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L’analisi di materialità e le strategie aziendali

Il processo di rendicontazione dell’impegno “sostenibile” delle aziende prevede anche la realizzazione della matrice di materialità. Uno strumento complesso, ma allo stesso tempo molto valido, per avere una valutazione generale dei temi importanti per un’attività.

Il Global Reporting Initiative e altre iniziative, come ad esempio l’italiano CSR Global Network, hanno profuso il loro impegno per definire le linee guida utili a effettuare un’analisi di materialità e a crearne la matrice. In questo processo di analisi, gli attori sono due: l’azienda – con il suo management – e gli stakeholder. Quest’ultimi sono rilevanti per la creazione di un reale percorso di sostenibilità e delle sue strategie di comunicazione (qui un approfondimento).

Materialità: dall’analisi alla matrice

L’analisi di materialità è l’insieme delle attività utili a mappare gli aspetti di sostenibilità rilevanti (materiali appunto) per un’azienda – in termini di business e impatti – e per gli stakeholder.

Grazie ai cosiddetti framework di riferimento, l’analisi consente di avere un quadro generale su quelle che sono le sfide, e quindi gli obiettivi, prioritari per un’impresa.Vuoi scoprire di più sulle imprese e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile?Scarica gratuitamente l’abstract del nostro eBook!

La matrice ne è la naturale conseguenza in quanto rende visibile – con molteplici rappresentazioni grafiche – quanto emerso dall’analisi: i temi individuati sono ordinati in base al grado di rilevanza e di interesse per gli stakeholder.

Il grafico così rappresentato diventa una parte imprescindibile del bilancio di sostenibilità che l’azienda può, o in casi indicati dalla legge deve, pubblicare.

Materialità: come realizzarla

L’individuazione dei temi rilevanti richiede una certa flessibilità, pur confluendo poi in uno “schema”. Perché si parla di flessibilità? Gli strumenti di analisi possono essere diversi e con diverso grado di approfondimento. Una volta individuati gli stakeholder, l’azienda ha infatti a disposizione una serie di soluzioni per coinvolgere e interrogare i portatori di interesse: dai questionari alle interviste, dai focus group alle survey interne.

Ovviamente, la realizzazione di queste attività richiede una preventiva fase di assessment che i consulenti conducono con l’azienda nella sua totalità (dirigenti, dipendenti, stakeholder interni) per valutare la documentazione aziendale e per confrontare gli impegni aziendali con le strategie di sostenibilità che si intendono perseguire.

Una volta raccolte queste informazioni, i dati sono riportati graficamente in uno schema che può avere aspetti grafici tra i più disparati. I temi materiali rilevati, come ad esempio la disponibilità di risorse energetiche, la parità di genere, l’innovazione, la biodiversità, il risk management o la privacy, sono riportati in uno spazio in base alla rilevanza – per l’azienda e per gli stakeholder – e quindi al rischio. Molto spesso i temi sono confrontati con gli SDGs o confluisconoi nella macrocategoria “ambiente, sociale, governance”.

Analisi di materialità, perché è utile

Nel lungo percorso che termina con la rendicontazione di sostenibilità, l’analisi di materialità – e la sua matrice – è un esercizio fondamentale per un’azienda che intende perseguire gli obiettivi delle strategie sostenibili condivise. Le informazioni raccolte rappresentano dunque un bagaglio utile a dare concretezza alle azioni da intraprendere e a mantenere un continuo coinvolgimento degli stakeholder. L’efficacia di questo strumento risiede, infatti, nella sua dinamicità: ogni due-tre anni, l’azienda può ripetere l’analisi modificando, integrando, approfondendo i temi individuati.




Riso Gallo, Action Biova e La Orange: dalla collaborazione nasce una nuova birra sostenibile

Dalla collaborazione tra Biova Project, La Orange e Riso Gallo nasce un progetto unico, capace di unire impatto sociale, buona nutrizione e sostenibilità, in linea con i principi ESG.

Action Biova è una birra senza glutine nata dal recupero di rotture di riso rosso, ovvero chicchi di riso non commercializzabili per una questione estetica. In ottica di economia circolare, il surplus di riso viene utilizzato in sostituzione del 30% di malto d’orzo, andando così ad aumentare la produttività delle materie prime.

L’idea nasce dalla collaborazione incrociata di due startup con una grande azienda, in puro stile Open Innovation.

L’operazione di recupero e riutilizzo, così come lo stile della birra, è stato ideato ed eseguito da Biova Project, startup innovativa specializzata in prodotti alimentari frutto di economia circolare e filosofia upcycling. Tra i prodotti Biova Project troviamo infatti la prima gamma di birre artigianali contro lo spreco, fatte recuperando invenduti e surplus in ottica di economia circolare.

La Orange è una startup specializzata in birre artigianali pensate apposta per chi è attento al proprio stile di vita: basse gradazioni, alto contenuto in sali minerali e carboidrati facilmente assimilabili per far recuperare energie rapidamente e senza appesantire. DeQou Action Beer è la prima gamma italiana di birre sviluppate in ambito di ricerca universitaria per facilitare il recupero post sforzo e ottenere un rapido ripristino energetico senza provocare un picco glicemico.

Riso Gallo è una delle più grandi aziende alimentari italiane e da sempre è sinonimo di riso di qualità e attenzione verso l’ambiente e l’agricoltura. Tra i suoi progetti, l’azienda è impegnata in termini di sostenibilità per migliorare l’efficienza delle risorse e diminuire gli scarti lungo la filiera attraverso una serie di partnership di valore con startup del territorio nazionale, volte a trovare nuove destinazioni d’uso atte a valorizzare i sottoprodotti del riso.

Da diversi anni noi di Riso Gallo abbiamo intrapreso un percorso volto alla sostenibilità e crediamo fortemente nel potenziale della collaborazione con Biova Project, un’eccellenza italiana che ha saputo dare nuova vita alle eccedenze del riso rosso attraverso un progetto innovativo e sostenibile che permette di minimizzare l’impatto sull’ambiente ed estendere il ciclo di vita di questo prodotto”, ha dichiarato Emanuele Preve, Consigliere Delegato di Riso Gallo.

Nasce così un progetto di Open Innovation che si concretizza in un prodotto unico e senza precedenti. Action Biova è un’ambrata leggerissima, 3,3% ABV, ricca di sali minerali e di carboidrati super assimilabili provenienti dal riso. Action Biova è inoltre senza glutine, per rispettare ancora di più gli stringenti standard alimentari degli sportivi.

Action Biova sarà disponibile online, sulle pagine e-commerce di Biova Project e La Orange e, presto, sia in GDO che in horeca.




La dura lotta tra Sviluppo Sostenibile e Greenwashing

La dura lotta tra Sviluppo Sostenibile e Greenwashing

Per approfondire il nesso tra sviluppo e greenwashing c’è una premessa doverosa:ognuno desidera che la Sostenibilità sia centrale nel processo di sviluppo.

La ragione è semplice: sono i consumatori, la gente si è accorta che il degrado ambientale e sociale ha raggiunto livelli tali che la vita lasciata andare così è invivibile. Il clima è in rivolta, la siccità conseguente sta impoverendo le culture agricole ed il territorio.
Il Pianeta è fragile: ad esempio gli Stati Uniti stanno avvertendo nella Costa Ovest cambiamenti climatici mai visti con distruzioni del territorio; in Italia, se il Nord è piagato dalla siccità, il Sud è martoriato sempre di più da un clima incerto e di natura tropicale.
In Italia alcune regioni del Nord vedono sparire velocemente le coltivazioni che davano lavoro e prodotti ai cittadini: riso, grano, frutta, verdura, ecc..

Nonostante questi fatti che reclamano profondi cambiamenti non si può negare che il Greenwashing è conveniente:

  • Costa meno: investire 100K in pubblicità è più economico che cambiare veramente la catena di produzione e i metodi di smaltimento;
  • Il consumatore sensibile alla tematica ambientale generalmente è inattivo nel concreto per migliorare le cose. Spesso gli basta sapere che quel prodotto è green rispetto ad un altro. Non chiede di conoscere le pratiche green: se lo pretendesse il prodotto costerebbe di più: Probabilmente le vere informazioni non sono accessibili al cliente.
  • Nessuno indagherà sul prodotto che riporta la scritta: “Naturale al 100%” anche se non è vero, anche se contiene prodotti vietati e pur citati nella griglia dei componenti, come ha recentemente dimostrato Striscia la Notizia.
  • Se si teme che la menzogna venga scoperta si fanno “opere di compensazione”: si annunciano investimenti per la crescita di nuovi alberi nell’Amazzonia per la riduzione del CO2 corrispondente all’Anidride Carbonica prodotta nella produzione. Analoga ragione hanno spesso l’iniziativa verso il Terzo Settore per le categorie fragili, forse toccate dall’inquinamento di acque o rifiuti.

Come si riconosce il Greenwashing? :

  • Nella pubblicità, nel sito, o direttamente sul prodotto si fa riferimento alla Parola Green;
  • Si fa cenno a Eco Bio senza certificazioni;
  • La Grafica incentrata su Green o al colore verde senza altre informazioni;
  • I testimonial parlano di Bio o Green senza dare notizie;
  • L’head Line porta la scritta Sostenibile senza spiegare il perché.

La pratica più comune nella comunicazione che sostiene il greenwashing è aggiungere al Brand l’aggettivo Sostenibile.

Alcuni grandi esempi che hanno fatto notizia sul WEB:

  • Ha fatto scalpore la sponsorizzazione di Coca Cola della Conferenza sul Clima delle Nazioni unite. Il Guardian ha scritto: “E’ sconcertante che Coca Cola il più grande inquinatore di plastica del mondo in tutti gli audit Globali di Break Free From Plastic  sponsorizzi la Conferenza delle parti in Egitto, (quando è noto) che Coca Cola produce 120 miliardi di bottiglie di plastica usa e getta all’anno.”

Coca Cola ha immediatamente risposto sul Sito italiano:

Non abbiamo sprecato un giorno e abbiamo trasformato in realtà il nostro desiderio di avere una bottiglia realizzata totalmente in plastica riciclata. I nostri packaging sono già tutti 100% riciclabili e questa nuova bottiglia è solo l’ultimo passo per rendere il nostro impegno ancora più tangibile e sempre più concreto il concetto di economia circolare.”

  • Anche la Sponsorizzazione di ENI al Festival di Sanremo ha fatto rumore, infatti Greenpeace alla terza serata ha fatto presente che “Eni inquina anche la musica”

Ha ricordato infatti la sentenza del TAR del Lazio che ha confermato che ENI dovrà pagare la multa di 5 milioni di Euro per pubblicità ingannevole del Diesel+ presentato come “verde” anche se non possiede alcuna caratteristica di reale sostenibilità ambientale.

  • Un tempo poteva passare l’idea che il dentifricio COLGATE era il migliore perché conteneva il GARDOL. L’azienda avrebbe dovuto spiegare bene cosa era il Gardol, e quali benefici portava con sé, quale istituto di ricerca aveva rilasciato un certificato che attestava le sue qualità. E’ rimasto un mistero.

Oggi si sa che il Gardol è un fertilizzante.

  • Ci sono esempi da ammirare, ne cito uno: lo SPOT SAVIOLA.

E’ evidente nel filmato che non si tagliano gli alberi, anzi che c’è una cura per il verde. E’ detto che i prodotti della azienda sono frutto della applicazione dell’economia circolare attraverso il truciolato di legno dismesso.

Ho portato esempi di cosa dice il mondo web quando racconta di Greenwashing, credo che come per Coca Cola anche in Eni avranno operato per cambiare l’approccio alla sostenibilità.

Il tema della Reputazione è troppo importante.
Si portano avanti iniziative che arrivano ad un certo livello di informazione sulla Sostenibilità, si tralasciano ulteriori passaggi ritenuti inutili che offrirebbero un completo realismo se si offrissero delle garanzie quantificabili.

Ora alcuni esempi:
Nestlé fa cenno al ritiro delle capsule usate; nello Spot non si fa menzione del riuso delle stesse: non si immedesima nel consumatore che per la consegna spesso deve fare lunghi percorsi costosi. Sembra che la Sostenibilità debba diventare un’opera del cliente e non della azienda.

Yamamay ad esempio fa accenni alla linea Sostenibile, alla attenzione alle fibre, alla distribuzione ma non spiega di che si tratta. A nostra opinione sembra più un desiderio di offrire una “sostenibilità” che fa mentalità più che una serie di informazione sulla trasformazione delle linee produttive. Sulla logistica e distribuzione non si sa cosa immaginare. Infine sulle taglie: vi sono prodotti per tutti?

Galbani annuncia con enfasi che “accelera sulla sostenibilità: dal 2022 la confezione della mozzarella Santa Lucia Tris il nuovo packaging conterrà il 15% in meno di plastica. Un importate passo avanti dell’azienda verso l’obiettivo di rendere sempre più rispettoso dell’ambiente gli involucri dei suoi prodotti”. La Galbani stima di risparmiare 100 tonnellate di plastica in un anno. La dichiarazione valoriale è ben descritta. “la nostra strategia è di portare avanti sempre più azioni come questa, con l’obiettivo di fare di Galbani una realtà in prima linea per la salute del pianeta”

Questi tre esempi dimostrano l’attenzione alla Sostenibilità delle aziende, ma nel contempo la fatica per completare tutta la filiera produttiva e distributiva. Il cammino è iniziato e lodevolmente si può immaginare che verrà portato a termine.
Chiediamo che venga comunicato a tutti.

C’è infine un socialwashing che va smascherato:
Rileggiamo ancora il Bilancio di Sostenibilità: normalmente sono una vetrina degli obiettivi raggiunti, vi sono le notizie che dimostrano il legame tra innovazioni prodotte e Goals della Agenda 2030.

Manca qualcosa, una vera trasparenza.

  • Non sono segnalati i mancati obiettivi raggiunti.
  • Gli insuccessi.
  • I progetti per migliorare il proprio cammino verso lo sviluppo sostenibile.
  • Le relazioni con gli Stakeholders e le difficoltà.
  • Le problematiche relative alle relazioni interne con il personale.

Non è una mancanza di verità anche questa?
La trasparenza è la misura dell’operare. Il consumatore sa stimare le difficoltà per raggiungere obiettivi. I problemi che sorgono.

La comunicazione veritiera è quella sempre vincente.
Siamo convinti che ogni impresa tende a fidelizzare il proprio Brand con il cliente.
Raccontare con sincerità la storia aziendale, i prodotti e i propri obiettivi presenti e futuri, le cose raggiunte e quelle da raggiungere, sia un passaggio decisamente importante.

La sostenibilità è un processo culturale che ha bisogno della cura della tecnologia innovativa per respirare cambiamento, impegna tutta l’azienda (dalla proprietà al management agli operatori finali e la distribuzione), ha del cammino da fare con progetti da realizzarsi in un certo tempo, deve comunicare tutto ciò.

Non è facile.

I media ora sono davvero moltissimi.
E’ indispensabile trattarli per quello che possono offrire.
Non va dimenticato il racconto: quello che spiega la verità di un processo produttivo, la difficoltà e la fatica per raggiungerlo ed infine la linea valoriale che ha guidato l’impegno di tutti
Questa è la garanzia di una buona relazione con gli stakeholders.
Una garanzia di buona Reputazione.




La comunicazione ESG al bivio

Una volta la parola magica era CSR, poi è diventata sostenibilità, infine oggi è tutto un andirivieni di ESG(Environmental, Social and Governance), formula che viene applicata a qualsiasi contesto aziendale: report e indicatori, politiche, programmi e piani, investimenti, regole e certificazioni. E soprattutto alla comunicazione, tanto che in una società come la nostra, fondata sulle connessioni, l’imporsi del racconto ESG ha portato con sé un altro termine che si diffonde in modo virale: lo spaventoso “greenwashing”.

La circolazione dei due termini corre parallela e rapida ma nel caso del greenwashing assistiamo a una fascinazione mediatica decisamente più marcata e diffusa (…). Intendiamoci, che i riflettori si accendano sulle non poche distorsioni di una comunicazione poco trasparente, spesso ridondante e – cosa ancor più grave – lontana dai fatti, è cosa quanto mai salutare e necessaria. Ciò che, al contrario, non funziona in questa nuova moda della caccia all’impostore è l’ormai consueta tendenza dei media (ma non solo) a perdere di vista l’obiettivo numero uno imposto dalla crisi climatica e ambientale e dalla conseguente necessità di dare gambe e fiato al processo di transizione ecologica: colmare il gap di conoscenza, consapevolezza e strumenti operativi per ripensare il proprio agire ­– anche d’impresa –  e contribuire tutti insieme a una maggiore sostenibilità sociale e ambientale del sistema economico.

(…)

E qui ritorniamo al ruolo della comunicazione che deve incessantemente concentrare i suoi sforzi nella diffusione culturale della sostenibilità, far emergere tanto i vincoli a cui far fronte quanto i vantaggi competitivi per avviare sui binari corretti il proprio percorso ESG. La transizione ecologica non è una passeggiata e le imprese, in particolare le PMI che rappresentano l’ossatura del nostro sistema economico, devono essere incoraggiate nell’affrontare le tante sfide ad essa connesse.

Tornando al vocabolario, il termine che indica l’orientamento di un’impresa a non comunicare la sostenibilità dei propri prodotti e processi è “greenhushing”: un silenzio verde che nasce proprio dal timore di aprirsi alle critiche. In uno scenario caratterizzato da normative sempre più stringenti e rigorose la paura di vedersi sbattuti in prima pagina o, peggio ancora, di essere oggetto di contenziosi può davvero comportare un pericoloso ripiegamento in termini di rendicontazione e comunicazione.

Parliamoci chiaro: l’unica ricetta è la trasparenza, il mettere in chiaro le proprie possibilità e anche i propri limiti, motivando le scelte e fissando obiettivi realistici nel medio termine, senza scorciatoie. Al contempo, guai ad alzare l’asticella mentre il saltatore ha già preso la rincorsa, così vanificheremo gli sforzi che invece vanno sostenuti, incoraggiati e comunicati affinché qualcun altro decida di provare a saltare.




TikTok, limite di 60 minuti per i minori

TikTok, limite di 60 minuti per i minori Leggi l'articolo originale su ZEUS News - https://www.zeusnews.it/n.php?c=29729

TikTok ha annunciato che sta per introdurre un limite giornaliero di 60 minuti per i suoi utenti che hanno meno di 18 anni. Gli utenti più giovani dovranno digitare un codice per poter continuare a usare il servizio dopo la prima ora di utilizzo giornaliero; se supereranno i 100 minuti, riceveranno da TikTok una richiesta di impostare dei limiti personali di tempo.

I genitori possono comunque continuare a stabilire limiti di tempo tramite i controlli parentali dell’app tramite la funzione Collegamento familiare, le cui istruzioni sono nella guida online di TikTok anche in italiano, oppure possono farlo tramite il Family Link di Google (per gli smartphone Android) o le Restrizioni contenuti e privacy sui dispositivi Apple.

Il limite minimo di età di TikTok è 13 anni in quasi tutto il mondo, salvo Corea del Sud e Indonesia, dove l’età minima è 14 anni, e in India, dove l’app è vietata dal 2020.

Questo social network ha oltre un miliardo di utenti attivi mensili ed è oggetto di molta attenzione, perché Stati Uniti, Canada e Unione Europea hanno recentemente ordinato ai dipendenti governativi di rimuovere l’app dai dispositivi aziendali, perché si teme che l’app possa essere sfruttata dal governo cinese per monitorare le attività di questi dipendenti.Articoli suggeriti:

Secondo le analisi più recenti di Citizen Lab e del Georgia Institute of Technology, TikTok raccoglie informazioni sensibili, come la localizzazione degli utenti, più o meno come lo fanno, però, le altre app dei social network, ma con due differenze importanti.

La prima è che TikTok è di proprietà della ByteDance, che ha sede a Beijing [Pechino], e quindi è l’unica app non statunitense a grandissima diffusione, e a torto o a ragione i governi di quasi i tutti i paesi del mondo presumono che app made in USA come Facebook, Instagram, Snapchat e YouTube non raccolgano dati degli utenti in modi che possano intenzionalmente compromettere la sicurezza nazionale (la privacy individuale sì, ma non la sicurezza nazionale).Consigliamo la lettura di:

La seconda ragione è che esiste un articolo della legge nazionale cinese sulle attività di intelligence, risalente al 2017, che prevede che tutte le aziende cinesi e tutti i cittadini debbano “dare supporto, assistenza e cooperazione” a queste attività governative. Secondo alcune interpretazioni, questo articolo di legge permetterebbe al governo cinese di usare TikTok per sorvegliare gli spostamenti dei dipendenti di altri governi e “creare dossier di informazioni personali a scopo di ricatto e svolgere attività di spionaggio industriale”, come diceva l’ordine esecutivo del 2020 emanato dall’allora presidente statunitense Donald Trump.

E in effetti a dicembre scorso ByteDance ha ammesso che alcuni suoi dipendenti con sede a Beijing hanno acquisito i dati di almeno due giornalisti statunitensi per sorvegliare i loro spostamenti e scoprire se stessero incontrando dipendenti di TikTok sospettati di far trapelare ai media delle informazioni. Al tempo stesso, la Cina vieta da anni l’uso delle app social statunitensi ai propri cittadini, per cui il rischio è asimmetrico.