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Lobbying, una regolamentazione efficace necessita di una visione olistica 

Lobbying, una regolamentazione efficace necessita di una visione olistica

Quando si parla di rappresentanza di interessi si possono facilmente rilevare approcci, modelli organizzativi, chiavi di lettura e, talvolta, anche visioni diverse sul futuro di un’attività che ricopre, come già ampiamente sottolineato, un ruolo fondamentale per il processo decisionale democratico del nostro Paese.

Tuttavia, tali differenze che possono derivare dal ruolo ricoperto, dal background o più semplicemente dagli interessi che si hanno in tale attività, convergono su due elementi fondamentali: il valore centrale dell’informazione e la necessità di una normativa sul settore che renda trasparente l’utilizzo di tale informazione nell’intero processo decisionale.

Come far emergere questi elementi nel tentativo di regolamentazione in atto? Lo abbiamo chiesto a Vincenzo Manfredi Head of Public Affairs and Advocacy di Assoholding e Professore a contratto presso la Luiss School of Government.

La Camera dei Deputati ha avviato un nuovo tentativo di regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi. Da dove si dovrebbe partire perché si arrivi ad una normativa efficace?

A mio parere l’approccio alla regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi, la famosa legge sulle lobby, non dovrebbe avere una determinante solo ed esclusivamente costituzionale. Naturalmente la mia non è una critica alla formazione di una Commissione di soli professori di diritto pubblico voluta dal Presidente Pagano. 

Intendo dire che un tema complesso come quello della rappresentanza di interessi deve essere considerato nella sua accezione sistemica, per tale motivo una legge che regoli tale settore necessita di una visione olistica che tenga conto dei pareri di scienziati della politica, relatori pubblici, esperti di comunicazione politica, di IA e digital strategist, perché non possiamo sottovalutare l’impatto della digitalizzazione e dei suoi strumenti. 

Se volessimo fare un’analisi di ciò che accomuna tutti i precedenti tentativi di regolamentazione, compresa la proposta approvata dalla Camera dei Deputati durante la scorsa legislatura, si noterebbe come l’approccio utilizzato derivi da una visione limitata di questo settore che, solitamente, è ricondotto alla sola attività di lobbying.

Le Relazioni Pubbliche, perché è di questo che stiamo parlando, rappresentano la disciplina più vasta che racchiude al proprio interno le attività di public affairs, di advocacy, di lobbying, di comunicazione politica, di marketing strategico, di consulenza strategica e posizionamento di brand, di reputazione, di brand identity, di Corporate Social Responsibility.  Per tale motivo, a mio parere, il legislatore più che regolamentare l’attività di lobbying, dovrebbe trovare la strada per regolare le relazioni pubbliche e il loro rapporto con l’informazione. 

L’informazione e le sue potenzialità di utilizzo, è questa la reale questione da cui dovremmo partire per un approccio costruttivo e sistemico.

Guardiamo, ad esempio, all’allarme lanciato dal Presidente degli Stati Uniti che teme un’influenza dell’intelligenza artificiale nelle prossime elezioni di midterm o, ancora, a ciò che è successo con Cambridge Analytica che non aveva le capacità che, oggi, offrono sistemi come Bard o Chat GPT. 

Potrebbe specificare meglio quella che è, per lei, la differenza tra Relazioni Pubbliche e Rappresentanza di interessi?

Non vi è una differenza. La declinazione della rappresentanza di interessi all’interno delle relazioni pubbliche ha a che fare con tre concetti fondamentali che sostanziano il significato stesso di ciò, che poi, è la tecnica della comunicazione: rappresentanza, rappresentatività e rappresentazione. Questi tre concetti che sembrano distanti, in realtà sono un unicum che definisce, all’interno della disciplina delle relazioni pubbliche, ciò che la rappresentanza di interessi rappresenta in funzione, non solo del decisore pubblico ma, di qualunque tipo di relazione.

Un’altra delle declinazioni si potrebbe definire “Organizational listening” (o ascolto organizzativo) che è la necessità di capire il contesto fornendo soluzioni capaci di generare valore.  Un tipo di valore che deriva dalle relazioni e non si esaurisce con il profitto, a differenza di quanto succede con l’azione imprenditoriale, ma crea un valore come asset intangibile rinveniente e precedente al profitto. Ciò consente agli asset intangibili non solo di essere misurati e verificati ma, anche, di creare quel valore sostenibile nel passaggio dallo shareholder allo stakeholder capitalism. 

Quando si parla di rappresentanza di interessi non si può ignorare la percezione negativa che questo settore ha in Italia. Basterà una regolamentazione del settore per cambiare tale percezione?

Sono certo che una regolamentazione del settore sicuramente potrebbe dare una diversa dignità, una diversa considerazione, come giustamente detto, ed una diversa percezione. Tuttavia, non credo che i colleghi giornalisti smetteranno di utilizzare la parola lobby in maniera negativa o con un’accezione denigratoria subito dopo l’approvazione della norma. È una questione culturale e se vuoi anche storica. Nonostante il susseguirsi di governi e “stagioni politiche” differenti, nel nostro Paese vi è sempre un motivo per utilizzare la parola “lobby” in senso negativo.

È per tale motivo che, a mio parere, tutti noi dovremmo investire su una diversa narrazione della rappresentanza di interessi quale fenomeno naturale e connaturato in ogni sistema decisionale. Qualsiasi esso sia. Basti pensare a cosa fa un bambino quando, appena nato, capisce che piangendo richiama l’attenzione della madre e ne influenza le decisioni. 

Una volta accettato questo concetto basilare, ciò che realmente serve è un sistema trasparente e tracciabile dell’intero processo decisionale che non sia punitivo o lesivo nei confronti del rappresentante di interessi. Questo permetterà di distinguere il professionista da ben altro tipo di individui e di modificare, pian piano, la percezione di questa professione.

Ha parlato di un sistema trasparente e tracciabile. Secondo lei l’istituzione del registro permetterebbe il raggiungimento di tale obiettivo oppure ritiene vi siano altre soluzioni?

Il registro può essere uno strumento all’interno di una normativa che tenga conto della corretta definizione della professione, perché da solo non basta. Le faccio un esempio. 

Come è noto alla Camera dei Deputati esiste un registro dei rappresentanti di interessi che prevede la rendicontazione degli incontri annuali. Ebbene chi di noi si è interfacciato con il decisore pubblico per portare le proprie istanze e quelle dei propri clienti durante la pandemia, in cui era impossibile effettuare incontri fisici nelle sedi istituzionali, ha dovuto utilizzare i sistemi di web conference. Ebbene, arrivato il momento di stilare le nostre relazioni sugli incontri effettuati, i funzionari della Camera addetti al recepimento della rendicontazione ci hanno richiamato per dirci che gli incontri on line non erano da rendicontare in quanto non erano avvenuti nelle sedi istituzionali. Le sembra normale che nel 2023 venga ancora effettuata una distinzione simile? 

Per tale ragione credo che più che un registro, serva una considerazione oggettiva di ciò che si intende per attività di rappresentanza di interessi nell’alveo della più vasta disciplina delle relazioni pubbliche.

D’altra parte, come dimostrato da alcuni colleghi che hanno sviluppato piattaforme di digital lobbying, basterebbe istituire una piattaforma fondata sulla blockchain per richiedere gli incontri e tenere traccia delle interlocuzioni avvenute fra decisore pubblico e rappresentanti di interessi. 

È vero che ciò renderebbe tutto molto più semplice, nonché trasparente tuttavia, come detto all’inizio, non sono certo che un semplice registro degli incontri e dei temi trattati possa essere la soluzione a questo problema. 

Mancherebbe, come ampiamente detto, il reale valore della relazione stessa impossibile da rendicontare perché dovrebbe essere, in qualche modo, considerata da un punto di vista strategico nei suoi aspetti, sia ex ante che ex post, rispetto alla scelta pubblica. 

Non è, infatti, sufficiente rendicontare solo l’attività di rappresentazione o di rappresentanza ma anche è necessario rendicontare anche la funzione di rappresentatività. Ciò significa che non basta creare un semplice registro perché si rischierebbe che alcune categorie di soggetti, che data la loro funzione fanno effettivamente rappresentanza di interessi, come ad esempio le organizzazioni ordinistiche, non si iscrivano.

Pertanto, a mio parere bisognerebbe spingersi oltre l’istituzione di un semplice registro, perché ciò che potrebbe essere davvero utile alla definizione e riconoscimento di questa professione è un albo dei portatori di interessi, intesi come regolatori pubblici. È questo ciò che auspico.

Nei tentativi precedenti di regolamentazione del settore, accanto alla norma che prevedeva l’istituzione di un registro obbligatorio per i rappresentanti di interesse è stato sempre introdotto un elenco di “soggetti derogati”. In cosa si differenziano gli interessi rappresentati da un’associazione di categoria, da un’azienda o da un’agenzia di lobbying? 

Ci sono alcuni soggetti professionali che sono iscritti al registro dei portatori di interesse di Bruxelles, che vorrei ricordare è un registro volontario basato sulla better regulation e prevede una serie di obblighi e di premialità (a differenza dell’ultima proposta italiana ndr). 

Ebbene questi soggetti affermano volontariamente di esercitare tale attività in Europa e quindi si deve presumere lo facciano anche qui in Italia, eppure non sono iscritti al registro italiano. Ma non solo, questi soggetti nel testo dell’ultima proposta di legge approvata alla Camera erano stati esclusi dall’obbligo di iscrizione al registro italiano. Perché? 

Perché sono, di fatto, i rappresentanti degli interessi dei corpi intermedi, delle parti sindacali o delle parti imprenditoriali. Hanno, quindi, esercitato un’azione di lobbying efficace in modo da non essere obbligati alla rendicontazione. Lecito da parte loro, ma decisamente una scelta miope del legislatore che ha creato tali deroghe.

Tuttavia, quella norma se era ingiusta verso alcune categorie, era altrettanto ingenua verso altre nella parte in cui prevedeva l’impossibilità in capo ai manager e ai rappresentanti apicali delle aziende partecipate dallo Stato di continuare a rappresentare gli interessi delle società che, sostanzialmente, pongono in essere la politica economica e industriale del Paese. Perché? 

Non ha senso creare una norma e porvi, poi, delle deroghe. Si snatura la funzione stessa di una regolamentazione e si creano distorsioni pericolose e confusione.

Stiamo assistendo ad un cambiamento nel rapporto tra rappresentanza di interessi, comunicazione ed editoria. Lei cosa ne pensa di quello che qualcuno ha definito il settore dei “media affairs”? 

Quella in via di definizione, forse, dovrebbe essere una legge sulla regolamentazione dei media affairs perché, che differenza c’è tra l’azione di un rappresentante di interessi che cerca di influenzare un decisore con gli strumenti a sua disposizione e quella di un importante editorialista che scrive alcuni articoli sui principali giornali nazionali su una determinata questione politica e che, quindi, saranno letti dallo stesso decisore pubblico? Qual è la differenza fra l’azione di un rappresentante di interessi, quella di un editore o di un giornale? Voglio continuare questa mia provocazione. 

Pensiamo ai post di un influencer che ha 5 milioni di follower fa media, lobbying, advocacy? Se l’influencer utilizza il suo account Instagram per fare influenza a favore di un prodotto di largo consumo o un bene di lusso è pubblicità; se parla dell’attività di una ONG in Africa è sicuramente advocacy; se invece parla di policy, è lobbying? 

No, non propriamente, ma è sempre la creazione di percorsi di influenza che avranno degli effetti a cascata su tutta una serie di soggetti, decisori nei rispettivi campi. L’obiettivo della persuasione è stato raggiunto ma con altri mezzi rispetto a quelli che noi solitamente riconduciamo all’attività di rappresentanza di interessi. È questa la rivoluzione che stiamo vivendo. 

Pertanto, visto che si sta cercando di regolamentare questo settore e abbiamo la possibilità di porre la dovuta attenzione anche a queste nuove rivoluzioni, dovremmo prendere in esame tutta una serie di contributi di rilevanza scientifica, fondati sui dati, per analizzare la questione che è molto più complessa e di provare a regolamentare tutto il sistema dei media affairs. Credo che se ci riuscissimo, aiuteremmo sicuramente la democrazia e il futuro stesso del nostro Paese.

Ha fatto riferimento a nuovi player di cui non si può non tener conto e quindi le vorrei chiedere quale sarà, secondo lei, il ruolo degli studi legali e delle società di consulenza strategica nel futuro di questo settore?

Sicuramente ripensando il sistema con un approccio non giacobino. Le relazioni pubbliche sono, di fatto, un’attività di consulenza strategica, perché sono attività di posizionamento, di accrescimento della reputazione. Sono attività, come dicevamo, intangibili, che riguardano la crescita, la ricchezza, la capacità di creazione di valore per un determinato soggetto imprenditoriale e più in generale, di tutte le organizzazioni. Per tale motivo, ci saranno sempre più soggetti che entreranno nel mondo delle relazioni pubbliche, del public affairs, della lobby e dell’advocacy che porteranno una evoluzione del settore che la legge dovrà essere in grado di regolamentare garantendo però il libero mercato.

Questo è un settore che sta formando centinai (se non migliaia) di ragazzi e ragazze che diventeranno lobbisti. Ma qual è il settore del lobbista? Una professione senza un albo, o un ordinne, di riferimento la possono fare tutti, con il rischio di creazione di monopoli o situazioni perniciose.

Ecco perché risulta fondamentale avere approcciare il quadro in maniera multidisciplinare, senza fare della soluzione del problema una questione di interessi particolari.

Se consideriamo nella giusta misura il valore e l’efficacia delle relazioni pubbliche riusciamo anche a “rallentare” lo sguardo, non lasciandoci ingabbiare dalla tentazione del breve termine e da comportamenti estrattavi. Rimettere al centro la costruzione di senso e di significato per creare valore, per valutare l’impatto delle politiche pubbliche: per avere quindi quel comportamento rigenerativo che è proprio della rappresentanza di interessi.

L’obiettivo delle relazioni pubbliche e della lobby, come funzione di management, è di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione con un’attività continuativa, consapevole e programmata di gestione e di coordinamento dei sistemi di relazione che si attivano fra la stessa organizzazione e i suoi diversi stakeholder: orientare opinioni, atteggiamenti, comportamenti e decisioni degli stakeholder influenti e di tutti i soggetti che a vario titolo interagiscono con l’organizzazione. 

Se questi comportamenti sono posti in essere nel rispetto delle parti, non si annichilisce il dialogo ma si creano i presupposti per una negoziazione sostenibile ed inclusiva. Da questo punto di vista, gioca un ruolo cruciale il pensiero critico e l’intelligenza contestuale, una intelligenza emotiva che il relatore pubblico attua in quanto “ingegnere delle relazioni” e dei processi di cambiamento: un approccio quindi rigenerativo capace di operare in contesti complessi e trovare quindi soluzioni armoniche che creano consenso e sviluppo sostenibile.




LA SCIATTERIA, IL MALE DELLA POLITICA ITALIANA

LA SCIATTERIA, IL MALE DELLA POLITICA ITALIANA

È un problema di sciatteria. Luca Poma, docente universitario ma soprattutto esperto di comunicazione, interviene “a bocce ferme” sulla campagna pubblicitaria dell’Italia voluta da Daniela Garnero in Santanchè con il denaro dei sudditi. E Poma scherza proprio su uno dei temi “forti” delle giustificazioni adottate dal ministro di fronte alle montagne di proteste. I 9 milioni di euro – hanno assicurato i governativi – non sono riferiti alla realizzazione del prodotto, ma comprendono anche e soprattutto i costi di promozione all’estero, tra affissione negli aeroporti ed iniziative simili.

“Quante nazioni pretenderanno di coprire con i denari a mala pena sufficienti per una campagna pubblicitaria decente al Festival di Sanremo?”, ironizza Poma. D’altronde ricorda che, per evitare gare rischiose per la vittoria finale, si è deciso di mantenere la spesa pubblica “un pelo al di sotto della soglia che avrebbe fatto scattare l’obbligo di attivare una gara pubblica”. Meglio l’affidamento diretto, tanto i sudditi non capiranno. E poi ci si chiede perché alle elezioni prevalga l’astensione.

Perché, al di là dell’apprezzamento o meno delle immagini della Venere in versione Ferragni, è la sciatteria del contorno che impressiona. Non si registra il sito, si manda in giro una bozza con il video di una cantina e di un vino sloveno, non si presta attenzione alle traduzioni maccheroniche dei nomi delle città italiane. E si risponde alle critiche insultando chi ha espresso perplessità.

Tutto migliorabile, nulla di definitivo. O forse di definitivo c’è l’arroganza di un sistema di potere che non sopporta le critiche perché non vuole ammettere di essere inadeguato. Ma, in questo modo, gli errori non vengono corretti perché non vengono riconosciuti come errori.  Poma smonta anche la puttanata storica del “purché se ne parli”, ricordando che è un modello di fine ‘800. Sì, proprio 800. Ma “zia Daniela” non lo sa. Come ignora ogni regola del reputation management.

Peccato che Poma concluda invitando il ministro ed i suoi collaboratori a farsi consigliare dai colleghi del ministero degli esteri. Ecco, proprio no. Perché l’inesistente politica estera italiana non è un modello proprio per nessuno, in nessuna parte del mondo.




Bruce Springsteen in concerto a Ferrara: una caduta di stile tutta italiana

Bruce Springsteen in concerto a Ferrara: una caduta di stile tutta italiana

Maltempo in Emilia Romagna e il caso Bruce Springsteen: il commento di Luca Poma

La reputazione spiegata semplice? Il caso di Bruce Springsteen in queste ore a Ferrara.

Un mio ex studente, ora funzionario di rilievo in un associazione di categoria nazionale, mi ricorda che a Ferrara oggi è prevista la prima data italiana di Springsteen al parco urbano, a 3 Km dal Po in piena e a 50 km da Imola sott’acqua.

L’organizzazione ieri ha detto che “si farà” e sono attese tra le 50 e le 60.000 persone che su un campo paludoso sono invitate a ballare (e tenere impegnati i soccorsi, che immagino in queste ore abbiano di meglio da fare…).

Non ci sono più i ponti, le strade sono allagate, in buona parte dell’Emilia Romagna non transitano i treni. Si ferma il volley, si ferma in Gran Premio di Imola, ma il Sindaco di Ferrara Alan Fabbri (centro destra) ha detto che non c’è problema per il concerto e che sarà – qui la grande illuminazione! – un grande rilancio per la città… Per non parlare dei giornali, che in prima pagina mettono il Boss affianco a 50.000 sfollati, 48 comuni sott’acqua e 9 morti… (13, secondo gli ultimi aggiornamenti successivi alla pubblicazione di questo post, ndr)

Il Presidente #StefanoBonaccini parla di “secondo terremoto per la Regione” mentre l’Assessore al Turismo di Ferrara #MatteoFornasini apre lo Springsteen Village. E l’ultimo post del Sindaco di Ferrara è per la Festa della mamma, dopo quello sulla retrocessione della SPAL in serie C: semplicemente, come se il disastro dell’Emilia Romagna non esistesse. Forse è solo mancanza di cultura istituzionale e mancanza di rispetto per le vittime, ma potrebbe anche essere (Dio non voglia) mancanza di capacità di previsione delle crisi…

Già così lo “spettacolo” (sic) non è dei migliori, ma – nella speranza che tutto vada per il meglio – l’Italia si conferma tristemente un Paese a bassa sensibilità sul tema del reputation management e del crisis management. Anche perché di crisi reputazionale già possiamo parlare, se consideriamo i commenti poco lusinghieri che (giustamente) stanno venendo pubblicati sul profilo di Claudio Trotta, manager di Springsteen.

#Springsteen #Ferrara #concerto  #alanfabbri #cultura #emiliaromagna #alluvione #2023




Tesla Leaks, fuga di documenti riservati sui rischi occultati delle auto elettriche: il gigante dell’innovazione è in crisi di reputazione?

Elon Musk e la reputazione di Tesla

A Elon Musk, l’eccentrico ed innovatore miliardario americano, si sono dedicati fiumi di inchiostro, e in passato qualche parola l’avevo spesa anch’io per una rapida analisi sul suo personal branding. Ora il problema pare deflagrare, a causa di una fuga di notizie consistente nella pubblicazione, ovviamente non autorizzata, di 23.000 documenti aziendali riservati della multinazionale dell’elettrico. Ma andiamo con ordine.

Elon Musk: apparenza o sostanza?

Musk è una celebrità, questo è certo, ma una celebrità che pare afflitta da una smisurata ipertrofia dell’ego: patisce a non essere costantemente sulla cresta dell’onda (digitale) ed è disponibile a cavalcare qualunque tipo di polemica pur di surfare l’hype, un po’ come un adolescente complessato e desideroso di attenzione. Nulla di male, si direbbe, se non fosse che la continua e reiterata violazione delle più elementari regole delle buone relazioni pubbliche fa male non solo alla sua immagine, ma anche al valore di borsa delle sue aziende, esposte alle fluttuazioni generate dalle esternazioni del loro lunatico CEO.

Ad esempio, la domanda da lui posta qualche mese fa al popolo del web “Dovrei dimettermi da capo di Twitter?” diede come imbarazzante esito un 57,5% di “SI” da parte dei votanti, gettando il boss di Tesla e delle molte altre società della sua galassia nello sconforto: obbedire al volere della rete, come pure Musk ha sempre dichiarato essere imprescindibile fare, o passare oltre, facendo dimenticare la votazione, ma tradendo così la fiducia degli utenti? Ovviamente buona fu la seconda, con il risultato di realizzare la più clamorosa violazione di uno dei pilastri fondamentali del reputation management: quello della coerenza.

Una conferma – semmai ve ne fosse bisogno – che costruire reputazione è un più complesso che non semplicemente “comunicare”: ma davvero nel 2023 c’è ancora qualche dilettante che crede funzionare la formula “bene o male, purché se ne parli?”.

I “Tesla Leaks”: la fuga di notizie riservate e le reazioni del mercato

Ora, il contenuto dei 100 Gigabyte di informazioni interne riservate e pubblicate online su Tesla potrebbe rivelarsi potenzialmente devastante per il gigante texano dell’elettrico: auto che si schiantano contro i dissuasori stradali, freni attivati di colpo per evitare collisioni immaginarie, e circa 2.400 reclami per veicoli che accelerano sfuggendo al controllo dei proprietari, come riporta un articolo del quotidiano economico tedesco Handelsblatt ripreso poi da Wired UK.

Wired UK spiega che dal 2015 al 2022 i problemi di sicurezza relativi all’Autopilot di Tesla, che parrebbe essere causa di diversi incidenti quasi mortali, sarebbero stati numerosi, ben noti alla casa produttrice e – clamorosamente – se non ignorati quanto meno sottostimati, nonostante le ben 360.000 vetture già richiamate per aggiornamenti al software.

A ciò si aggiunga – evidenzia sadicamente il quotidiano tedesco – che l’azienda non lancia un nuovo veicolo elettrico dal 2020, ed è ormai considerata – paradossalmente, dal momento che proprio Tesla è stata innovatrice nel settore – in significativo ritardo rispetto a diverse altre case produttrici di automobili.

Matthias Schmidt, analista automobilistico indipendente di Berlino, ha affermato: “Tesla ha da tempo adottato un approccio affrettato per lo sviluppo dei suoi prodotti, che genera preoccupazioni sul fatto che i nuovi modelli siano effettivamente pronti per circolare (sulle strade, ndr). Nel complesso, i veicoli dell’azienda sono stati coinvolti in 393 decessi registrati, 33 dei quali avevano a che fare con il sistema Autopilot”. Ciò che ha dell’incredibile è che il CEO Elon Musk “accetta la morte dei conducenti come una conseguenza dell’avanzamento della tecnologia“, conclude Schmidt.

Handelsblatt riporta nella sua inchiesta anche il parere di Ferdinand Dudenhöffer, direttore del Centro di ricerca automobilistica dell’Università di Duisburg, in Germania, che ha preso posizione criticamente, dichiarando: “Tesla ha migliaia di informazioni, di reclami dei clienti, e allo stesso tempo dice alla gente che è il miglior prodotto del mondo“.

Mi chiedo: siamo – incredibilmente – ai prodromi di un nuovo Dieselgate[1]?

Interessante però notare – ai fini della nostra analisi – come Dudenhöffer attribuisca la responsabilità dei crescenti problemi di Tesla direttamente a Musk: “Non dovrebbe più essere l’amministratore delegato e il capo Tesla – ha dichiarato l’esperto – perché continua a commettere errori su errori” (!).

È ancora presto per capire quali saranno le reazioni dei clienti e in generale degli stakeholder dell’azienda di Musk, anche se Soumen Mandal, analista di Counterpoint Research, ha osservato che “Tesla è solita creare aspettative elevate, che spesso però fatica a soddisfare“. A riprova di quanto la situazione potrebbe essere critica, è interessante evidenziare come il prezzo delle azioni di Tesla avesse raggiunto un picco di 407,36 dollari nel 2021, ma da allora sia calato di oltre la metà, arrivando la scorsa settimana a 184,47 dollari per azione: quanti danni dovrà ancora creare l’approssimazione di Elon Musk nella guida del gruppo prima che i fondi di investimento perdano la pazienza? E ancora: basta una conduzione “eccentrica” e fuori dagli schemi della comunicazione per tenere a galla – e far rendere – una multinazionale delle dimensioni di Tesla?

La reputazione: è solo cura dell’immagine (a qualunque costo)?

“Costruire la propria reputazione privilegiando non solo l’immagine, la pubblicità o il marketing fini a se stessi, bensì l’azione: il fare, e il raccontare bene ciò che si è fatto, partendo, sempre, dalla consapevolezza – profonda e sentita – della propria identità”: questo scrivevamo nell’introduzione a un volume sul reputation management scritto a quattro mani con la collega Giorgia Grandoni.

Il termine identità si riferisce all’essenza degli elementi che caratterizzano l’organizzazione nel profondo, sia materiali che immateriali: la sua personalità, la vision, la mission, i valori guida e i comportamenti dei membri; nel senso più esteso, il motivo stesso per il quale l’organizzazione esiste. Mai il termine greco Telos – utilizzato da Aristotele, ma ripreso poi anche da Hegel e Marx – fu più centrato: lo studio degli oggetti in relazione ai loro obiettivi, contrapposto (o meglio, integrato) dal termine Téchne, ovvero il metodo, grazie al quale si raggiunge uno scopo o si realizza un oggetto.

La domanda alla quale, banalmente, è utile tentare di rispondere, quando si indaga circa l’identità di un’azienda, o si lavora per rivitalizzarla, è la seguente: quale era il sogno dell’imprenditore, il giorno in cui ha sottoscritto l’atto fondativo dell’organizzazione? Dove voleva arrivare? Cosa voleva cambiare nella società?

Invece l’immagine – più banalmente – riguarda solo la forma esteriore dell’organizzazione, il riflesso dell’identità dell’organizzazione così come appare agli occhi dei suoi pubblici, ed è questione assai più superficiale ed effimera.

Le organizzazioni però investono molto sul concetto di immagine – e in questo Musk pare un maestro – per cercare di distinguersi e di essere attraenti agli occhi di tutti gli stakeholder, e il processo di costruzione dell’immagine aziendale è spesso la priorità degli uffici marketing e pubbliche relazioni. Quest’attività tuttavia può rivelarsi assai rischiosa quand’è autoreferenziale e poco genuina: se ci si allontana troppo dalla vera identità dell’organizzazione, proiettando un’immagine inautentica e artefatta, si entra nel tunnel del rischio di crisi reputazionale, che distrugge valore non solo per l’influencer/ brand/ azienda ma – ed è ben più grave – anche per tutti coloro che su di esso/a hanno investito.

Metaforicamente, potremmo immaginare l’identità di un’organizzazione come un palazzo, e l’immagine come un’impalcatura costruita attorno dagli operai per rinnovare la facciata e renderla più gradevole: se la distanza tra l’impalcatura e il palazzo si rivelasse eccessiva, l’impalcatura inevitabilmente crollerebbe.

Forse l’impero di Musk necessita urgentemente di nuovi “operai” e di una strategia all’altezza delle criticità che sta vivendo: diversamente l’impalcatura potrebbe crollare, trascinando nel disastro il suo poliedrico creatore.


[1] Lo scandalo che investi il gruppo Volkswagen in relazione alla manipolazione da parte della causa automobilistica tedesca dei dati delle emissioni di CO2 in atmosfera per i motori diesel, che impatto significativamente sulla reputazione (e sui conti) dell’azienda, qui ulteriori dettagli




Tesisquare, dall’alta tecnologia Made in Italy a “the ring”, il percorso verde per le riunioni itineranti all’aperto: ecco perché investire in sostenibilità conviene

Tesisquare, dall’alta tecnologia Made in Italy a “the ring”, il percorso verde per le riunioni itineranti all’aperto: ecco perché investire in sostenibilità conviene

TESISQUARE è stata fondata da Giuseppe Pacotto nel 1995 a Bra: oggi, è tra i principali provider di soluzioni tecnologiche per la Supply Chain in Italia, opera in 40 Paesi del mondo con 500 collaboratori e, nel 2022, ha raggiunto un fatturato di 45 milioni di euro, con una crescita costante negli anni. Supporta le aziende nel costruire ecosistemi digitali per la supply-chain, con l’obiettivo di massimizzare le performance in network aziendali estesi e complessi.


Marco, perché promuovere operazioni di welfare aziendale e di responsabilità sociale conviene anche sotto il profilo della creazione di valore?

Il mondo attuale – non solo generalmente quello in cui viviamo, ma anche quello del più ampio contesto produttivo nel quale siamo inseriti – è volatile, incerto, estremamente complesso ed ambiguo. Fronteggiare queste sfide con un approccio conservativo, predeterminato, fatto da variabili storiche ripetute, a nostro avviso non è vincente: dobbiamo essere pronti al rapido cambiamento, flessibili e innovativi. Gli strumenti di welfare (aggiornati ed ampliati per via delle spinte governative sul piano fiscale) sono un mix di leve che consentono di arricchire il rapporto tra colleghi e di impreziosire quello che si imposta con i nuovi candidati: le persone oggi non guardano solo a sé stesse, pur rimanendo il package contrattuale di primaria importanza, ma vogliono sentirsi parte di un progetto più ampio e con un senso importante, che non si esaurisca con il solo impegno produttivo dell’azienda. Per questo operare in una realtà che lavora non solo rispettando le persone (il primo punto della nostra carta dei valori) ma anche l’ambiente e il sistema sociale che la circonda rappresenta una opportunità aggiuntiva per attrarre e mantenere fidelizzate le migliori risorse umane.

La vostra CSR in cifre: quanto investite per migliorare direttamente o indirettamente l’ambiente e le persone?

La società ha stanziato, tra il 2022 e 2023, 1.700.000€ per supportare le proprie persone con una serie di incentivi economici quali i buoni carburante, i buoni pasto, i voucher di acquisto, il welfare ed aumenti in busta paga. Gli ultimi interventi, welfare ed aumenti, sono pari ad una mensilità aggiuntiva: “una quindicesima netta” per tutti i dipendenti. L’azienda dal 2011 è impegnata nella produzione di energia tramite l’impianto fotovoltaico ambientale che produce oltre il 70% del consumo totale aziendale. Ha investito all’incirca 800.000 euro installando nel 2022 un ulteriore nuovo impianto fotovoltaico a terra che aumenterà la auto produzione di energia.  La struttura è inoltre dotata di un sistema di SOLARTUBE per agevolare l’utilizzo di luce naturale all’interno di alcune sale riunioni.  Abbiamo colonnine di ricarica elettrica per le auto fruibili dai dipendenti (aperta anche agli esterni) con un investimento di circa 10.000 euro. È in corso anche la realizzazione di un Parco Verde e di un impianto di irrigazione alternativa. TESISQUARE si è concentrata sul corretto utilizzo dell’acqua anche piovana sviluppando un avanzato sistema di irrigazione delle aree verdi adiacenti alla sede di Cherasco (CN). Soluzioni tecnologiche innovative che aiutano a proteggere l’ambiente e salvaguardare le risorse idriche. Per questo progetto attualmente sono state impegnate risorse per circa 220.000 euro.

Cosa significa per voi “far crescere il talento”?

Siamo partiti da forme di sostegno per chi sceglie di intraprendere percorsi di studi universitari o di specializzazione: è una politica di supporto allo studio che concede permessi speciali per studiare, che vanno oltre le ore previste da CCNL, come anche premi monetari al conseguimento e ottenimento del titolo. Non si tratta dell’unica iniziativa aziendale, poiché internamente abbiamo strutturato ed avviato una Corporate Academy, con corsi di formazione per ogni profilo professionale. Alcuni di questi corsi sono tenuti dagli stessi colleghi in qualità di docenti per trasmettere la loro conoscenza: abbiamo visto che è un modo per motivare fortemente i colleghi. Altri corsi sono svolti con partner, per conseguire certificazioni valide per poter poi seguire progetti con clienti, e altri sono percorsi rivolti soprattutto al management per poter fornire strumenti per lo sviluppo delle persone e nella gestione dei collaboratori. L’ultima iniziativa che abbiamo messo in campo in tema formazione è stata quella di fornire a tutti i dipendenti una piattaforma di e-learning per l’apprendimento delle lingue, con la scelta tra 14 lingue disponibili, anche a supporto dell’internazionalizzazione della nostra stessa azienda.

Lavorare da casa ed essere produttivi, è possibile?

Sì, anche se non sempre e non in tutte le circostanze. Per una “multinazionale tascabile” come la nostra, il rapporto fiduciario è ancora così forte da colmare eventuali lacune di gestione nei processi produttivi. Questo fa sì che in smart working non si perda produttività, perché le persone sono mature e responsabili e tenendosi in contatto tra loro e con noi non creano situazioni di isolamento lavorativo (che sarebbe improduttivo). Di contro, non possiamo solo basarci su questo importante, ma intangibile asset. Pianifichiamo la performance a budget, con incremento di efficienza anno su anno condiviso con il management. In questo modello anche lo smart working deve contribuire al miglioramento della produttività, lo si scrive nei budget e si monitora nell’anno come procede. Preparandoci sempre meglio alla crescita che ci aspetta nel futuro, stiamo anche migliorando i nostri processi di pianificazione in modo che il lavoro da remoto possa funzionare bene non solo su base fiduciaria e su “sinapsi organizzative”, ma anche per chiari task ed obiettivi tracciati. Questo sarà fondamentale non solo per governare il lavoro ibrido, bensì anche per integrare al meglio il personale internazionale che è in rapida crescita.

HORTOBot: parliamone…

È “L’Orto a portata di mano”: si tratta di un’iniziativa che prevede la realizzazione di un orto aziendale presso un terreno messo a disposizione da TESISQUARE, realizzato dalla start-up HORTObot di Pont-Saint-Martin con la collaborazione, per la parte di costruzione, dell’azienda Meccanica97 di Sommariva Bosco e coordinato dalla Fondazione DIG421. Al progetto collaborano anche enti e università del territorio come il DISAFA di Torino e l’UNISG di Pollenzo. In questa prima fase il progetto coniuga sostenibilità ambientale, economica e welfare aziendale. Si basa sul concetto e sulla visione del Precision farming, ovvero l’utilizzo della tecnologia per una coltivazione più attenta e ottimizzata. È possibile, infatti, attraverso l’uso di sensori, telecamere e App misurare la distribuzione dell’irrigazione e le caratteristiche del suolo, o l’attacco di funghi o parassiti, ottimizzando così al meglio la coltivazione. Proprio in questi giorni si sta lavorando per avviare la seconda fase, riguardante l’implementazione sia della parte meccanica e di IoT che agronomica. Oltre alla valenza scientifica e sperimentale, il progetto prevede un modello di welfare che vede coinvolti i collaboratori di Tesisquare e le loro famiglie, che potranno raccogliere un prodotto finito a Km 0, bio, fresco e salutare. A settembre avverrà il taglio del nastro e ci sarà l’inaugurazione ufficiale.

Il vostro quartier generale è a Bra, città del gusto, ed amate (anche) lavorare all’aperto: fate sognare chi ci legge, raccontando cosa vedrebbe con i propri occhi se fosse li…

TESISQUARE e il Digital Innovation Gate 421 hanno progettato uno spazio lavorativo anche all’aperto, inclusivo e sostenibile, per favorire opportunità di interazione sociale. Fra le iniziative più apprezzate “The Ring”, un percorso di 1.350 metri che circonda la sede centrale: è una vera e propria “sala riunioni in cammino” dove i colleghi possono telefonare, parlare e analizzare tematiche lavorative camminando all’aria aperta. Tavoli di lavoro (per rispondere allo stimolo dell’immaginazione, sono tavolini in metallo “alla parigina”) all’aperto sotto l’ombra delle strutture innovative del campus centrale o sotto l’ombra delle piante consentono di spostarsi all’aperto per fare una call o una videoconferenza con colleghi di altre sedi o clienti. Non solo per lavorare, ma anche per mangiare e fare una pausa rigenerante. Il food-truck ospita, in una struttura fatta in cooperazione con la Rolfo SpA (leader in bisarche e bilici), una vera e propria cucina e bar per mangiare una insalata fresca o un panino genuino e bere un caffè. È possibile poi intrattenersi nella zona relax con sdraio su sabbia per riposarsi o proseguire le discussioni di lavoro. Crediamo fortemente nei riflessi tangibili sulla produttività che può avere un buon clima interno, e per questo abbiamo investito (e vogliamo continuare a investire) sul benessere delle nostre persone.

Come percepite voi stessi e il ruolo di un’azienda come la vostra nel complesso ecosistema che ci circonda? 

Con un misto fra responsabilità e orgoglio. La responsabilità sociale di produrre qualcosa che non sia solo conto economico, importantissimo, ma anche sostenibilità nel tempo a livello di tessuto produttivo del nostro paese ed a livello sociale. Quello che l’azienda è capace di “dare” al territorio ed alla società in generale, noi lo vediamo come il “restituire” in base alle opportunità che ci sono state date di creare e far funzionare l’azienda. A questo si collega anche l’orgoglio per il territorio che molti di noi, di origine vicino alla sede centrale, hanno come sentimento culturale molto vivo e presente. Cerchiamo di portare lo stesso sentimento anche nelle altre sedi dove operiamo, sia in Italia che all’estero, con le dovute dimensioni di investimento e possibilità di azione, in base a dove siamo presenti e quante persone abbiamo con noi. Dare valore a noi stessi come azienda avrebbe un significato limitato, magari sotto il profilo dei parametri economici, ma non “a tutto tondo”. Dare invece anche valore al territorio dove si opera consente un riverbero di quei valori nel tempo. Di fatto, prendendoci cura di ciò che ci circonda stiamo creando l’ambiente ideale e fecondo per vivere il futuro e continuare a costruire valore anche per i nostri azionisti.

Il futuro di Tesisquare: alcune anticipazioni…

Stiamo lavorando per proseguire il processo di internazionalizzazione con valutazioni di potenziali acquisizioni che hanno lo scopo di consolidare la nostra presenza ed ampliare l’offerta di mercato in Francia, Spagna e Stati Uniti; in parallelo, non mancheranno importanti investimenti nelle nuove tecnologie per ottimizzare le nostre soluzioni all’interno dei nuovi trend di mercato come l’Internet of Things e l’Intelligenza Artificiale.

In chiusura, una domanda (apparentemente) “leggera”: famiglia, hobby, sogni e desideri, pregi e difetti, e – infine – un grande successo e un fallimento significativo…

Marito di Laura, imprenditrice, papà di due bambini, Stefano di 9 anni e Marta di 7, entrambi alla scuola elementare a Torino, dai Padri Gesuiti, Marco Trovesi è appassionato di sport, praticante di bici e sci in ogni momento che non sia con la famiglia o sul lavoro. Ingegnere, con un approccio pragmatico e strutturato alla gestione delle persone, ovviamente pignolo come tutti gli ingegneri! Un successo (recente) è stata l’apertura di una società, poi controllata dal nostro stesso gruppo, in Albania, per ampliare e stabilizzare il mercato del lavoro così complesso oggigiorno nel campo IT; il fallimento, più antico, fu nel 2001, quando la bolla speculativa della new economy bloccò quasi “in sala parto” una start-up che rappresentava una community di interessi per sportivi (oggi in tanti modi Social floride e rigogliose). Ma da ogni sconfitta nascono opportunità: basta non demoralizzarsi e continuare a guardare avanti, portando a valore le esperienze.