si basa il concetto di buona reputazione: il tratto che la persona esprime con le “virtù umane”, cioè le caratteristiche comportamentali che esprime, che vive abitualmente e che come tali sono percepite dall’ambiente sociale in cui ci si muove ed in cui sviluppa i suoi rapporti. Nella storia e anche nella letteratura viene spesso messo in evidenza come la buona reputazione diventi un elemento di valorizzazione di una persona o di una realtà sociale: già nella Bibbia si racconta di come il suocero Ietro consiglia a Mosè di ridurre il suo impegno individuando un gruppo di “uomini integri che temono Dio e che odiano la venalità” – due caratteristiche apprezzate nel contesto sociale – che potessero aiutarlo nella gestione nelle tante questioni che Israele doveva affrontare nel suo percorso verso la “terra promessa”.

La buona reputazione è quindi da sempre un valore positivo riconosciuto e ricercato, da tutelare come nel caso di un brand che viene percepito come ICONA di una qualità: Dior o Hermès sono icone del lusso, Ferrari è icona di potenza e velocità, Bosch è icona di affidabilità ed efficienza tecnologica…. Gli esempi potrebbero essere tanti ma importante è mettere a fuoco questa idea: un brand, un marchio può diventare icona di una qualità (bontà, eleganza, modernità, qualità, ecc.), valore che  può essere messo in discussione improvvisamente: una influencer diffonde una falsa campagna di beneficenza per promuovere un prodotto; una casa dolciaria usa un ingrediente nocivo (o ritenuto tale); una società lancia una campagna pubblicitaria che offende una categoria di  persone o un intero Paese; una industria produce auto falsando i dati sull’impatto ambientale; un’altra mantiene linee produttive rischiose e provoca una disastro con vittime.

La caratteristica principale del “danno reputazionale” è quella di andare ad incidere in tempi rapidissimi e con effetti devastanti su una qualità costruita in anni di serio lavoro e costante attenzione, con un effetto negativo dilatato dalla pervasività della infosfera che caratterizza la nostra epoca, in cui ciò che è riportato su un giornale locale può essere ripreso dal New York Times e da milioni di blog.

Nella nostra esperienza di giuristi siamo abituati a confrontarci con i casi di diffamazione a mezzo stampa, ma è chiara la diversità rispetto all’ipotesi del “danno reputazionale” anche se l’esperienza e la giurisprudenza sviluppatasi intorno ai casi di diffamazione possono essere molto utili, in base al principio dell’analogia per la soluzione di casi di “danno reputazionale”. Sappiamo che il danno da diffamazione ai fini del risarcimento non può considerarsi in re ipsa ma deve essere provato e documentato nel corso dell’eventuale causa, ma se pensiamo che il danno non patrimoniale da diffamazione è stato inserito solo da qualche anno nelle previsione delle Tabelle milanesi (che fissano i criteri consolidati di risarcimento), però con quantificazioni talmente riduttive da risultare del tutto inadeguate quando il danno può arrivare a provocare il tracollo di un titolo in borsa.  Il valore dell’immagine di un brand in alcuni casi è infatti un asset molto più significativo di tutti i beni materiali valorizzati nel bilancio di un’azienda; quindi, l’avvocato investito di un caso di “danno reputazionale” per ottenere un’adeguata tutela del proprio cliente che subisce una aggressione mediatica, dovrà attrezzarsi per andare a definire/quantificare la voce di danno in modo percepibile dal magistrato.

Il libro del Prof. Poma disamina una serie di casi che hanno coinvolto importanti brands e vicende rimanendo nella memoria collettiva: Costa Concordia, Dolce & Gabbana, Dieselgate, Ponte Morandi, Nike, Armani e Dior, Seymandi-Segre, il “pandoro-gate” di Ferragni e tanti altri.

La lettura è piacevole, mettendo in evidenza aspetti a volte trascurati dai media, soprattutto dando pratiche istruzioni per avere l’approccio corretto con cui affrontare e gestire un caso di “danno reputazionale”: la regola aurea è pensare che una situazione di simile emergenza può capitare ad ogni realtà, soprattutto se ha grandi interazioni con il mondo dei consumatori, quindi va previsto ed organizzato un team di specialisti che alla bisogna ed in tempi ristretti possa intervenire a tutela dell’immagine della società, in particolare organizzando un unico centro di comunicazione verso i media e tutti gli stakeholders coinvolti. Sarà fondamentale affidarsi a professionisti esperti di casi simile ed in grado di agire velocemente ed efficacemente, in una cornice di verità e trasparenza poiché è fondamentale far percepire l’autenticità di quanto si sta facendo.

Il web e il mondo dei social sembrano infatti non aver la capacità di distinguere una condotta dolosa da un mero incidente che può capitare in qualsiasi contesto, con i leoni da tastiera sempre pronti a mettere la vittima di turno sulla graticola digitale: in situazioni simili l’obiettivo deve essere recuperare la fiducia e limitare – se non evitare – danni all’immagine, scegliendo l’approccio, i toni e gli argomenti.

In definitiva il libro del prof. Poma è davvero da consigliare, perché dà gli strumenti per muoverci in maniera più consapevole – anche come professionisti – nella dimensione della infosfera, cioè la globalità del mondo dell’informazione in cui siamo immersi e che dobbiamo evitare di subire passivamente.




Blake Lively si affida a un-ex membro della CIA per la gestione della crisi

Blake Lively si affida a un-ex membro della CIA per la gestione della crisi

La disputa legale tra Blake Lively e Justin Baldoni sta assumendo dimensioni sempre più rilevanti, trasformandosi in una battaglia senza esclusione di colpi. Gli ultimi sviluppi della battaglia legale tra Baldoni e Lively rivelano che l’attrice ha deciso di rafforzare il suo team legale con l’ingresso di un ex membro della CIA, per gestire una situazione che si complica giorno dopo giorno.

Nel suo gruppo di esperti, Lively ha infatti arruolato Nick Shapiro, specialista in comunicazione di crisi, per affrontare lo scontro legale in corso contro il suo ex collega di It Ends With Us e regista Justin Baldoni.

Shapiro vanta un passato di alto profilo: oltre a essere stato vice capo dello staff della CIA, ha ricoperto il ruolo di assistente senior per l’antiterrorismo e la sicurezza interna sotto l’amministrazione di Barack Obama. Ora si occuperà di definire la strategia di comunicazione legale per l’attrice. Con oltre 15 anni di esperienza nella gestione di crisi, Shapiro ha avuto un ruolo chiave nella risposta del governo americano a eventi drammatici come la sparatoria alla scuola elementare di Sandy Hook e l’attentato alla maratona di Boston.

In una dichiarazione ufficiale, il team legale di Lively ha precisato: “Il signor Shapiro è stato incaricato di occuparsi della strategia di comunicazione legale in relazione alla causa per molestie sessuali e ritorsioni attualmente in corso presso il Tribunale del Distretto Meridionale di New York.”

La vicenda continua a suscitare clamore, con accuse e dichiarazioni che si susseguono da entrambe le parti. Intanto, Blake Lively ha recentemente denunciato di aver ricevuto numerosi messaggi di odio e minacce, al punto da richiedere misure di protezione per garantire la propria sicurezza.




La nuova partita delle recensioni tra chatbot e commenti falsi

La nuova partita delle recensioni tra chatbot e commenti falsi

«Posto tipo bettola». Questo commento al vetriolo assai negativo inserito in una recensione di un ristorante di Recanati, ventimila anime nella provincia maceratese, e pubblicato su TripAdvisor e su Facebook da una cliente insoddisfatta ha guadagnato le prime pagine dei giornali. Ed è costato assai caro all’autrice. Quasi settemila euro. A tanto ammonta la multa comminata per questa recensione ritenuta diffamatoria. Per alcuni si tratta di lesa maestà della libertà d’espressione, per altri è un freno alla dittatura delle recensioni. Per tutti però sono iniziati tempi duri per i giudizi implacabili dei clienti in rete e sui social. «La condanna per diffamazione di una recensione offensiva non deve essere letta come una vittoria delle imprese o una sconfitta dei consumatori. Perché questo caso non ci toglie il diritto di esprimere civilmente la nostra insoddisfazione quando giustificata, ma potrebbe servire per responsabilizzare tutta la filiera: i consumatori nella scrittura delle recensioni, le piattaforme nel moderare i contenuti e anche le imprese nella gestione delle risposte». Così afferma Massimiliano Dona, presidente di Consumatori.it, l’unione nazionale dei consumatori, divulgatore social e in libreria con “Il carrello dalla parte del manico” per Vallardi. Insomma, siamo usciti dalle dinamiche dei commenti al vetriolo fine a se stessi e come divincolarsi tra libertà di espressione e calunnia rilanciata a mezzo social? «Bisogna comprendere l’importanza di basare le critiche su fatti reali, ma non si devono scoraggiare le recensioni oneste e costruttive né essere usate da ristoratori e albergatori come strumento di intimidazione verso i consumatori», precisa Dona.

Ascia social da guerra

La partita è assai complessa e si gioca su uno scacchiere digitale con più attori. Parafrasando gli aggiornamenti sui nostri profili social, si potrebbe dire che la relazione tra brand e utenti diventa sempre più complicata. Una conversazione difficile da intavolare, un po’ come quella messa in scena dalla nuova campagna del marchio di abbigliamento sportivo svizzero On Sportswear tra il campione pluripremiato Roger Federer e Olmo, uno dei protagonisti più amati della saga dei Muppets. Non a caso tempo addietro il Guardian allertava le organizzazioni sulla deriva delle recensioni social. «L’ascia da guerra è stata dissotterrata e la protesta corre online e si aggiorna grazie alle leve del digitale, alle app, alle class action virtuali. Oggi bisogna temere i consumatori, non soltanto ascoltarli», scriveva Ryan Gilbey sul Guardian. Un effetto moltiplicatore difficile da arginare: la presenza di più canali di relazione in ambiente digitale ha forgiato il profilo di un consumatore più connesso e agguerrito. La survey promossa da American Express ha evidenziato come i clienti raccontano in media a 8 persone le loro esperienze positive di acquisto, mentre coinvolgono addirittura 21 persone per quelle negative. «Oggi però siamo entrati in una fase più matura del fenomeno, dove c’è maggiore consapevolezza da parte di tutti gli attori coinvolti. All’inizio, quando i consumatori si sono trovati tra le mani questo potente megafono digitale, c’è stato un effetto simile a quello che gli psicologi chiamerebbero “ebbrezza del potere”. Le persone si sentivano finalmente in grado di urlare la propria voce, a volte esagerando. Oggi vediamo un utilizzo più consapevole e costruttivo, con recensioni più articolate e specifiche, non più solo sfoghi emotivi. Le recensioni online stanno tornando al loro scopo originale: essere uno strumento di informazione e orientamento per altri consumatori, piuttosto che un’arma di vendetta o un mezzo per sfogare la propria frustrazione», dice Dona. In ballo c’è la salvaguardia del capitale reputazionale, capitale prezioso che si costruisce nel tempo con azioni concrete e coerenti. «Per salvaguardarlo alle aziende suggerisco innanzitutto di investire nella formazione del personale, insegnando loro anche la gestione delle criticità, stabilendo protocolli chiari e autentici di risposta alle recensioni online. Poi di costruire un dialogo continuo con i clienti: non solo rispondere tempestivamente e offrire soluzioni concrete, ma mostrare disponibilità al confronto diretto. E ancora incrementare standard elevati e misurabili, anticipando potenziali problemi», conclude Dona.

Reputazione a rischio

C’è poi un altro elemento che diventa centrale nel tempo segnato dagli stream senza fine e dall’attenzione ridotta. Il silenzio per le imprese – siano grandi multinazionali o piccole attività – non è più un’opzione percorribile. Perché mina quel tesoretto reputazionale raggiunto col tempo. «Le recensioni online sono solo una parte pur importante di un mondo molto più ampio che è quello della gestione della reputazione. A volte autentiche, a volte eterodirette e malevoli, ma anche queste ultime vanno necessariamente gestite. Le organizzazioni devono sempre prendere la parola – e questo punto non è più in discussione – ma la vera sfida è capire come farlo: Da Alitalia a Ceres e fino a Ryanair, sono molti i casi di gestione ben riuscita delle criticità online. Mai andare in scontro perché in caso di recensione negativa l’arma dell’ironia è sempre potente. In caso di errore dell’esercente, invece, mai avere paura di chiedere scusa, schiena dritta e impegno per migliorarsi e non ripetere l’errore», afferma Luca Poma, professore di reputation management all’Università Lumsa di Roma e autore di “Crash Reputation”. Intanto le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale complicano la partita perché moltiplicano i rischi con i chatbot di varia natura e quindi l’esposizione dei brand. E poi c’è l’effetto deepfake che inquina l’ambiente digitale. «L’intelligenza artificiale aumenterà la complessità e quindi anche i rischi: occorre prepararsi per tempo, possibilmente con l’aiuto di professionisti, perché la buona reputazione è lunga da costruire ma velocissima da distruggere», conclude Poma.




Presentazione del nuovo volume “Crash reputation”. 50 (+1) storie di crisi aziendali analizzate da alcuni tra i più apprezzati esperti italiani di gestione della reputazione

Presentazione del nuovo volume “Crash reputation”. 50 (+1) storie di crisi aziendali analizzate da alcuni tra i più apprezzati esperti italiani di gestione della reputazione

Il volume raccoglie case-history di crisi reputazionali realmente accadute, che coinvolgono grandi brand e personaggi pubblici: da Ferragni a Seymandi, da Armani a Nike, da Ryanair a ENI, da Dior a Barilla, da Balenciaga al Gen. Vannacci, e molti altri. Nomi, cognomi, dettagli e dietro le quinte su eventi che hanno messo in discussione l’immagine pubblica, con analisi su quello è accaduto, cosa è stato gestito bene, e quali azioni si sono rivelate efficaci, ma anche ciò che si sarebbe potuto fare meglio.

La reputazione è senza dubbio il principale asset intangibile per qualsiasi organizzazione – che si tratti di un’azienda, un’ONG o un’istituzione pubblica – così come per qualsiasi individuo, sia esso un politico, un artista, uno sportivo o un influencer. Questo dato di fatto è supportato da una solida letteratura scientifica e da migliaia di case study concreti. Non si tratta semplicemente di immagine, un concetto spesso effimero legato alla pubblicità e al marketing, ma di una reputazione autentica, costruita nel tempo, fondata sull’identità e sulle azioni reali, piuttosto che sulla narrazione, spesso agiografica, di sé stessi.

Le crisi reputazionali sono sempre più frequenti e possono colpire chiunque: aziende, professionisti, personaggi pubblici o politici, indipendentemente dalla dimensione del business e dalla sua “esposizione” sui mass-media. Anzi, paradossalmente, realtà pressoché sconosciute al grande pubblico finiscono spesso sotto i riflettori proprio a causa di una crisi reputazionale scatenata da fattori interni o esterni alla loro attività principale,

Questo è il contenuto dell’ultimo lavoro di Luca PomaProfessore di scienze della comunicazione e reputation management all’Università LUMSA di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino, nonché tra i più apprezzati esperti in gestione della reputazione nel nostro Paese, che viene presentato in tutta Italia con un ciclo di incontri, i prossimi in programma a Roma (4 marzo) e Milano (6 marzo).

Nel corso degli anni Poma è stato coinvolto da istituzioni pubbliche, banche e team di avvocati di primo piano, in alcune tra le più note gestioni di crisi reputazionali, nel nostro Paese e non solo: il libro, scritto in collaborazione con Giorgia Grandoni e Alessio Garzina, illustra 50 storie di crisi reputazionali realmente accadute – più una, scritta dall’AI, a lettore scoprire quale – che variano dal pubblico al privato, dalla moda al mondo informatico, dall’azienda meccanica agli influencer digitali, dal professionista al politico, e riporta in modo circostanziato nomi, brand e retroscena.

“La verità è che quando si parla di reputazione poche cose affascinano il pubblico come tutto ciò che riguarda gli aspetti meno raccontati della gestione delle crisi: scandali, incidenti, emergenze, competizioni sleali tra concorrenti, tutti ingredienti irresistibili per il pubblico. D’altra parte sono gli stessi argomenti che fanno vendere i giornali, anche grazie alla naturale curiosità che suscitano nell’essere umano: in poche parole, noi tutti vogliamo sapere cosa succede dietro le quinte quando le cose si mettono male, e questo – precisa Poma – è esattamente ciò di cui si parla nel libro, con un’analisi dettagliata, tecnica ma comprensibile anche a non addetti ai lavori, di molti casi saliti all’onore delle cronache, nazionali e non solo”.

Lo scopo di questo volume – ha dichiarato la co-autrice dottoressa Giorgia Grandoni, ricercatrice presso il centro studi della start-up innovativa Reputation Management, specializzata in servizi ad

alto valore aggiunto nel settore della costruzione della reputazione e della gestione delle crisi reputazionali – è quello di illustrare i casi in modo trasparente, citando nomi, cognomi e brand, sia riguardo le crisi ben gestite che quelle mal gestite, perché siamo convinti che genuinità autenticità siano valori fondamentali nel processo di costruzione della reputazione, anche se purtroppo questi due principi vengono troppo spesso solo ‘recitati a memoria’ dalle aziende, le quali invece purtroppo, in caso di problemi – aggiunge Grandoni – preferiscono silenziare il rumore di fondo invece che risolvere i problemi nel merito”.

Poma aggiunge: “Con l’avvento delle tecnologie 2.0 e l’affermarsi dell’impatto globale di Internet vale una regola: il solvente universale di una crisi reputazionale è innanzitutto la capacità di saper chiedere scusa, un’azione catartica e un gesto straordinario. L’essere umano come l’organizzazione che sanno farlo hanno ‘la schiena dritta’, sono in grado di guardare l’interlocutore e la audience negli occhi, capire il perché dei propri errori e impegnarsi a cambiare, affinché quanto è successo non accada mai più”.

Il volume vanta una prefazione di Nicola Menardo, avvocato penalista dello Studio Grande Stevens, specializzato in diffamazioni aziendali, e un contributo sulla storia della reputazione di Alberto Pirni, professore di Filosofia morale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.




Presentazione del libro Crash Reputation + talk con autori e ospiti

Presentazione del libro Crash Reputation + talk con autori e ospiti

Giovedì 6 marzo 2025, alle ore 18.00, presso la libreria Mondadori Duomo di Milano, in piazza Duomo angolo via Mazzini, si tiene la presentazione del libro Crash Reputation, seguita da un talk con autori e ospiti.

Falsa beneficienza, scandali matrimoniali, dossieraggio, gravi incidenti, competizione sleale tra aziende, furti di proprietà intellettuale, e altre crisi reputazionali – amplificate dai mass-media e dagli ecosistemi digitali – con il coinvolgimento di multinazionali, politici, sportivi e influencer. Noti specialisti raccontano punti di forza e di debolezza nella gestione della reputazione e appassionanti dietro le quinte su eventi saliti agli onori delle cronache, nazionali e oltre.

Insieme agli autori di Crash Reputation Luca Poma (professore in Reputation management alla Lumsa di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino) e Giorgia Grandoni (ricercatrice del Centro Studi Reputation Management), intervengono Matteo Aiolfi (founder di Espresso Communication), Marco Astorri (founder di BioOn), Nicola Menardo (avvocato, partner Studio Grande Stevens), Mario Resca (presidente di Confimprese e di Mondadori Retail), Carmine Rotondaro (dg di Philipp Plein) e Andrea Soliani (avvocato, partner Studio Losengo Soliani); modera Luca Yuri Toselli (giornalista, direttore editoriale di Creatoridifuturo.it).

Ingresso gratuito fino a esaurimento posti, previa iscrizione on line. Ulteriori informazioni via email.