1

Disturbi alimentari, il ruolo dei social: “Il confronto con i modelli ideali aumenta il rischio di malattia. Le ragazze paragonano peso e taglia a quelli delle influencer”

Disturbi alimentari, il ruolo dei social: “Il confronto con i modelli ideali aumenta il rischio di malattia. Le ragazze paragonano peso e taglia a quelli delle influencer”

Ve ne siete accorti anche voi e in tantissimi ci avete raccontato le vostre esperienze: i vestiti sono sempre più strimiziti. Nelle scorse settimane, noi di FqMagazine abbiamo analizzato il fenomeno, provando a spiegare perché questo accade e come sia possibile che le taglie riportate sui cartellini degli abiti si riferiscano a misure ormai sempre più arbitrarie. I brand, infatti, stabiliscono quanti centimetri assegnare ad ogni capo in base a precise strategie di marketing, un gioco pericoloso che ha pesanti effetti sulla psiche, in particolare degli adolescenti, nei quali può anche indurre patologie come disturbi alimentali, autolesionismo e depressione. Un ruolo cruciale, in questo sistema, è giocato dai social network, Instagram e TikTok in primis, dove i giovani non solo assorbono modelli e canoni estetici, ma vengono anche potentemente influenzati dai contenuti che l’algoritmo propone loro incessantemente. L’uso problematico di queste piattaforme può essere considerato, infatti, un fattore di rischio e precipitante del disturbo alimentare, in una fase delicata come la transizione adolescenziale. Per questo abbiamo deciso di dedicare un focus proprio alla relazione che intercorre tra social e disturbi alimentari, facendo, con l’aiuto della dottoressa Francesca Farina, psicologa e psicoterapeuta esperta in Disturbi del comportamento alimentare, il punto della situazione; e poi raccogliendo la testimonianza della dottoressa Margherita Magni, psicoterapeuta e responsabile clinico di Erika Associazione per la lotta ai disturbi del comportamento alimentare ODV, fondata nel 2000 da un gruppo di genitori di pazienti che hanno sofferto di un disturbo alimentare. L’Associazione opera in sinergia con la Struttura Complessa di Dietetica e Nutrizione Clinica del Grande Ospedale Metropolitano di Niguarda ed affianca genitori e pazienti nel percorso terapeutico.

I RISCHI DEI SOCIAL

“La nostra esperienza clinica suggerisce che l’uso problematico avviene in primis attraverso l’accesso a siti che promuovono comportamenti alimentari scorretti e dannosi, diffondendo false informazioni e consigli che concorrono a sostenere di fatto il disturbo alimentare”, ci spiega la dottoressa Magni. Ma non solo: le ragazze ed i genitori che contattano l’Associazione provengono da tutta Italia, prevalentemente Milano ed Hinterland. “Molto spesso le ragazze ci parlano di accessi reiterati ai profili social di personaggi famosi o di pari al fine di confrontare taglie, forme e dimensioni corporee – ci dice la referente dell’Associazione -. A tal proposito recenti ricerche suggeriscono che i social che propongono prevalentemente immagini (a discapito dei contenuti verbali) siano particolarmente implicati come fattori di rischio nello sviluppo dei disturbi del comportamento alimentare. Sono numerose le testimonianze di ragazze che fanno uso dei social media come mezzo per confrontarsi con i coetanei con un’incidenza negativa sull’autostima in evoluzione”.

D’altra parte, basta dare un’occhiata ai numeri di TikTok per accorgersi di come la metà dei suoi 800 milioni di utenti siano giovani tra i 16 e i 24 anni: “Sappiamo che i social media tendono ad influire sempre di più sulle scelte dei ragazzi”, ci conferma la dottoressa Farina. “Il consumo digitale nasce oggi all’interno della famiglia, il ragazzino non sta mai da solo e il digitale lo connette con il mondo da subito a prescindere dal corpo reale. Fin da quando si è bambini non c’è confine tra ciò che è privato e ciò che è pubblico, qualsiasi esperienza trova un suo senso peculiare quando comunicata. E’ importante quindi che gli attori dei social acquisiscono sempre più consapevolezza della loro responsabilità dal momento che influenzano chi li segue come se fossero nel qui ed ora”, sottolinea la psicologa e psicoterapeuta. “Credo però che sarebbe riduttivo considerare i social in sé oppure chi li abita come il problema. Un aspetto fondamentale oggi è che anche gli adulti di riferimento si sentano sempre più competenti e si legittimino quindi a chiedere, interessarsi alla vita virtuale che oggi è tanto se non più vera della reale”. Per questo, chiosa la dottoressa, “fondamentale non è tanto semplicemente limitare l’esperienza virtuale quanto creare alternative, sviluppare senso critico e aiutare a trasformare le crisi in opportunità”.

GLI EFFETTI DEI MODELLI IMPOSTI DA VIP E INFLUENCER

“Un tema che accomuna il disturbo alimentare è quello legato al fatto che la mente deve avere un controllo sul corpo, se poi a questo si aggiungono i vissuti prestazionali fino al mito della perfezione, possiamo osservare come il cibo possa diventare uno strumento per raggiungere i propri obiettivi”, analizza la dottoressa Farina inquadrando il fenomeno. “Spesso incontriamo ex bambini perfetti, su di loro la trasformazione puberale può diventare realmente un problema ed il peso è l’unico elemento che possono controllare. Diventa quindi certamente importante osservare quali siano gli ideali di perfezione che vengono proposti a livello culturale e mediati poi dai social nella quotidianità dei ragazzi. Il rischio forte è che il confronto con i modelli proposti amplifichi la sensazione di non essere all’altezza. Questo può portare all’idea di nascondere o di sovraesporre il proprio corpo. Hanno un bisogno estremo dell’altro e spesso dipendono dallo sguardo dell’altro”, rileva Farina.

Tutto questo viene riscontrato quotidianamente nell’esperienza “sul campo” dell’Associazione Erika: “Tra i fattori di rischio e precipitanti un disturbo del comportamento alimentare ci sono, in una condizione di bassa autostima, il ricorso a diete, pressioni sociali ed emulazione di modelli esterni di magrezza e perfezionismo. Spesso le ragazze che soffrono di un disturbo alimentare quando si guardano allo specchio tendono a focalizzarsi su un dettaglio del proprio corpo, perdendo di vista lo sguardo complessivo sulla propria immagine e sulla propria persona nel complesso. Questa modalità rende il loro rapporto con lo specchio molto difficile”, riferisce la dottoressa Magni. “Le ragazze che incontriamo ci parlano di frequenti e spesso lunghi accessi ai social in cui l’attenzione è portata a comparare le loro forme corporee con quelle dei loro pari o di personaggi famosi, attraverso foto e video. Sappiamo che rendere il corpo oggetto tramite immagini è correlato in letteratura ad una peggiore percezione della propria immagine corporea ed è un fattore favorente la distorsione dell’immagine corporea tanto più che i confronti sono spesso focalizzati su parti ristrette del proprio corpo”. Per questo Associazione Erika da due anni, in collaborazione con Ri-scatti Onlus, ha intrapreso un progetto di fotografia, un laboratorio rivolto alle pazienti in cura presso il Centro per la cura dei disturbi alimentari del Niguarda: “Così le ragazze vengono informate e sollecitate a pensare attivamente al funzionamento di internet e dei social network. Viene mostrato loro come molte fotografie possano essere modificate/ritoccate alterandone il senso e l’autenticità e vengono guidate nel ritrovare il senso di una fotografia non più solo auto-osservativa ma relazionale e rappresentativa di pensieri, concetti ed emozioni”, ci racconta l’operatrice Simona Galli.

COSA SONO I DCA E COME SI RICONOSCONO

“Quella che fino a qualche decennio fa era una sindrome rara ora è molto cambiata sia nella forma che nelle dimensioni. Molti fattori hanno contribuito a modificare le caratteristiche del disturbo alimentare, molti sono gli stessi che stanno modificando la concezione stessa dell’adolescenza”, analizza la dottoressa Farina. “Un’alimentazione disfunzionale può essere un problema temporaneo il cui significato varia a seconda delle sue caratteristiche e del momento in cui si presenta. Quando però assume un tratto stabile nel tempo e si associa ad una modificazione del funzionamento generale (sociale, scolastico, familiare) è possibile che si definisca un vero e proprio disturbo alimentare”. I più diffusi Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) sono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata (binge-eating disorder, BED): l’incidenza dell’anoressia nervosa è stimata essere di almeno 8 nuovi casi per 100.000 donne in un anno, mentre quella della bulimia nervosa è di almeno 12 nuovi casi per 100.000 donne in un anno. “In Italia, sia per l’anoressia, sia per la bulimia nervosa la fascia di età per l’esordio è 15 – 19 anni, con una tendenza negli ultimi anni ad un esordio sempre più precoce che può associarsi ad un rischio elevato di danni permanenti – sottolinea la dottoressa -, soprattutto perché i tessuti che non hanno ancora raggiunto una piena maturazione, come le ossa e il sistema nervoso centrale”. Circa nell’80% dei casi la guarigione è stabile con o senza sintomi residui sottosoglia. Nella percentuale restante dei casi può instaurarsi una progressione del disturbo che porta ad un quadro di ridotto funzionamento relazionale, scolastico e lavorativo oltre a frequente persistenza di disturbi psichici (ad esempio di tipo ansioso e depressivo).

Una problematica che è stata ulteriormente amplificata dalla pandemia di Covid e dalle inedite misure di contenimento del virus: “Ragazzi sempre più giovani hanno iniziato ad attuare condotte alimentari disfunzionali spesso senza che i genitori siano riusciti ad intercettare il disagio prima che diventasse sintomo di una problematica più seria“. Le richieste di primi contatti presso i servizi specialistici per disturbi alimentari sono incrementati, come documentato dall’Istituto Superiore di Sanità, con un allungamento delle liste d’attesa: per questo Associazione Erika ha attivato dal 2021 il progetto Terra di Mezzo per supportare le famiglie dei pazienti in lista d’attesa per ricovero presso il reparto di Dietetica e Nutrizione clinica dell’Ospedale Niguarda. “Sappiamo infatti quanto la condizione di essere in lista d’attesa sia difficile per i genitori e per la famiglia nel complesso, con vissuti di impotenza ed angoscia”, sottolinea la dottoressa Magni.

IL RUOLO DELLE SCUOLE E DEI GENITORI

Famiglia e scuola, se informati, possono avere un ruolo attivo e chiave nell’individuazione precoce dei segnali di un disturbo del comportamento alimentare e per una precoce presa in carico: lo Sa bene l’Associazione Erika, che nel biennio 2000-2022 ha coinvolto nei suoi gruppi psicoeducativi più di 200 genitori. “Il coinvolgimento della famiglia nelle cure del disturbo alimentare dell’adolescente o giovane adulto è fondamentale – ci dice la responsabile clinica dell’Associazione -. La famiglia è importante nel favorire l’accesso e la continuità delle cure dell’adolescente con un problema alimentare ed ha anche un ruolo nel mantenimento/remissione dei sintomi alimentari”. E la dottoressa Farina aggiunge: “L’occuparsi dei disturbi alimentari nei giovanissimi oggi non può prescindere dall’occuparsi della trasformazione che vivono i ragazzini quando smettono di essere bambini. Diventa importante che i genitori prestino attenzione agli strumenti che i ragazzi hanno per far fronte ai cambiamenti, agli imprevisti, alle mode ma anche ai fallimenti o comunque all’imperfezione”.

Cruciale anche l’ambito scolastico: “Pensiamo che l’approccio ai disturbi alimentari debba essere necessariamente multidisciplinare, coinvolgendo i centri specialistici ma anche coinvolgendo diversi attori in ambito sia di sanità pubblica sia nel settore sportivo e soprattutto scolastico“, ci dice ancora la dottoressa Magni. “La scuola infatti oltre a consentire l’integrazione e la socialità tra i giovani pensiamo possa avere un ruolo centrale anche nel riconoscimento dei primi segnali di comparsa di un disturbo alimentare. È importante che genitori e insegnanti siano messi nelle condizioni di riconoscere i primi segnali di un disturbo alimentare e possano fare riferimento all’interno della scuola ad uno psicologo scolastico che possa orientare i genitori e l’adolescente ad un centro specialistico sul territorio. Sappiamo infatti che quanto prima si accede alle cure tanto migliore sarà la prognosi, in termini di minor probabilità che si instaurino quei fattori biologici, cognitivi e relazionali che tendono a rendere il disturbo difficile da modificare”.




La polemica della “psicologa improvvisata” e il confine tra intrattenimento e professione

La polemica della "psicologa improvvisata" e il confine tra intrattenimento e professione

Il mondo dei social media, sempre più spesso, si intreccia con quello della psicologia. Influencer e creator, attratti dalla possibilità di offrire contenuti originali e coinvolgenti, si cimentano in analisi e interpretazioni della personalità, spesso avvalendosi di temi contenuti e terminologie proprie degli specialisti dell’ambito della salute mentale. Tuttavia, quando queste analisi superano i limiti dell’intrattenimento e si presentano come vere e proprie diagnosi, si sollevano inevitabili dubbi sulla professionalità e l’etica di chi le propone.

Un caso recente ha visto coinvolta una creator, Maria Beatrice Alonzi che ha duramente criticato una collega influencer, Alisha Griffanti, in arte “La Diva del Tubo”, per aver fornito interpretazioni psicologiche sui concorrenti di un reality show. La polemica ha preso una piega inaspettata quando è emerso che la stessa creator, pur non essendo una psicologa, offriva servizi di consulenza psicologica e organizzava corsi sulla respirazione guidata per avere “maggiori benefici economici” ( ! )

Questo episodio evidenzia il confine labile che esiste tra l’intrattenimento e la professione. Sui social media, chiunque può presentarsi come esperto di qualsiasi argomento, senza necessariamente possedere le competenze necessarie. Un fenomeno che se da un lato arricchisce il dibattito pubblico, dall’altro espone gli utenti a contenuti potenzialmente fuorvianti e dannosi.

Le autodiagnosi e le interpretazioni psicologiche non professionali possono avere conseguenze negative sulla salute mentale delle persone. Affidarsi a contenuti che non hanno alcuna base scientifica può portare a un’errata comprensione dei propri problemi e a ritardi nel cercare un aiuto adeguato.

Gli influencer hanno ormai un ruolo sociale importante e la loro opinione può influenzare le scelte e i comportamenti dei propri follower. Per questo motivo, è fondamentale che utilizzino i loro canali con responsabilità e che si astengano dal fornire informazioni che potrebbero essere dannose per gli altri.

Per tutelare gli utenti e garantire la qualità dei contenuti online, è necessario riflettere sulla necessità di una regolamentazione più stringente. Le piattaforme social dovrebbero adottare misure più efficaci per contrastare la diffusione di fake news e di informazioni false o fuorvianti, soprattutto quando si tratta di temi delicati come la salute mentale.

Il caso della “psicologa improvvisata” ci ricorda l’importanza di essere critici nei confronti dei contenuti che consumiamo online e di affidarci a fonti attendibili. La psicologia è una disciplina complessa che richiede anni di studio e formazione. Ridurla a semplici formule o stereotipi è un grave errore che può avere conseguenze negative sulla salute mentale delle persone.




“Certificazione B Corp”: un’asserzione etica affidabile, accurata e credibile? Nove motivi per – attualmente – dubitarne…

“Certificazione B Corp”: un’asserzione etica affidabile, accurata e credibile? Nove motivi per – attualmente - dubitarne…

Nel variegato mondo di marchi, certificazioni e rating proliferati in questi anni intorno ai temi della sostenibilità e della responsabilità sociale, dimensione certamente non esente da polemiche, il marchio B Corp Certified, nato negli Stati Uniti, è uno di quelli che più si è diffuso nel mondo.

La certificazione B Corp[1] è promossa da B Lab, un’associazione no-profit americana costituita nel 2006 con l’obiettivo di “Transforming the global economy to benefit all people, communities, and the planet [2][3] (nel testo di questo articolo, le frasi ed affermazioni in lingua inglese sono state tradotte in lingua italiana, e riportate nelle note a piè di pagina, ndr).

In questo articolo, mi propongo di sollecitare l’attenzione del lettore – senza alcun pregiudizio e utilizzando esclusivamente informazioni pubblicamente disponibili sui siti B Lab, B Corp e BIA – sulla legittimità dell’uso del termine “certificazione” per il servizio proposto da B Lab rispetto al quadro normativo cogente e volontario nazionale e internazionale sulla normazione e certificazione, nonché sulla correttezza della “promessa di valore” rappresentata dal marchio BCorp.

B Lab ha messo a punto uno “standard” denominato BIA[4]B Impact Assessment, utilizzato come riferimento per il rilascio della certificazione B Corp, al termine di un processo di valutazione condotto da Standard Trust di B Lab.

B Lab precisa che “oltre al raggiungimento di un punteggio minimo verificato di 80 punti, ogni azienda deve anche compilare un Disclosure Questionnaire, modificare la struttura della propria governance aziendale, implementando un modello noto come stakeholder governance e – in Italia – adottando la forma legale di Società Benefit, e ottemperare agli standard di trasparenza pubblicando la propria valutazione BIA sul proprio profilo della B Corp directory”. La precisazione di B Lab sottolinea che un’impresa, oltra al BIA, deve anche soddisfare altri requisiti formali, ma non modifica la sostanza: il BIA è lo “standard” di riferimento contenente i criteri di valutazione rilevanti sul piano delle caratteristiche di sostenibilità che portano al rilascio del marchio B Corp.

B Lab ha precisato inoltre che “Lo Standards Trust era un dipartimento all’interno di B Lab composto dai team di Standards Management, Certification & Verification, and Technology; questi e altri team sono ora parte di B Lab Global”. Si deduce che nella stessa organizzazione B Lab Global vi sono diversi Teams che si occupano di standard e di certificazione, anche se non è chiaro chi si occupi dell’accreditamento dei certificatori. Tutto ciò pare essere in contrasto con l’architettura internazionale di governance, che prevede una chiara distinzione di ruolo tra enti di normazione, enti di accreditamento, organismi di certificazione e società di consulenza. In B Lab Global tutto pare infatti avvenire all’interno della stessa organizzazione, e non appare convincente – sotto il profilo della credibilità della certificazione in termini di indipendenza e terzietà – la spiegazione che i Teams siano distinti tra loro.

Il marchio “B Corp Certified” è certamente l’output di un servizio di convalida di un questionario di autovalutazione, che prevede – da ciò che ci risulta – alcune call di approfondimento telefonico e, talvolta, un audit: tuttavia, ci sono diversi aspetti che suscitano interrogativi sulla legittimità dell’uso del termine “certificazione” promossa con la dichiarazione “Misurare l’impatto sociale e ambientale complessivo di un’azienda”. La promessa di valore “certificazione B Corp” è presentata come “a designation that a business is meeting high standards of verified performance, accountability, and transparency on factors from employee benefits and charitable giving to supply chain practices and input materials[5][6].

Ai fini di questa analisi, è quanto mai opportuno richiamare il contesto di normative cogenti (Regolamenti e Direttive) vigenti in Europa per regolamentare la normazione e la certificazione in questo campo, ovvero:

  1. l’attività di normazione a livello europeo è definita dal Regolamento (UE) n.1025/2012[7]
  2. le attività di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda le certificazioni sono definite dal Regolamento (CE) n.765/2008[8] che attribuisce agli Enti di Accreditamento il compito di attestare la competenza, l’indipendenza e l’imparzialità degli organismi di certificazione (sistema di gestione, prodotto e personale) di verifica/validazione di asserzione etica, di ispezione e verifica, e dei laboratori di prova e taratura.
  3. il significato di certificazione nel mondo delle norme internazionali (ISO/IEC, CEN/CENELEC) e nazionali (UNI/CEI)[9].

Procediamo proponendo quindi al lettore un’analisi della “certificazione B Corp” rispetto alle definizioni e requisiti di normative cogenti o norme volontarie riconosciute a livello internazionale, per comprendere – approfondendo 9 aspetti della certificazione BCorp – se e in quale misura questo servizio assicura la rispondenza ai tre criteri fondamentali di una certificazione: accuratezza, affidabilità e credibilità.

1 – B Lab è un Ente normatore riconosciuto?

Nel sito B Lab si legge “B Lab’s standards are at the heart of the B Corp movement and our Theory of Change, defining social, environmental, and governance best practices for businesses. Our standards serve as the foundation for everything our network does – from B Corp Certification to our policy work worldwide[10][11].

Chiunque può elaborare e pubblicare uno standard, tuttavia, per le finalità della nostra analisi, ci poniamo in primo luogo un quesito fondamentale: B Lab è un ente normatore riconosciuto? 

Nel Regolamento UE n.1025/2012 si legge:norma”: una specifica tecnica, adottata da un organismo di normazione riconosciuto, per applicazione ripetuta o continua, alla quale non è obbligatorio conformarsi, e che appartenga a una delle seguenti categorie: a) «norma internazionale»: una norma adottata da un organismo di normazione internazionale; b) «norma europea»: una norma adottata da un’organizzazione europea di normazione; c) «norma armonizzata»: una norma europea adottata sulla base di una richiesta della Commissione ai fini dell’applicazione della legislazione dell’Unione sull’armonizzazione; d) «norma nazionale»: una norma adottata da un organismo di normazione nazionale;

A seguito di una verifica svolta sugli enti di normazione riconosciuti a livello internazionale (es. ISO, IEC), europeo (CEN, CENELEC, ETSI) e nazionale (UNI, CEI) non abbiamo trovato alcuna evidenza che B Lab sia un ente di normazione riconosciuto.

La direzione della comunicazione & marketing di B Lab Global, da me interpellata, ha rifiutato di pronunciarsi mediante uno statement ufficiale, ma è stata comunque disponibile a fornire alcuni chiarimenti. Nel merito ha dichiarato che “Gli standard B Corp sono gestiti in modo indipendente da uno Standards Advisory Council, curato da B Lab Global e migliorati dalla nostra comunità di utenti e stakeholder. Lo Standards Advisory Council è un organo indipendente multi-stakeholder che determina i criteri per la certificazione e si pronuncia sulle investigazioni riguardanti l’ammissibilità e i reclami“. La stessa Hanna Munger ha dichiarato che “Gli standard sono stati sviluppati originariamente nel 2006 e da allora sono stati sottoposti a cinque revisioni principali. Ogni revisione prevede un’ampia ricerca e il coinvolgimento delle parti interessate, compresi test e un periodo pubblico di raccolta di osservazioni, prima della revisione finale e dell’approvazione da parte dello Standards Advisory Council indipendente”

Il chiarimento conferma però l’opportunità di sollecitare una risposta a una domanda assai chiara: perché B Lab Global, invece di produrre presunti standard al proprio interno, non agisce all’interno di un Ente Normatore membro dell’ISO (International Standardization Organization), ovvero perché gli standard B Lab Global apparentemente non accettano di sottostare al processo di normazione internazionale, e, ancora, perché il processo di standardizzazione di B Lab Global dovrebbe avere un’affidabilità e credibilità uguale o superiore a quella del processo di standardizzazione di enti normatori riconosciuti a livello internazionale?

Il chiarimento ricevuto da B Lab Global parrebbe confermare che gli “standard” elaborati e pubblicati da B Lab e utilizzati come riferimento per la “certificazione B Corp” non hanno un valore equivalente a quello di standard emessi da enti normatori nazionali o internazionali.

2- I requisiti dello schema B Corp sono idonei ai fini della certificazione?

Il Regolamento (CE) 765/2008[12] (norma cogente) definisce la nozione generale di “valutazione della conformità” come “procedura atta a dimostrare se le prescrizioni specifiche relative a un prodotto, a un processo, a un servizio, a un sistema, a una persona o a un organismo siano state rispettate”. La definizione riprende la norma ISO 17000[13] in cui la certificazione è considerata un tipo di “valutazione della conformità” ed è definita come “dimostrazione che requisiti specificati relativi ad un prodotto, processo, sistema, persona o organismo sono soddisfatti”.

Il Regolamento (CE) 765/2008 EU chiarisce che “specificazione tecnica” è un documento che prescrive i requisiti tecnici che un prodotto, un processo o un servizio devono soddisfare. La norma ISO 17000 definisce la nozione di “requisito specificato” come “necessità o aspettativa stabilita” che può essere precisato in documenti normativi quali regolamenti, norme e specifiche tecniche. L’ISO definisce le caratteristiche di norma per essere utilizzata per finalità di certificazione.

Alla luce di queste definizioni, verifichiamo innanzitutto se il documento denominato BIA (B-Impact Assessment”), presentato da B Lab come lo “standard” di riferimento per la certificazione B Corp, può essere considerato un “requisito specificato” ai sensi del Regolamento 765/2008 e delle norme ISO.

Nel sito dedicato a questo strumento si legge che BIA (B Impact Assessment) è “The most credible tool a company can use to measure its impact on its workers, community, environment, and customers” e “The BIA as a comprehensive management tool remains incredibly powerful, and should still play a central role in the certification requirements themselves as well as in enabling businesses to manage their social and environmental performance comprehensively. Importantly, the BIA is used in many ways beyond as a tool for certification[14][15].

La direzione della comunicazione & marketing di B Lab Global ha replicato che “Non ci riferiamo al B Impact Assessment come al metodo “più credibile” per gestire l’impatto in nessuno dei canali di B Lab.”. Tale precisazione appare non genuina, perché l’affermazione negata da B Lab è presente in diversi siti web, incluso uno dei siti dell’organizzazione[16] (non possiamo escludere che B Corp abbia modificato alcune pagine di siti da noi verificate al momento della prima stesura di questo lavoro, ndr).

Notiamo comunque con piacere che dopo la corrispondenza intercorsa tra l’autore di questo articolo e BCorp l’affermazione in questione – “The most credible tool a company can use to measure its impact” – sia stata modificata in un meno ambizioso e più ragionevole “B Impact Assessment is a digital tool that can help measure, manage, and improve positive impact performance”.

Resta aperto il quesito se un “uno strumento di management” possa essere anche un “strumento per la certificazione”: infatti, un requisito specificato ai fini di certificazione ha carattere prescrittivo, mentre uno strumento manageriale indica un possibile modo – tra i tanti – per gestire un’organizzazione e i suoi processi.

Il BIA consiste in un questionario articolato in sezioni che copre diversi aspetti (non tutti) della sostenibilità. Il questionario BIA contiene domande che prevedono un insieme eterogeneo di tipi di risposta (scelta singola, scelta multipla, testo libero, numerico) e che concorrono alla determinazione di uno score. Riportiamo nel riquadro qui sotto un esempio di domanda.

Stakeholder engagement
Has your company done any of the following to engage stakeholders about your social and environmental performance?
We have an advisory board that includes stakeholder representation
We have a formal stakeholder engagement plan or policy that includes identification of relevant stakeholder groups
We have created mechanisms to identify and engage traditionally underrepresented stakeholder groups or demographics
We have formal and regular processes in place to gather information from stakeholders (focus groups, surveys, community meetings, etc.)
We have formal procedures to address results from stakeholder engagement, with a designated individual or team responsible for appropriate follow ups.
We report the results of stakeholder engagement on social and environmental performance to the highest level of oversight in the company, such as the Board
We publicly report on stakeholder engagement mechanisms and results
Other – please describe
No formal stakeholder engagement[17]

È evidente come un quesito posto in questi termini non chiarisca quale sia la “necessità o aspettativa stabilita” in base alla quale riferire una certificazione, perché non indica con chiarezza i requisiti che l’impresa deve soddisfare (in questo caso dal processo di Stakeholder engagement) per poter generare un giudizio positivo: domande con risposta a scelta singola o multipla non si possono infatti considerare un “requisito specificato”.

Sempre in relazione ai requisiti specificati, vi è un ulteriore aspetto da considerare: la “certificazione B Corp”, avendo per scopo la valutazione delle caratteristiche di sostenibilità di un’organizzazione, rientra nel campo di applicazione della norma ISO 17033[18], norma che si distingue da tutte le altre norme perché richiede che i requisiti di riferimento per un’asserzione etica siano formulati in termini di performance (e non di caratterizzazione qualitativa).

Nel riquadro riportiamo un altro esempio di domanda contenuta nel cosiddetto standard BIA:

Retirement Programs
Do employees have access to any of the following saving programs for retirement?
Government-sponsored pension or superannuation plans
Private Pension or Provident Funds
Plan that specifically includes Socially-Responsible Investing option
None of the above[19]

I requisiti indicati in questa domanda non sono presentati in termine di “performance”, ma solamente in termini di caratterizzazione qualitativa e quindi – a mio avviso – non adeguati a un’asserzione etica.

Vi è anche dubbio che una domanda posta in questi termini possa essere considerata in linea con la promessa di valore del servizio “… to manage their social and environmental performance comprehensively[20]

Normalmente, un questionario di autovalutazione è uno strumento utile per verificare la conformità a un documento di specifica adottando una determinata metrica: se così fosse, però, tale documento dovrebbe essere pubblicamente accessibile, come previsto dalle norme internazionali sugli schemi di certificazione. Tuttavia, sul sito di B Lab non vi è alcuna evidenza di un documento di specifica di questo genere (il che non significa che non esista, ma quanto meno che non è reso pubblicamente noto). Si può quindi concludere che quantomeno non vi sia evidenza che lo “standard BIA” possieda i requisiti equivalenti a quelli di una norma utilizzabile come riferimento per la certificazione.

Per quanto riguarda la metrica di valutazione, la direzione della comunicazione & marketing di B Lab Global ha specificato che “Il sistema di attribuzione dei punteggi del BIA è fisso, per consentire un uso ripetuto e un confronto tra le aziende e nel tempo. Il punteggio è legato solo a indicatori fissi e non a domande aperte, che sono invece destinate a consentire alle aziende di fornire un contesto aggiuntivo e di tenere traccia di vari aspetti legati alle loro risposte e alle loro prestazioni nel tempo. Tutti gli indicatori e i punteggi sono disponibili pubblicamente tramite la piattaforma B Impact Assessment”.

Sul piano metodologico, la predetta affermazione contiene un grave errore, in piena contraddizione con i principi delle linee guida OCSE, del quadro normativo Comunitario e degli standard di rendicontazione di sostenibilità, perché non tiene conto del fatto che ogni organizzazione agisce in uno specifico contesto. In accordo con le linee guida OCSE, tutti gli standard di rendicontazione di sostenibilità (EFRAG, GRI, IFRS) mettono al centro dell’attenzione l’analisi di materialità derivata dal processo di Stakeholder engagement per differenziare gli aspetti materiali (e attribuire loro un peso diverso) in funzione del contesto in cui agisce un’organizzazione: un sistema di punteggi fisso non consente di valutare in modo appropriato gli aspetti e rischi non finanziari rispetto tenendo conto dello specifico contesto (geografico, sociale, culturale, settoriale) in cui agisce l’organizzazione e determina  un punteggio “indipendentemente dal contesto”.

Infine, sempre sul piano metodologico, analizzando con attenzione il modo in cui sono poste le domande nel questionario BIA e i punteggi fissi assegnati a ogni risposta, vi è chiara evidenza che le risposte date non soddisfano il tipo di informazioni richiesto da normative cogenti internazionali (es. Regolamenti e Direttive UE) e da diversi stakeholders (investitori, banche, autorità pubbliche). La domanda di informazioni emergente riguarda la “stima del livello di esposizione al rischio attuale o potenziale di eventi che possono causare impatti avversi futuri all’organizzazione e ai suoi stakeholders”: risposte a scelta singola o multipla non consentono di esprimere in alcun modo una stima del rischio dato da “probabilità x conseguenza” di un dato evento. Con questo metodo non è possibile dare informazioni sui rischi con carattere predittivo (looking forward).

Questo aspetto metodologico della valutazione mostra – a mio avviso – l’inadeguatezza della certificazione B Corp rispetto al quadro normativo comunitario e alle esigenze emergenti di una pluralità di Stakeholders.

3 – Lo schema di certificazione B Corp è idoneo per finalità di accreditamento?

La credibilità e affidabilità di un programma/schema di certificazione dipendono dalla sua conformità a requisiti definiti in norme internazionali. La norma ISO 17000 definisce “programma/schema” come un “sistema di valutazione della conformità (Regole, procedure e modello gestionale) riguardante oggetti specificati di valutazione della conformità ai quali si applicano gli stessi requisiti specificati, le stesse specifiche regole e le stesse procedure”.

La valutazione di un programma/schema di certificazione è svolta da un Ente nazionale di accreditamento firmatario di accordi internazionali di mutuo riconoscimento degli accreditamenti al fine di garantire il mutuo riconoscimento (anche a livello internazionale) dei risultati delle valutazioni di conformità. Ai sensi del Regolamento (CE) 765/2008 gli enti di accreditamento firmatari di un MLA (Multilateral Agreement) svolgono valutazioni per assicurare che un programma/schema sia conforme ai requisiti di norme di accreditamento.

Per regolamentare i controlli sui programmi di valutazione di asserzioni etiche (la “certificazione B Corp” è da considerarsi tale), l’ISO ha pubblicato la norma ISO 17029 “General principles and requirements for validation and verification bodies[21][22]; l’Annex A di tale norma definisce i requisiti che deve soddisfare un programma di verifica/validazione di asserzione etica.

La valutazione di conformità di uno schema di certificazione è svolta esclusivamente da Enti di accreditamento rispetto a procedure armonizzate a livello europeo dal documento EA-1/22[23] e a livello mondiale dal documento IAF MD25[24] .

Ancora una volta, non vi è evidenza che lo schema di “certificazione B Corp” presenti i requisiti essenziali per potersi definire un “programma di certificazione” poiché non vi è evidenza che lo “standard” BIA presenti le caratteristiche di requisiti specificati in conformità alla definizione della norma ISO 17000, e inoltre il processo di valutazione non applica sempre a tutte le imprese – indipendentemente dalla dimensione – le stesse procedure.

Un fatto pare certo: lo schema di “certificazione B Corp” non ha ricevuto una positiva valutazione per finalità di accreditamento da parte di un Ente riconosciuto ai termini del Regolamento 765/2008 e in conformità ai requisiti del documento EA-1/22 e ai requisiti di un programma di verifica/validazione di asserzione etica definiti nella norma ISO 17029 – Annex A.

In assenza di una verifica esterna sul Programma, non si può affermare che la “certificazione B Corp” sia affidabile e credibile e soddisfi requisiti fondamentali per uno schema di certificazione, tra cui la definizione e valutazione delle competenze delle persone coinvolte nella certificazione, la conformità del processo di valutazione a requisiti definiti da norme internazionali, la confidenza nel grado di ripetibilità dei risultati e la trasparenza delle informazioni divulgate alle parti interessate: Ci chiediamo quindi Perché B Lab Global non accetta di sottoporre la verifica della conformità del programma a requisiti di norme internazionali (ISO 17029) a un Ente di Accreditamento che agisce in accordo a procedure internazionali per la valutazione di programmi di valutazione della conformità (Es.: IAF MD25 o EA-1/22): in assenza di una verifica esterna sulla conformità del programma rispetto a standard internazionali esistenti e applicabili, non è possibile esprimere alcun giudizio di merito sull’effettiva consistenza del programma, e le auto-dichiarazioni di B Lab Global non paiono sufficienti a risolvere queste incertezze oltre ogni ragionevole dubbio.

4 – Il soggetto che rilascia la certificazione è credibile?

Un organismo di valutazione della conformità è considerato credibile se soddisfa una serie di requisiti relativi alla competenza, indipendenza, imparzialità e assenza di conflitti di interesse, trasparenza e struttura organizzativa e mantiene nel tempo la conformità ai requisiti applicabili.

Il Regolamento (CE) 765/2008[25] attribuisce a un Ente nazionale di accreditamento le funzioni di vigilanza sugli organismi di valutazione della conformità e sulla loro conformità alle norme applicabili.

Le norme della serie ISO 17000 definiscono i requisiti per gli organismi che svolgono i diversi tipi di valutazione della conformità (ispezione, certificazione di sistema di gestione, certificazione di prodotto, certificazione di personale, verifica/validazione di asserzioni etiche); un organismo di certificazione non accreditato non assicura purtroppo la conformità ai requisiti applicabili a tutela delle parti interessate alle attività di valutazione della conformità.

Poiché la “certificazione B Corp” rientra nel campo di applicazione della norma ISO 17029 l’organismo “Standard Trust di B Lab”, ossia il soggetto che rilascia la certificazione B Corp, dovrebbe essere una legal entity indipendente accreditata da un Ente riconosciuto in conformità alla norma ISO/IEC 17029 e a un programma valutato positivamente per finalità di accreditamento da parte di un ente riconosciuto ai sensi del Regolamento (CE) 765/2008: da una verifica effettuata presso i siti degli enti di accreditamento nazionali, non risulta – salvo errori – che Standard Trust di B Lab sia un organismo di certificazione accreditato, quindi soggetto a un controllo di un Ente di Accreditamento che assicuri la dovuta credibilità delle certificazioni rilasciate, ma soprattutto garantisca l’assenza di potenziali conflitti di interesse.

Su questa pagina si legge che “Nativa è una delle aziende fondatrici del movimento in Europa, la prima B Corp in Italia e partner italiano di B Lab.”. In altre pagine del sito web[26] si legge che Nativa fornisce una vasta gamma di consulenza alle imprese per guidarle e prepararle a ottenere la “certificazione B Corp”. Nelle linee guida alla certificazione B Corp si legge nel paragrafo Getting Started “The guide will serve as your resource during the certification journey, however, we at B Lab and Sistema B will also work directly with you along the way. Use the map on the B Lab Global website to find the B Lab or Sistema B organization near you[27]”. Dalle guide alla certificazione divulgate da B Lab e seguendo i link dei siti web risulta che il sistema B Corp prevede un servizio di assistenza alle imprese durante il processo di certificazione fornito da Nativa, partner italiano di B Lab.

Seguendo i link del network B Lab, si può rintracciare il riferimento al sito web Europeo[28] che presenta la lista dei partner nazionali, dal quale si evince che il “B Corp movement” e la società Nativa S.r.l. hanno sede in Italia allo stesso indirizzo: via degli Ausoni n° 1, in Roma.

Poiché uno dei cardini fondamentali dell’accreditamento di organismi di certificazione riguarda la distinzione tra chi “certifica” e chi “fornisce servizi di consulenza”, in assenza di accreditamento non vi sono controlli esterni sul sistema di relazioni tra B Lab, Standard Trust di B Lab, B Corp movement e Nativa (country partner in Italia di B Lab) che garantisca le parti interessate dall’assenza di ogni rischio attuale o potenziale di conflitti di interesse tra i diversi attori del sistema B Corp.

La direzione della comunicazione & marketing di B Lab Global ha affermato che “B Lab Global mantiene piena indipendenza dai Global Partner per gestire i conflitti di interesse e funge da organizzazione responsabile dell’applicazione e della verifica degli standard alla base della certificazione B Corp. I Global Partner e i Country Partner non hanno alcuna autorità sugli standard, sulla verifica o sull’applicazione di tali processi ad aziende specifiche”.

La domanda resta però irrisolta: perché B Lab non agisce in conformità con l’architettura internazionale di normazione, accreditamento e certificazione, e perché chi rilascia la certificazione B Corp non si sottopone alla verifica di conformità alle norme che riguardano gli organismi di certificazione? Perché non richiede e ottiene l’accreditamento come organismo di terza parte indipendente?

La semplice esistenza di procedure interne e dichiarazioni sul conflitto di interessi non pare essere di per se sufficiente, e soprattutto non consente di garantire al programma un livello di credibilità adeguato agli standard internazionali, soprattutto se l’organismo che rilascia il marchio B Corp Certified agisce senza verifiche e monitoraggi periodici esterni da parte di un Ente di accreditamento riconosciuto.

Il B Lab Global appare piuttosto come un sistema auto-referenziale, all’interno del quale, nella stessa organizzazione, si definiscono standard e regole e si svolgono anche attività di certificazione che portano al rilascio di un marchio come B Corp Certified.

5 – I criteri di valutazione per la “certificazione B Corp” sono completi?

Uno schema di verifica/validazione di asserzioni etiche di un’organizzazione deve prendere in considerazione tutti gli aspetti della sostenibilità e responsabilità d’impresa richiamati da linee guida internazionali (Es.: linee guida OCSE), da normative cogenti (es. Direttiva CSRD) o volontarie (es.: ISO 26000); questo principio è richiamato anche dalla UNI/Pdr 102:2021 “Asserzioni etiche di responsabilità per lo sviluppo sostenibile”.

Nei siti web B Lab e BIA, la “promessa di valore” della “certificazione B Corp” è definita da affermazioni quali “Measuring a company’s entire social and environmental impact[29]” e “The BIA as a comprehensive management tool remains incredibly powerful, and should still play a central role in the certification requirements themselves as well as in enabling businesses to manage their social and environmental performance comprehensively. Importantly, the BIA is used in many ways beyond as a tool for certification[30]”.

Tuttavia, in una delle pagine del sito B Corp[31] si legge che è in corso una revisione del BIA (B-Impact Assessment) avente l’obiettivo di inserire un lungo elenco di nuovi requisiti tra cui “risk management”, “Ethics and anti-corruption”, “living wages”, “worker empowerment”, “human rights”, “climate”, “environmental management”).

Inoltre, per quanto riguarda la valutazione del Sustainable procurement, il sito B Lab afferma che “All topics are subject to ongoing revision, inclusion, or exclusion based on ongoing research and input from stakeholders. The incorporation of other cross-cutting and related topics (such as sustainable procurement) will also be considered[32]”.Pertanto, la “certificazione B Corp” – perlomeno attualmente – non considera uno degli aspetti più significativi delle informazioni non finanziarie, ossia il livello di esposizione ai rischi lungo le filiere di fornitura.

Poiché questi elementi di valutazione della responsabilità sociale di un’organizzazione sono già presenti da tempo in varie linee guida (es. OECD Due Diligence Guidance for Responsible Business Conducts) e in standard (ISO 26000) internazionali e il rilascio della nuova revisione del BIA è previsto per il 2023, sorgono spontanei dei dubbi su come sia possibile considerare il BIA un “comprehensive management tool[33]” in grado di “enabling businesses to manage their social and environmental performance comprehensively[34]”.

Sul piano della completezza dei criteri di valutazione, per ammissione stessa di B Lab, non vi è evidenza che la “certificazione B Corp” tenga conto di tutti gli elementi richiamati da linee guida e norme internazionali pubblicati da tempo, e men che meno che sia completamente allineata con gli standard di sustainability reporting.

La direzione della comunicazione & marketing di B Lab Global ha sostenuto che le nostre tesi – sottoposte alla loro analisi in via preliminare rispetto alla pubblicazione di questo articolo – lascerebbero intendere che “…la certificazione B Corp non è una certificazione completa perché solo ora sta iniziando a considerare dei requisiti specifici rispetto ad alcuni temi fondamentali.” e afferma che “Tuttavia, questi temi sono già attualmente considerati all’interno del B Impact Assessment e nel Disclosure Questionnaire”. Questa confutazione non appare accettabile perché in contraddizione con quanto B Lab dichiara sul proprio sito[35] aggiornato a febbraio 2022, in cui si annuncia un piano di inserimento di nuovi requisiti di performance; se ne può dedurre che se devono essere introdotti e applicati nel 2023 nuovi requisiti, essi ad oggi non siano presenti in modo completo, diversamente risulterebbe del tutto ridondante l’annunciato aggiornamento.

Resta quindi non soddisfatta la domanda: perché, fino ad oggi, la certificazione B Corp non considera in modo esaustivo elementi che sono presenti già da anni in Linee Guida OCSE e standards come la ISO 26000? Se tali elementi verranno integrati in futuro, ciò significa che tutte le certificazioni rilasciate fino ad oggi non garantivano la copertura tutti gli aspetti? Se così è, come si è potuto presentare il BIA come uno “strumento di gestione completo”?

Infine, vale la pena sottolineare che, secondo B Lab, il processo di incorporazione di nuovi requisiti nel BIA è determinato solo dallo Stakeholder engagement organizzato dalla stessa B Lab; questo lascierebbe intendere che B Lab presume una superiore affidabilità del proprio processo di Stakeholder engagement rispetto allo stesso processo svolto in sede OCSE o da Enti normatori internazionali.

6 – Il processo di certificazione BLab è affidabile?

Ricordando che nella promessa di valore del servizio, sui siti dell’organizzazione si legge “B Lab’s standards are at the heart of the B Corp movement and our Theory of Change, defining social, environmental, and governance best practices for businesses [36]” e che “B Corp Certification is a designation that a business is meeting high standards of verified performance, accountability, and transparency[37][38] non vi sono dubbi nel fatto che la “certificazione B Corp” rientri in pieno nella nozione di  asserzione etica, in quanto dichiara “An organization’s achievement with respect to social, economic justice or sustainability issues[39]” ai sensi della norma ISO 17033[40].

La procedura di valutazione della conformità di un’asserzione etica deve essere effettuata in accordo ai requisiti della norma ISO/IEC 17029:2019. Tuttavia, sebbene nella documentazione disponibile sui siti di B Lab e B Corp vi sia una descrizione della procedura di certificazione, non vi è evidenza – perlomeno per quanto a me noto – che il processo di certificazione sia conforme a tutti i requisiti definiti nella norma ISO 17029, e che il processo implementato dal soggetto che rilascia la certificazione B Corp – ossia Standard Trust di B Lab – agisca in conformità a tali requisiti.

Nel documento “B Corp certification for large enterprise” si legge (pag. 15) “Site Review: Conducted either virtually or through an onsite visit, this includes an in-depth documentation review for approximately 50 B Impact Assessment questions, a facilities tour, employee interviews, and supplier reference checks[41]”.

Nei documenti “B Corp Guide for small medium enterprise” e “B Corp Guide for small enterprises” si legge nella sezione “Understand the requirements for becoming B Corp certified[42]” che “Scores are verified through a review process, which includes documentation, calls, and, possibly, onsite visits“, ma successivamente – nella sezione “Step 9: Verification[43]”, ma successivamente – nella sezione “Step 9: Verification” – si legge anche che la valutazione prevede le attività di “verification report”, “review call”, “documentation” e “follow-up”.

Dai documenti informativi disponibili sui siti B Lab e B Corp non vi è quindi evidenza di una definizione chiara e trasparente dei criteri adottati per decidere se e quando si effettua una “on-site visit”, come tale visita si debba svolgere (non vi è riferimento a standard internazionali per la pianificazione e conduzione di un audit, come per esempio la norma ISO 19011), quali sono le competenze di chi svolge la “onsite visit”, né dei criteri in base ai quali vengono prese le decisioni di rilascio della “certificazione B Corp”.

Inoltre, l’approccio al processo di certificazione è differenziato in funzione della dimensione dell’azienda: nelle imprese di piccola e media dimensione è svolta da un Analyst attraverso una o più “review calls” (da ciò che appare, parrebbe a distanza).

Pertanto, le fasi di “B Impact” e “Verification” non assicurano che le informazioni fornite dall’azienda al momento dell’autovalutazione con il BIA verifiche siano sempre verificate e supportate da evidenze oggettive (immagini, interviste, osservazioni, etc) raccolte durante la visita in azienda con un approccio indipendente dalla dimensione delle aziende.

In assenza di una site-visit, ad esempio, come sarà possibile valutare la veridicità di informazioni fornite dall’organizzazione sui rischi di sicurezza relativi a stabilità della struttura, all’adeguatezza dei sistemi antincendio e degli impianti? Come sarà possibile valutare i rischi ambientali senza un controllo fisico sull’effettivo stato di funzionamento e manutenzione degli impianti e dell’implementazione di misure di mitigazione e prevenzione rischi? E infine, come sarà possibile avere contezza dei rischi di violazione dei diritti umani e delle corrette prassi di lavoro un piano di verifiche documentali e di interviste individuali e di gruppo su un campione rappresentativo di manager, impiegati, operai e rappresentanti dei lavoratori? A queste domande, il confronto avvenuto con i vertici di BCorp prima della definitiva stesura di questo articolo non ha fornito adeguata risposta.

In sintesi, non vi è chiara evidenza che l’approccio alla “certificazione B Corp” sia in grado di fornire sempre informazioni verificate in accordo a un processo standard (indipendentemente dalle dimensioni aziendali) svolto da persone in possesso di competenze qualificate e con valutazioni e decisioni prese in base a adeguate evidenze oggettive (osservazioni, interviste al personale, ispezione fisica, analisi di registrazioni, etc.) su tutti gli aspetti e rischi; riteniamo che un questionario, un follow-up telefonico e un occasionale audit presso l’organizzazione non costituiscano un approccio accurato e affidabile per fornire al mercato informazioni verificate con un livello di affidabilità adeguato.

7 – Le competenze dei valutatori BCorp sono definite e valutate in accordo a standard internazionali?

Il processo di definizione e valutazione delle competenze delle persone coinvolte nelle attività di audit e di certificazione costituiscono uno dei punti fondamentali di un programma di certificazione.

Per consentire alle parti interessate di valutare la credibilità e l’affidabilità di schemi di certificazione, le Norme internazionali richiedono in modo inequivoco la massima trasparenza delle informazioni relative alla definizione e valutazione delle competenze.

In Europa, è applicata la scala definita dal’EQF[44] (European Qualification Framework) che definisce, per ciascun livello, quali devono essere le conoscenze e le abilità necessarie per svolgere un determinato compito e un modello per la valutazione delle competenze ad ogni livello della scala.

Tuttavia, nei siti B Lab, B Corp e BIA non vi è evidenza di un documento che descriva le competenze che devono possedere le persone coinvolte nel processo di valutazione (analysts, auditors, ecc.) e decisione né di come tali competenze siano valutate rispetto a framework riconosciuti a livello internazionale.

Inoltre, non vi sono evidenze di processi definiti e implementati per assicurare il mantenimento nel tempo e la calibrazione delle competenze delle persone coinvolte nella certificazione B Corp.

Poiché la definizione e valutazione delle competenze costituisce uno dei pilastri fondamentali di uno schema di certificazione, l’assenza di tali informazioni non consente di valutare – perlomeno allo stato attuale – la ripetibilità delle valutazioni e quindi l’affidabilità della certificazione B Corp.

Quali sono le competenze che devono possedere le persone chiamate a svolgere il ruolo di verifica (da remoto o in azienda) delle informazioni fornite dall’azienda? Quali competenze, esperienza professionale e competenza essi posseggono? Chi e come ha verificato le competenze? Come si assicura la continua calibrazione del livello di competenza tra le diverse persone? In che modo B Lab Global assicura che le competenze delle persone siano sempre adeguate a valutare le imprese che richiedono la certificazione? Anche a queste domande, il confronto avvenuto con i vertici di BCorp prima della definitiva stesura di questo articolo non ha fornito adeguata risposta.

La definizione delle competenze degli auditor è un aspetto fondamentale di un programma di certificazione, e la scarsa completezza/trasparenza delle informazioni fornite su questo aspetto nei diversi siti web di B Lab Global non è un segnale del tutto rassicurante sull’affidabilità di tale “certificazione”.

8 – La certificazione B Corp è consistente rispetto al suo scopo dichiarato?

Un sistema di gestione è definito come “un insieme di elementi interrelati o interdipendenti di un’organizzazione per definire le politiche e gli obiettivi, e i processi per conseguire tali obiettivi[45]. Il termini chiave è quindi “interdipendenza”: pertanto, la valutazione di efficacia di un sistema di gestione per la sostenibilità richiede la verifica di allineamento e di integrazione tra processi interdipendenti tra cui stakeholder engagement, materiality assessment, politiche, obiettivi, risk management, controlli operativi, monitoraggi, riesami ed azioni di miglioramento.

Inoltre, la valutazione di efficacia di un sistema di gestione per la sostenibilità deve essere basata sul ciclo PDCA[46] e deve consentire di valutare in che misura il sistema di gestione è definito, implementato, riesaminato e migliorato.

Sotto la spinta di linee guida internazionali (OCSE) e di normative cogenti (es.: regolamenti e direttive UE) cresce l’esigenza di raccogliere e divulgare informazioni sul livello di esposizione ai rischi relativi agli aspetti non finanziari: la valutazione dei rischi deve avere un carattere “predittivo”, e richiede una valutazione della probabilità e della conseguenza che un evento relativo a uno o più aspetti non finanziari possa causare impatti avversi sull’organizzazione e sui suoi Stakeholder.

Dall’analisi del BIA e del processo di certificazione non vi è evidenza che la “certificazione B Corp” sia fondata su una valutazione della “High level structure” di un sistema di gestione manageriale conforme a standard internazionali e degli allineamenti tra i diversi elementi del sistema di gestione con un livello di confidenza adeguato.

Per esempio, uno dei cardini delle linee guida OCSE, di un numero crescente di ordinamenti e direttive comunitarie e di standard di sustainability reporting, è costituito dai concetti di “materialità” e “doppia materialità”: l’analisi di materialità è un processo dinamico che a monte rappresenta il risultato del processo di stakeholder engagement e il modo in cui l’organizzazione è influenzata ed influenza il contesto in cui agisce, e – a valle – guida la definizione di politiche, obiettivi, valutazione dei rischi e scelte operative conseguenti sulla base di una scala di priorità, considerando come più importante ciò che è realmente “rilevante” per l’azienda stessa ed il suo ecosistema.

Analizzando il BIA non vi è evidenza di valutazione dell’analisi di materialità, né del modo in cui l’analisi di materialità agisce in modo interdipendente con i processi a monte (stakeholder engagement) e a valle (risk management, processi di monitoraggio e riesame, ecc.).

Poiché l’analisi di materialità costituisce di fatto il “sistema di pesatura” di un sistema di gestione per la sostenibilità, e informa il risk management e l’azione manageriale rispetto al contesto in cui agisce l’impresa, non vi è evidenza della consistenza di una valutazione di un’impresa che non tiene conto delle interdipendenze tra questo aspetto fondamentale e gli altri processi fondamentali.

Un altro aspetto rilevante che incide sulla consistenza della “certificazione B Corp”, riguarda il modo in cui essa tiene conto della complessità della struttura organizzativa dell’impresa a cui viene rilasciata: la certificazione B Corp pare infatti venir rilasciata all’organizzazione nel suo insieme.

Nel sottotitolo del documento “B Corp certification – Guida per imprese di grandi dimensioni” si legge “Large Enterprise Certification. Pathway is intended for eligible private or public $100M+ companies with 10+ operational subsidiaries operating in multiple countries[47]. In questi casi la trasparenza richiesta al programma in relazione alle informazioni fornite al cliente è importante comunicare molto bene se la valutazione prevede la visita presso l’headquarter e presso le “operational subsidiaries” oggetto di verification.

Il marchio “B Corp certified” è rilasciato infatti a un’intera organizzazione anche nel caso in cui essa è costituita da più unità operative (impianti di produzione, depositi, logistica) che possono tuttavia presentare differenze molto significative, sia del contesto in cui operano, sia del livello di esposizione ai rischi su tutti gli aspetti non finanziari.

Dalla documentazione pubblicamente disponibile non è chiaro se la verifica per “large organization” preveda una visita solo presso l’headquarter oppure su un campione di unità operative appartenenti al gruppo, o ancora presso tutte le unità operative appartenenti a un gruppo. Il marchio B Corp è stato per esempio rilasciato all’azienda Danone Italia: ebbene, quanti stabilimenti in Italia sono stati oggetto di verifica al sito per accertare la veridicità delle informazioni dichiarate? Inoltre: in che modo il processo di “verification” consente di valutare impatti diversi tra due unità operative distinte (magari insediate in paesi diversi) ma appartenenti alla stessa legal entity? E ancora: in che modo il metodo di calcolo del punteggio totale assegnato a un’organizzazione che ha più siti operativi (unità produttive, stoccaggio, logistica) tiene conto delle differenze di contesto e delle differenze possibili nel livello di esposizione ai rischi e impatti presenti in ciascuna unità? Infine: nell’attestato rilasciato alle organizzazioni insieme al Logo B Corp certified è specificato l’elenco delle unità operative su cui è stata effettuata una visita presso l’azienda? Anche queste sono domande aperte e che non hanno ricevuto ad oggi adeguata/esaustiva risposta. La direzione della comunicazione & marketing di B Lab Global ha peraltro affermato, nella corrispondenza con l’autore, che “Danone non è una B Corp certificata”; prendiamo atto della dichiarazione ma riteniamo che B Lab Global debba effettuare controlli più attenti su come viene diramata la comunicazione dalle aziende “certificate”, considerando che sul sito web Danone Italia si legge con chiarezza “Siamo una B Corp[48].

Lasciando a B Lab Global e Danone il compito di chiarirsi reciprocamente, la dichiarazione del management di BCorp pare non cogliere il punto tecnico fondamentale: poiché tra diversi stabilimenti o unità operative all’interno dello stesso gruppo possono esistere molte differenze sugli aspetti e rischi sociali, di salute e sicurezza, ambientali e di etica di business, il regolamento della “certificazione” assicura che, nel caso in cui il marchio B Corp Certified sia rilasciato a un gruppo a cui fanno riferimento più stabilimenti, depositi e altre unità operative allora siano state condotte verifiche puntuali sullo stato dei rischi su tutte le unità operative del gruppo? Nel caso in cui si effettui una verifica su un campione di unità operative, come è possibile estendere la valutazione per induzione a tutte le unità operative (che possono avere condizioni di lavoro del tutto diverse) e rilasciare il marchio – ad esempio – alla filiale Danone Italia? Questi aspetti suggerirebbero ulteriori approfondimenti.

In definitiva, sulla base delle informazioni disponibili sui vari siti riconducibili a B Lab Global non è possibile formulare un giudizio positivo sulla consistenza del processo di valutazione rispetto alle finalità della “certificazione B Corp” comunicate al pubblico.

9 – La certificazione B Corp risponde in modo equilibrato alle aspettative dei clienti?

Uno schema di certificazione deve sempre comunicare l’oggetto, le finalità e le limitazioni alle parti interessate. Sotto questo aspetto vi sono alcuni elementi di ambiguità nella comunicazione relativa alla “certificazione B Corp”.

In primo luogo, si sottolinea che le norme applicabili alla valutazione di asserzioni etiche (al pari di quanto accade nell’ambito della revisione contabile) richiedono di specificare il livello di affidabilità o assurance della certificazione: limitato, ragionevole o assoluto. Il requisito è essenziale per consentire alle parti interessate di valutare il livello di confidenza della certificazione. Tuttavia, nei documenti di promozione della “certificazione B Corp” non vi è evidenza di specificazione del livello di assurance (limited, reasonable, absolute) delle valutazioni, e questo non consente alle parti interessate di prendere decisioni completamente informate sul grado di confidenza della certificazione.

In secondo luogo, nelle pagine web della società Nativa[49] si legge “Valutiamo il profilo di sostenibilità di scelte di investimento”. Tuttavia, nella descrizione della metodologia di valutazione dei diversi elementi indirizzati dal BIA non vi è evidenza di una determinazione di una stima della probabilità e della conseguenza di rischio attuale o potenziale di eventi che possano causare impatti avversi sull’organizzazione e sui suoi stakeholder.

Se la certificazione B Corp esprimesse una valutazione del livello di esposizione ai rischi su tutti gli aspetti non finanziari, dovrebbe ad esempio esistere – ed essere pubblicamente accessibile – un documento in cui viene rappresentata la tabella con i descrittori della probabilità, della conseguenza e dell’impatto di un rischio; l’analisi svolta però non ha portato alla luce alcun documento contenente queste informazioni, pertanto, non è chiaro in che modo la “certificazione B Corp” risponda alle esigenze informative richiesta da regolamenti (Es.: 2019/2088) e Direttive (es.: 2022/2464) comunitari a tutela dei rischi di investimento.

In terzo luogo, la documentazione relativa a B Corp presenta la possibilità di utilizzare il marchio “B Corp Certified Pending” concesso in uso un’impresa (per esempio una start-up) che ha intrapreso ma non ancora ultimato il percorso della “certificazione B Corp”.

Dal confronto dei due marchi rilasciati risultano evidenti la debole distinzione grafica tra il marchio per distinguere, senza ambiguità, un’impresa “Certified B Corporation” da un’impresa “Certified B Corporation pending”, nonché la contraddizione palese nel marchio “B Corp Certified Pending” ove questo è accompagnato dalla frase “questa impresa soddisfa i più elevati standard di impatto sociale e ambientale”: ebbene, come è possibile che un’impresa dichiari di soddisfare già tali “standard” quando si trova ancora nello stato “pending”, ossia lungo il percorso della certificazione, il quale potrebbe anche – in un’ultima analisi – non avere una conclusione positiva?

La direzione della comunicazione & marketing di B Lab Global ha affermato che “Le Pending B Corp seguono una guida specifica per la comunicazione che riguarda il posizionamento e l’utilizzo del logo. Inoltre, non è destinato a essere utilizzato insieme alla frase relativa al rispetto degli standard, che deve essere associata solo al logo B Corp. In caso contrario, l’azienda viola le nostre linee guida”.

Anche su questo punto la spiegazione fornita da B Lab Global non coglie il punto centrale: è evidente che esista un regolamento sull’uso del marchio, ma resta la convinzione che la similitudine tra i due marchi “Certified B Corp” e “Certified B Corp Pending” sia eccessiva e fuorviante (misleading) per le parti interessate con conseguente rischio elevato di un uso improprio e di confusione presso il consumatore o altre parti interessate (troppa è la differenza di stato nel processo di valutazione tra una “Pending B Corp Certified” e una “B Corp Certified” per potersi affidare a due marchi sostanzialmente identici con la sola aggiunta del termine Pending).

Conclusioni

L’analisi condotta sulle informazioni presenti in documenti pubblicamente accessibili relativi a B Lab, alla “certificazione B Corp” e allo strumento BIA (B Impact Assessment) rispetto al quadro di normative cogenti e volontarie riconosciuta e livello internazionali conduce a formulare le seguenti conclusioni:

  1. non vi è attualmente evidenza totalmente certa che il servizio proposto da B Lab presenti le caratteristiche per utilizzare il termine “certificazione” in conformità ai Regolamenti comunitari 765/2008 e 1025/2012 in quanto lo standard di riferimento non è emanato da un ente normatore riconosciuto, i requisiti non sono espressi in forma “certificabile” e in termini di prestazione (come richiesto dalla ISO 17033). Un servizio quindi del tutto legittimo, ma, al più, una convalida di un’autodichiarazione dell’azienda certificata basata su uno strumento (BIA) proprietario;
  2. non vi è attualmente evidenza totalmente certa che lo schema di “certificazione B Corp” sia conforme ai requisiti definiti dalla norma ISO 17029 – Annex A, a seguito di una valutazione effettuata da un ente di accreditamento riconosciuto rispetto a norme armonizzate a livello internazionale. In particolare, non vi è evidenza di documenti che specificano le competenze delle persone coinvolte nella valutazione, il livello di assurance della valutazione e altre informazioni chiave per un programma;
  3. non vi è attualmente evidenza totalmente certa che gli elementi di valutazione utilizzati per il rilascio della certificazione siano completi e coprano tutti gli aspetti della sostenibilità richiamati in linee guida (es.: OECD Due Diligence guidance for responsible business conduct), normative cogenti (Es. Direttiva 2022/2464) e norme volontarie (Es.: ISO 26000). Molti aspetti rilevanti della sostenibilità saranno inclusi nel BIA e nel processo di valutazione soltanto nel 2023, ma ad oggi i criteri non possono definirsi “comprensivi” di tutti gli aspetti della sostenibilità;
  4. non vi è attualmente evidenza certa che il processo di certificazione presenti le stesse procedure per tutti i tipi d’impresa (come richiesto dalla norma ISO 17000), in quanto le differenze di procedura tra “large corporation” e “small and medium enterprises” non paiono garantire la comparabilità del livello di confidenza delle valutazioni e la ripetibilità dei risultati e, in ultima istanza, l’affidabilità delle valutazioni. Inoltre, non vi è evidenza certa di criteri oggettivi e trasparenti in base ai quali si prende la decisione di svolgere un audit presso l’organizzazione;
  5. non vi è attualmente evidenza totalmente certa che l’organismo Standard Trust di B Lab (o altra struttura appartenente a B Lab) sia accreditato rispetto a norme internazionali da parte di un Ente di Accreditamento firmatario di accordi di mutuo riconoscimento internazionale degli accreditamenti. Inoltre, vi sono elementi che non consentono di garantire l’assenza di conflitti di interesse tra chi fornisce servizi di consulenza alle imprese e chi svolge le attività di certificazione.
  6. non vi è attualmente evidenza totalmente certa che le informazioni comunicate sulla “certificazione B Corp” siano corrispondenti al servizio effettivamente erogato. Inoltre, vi sono evidenze di ambiguità tra i loghi “B Corp Certified” e “B Corp Certified Pending”.

Ritengo che i dubbi, i problemi ad oggi irrisolti e le istanze di maggior chiarezza sollevati in questo articolo avente per oggetto la “certificazione B Corp” richiedano un doveroso approfondimento, con spirito collaborativo, senza pregiudizio, e nell’interesse della comunità accademica e professionale, in quanto, se confermati, determinerebbero profili di responsabilità su due diversi piani, e segnatamente, in ipotesi, concorrenza sleale della “certificazione B Corp” rispetto ai fornitori di servizi di certificazione che agiscono in conformità al quadro di normative cogenti (regolamenti e direttive comunitarie) e volontarie sulla normazione, accreditamento e certificazione, e – sempre in ipotesi – pubblicità ingannevole derivante dall’uso improprio, da parte delle aziende, del termine “certificazione” su un marchio che identifica un servizio che in realtà si configura come una “convalida di un’autodichiarazione dell’azienda”.

Inoltre, paiono esservi dubbi anche sulla rispondenza dei criteri e del processo di certificazione rispetto alla “promessa di valore” comunicata da B Lab sul proprio sito e su quelli ad esso riconducibili, circostanza che potrebbe indurre clienti, consumatori e altre parti interessate a prendere decisioni di acquisto o a scegliere un’impresa o un prodotto in base a informazioni di non solida completezza, credibilità, affidabilità e accuratezza.

Con piacere abbiamo ricevuto la conferma dalla direzione della comunicazione & marketing di B Lab Global che “Attualmente è in corso una revisione sostanziale dei nostri standard per la certificazione B Corp, che comprende una revisione della struttura di base in modo da concentrarsi su argomenti sempre più fondamentali e requisiti più specifici. Questo potenziale cambiamento, tuttavia, non mette in discussione il valore degli standard così come sono attualmente configurati”.

Ma dovesse cambiare in modo sostanziale la struttura di base dei cosiddetti standard per la certificazione B Corp, come sarà possibile sostenere che i cambiamenti non finiscano per mettere in discussione il valore degli attuali “standard” e delle “certificazioni” già rilasciate? Esse saranno quindi tutte sottoposte a revisione?

Attendiamo con fiducia i nuovi standard, auspicando che essi si rivelino maggiormente aderenti alle linee guida OCSE e norme internazionali (es.: ISO 26000), ma soprattutto che la metrica per la loro valutazione sia del tutto appropriata alle esigenze informative provenienti dal quadro normativo vigente e dalle esigenze degli stakeholders (tra cui quelli finanziari), e essa sia più efficace nel rappresentare correttamente il livello di esposizione ai rischi con valore predittivo (looking forward) e con un livello di affidabilità (assurance level) adeguato.

Infine, ricordo che in Italia l’Ente di Accreditamento nazionale (Accredia) risponde direttamente al MISE (Ministero dello Sviluppo Economico) e, in base al regolamento 765/2008, svolge funzioni di vigilanza sugli accreditamenti di programmi e organismi di certificazione; i responsabili di B Lab Europe, B Lab Italia e Nativa a mio avviso dovrebbero cogliere l’occasione per fornire quanto meno ad Accredia spiegazioni convincenti e approfondimenti utili per chiarire le perplessità espresse in questo documento. Quest’invito a un confronto schietto, collaborativo e trasparente, mi risulta sia stato mosso a B Lab Italia alcuni mesi fa, nell’ambito di una corrispondenza email poi circolata tra addetti ai lavori, che ha ispirato queste mie riflessioni e quesiti, invito al quale però non mi risulta siano già seguiti incontri ufficiali. L’auspicio è che i dubbi che ho sollevato in questa analisi possano essere positivamente risolti da B Lab, nell’interesse delle organizzazioni, degli addetti ai lavori del mondo della certificazione e delle relazioni pubbliche, e – in definitiva – dei cittadini tutti.


[1] Nel testo del documento utilizzeremo il termine “certificazione B-Corp” virgolettato perché ci proponiamo di verificare l’appropriatezza del termine “certificazione” rispetto al quadro normativo cogente e volontario applicabile.

[2] Trasformare l’economia globale al fine di avvantaggiare tutte le persone, le comunità e il pianeta.

[3] https://www.bcorporation.net/en-us/movement/about-b-lab

[4] https://www.bcorporation.net/en-us/programs-and-tools/b-impact-assessment

[5] L’indicazione che un’azienda soddisfi standard elevati di prestazioni verificate, responsabilità e trasparenza su fattori derivanti da benefits per i dipendenti e donazioni di beneficenza alle pratiche della supply chain e ai fattori produttivi.

[6] https://www.bcorporation.net/en-us/certification

[7] Regolamento (UE) n.1025/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla normazione europea

[8] Regolamento (CE) n.765/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 luglio 2008 che pone norme in materia di accreditamento e di vigilanza sul mercato.

[9] https://www.uni.com/index.php?option=com_content&view=article&id=157&Itemid=877

[10] Gli standard di B Lab sono al centro del movimento B Corp e della nostra Teoria del Cambiamento, definendo le migliori prassi sociali, ambientali e di governance per le aziende. I nostri standard servono come base per tutto ciò che la nostra rete realizza – dalla certificazione B Corp alle nostre politiche attuate in tutto il mondo.

[11] https://www.bcorporation.net/en-us/standards

[12] REGOLAMENTO (CE) N. 765/2008 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 9 luglio 2008 che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti.

[13] ISO 17000 “Valutazione della conformità – vocabolario e principi generali”.

[14] Lo strumento più credibile che un’azienda può utilizzare per misurare il proprio impatto sui propri lavoratori, comunità, ambiente e clienti” e “BIA come strumento di gestione completo rimane estremamente potente e dovrebbe ancora svolgere un ruolo centrale nei requisiti di certificazione stessi e nel consentire alle aziende di gestire le proprie prestazioni sociali e ambientali in modo completo. Soprattutto, BIA viene utilizzato, oltre che come strumento per la certificazione, in molti altri modi.

[15] https://bimpactassessment.net/

[16] https://B Labafrica.net/b-impact-assessment/

[17] Stakeholder engagement

La tua azienda ha compiuto una delle seguenti azioni per coinvolgere gli stakeholder nelle tue prestazioni sociali e ambientali?

  • Abbiamo un comitato consultivo che include la rappresentanza degli stakeholder
  • Abbiamo un piano o una politica formali di coinvolgimento degli stakeholder che include l’identificazione dei gruppi di stakeholder rilevanti
  • Abbiamo creato meccanismi per identificare e coinvolgere gruppi di stakeholder o dati demografici tradizionalmente sottorappresentati
  • Facciamo utilizzo di processi formali e regolari per raccogliere informazioni dalle parti interessate (focus group, sondaggi, riunioni della comunità, ecc.)
  • Disponiamo di procedure formali per affrontare i risultati del coinvolgimento degli stakeholder, con un soggetto o un team designato responsabile del follow-up necessario.
  • Riportiamo i risultati del coinvolgimento degli stakeholder sulle prestazioni sociali e ambientali al più alto livello di supervisione dell’azienda, quale il Consiglio
  • Riportiamo pubblicamente i meccanismi e i risultati di coinvolgimento degli stakeholder
  • Altro – per favore specificare

Nessun coinvolgimento formale degli stakeholder.

[18] ISO 17033 “Ethical claims and supporting information”.

[19] Programmi di pensionamento

I dipendenti hanno accesso a uno dei seguenti programmi di risparmio per la pensione?

  • Piani pensionistici sponsorizzati dal governo o fondi pensionistici
  • Pensione Privata o Fondi di Previdenza
  • Piano che includa specificamente l’opzione di Investimento Socialmente Responsabile

Nessuno dei precedenti

[20] … gestire in modo completo le proprie prestazioni sociali e ambientali.

[21] Principi generali e requisiti per gli organismi di convalida e verifica.

[22] https://www.iso.org/standard/29352.html

[23] https://european-accreditation.org/wp-content/uploads/2020/09/EA-1_22-_Rev04_April-2020.pdf

[24] https://iaf.nu/iaf_system/uploads/documents/IAF_MD_25_Criteria_for_the_Evaluation_of_CAS_07012022.pdf

[25] Regolamento (CE) N. 765/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 luglio 2008 che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato.

[26] https://nativalab.com/storie/cosa-nativa-le-b-corp-italiane/

[27] La guida servirà da risorsa durante il percorso di certificazione, tuttavia, noi di B Lab e Sistema B lavoreremo anche direttamente con te lungo il percorso. Usa la mappa sul sito di B Lab Global per trovare l’organizzazione B Lab o Sistema B vicino a te.

[28] https://www.bcorporation.net/en-us/movement/global-network/

[29] Misurare l’impatto sociale e ambientale complessivo di un’azienda.

[30] BIA come strumento di gestione completo rimane estremamente potente e dovrebbe ancora svolgere un ruolo centrale nei requisiti di certificazione stessi e nel consentire alle aziende di gestire le proprie prestazioni sociali e ambientali in modo completo. Soprattutto, BIA viene utilizzato, oltre che come strumento per la certificazione, in molti altri modi.

[31] https://www.bcorporation.net/en-us/news/blog/update-future-b-corp-certification-performance-requirements-february-2022

[32] Tutti gli argomenti sono attualmente soggetti a revisione, inclusione o esclusione sulla base della ricerca in corso e del contributo degli stakeholder. Verrà presa in considerazione anche l’integrazione di altri temi trasversali e correlati (come l’approvvigionamento sostenibile)

[33] Un sistema gestionale completo.

[34] Consentire alle imprese di gestire in modo completo le proprie prestazioni sociali e ambientali.

[35] https://www.bcorporation.net/en-us/news/blog/update-future-b-corp-certification-performance-requirements-february-2022

[36] Gli standard di B Lab sono al centro del movimento B Corp e della nostra Teoria del Cambiamento, definendo le migliori pratiche sociali, ambientali e di governance per le aziende.

[37] La certificazione B Corp indica che un’azienda soddisfa standard elevati di prestazioni verificate, responsabilità e trasparenza.

[38] https://www.bcorporation.net/en-us/certification

[39] I successi di un’organizzazione con riferimento a questioni sociali, di giustizia economica o di sostenibilità.

[40] ISO/TS 17033:2019 “Affermazioni etiche e informazioni di supporto”.

[41] Esame del sito: condotto virtualmente o tramite una visita in loco, include un’analisi approfondita della documentazione tramite circa 50 domande sulla BIA, un tour delle strutture, colloqui con i dipendenti e controlli di riferimento dei fornitori.

[42] Comprendere i requisiti per ottenere una certificazione B-Corp.

[43] I punteggi vengono verificati attraverso un processo di revisione, che include documentazione, chiamate e, eventualmente, visite in loco.

[44] https://europa.eu/europass/en/european-qualifications-framework-eqf

[45] ISO 9000:2015

[46] L’acronimo P-D-C-A (o Ciclo di Deming) sta per Plan-Do-Check-Act, e viene visualizzato comunemente come una ruota, a richiamare il concetto di “ciclo continuo” di perfezionamento utilizzato per il controllo e il miglioramento continuo dei processi e dei prodotti, da perseguire in modo iterativo.

[47] Certificazione per imprese di grandi dimensioni. Pathway è destinato a società idonee private o pubbliche da $ 100 milioni e più, con oltre 10 filiali operative in più paesi.

[48] https://corporate.danone.it/chi-siamo/SIAMO-UNA-B-CORP.html

[49] https://nativalab.com/storie/cosa-nativa-le-b-corp-italiane/


“B Corp certification”: a reliable, accurate and trustworthy assertion?
Nine reasons to – at present – doubt it…

by Luca Poma[1]

In the varied world of labels, certifications and ratings that proliferated in recent years around the themes of sustainability and social responsibility – a dimension certainly not exempt from controversy – the B Corp Certified label, which originated in the United States, is one of those that has spread most around the world.

B Corp[2] certification is promoted by B Lab, a U.S. non-profit association formed in 2006 with the aim of “Transforming the global economy to benefit all people, communities, and the planet[3].

In this article, I intend to solicit the reader’s attention – without any bias and using only information publicly available on the B Lab, B Corp and BIA websites – about the legitimacy of the use of the term “certification” for the service offered by B Lab with respect to the national and international mandatory and voluntary regulatory framework on standardization and certification, and also on the fairness of the “promise of value” represented by the B Corp brand.

B Lab has developed a “standard” called BIA[4]B Impact Assessment –, used as a reference to issue the B Corp certification, at the end of an assessment carried out by B Lab’s Standard Trust.

B Lab specifies that “in addition to achieving a minimum verified score of 80 points, each company also must complete a Disclosure Questionnaire, change the structure of its corporate governance, implement a model known as stakeholder governance and – in Italy – adopt the legal form of a Benefit Corporation, and comply with the transparency standards by publishing its BIA assessment on its B Corp directory”. B Lab’s clarification underlines that a company, in addition to the BIA, must also meet other formal requirements, but this does not change the substance: the BIA is the “standard” of reference containing the assessment criteria relevant to the characteristics of sustainability that lead to release the B Corp certification.

B Lab further clarified that “The Standards Trust was a department within B Lab composed of the Standards Management, Certification & Verification, and Technology teams; these ones and other teams are now part of B Lab Global”. We can deduce that within the organization B Lab Global there are several Teams dealing with standards and certification, although it is not clear who is responsible for the certifiers’ accreditation. This seems to be in contrast with the international governance structure, which provides for a clear role distinction between standards bodies, accreditation bodies, certification bodies and consulting firms. Indeed, inside B Lab Global everything seems to take place within the same organization, and the explanation that the Teams are distinct from each other does not appear convincing (in terms of certification credibility with reference to its independence and third party status).

The “B Corp Certified” label is certainly the output of a validation service of a self-assessment questionnaire, which involves – as we understand it – some calls for in-depth telephone follow-up and sometimes an audit: however, there are several aspects that raise questions about the legitimacy of the use of the term “certification” provided with the statement “measure a company’s entire social and environmental impact”. The value promise “B Corp certification” is presented as “a designation that a company is meeting high standards of verified performance, accountability, and transparency on factors from employee benefits and charitable giving to supply chain practices and input materials”[5].

For the purpose of this analysis, it is most appropriate to recall the context of binding rules (Regulations and Directives) in force in Europe to regulate the standardization and certification in this field, namely:

  1. The standardization activity at the European level is defined by Regulation (EU) No. 1025/2012[6].
  2. Accreditation and market supervision activities with regards to certifications are defined by Regulation (EC) No. 765/2008[7] which gives Accreditation Bodies the task of certifying the competence, independence and impartiality of certification bodies (management system, product and personnel) of verification/validation of ethical claim, inspection and verification, and testing and calibration.
  3. The meaning of certification in the world of international standards (ISO/IEC, CEN/CENELEC) and national (UNI/IEC)[8].

So we proceed by offering readers an analysis of the “B Corp certification” with respect to the definitions and requirements of internationally recognized mandatory regulations or voluntary standards, in order to understand – by delving into 9 aspects of B Corp certification – whether and to what extent this service ensures compliance with the three fundamental criteria of a certification: accuracy, reliability and trustworthiness.

1) Is B Lab a recognized standard setting body?

The B Lab website reads: “B Lab’s standards are at the heart of the B Corp movement and our Theory of Change, defining social, environmental, and governance best practices for businesses. Our standards serve as the foundation for everything our network does – from B Corp Certification to our policy work worldwide”[9].

Anyone can develop and publish a standard; however, for the purposes of our analysis, first of all we need to ask a fundamental question: is B Lab a recognized standard setting body?

EU Regulation No.1025/2012 states: “‘standard’ means a technical specification, adopted by a recognised standardisation body, for repeated or continuous application, with which compliance is not compulsory, and which is one of the following: (a) ‘international standard’ means a standard adopted by an international standardisation body; (b) ‘European standard’ means a standard adopted by a European standardisation organisation; (c) ‘harmonised standard’ means a European standard adopted on the basis of a request made by the Commission for the application of Union harmonisation legislation; (d) ‘national standard’ means a standard adopted by a national standardisation body”.

Following a check on international (e.g., ISO, IEC), European (CEN, CENELEC, ETSI) and national (UNI, CEI) recognized standards bodies, we found no evidence that B Lab is a recognized standard setting body.

The directorate of B Lab Global communications & marketing, which I approached, has declined to comment through an official statement, but was nonetheless willing to provide some clarifications. In this regards, it stated that “B Corp standards are managed independently by a Standards Advisory Council, handled by B Lab Global and improved by our user and stakeholder community. The Standards Advisory Council is an independent multi-stakeholder body that determines the criteria for certification and makes judgments on investigations regarding eligibility and complaints”.Hanna Munger herself stated that“The standards were originally developed in 2006 and since then they have undergone five major revisions. Each revision requires extensive research and stakeholder involvement, including testing and a public comment period, before final review and approval by the independent Standards Advisory Council”.

However, the clarification confirms the opportunity to solicit an answer to a very clear question: why does not B Lab Global, instead of producing alleged in-house standards, act within an ISO (International Standardization Organization) member standardization body, i.e., why do B Lab Global standards apparently not agree to submit to the international standardization process, and, moreover, why should B Lab Global’s standardization process have equal or greater reliability and trustworthiness than the standardization process of internationally recognized standard setting bodies?

The clarification received from B Lab Global seems to confirm that the “standards” developed and published by B Lab and used as a reference for “B Corp certification” are not equivalent to the standards issued by national or international standard setting bodies.

2) Are the requirements of the B Corp scheme eligible for certification?

Regulation (EC) No. 765/2008[10] (binding rule) provides the general notion of “conformity assessment” as “ the process demonstrating whether specified requirements relating to a product, process, service, system, person or body have been fulfilled”. The definition echoes ISO 17000[11] where certification is considered a type of “conformity assessment” and is defined as “demonstration that specified requirements related to a product, process, system, person or body are met”.

Regulation (EC) No. 765/2008 EU clarifies that “technical specification” is a document that prescribes the technical requirements to be met by a product, process or service. ISO 17000 defines “specified requirement” as “need or established expectation” that can be specified in regulatory documents such as regulations, standards and technical specifications. ISO defines the standard characteristics to be used for certification purposes.

In light of these definitions, let us first check whether the document called BIA (“B-Impact Assessment”), presented by B Lab as the reference “standard” for the B Corp certification, can be considered a “specified requirement” under the Regulation No. 765/2008 and ISO standards.

The website dedicated to this tool states that BIA (B Impact Assessment) is “The most credible tool a company can use to measure its impact on its workers, community, environment, and customers” e “The BIA as a comprehensive management tool remains incredibly powerful, and should still play a central role in the certification requirements themselves as well as in enabling businesses to manage their social and environmental performance comprehensively. Importantly, the BIA is used in many ways beyond as a tool for certification[12].

The communications & marketing directorate of B Lab Global replied that “We do not refer to the B Impact Assessment as the ‘most credible’ method of managing impact in any of B Lab’s channels”. This clarification does not look genuine, since the statement denied by B Lab can be found on several websites, including one of the organization’s own websites[13] (we cannot rule out that B Corp in the meantime has modified some of the website pages we verified at the time of the first draft of this paper, ed.).

We are pleased to see, however, that after the correspondence between the author of this article and BCorp the statement in question – “The most credible tool a company can use to measure its impact” – has been changed to a less ambitious and more reasonable “B Impact Assessment is a digital tool that can help measure, manage, and improve positive impact performance”.

The question remains open as to whether “a management tool” can also be a “certification tool”: indeed, a requirement specified for certification purposes is prescriptive in nature, while a management tool indicates one possible way – among many – to manage an organization and its processes.

The BIA consists of a questionnaire divided into sections covering several (not all) aspects of sustainability. The BIA questionnaire contains questions that involve a heterogeneous set of of response types (single choice, multiple choice, free text, numerical) and which contribute to the determination of a score. We report in the box below an example of a question.

Stakeholder engagement
Has your company done any of the following to engage stakeholders about your social and environmental performance?
􀀀 We have an advisory board that includes stakeholder representation
􀀀 We have a formal stakeholder engagement plan or policy that includes identification of relevant stakeholder groups
􀀀 We have created mechanisms to identify and engage traditionally underrepresented stakeholder groups or demographics
􀀀 We have formal and regular processes in place to gather information from stakeholders (focus groups, surveys, community meetings, etc.)
􀀀 We have formal procedures to address results from stakeholder engagement, with a designated individual or team responsible for appropriate follow ups.
􀀀 We report the results of stakeholder engagement on social and environmental performance to the highest level of oversight in the company, such as the Board
􀀀 We publicly report on stakeholder engagement mechanisms and results
􀀀 Other – please describe
􀀀 No formal stakeholder engagement

It is clear how a question asked in these terms does not clarify what is the “established need or expectation” on the basis of which to report a certification, because it does not clearly indicate the requirements that the company must meet (in this case from the Stakeholder Engagement process) in order to get a positive assessment: indeed, questions with single or multiple choice cannot be considered as a “specified requirement”.

Still in relation to the specified requirements, there is an additional aspect to be considered: the “B Corp certification”, having as its purpose the assessment of an organization’s sustainability characteristics, falls within the scope of ISO 17033[14], a standard that differs from all other standards since it requires that the reference requirements for an ethical claim be formulated in terms of performance (and not in terms of qualitative characterization).

In the box below we show another example of a question contained in the so-called BIA standard:

Retirement Programs
Do employees have access to any of the following saving programs for retirement?
􀀀 Government-sponsored pension or superannuation plans
􀀀 Private Pension or Provident Funds
􀀀 Plan that specifically includes Socially-Responsible Investing option
􀀀 None of the above

The requirements set out in this question are not presented in terms of “performance,” but only in terms of qualitative characterization and therefore – in my opinion – are not appropriate for an ethical claim.

It is also doubtful that a question posed in these terms can be considered in line with the value proposition of the service “…to manage their social and environmental performance comprehensively…”.

Generally, a self-assessment questionnaire is a useful tool for verifying the compliance with a specification document by adopting a particular metric: if that were the case, however, such a document should be publicly accessible, as required by international standards on certification schemes. Nevertheless, there is no evidence of such a specification document on the B Lab website (which does not mean that it does not exist, but at least that it is not made publicly available). Therefore, it can be concluded that at the very least there is no evidence that the “BIA standard” meet the equivalent requirements of a standard that can be used as a reference for the certification.

With regards to the evaluation metrics, the B Lab Global communication & marketing directorate specified that: “The BIA scoring system is fixed so as to allow for repeated use and comparison between companies and over time. The scoring is tied to fixed indicators only and not to open-ended questions, which are instead meant to allow companies to provide with an additional context and track several aspects related to their responses and performance over time. All indicators and scores are publicly available through the B Impact Assessment platform”.

On a methodological level, the aforementioned statement contains a serious mistake, in full contradiction with the principles of the OECD guidelines, the Community framework and the sustainability reporting standards, because it does not take into account the fact that each organization acts in a specific context. In accordance with the OECD guidelines, all sustainability reporting standards (EFRAG, GRI, IFRS) focus on the materiality analysis derived from the Stakeholder Engagement process to differentiate the material aspects (and give them different weights) according to the context in which an organization acts: a fixed scoring system does not allow for the appropriate assessment of non-financial aspects and risks with respect to taking into account the specific context (geographic, social, cultural, sectoral) in which the organization acts and determines a score “regardless of context”.

Lastly, still on the methodological level, by carefully analyzing the way in which questions are asked in the BIA questionnaire and the fixed scores assigned to each answer, there is clear evidence that the answers given do not meet the kind of information required by international mandatory regulations (e.g., EU Regulations and Directives) and by various stakeholders (investors, banks, public authorities). The emerging information question is about “estimating the level of exposure to the current or potential risk of events that may cause future adverse impacts to the organization and its stakeholders”: single or multiple-choice answers do not allow to express in any way an estimate of the risk given by “probability X consequence” of a given event. Using this method it is not possible to give risk information with predictive character (looking forward).

In my opinion, this methodological aspect of the evaluation the inadequacy of B Corp certification compared with the EU regulatory framework and the emerging needs of a plurality of Stakeholders.

3) Is the B Corp certification scheme suitable for accreditation purposes?

The trustworthiness and reliability of a certification program/scheme depend on its compliance with requirements defined in international standards. ISO 17000 defines “program/scheme” as a “conformity assessment system (Rules, procedures and management model) concerning specified objects of conformity assessment to which the same specified requirements, rules and procedures shall apply”.

The assessment of a certification program/scheme is carried out by a National Accreditation Body that is a signatory to international mutual recognition agreements for accreditations to ensure mutual recognition (including international recognition) of conformity assessment results. Under Regulation (EC) 765/2008, accreditation bodies that are signatories to a Multilateral Agreement (MLA) conduct assessments to ensure that a program/scheme complies with the requirements of accreditation standards.

In order to regulate controls over evaluation programs of ethical claims (“B Corp certification” is to be considered as such), ISO published ISO 17029 “General principles and requirements for validation and verification bodies”[15]; Annex A of that standard defines the requirements a verification/validation program of ethical claim must meet.

Conformity assessment of a certification scheme is carried out exclusively by accreditation bodies with respect to procedures harmonized at the European level by document EA-1/22[16] and at world level by the IAF document MD25[17].

Once more, there is no evidence that the “B Corp certification” scheme possesses the essential requirements to qualify as a “certification program” since there is no evidence that the BIA “standard” has the characteristics of requirements specified in accordance to the definition of the ISO 17000 standard, and furthermore, the evaluation process does not always apply the same procedures to all companies regardless of their size.

One thing seems certain: the “B Corp certification” scheme has not received a positive evaluation for accreditation purposes by a recognized body under the terms of Regulation No. 765/2008 and in accordance with the requirements set by document EA-1/22 and by a verification/validation program of ethical claim as defined in ISO 17029 – Annex A.

In the absence of external verification on the Program, it cannot be said that “B Corp certification” is reliable and trustworthy and meets fundamental requirements for a certification scheme, including the definition and evaluation of the skills of the people involved in the certification, the conformity of the evaluation process to requirements defined by international standards, the confidence in the degree of repeatability of results, and the transparency of the information disclosed to stakeholders: so we wonder why B Lab Global does not agree to submit the verification of the program compliance with requirements of international standards (ISO 17029) to an Accreditation Body acting in accordance with international procedures for conformity assessment programs (Ex.: IAF MD25 or EA-1/22): in the absence of external verification of the program’s compliance with existing and applicable international standards, it is not possible to make any substantive judgments about the actual consistency of the program, and B Lab Global’s self-declarations do not seem sufficient to solve these uncertainties beyond any reasonable doubt.

4) Is the certifying entity trustworthy?

A conformity assessment body is considered trustworthy if it meets a set of requirements related to competence, independence, impartiality and absence of conflicts of interest, transparency and organizational structure, and keeps over time the compliance with the applicable requirements.

Regulation (EC) No. 765/2008[18] gives a national accreditation body the functions of supervising the conformity assessment bodies and their compliance with the applicable standards.

The ISO 17000 series standards define the requirements for bodies conducting the various types of conformity assessment (inspection, management system certification, product certification, personnel certification, verification/validation of ethical claims); an unaccredited certification body unfortunately does not ensure the compliance with the applicable requirements to protect the parties involved in conformity assessment activities.

Since “B Corp certification” falls under the scope of ISO 17029, the body “ B Lab Standard Trust” – i.e. the entity issuing B Corp certification – should be an independent legal entity accredited by a recognized body in accordance with ISO/IEC 17029 and with a program positively assessed for accreditation purposes by a body recognized under Regulation (EC) No. 765/2008: after examining the websites of national accreditation bodies it does not seem – errors excepted – that B Lab Standard Trust is an accredited certification body, therefore subject to a check by an Accreditation Body that ensures the due credibility of the certifications issued, but above all ensures the absence of potential conflicts of interest.

On this web page one can read that “Nativa is one of the founding companies of the movement in Europe, the first B Corp in Italy and the Italian partner of B Lab”.Other pages on the website[19] state that Nativa provides a wide range of consulting services to companies in order to guide and prepare them to obtain “B Corp certification”. In the Getting Started section, the B Corp certification guidelines state “The guide will serve as your resource during the certification journey, however, we at B Lab and Sistema B will also work directly with you along the way. Use the map on the B Lab Global website to find the B Lab or Sistema B organization near you”. From the certification guides disclosed by B Lab and by following the website links, it appears that the B Corp system includes a business support service during the certification process provided by Nativa, B Lab’s Italian partner.

By following the B Lab network links, one can trace the reference to the European website[20] that shows the list of national partners, where you can see that the “B Corp movement” and the company Nativa S.r.l. are based in Italy at the same address: via degli Ausoni No. 1, in Rome. Since one of the basic cornerstones of the accreditation of the certification bodies concerns the distinction between those who “certify” and those who “provide consulting services”, in the lack of accreditation there are no external controls on the system of relationships between B Lab, B Lab’s Standard Trust, B Corp movement and Nativa (B Lab’s country partner in Italy) that would guarantee the parties involved from the absence of any current or potential risk of conflict of interest between the different stakeholders of the B Corp system.

B Lab Global’s communications & marketing directorate stated that “B Lab Global maintains full independence from Global Partners to manage conflicts of interest and serves as the organization responsible for the application and verification of the standards underlying B Corp certification. Global Partners and Country Partners have no authority over the standards, verification or application of these processes to specific companies”.

The mere existence of internal procedures and conflict of interest statements does not seem to be sufficient per se, and more importantly, it fails to guarantee the program with a level of trustworthiness that is adequate to international standards, especially if the body issuing the B Corp Certified label acts without periodic external audits and monitoring by a recognized accreditation body.

B Lab Global appears instead to be a self-referential system within which, inside the same organization, standards and rules are set and certification activities are also carried out, leading to the issuance of a label such as B Corp Certified.

5) Are the evaluation criteria for “B Corp certification” complete?

A company’s ethical claim verification/validation scheme must take into consideration all aspects of sustainability and corporate responsibility recalled by international guidelines (e.g., OECD guidelines), mandatory regulations (e.g., CSRD Directive) or voluntary regulations (e.g., ISO 26000); this principle is also recalled by UNI/Pdr 102:2021 “Ethical Claims of Responsibility for Sustainable Development”.

On B Lab and BIA websites the “value promise” of “B Corp certification” is defined by statements such as “Measuring a company’s entire social and environmental impact” and “The BIA as a comprehensive management tool remains incredibly powerful, and should still play a central role in the certification requirements themselves as well as in enabling companies to manage their social and environmental performance comprehensively. Importantly, the BIA is used in many ways beyond as a tool for certification”.

However, one of the pages on the B Corp[21] website states that a revision of the BImpact Assessment (BIA) is underway with the aim of including a long list of new requirements including “risk management”, “Ethics and anti-corruption”, “living wages”, “worker empowerment”, “human rights”, “climate”, “environmental management”).

Moreover, with regards to the assessment of Sustainable procurement, the B Lab website states that “All topics are subject to ongoing revision, inclusion, or exclusion based on ongoing research and input from stakeholders. The incorporation of other cross-cutting and related topics (such as sustainable procurement) will also be considered”. Therefore, “B Corp certification” – at least now – does not consider one of the most significant aspects of non-financial information, namely the level of risk exposure along the supply chains.

Since these elements of evaluation of an organization’s social responsibility have long been present in several guidelines (e.g., OECD Due Diligence Guidance for Responsible Business Conducts) and in international standards (ISO 26000), and the new revision of the BIA is scheduled to be released in 2023, questions arise as to how it is possible to consider the BIA a “comprehensive management tool” capable of “enabling companies to manage their social and environmental performance comprehensively”.

In terms of completeness of the assessment criteria, by B Lab’s own admission, there is no evidence that the “B Corp certification” takes into account all the elements referred to in long-published international guidelines and standards, and even less that it is fully aligned with sustainability reporting standards.

The communications & marketing directorate of B Lab Global claimed that our theses – submitted for their analysis in advance before the publication of this article – would suggest that “…B Corp certification is not a complete certification because it is only now beginning to consider specific requirements with respect to some key issues” and states that “However, these issues are already currently considered within the B Impact Assessment and in the Disclosure Questionnaire”. This rebuttal does not seem acceptable because it contradicts what B Lab states on its website[22] updated in February 2022, where it announces a plan to include new performance requirements; from this it can be inferred that if new requirements are to be introduced and implemented in 2023, they are not present in full to date, otherwise the announced update would be completely redundant.

So the question remains unanswered: why, to date, does the B Corp certification not comprehensively consider elements that have been present for years in OECD Guidelines and standards such as ISO 26000? If such elements are incorporated in the future, does this mean that all certifications issued to date do not guarantee coverage of all aspects? If so, how could the BIA be presented as a “comprehensive management tool”?

Lastly, it is worth pointing out that, according to B Lab, the process of incorporating new requirements into the BIA is determined only by the Stakeholder engagement organized by B Lab itself; this would suggest that B Lab assumes a superior reliability of its own Stakeholder engagement process compared to the same process carried out in the OECD or by international standards bodies.

6) Is the BLab certification process reliable?

Recalling that in the service value proposition, on the organization’s websites we read “B Lab’s standards are at the heart of the B Corp movement and our Theory of Change, defining social, environmental, and governance best practices for companies” and “B Corp Certification is a designation that a company is meeting high standards of verified performance, accountability, and transparency”[23] there is no doubt that the “B Corp certification” falls squarely within the notion of ethical claim, as it states “An organization’s achievement with respect to social, economic justice or sustainability issues” according to standard ISO 17033[24].

The procedure for assessing the conformity of an ethical claim must be carried out in accordance with the requirements of ISO/IEC 17029:2019. However, although you can find a description of the certification procedure in the documentation available on the B Lab and B Corp websites, there is no evidence – at least as far as I am aware – that the certification process complies with all the requirements defined in ISO 17029, and that the process implemented by the entity issuing the B Corp certification – i.e.: Standard Trust of B Lab – acts in accordance with these requirements.

The document “B Corp certification for large Enterprise” states (p. 15). “Site Review: Conducted either virtually or through an onsite visit, this includes an in-depth documentation review for approximately 50 B Impact Assessment questions, a facilities tour, employee interviews, and supplier reference checks”.

The documents “B Corp Guide for small medium company” and “B Corp Guide for small companies” state in the section “Understand the requirements for becoming B Corp certified” that “Scores are verified through a review process, which includes documentation, calls, and, possibly, onsite visits” but below – in the “Step 9: Verification[25]” section – it also states that the assessment includes the activities of “verification report” “review call”, “documentation” and “follow-up”.

Therefore, judging by the information documents available on the B Lab and B Corp websites, there is no evidence of a clear and transparent definition of the criteria adopted for deciding whether and when an “on-site visit” is carried out, how such a visit should be conducted (there is no reference to international standards for planning and conducting an audit, such as ISO 19011), what the competencies of those conducting the “onsite visit” are, nor of the criteria by which the decisions to grant the “B Corp certification” are made.

In addition, the approach to the certification process is differentiated according to the size of the company: in small and medium-sized companies it is carried out by an Analyst through one or more “review calls” (from what it appears, it would seem remotely).

Therefore, the “B Impact” and “Verification” phases do not ensure that the information provided by the company at the time of the self-assessment with the BIA verifications is always verified and supported by objective evidence (pictures, interviews, observations, etc.) collected during the company visit with an approach that does not take into account the size of the companies.

Without a site visit, for example, how will it be possible to evaluate the truthfulness of the information provided by the organization on the safety risks relating to the stability of the structure, the adequacy of the fire-fighting systems and installations? How will it be possible to assess the environmental risks without a physical check on the actual state of operation and maintenance of the facilities and the implementation of risk mitigation and prevention measures? Lastly, how will it be possible to have a plan of documentary checks and both individual and group interviews with a representative sample of managers, employees, workers and workers’ representatives to understand the risks of violation of human rights and correct working practices? The discussions that took place with BCorp’s top management before the definitive drafting of this article did not provide an adequate answer to these questions.

In a nutshell, there is no clear evidence that the “B Corp certification” approach is capable of consistently providing verified information in accordance with a standard process (regardless of the company size) carried out by people with qualified skills and with assessments and decisions based on adequate objective evidence (observations, personnel interviews, physical inspection, records analysis, etc.) on all aspects and risks; we believe that a questionnaire, a telephone follow-up, and an occasional audit at the organization do not represent an accurate and reliable approach to providing the market with verified information with an adequate level of reliability.

7) Are the competencies of BCorp evaluators defined and evaluated according to international standards?

The process of defining and evaluating the competencies of the people involved in audit and certification activities are one of the crucial points of a certification program.

To enable stakeholders to assess the trustworthiness and reliability of the certification schemes, the International Standards unequivocally require the maximum transparency of the information regarding the definition and assessment of competencies.

In Europe, the qualification defined by the EQF[26] (European Qualification Framework) is applied; it defines, for each level, the knowledge and skills needed to perform a given task and a model for the assessment of skills at each level of qualification.

However, on the B Lab, B Corp and BIA websites there is no evidence of a document describing the competencies that must be possessed by those involved in the evaluation and decision-making process (analysts, auditors, etc.) nor how these competencies are assessed compared to internationally recognized frameworks.

Moreover, there is no evidence of processes defined and implemented in order to ensure the maintenance over time and the calibration of the skills of the people involved in the B Corp certification.

Since the definition and assessment of skills represents one of the fundamental pillars of a certification scheme, the absence of such information does not allow to assess – at least at present – the repeatability of the assessments and therefore the reliability of the B Corp certification.

What skills must the people called upon to cover the role of verifying (remotely or in-house) the information provided by the company possess?

What skills, professional experience and expertise do they possess? Who and how has verified the competencies? How do you ensure the continuous calibration of the level of competence among different people? How does B Lab Global ensure that people’s competencies are always adequate to assess the companies applying for the certification? These questions, too, were not adequately answered in the discussion that took place with BCorp’s top management prior to the final draft of this article.

Defining auditor competencies is a key aspect of a certification program, and the lack of completeness/transparency of the information provided on this issue on the various B Lab Global websites do not seem to be reassuring on the reliability of such “certification”.

8) Is B Corp certification consistent with its stated purpose?

A management system is defined as “set of interrelated or interacting elements of an organization to establish policies and objectives, and processes to achieve those objectives”[27]. Therefore, the key term is “interdependence”: as a consequence, assessing the effectiveness of a management system for sustainability requires the verification of both alignment and integration among interdependent processes including stakeholder engagement, materiality assessment, policies, objectives, risk management, operational controls, monitoring, reviews and improvement actions.

Moreover, the assessment of the effectiveness of a management system for the sustainability must be based on the PDCA cycle[28] and must allow for an assessment of the extent to which the management system is defined, implemented, reviewed and improved.

Under the impulse of international guidelines (OECD) and mandatory regulations (e.g., EU regulations and directives), there is a growing need to collect and disclose information on the level of exposure to risks related to non-financial aspects: risk assessment must be “predictive” in nature, requiring an assessment of the likelihood and consequence that an event related to one or more non-financial aspects may cause adverse impacts on the organization and its Stakeholders.

From the analysis of the BIA and the certification process, there is no evidence that the “B Corp certification” is based on an assessment of the “high level structure” of a management system that complies with international standards and the alignments between the different elements of the management system with an appropriate level of confidence.

For example, two of the cornerstones of the OECD guidelines and of a growing number of legal and EU directives and of sustainability reporting standards, are the concept of “materiality” and “dual materiality”: materiality analysis is a dynamic process that upstream represents the outcome of the stakeholder engagement process and the way in which the organization is affected and influences the context in which it operates, and – downstream – guides the definition of policies, objectives, risk assessment and consequent operational choices based on a scale of priorities, considering as most important what is truly “relevant” to the company itself and its ecosystem.

By analyzing the BIA, there is no evidence of the assessment of the materiality analysis or how this latter acts interdependently with upstream (stakeholder engagement) and downstream (risk management, monitoring and reviewing, etc.) processes.

Since the materiality analysis is in practice the “weighing system” of a management system for sustainability, and informs risk management and managerial action with regards to the context in which the company operates, there is no evidence of the consistency of an assessment of a company that does not take into account the interdependencies between this fundamental aspect and other fundamental processes.

Another relevant aspect that affects the consistency of “B Corp certification” concerns the way it takes into account the complexity of the organizational structure of the company to which it is issued: indeed, B Corp certification appears to be issued to the organization as a whole.

The subtitle of the document “B Corp certification – Guide for large Enterprises” reads “Large Enterprise Certification. Pathway is intended for eligible private or public $100M+ companies with 10+ operational subsidiaries operating in multiple countries[29].” In these cases the transparency required of the program in relation to the information provided to the client is important to communicate very well if the assessment includes a visit to the headquarters and to the “operational subsidiaries” being verified.

Indeed, the “B Corp certified” label is issued to an entire organization even if it consists of several business units (production facilities, warehouses, logistics), which may, however, have very significant differences, both with regards to the context in which they operate and to the level of exposure to risks on all non-financial aspects.

Judging by the publicly available documentation it is not clear whether the verification for “large organizations” involves a visit to the headquarters only or to a sample of business units belonging to the group, or even to all business units belonging to a group. For example, the B Corp certification has been issued to the company Danone Italia: well, how many plants in Italy have been subjected to verification at the site to ascertain the veracity of such declared information? Also: how does the “verification” process allow for different impacts to be assessed between two separate business units (perhaps located in different countries) but belonging to the same legal entity? And also: how does the method of calculating the total score assigned to an organization that has multiple operating sites (production units, warehousing, logistics) take into account contextual differences and possible differences in the level of exposure to the risks and impacts present in each unit? Finally: does the certificate issued to organizations along with the certified B Corp Logo specify the list of operating units on which a visit to the company was conducted? These are also open questions that have not been adequately/exhaustively answered to date. B Lab Global’s communications & marketing management has moreover stated, when corresponding with the author, that “Danone is not a certified B Corp”; we take note of the statement but we believe that B Lab Global needs to carry out more careful checks on how communication is issued by “certified” companies, considering that the Danone Italy website clearly states “We are a B Corp[30]

The B Corp management’s statement seems to miss the technical key point, giving B Lab Global and Danone the task of clarifying each other: since many differences may exist between various plants or business units within the same group on social, health and safety, environmental, and business ethics aspects and risks, do the “certification” regulations ensure that – in case the B Corp Certified label is issued to a group to which multiple plants, depots, and other business units refer – regular checks on the status of risks have been conducted on all business units within the group? In the event that an audit is conducted on a sample of operating units, how is it possible to extend the assessment by induction to all operating units (which may have entirely different working conditions) and issue the label – for example – to the subsidiary Danone Italia? These issues would suggest further investigation.

In the end, based on the information available on the various websites referable to B Lab Global, it is not possible to have a positive opinion regarding the consistency of the assessment process with respect to the purpose of the “B Corp certification” communicated to the public.

9) Does B Corp certification meet customers’ expectations in a balanced way?

A certification scheme must always communicate its object, purpose and limitations to stakeholders. In this regard, there are some elements of ambiguity in the communication concerning the “B Corp certification”.

First of all, it is emphasized that the standards applicable to the assessment of ethical claims (just like what happens in the field of auditing) require to specify the level of confidence or assurance of the certification: limited, reasonable, or absolute. The requirement is essential to enable stakeholders to assess the level of assurance of the certification. However, there is no evidence of specifying the assurance level (limited, reasonable, absolute) of the assessments in the “B Corp certification” promotion documents, and this does not allow stakeholders to make fully informed decisions on the degree of confidence of the certification.

Second, Nativa[31] web pages state “We assess the sustainability profile of investment choices”. However, in the description of the assessment methodology of the various elements addressed by the BIA, there is no evidence of a determination of an estimate of the likelihood and consequence of current or potential risk of events that could cause adverse impacts on the organization and its stakeholders.

If B Corp certification were to express an assessment of the level of risk exposure on all non-financial aspects, there should exist – and be publicly accessible – for example, a document depicting the table with indicators of the likelihood, consequence, and impact of a risk; however, the analysis conducted did not uncover any document containing this information; therefore, it is unclear how “B Corp certification” meets the informative needs required by EU Regulations (Ex: 2019/2088) and Directives (Ex: 2022/2464) to protect from investment risks.

Third, the B Corp documentation shows the possibility of using the “B Corp Certified Pending” label granted for use to an organization (e.g., a start-up) that has embarked on but not yet completed the path of the “B Corp certification”.

A comparison between the two issued labels reveals the weak graphic distinction to unambiguously distinguish a “Certified B Corporation” company from a “Certified B Corporation pending” company, as well as the blatant contradiction in the “B Corp Certified Pending” label where this is followed by the sentence “this company meets the highest standards of social and environmental impact”: well, how is it possible for a company to claim that it already meets such “standards” when it is still in the “pending” state, i.e., on the way to certification, which may not even have – in the final analysis – a positive conclusion?

B Lab Global’s directorate of communications & marketing said that “Pending B Corp sticks to a specific communication guideline that regards the positioning and use of the logo. Furthermore, it is not meant to be used along with the phrase about the compliance with standards, which should only be associated to the B Corp logo. Otherwise, the company violates our guidelines”.

On this issue, too, the explanation provided by B Lab Global misses the focal point: it is clear that there is a regulation on the use of the label, but the conviction stands firm that the similarity between the two labels “Certified B Corp” and “Certified B Corp Pending” is excessive and misleading to stakeholders resulting in a high risk of misuse and confusion among consumers or other interested parties (too much of a difference in status in the assessment process between a “Certified B Corp Pending” and a “Certified B Corp” to rely on two essentially identical labels with only the addition of the term Pending).

Conclusions

The analysis performed on the information in publicly accessible documents related to B Lab, “B Corp certification” and the BIA (B Impact Assessment) tool with regards to the framework of internationally recognized mandatory and voluntary regulations leads to the following conclusions:

  1. there is currently no firm evidence that the service proposed by B Lab has the characteristics to use the term “certification” in accordance with EU Regulations 765/2008 and 1025/2012 because the reference standard is not issued by a recognized standards body, the requirements are not expressed in a “certifiable” manner and in terms of performance (as required by ISO 17033). Therefore, an entirely legitimate service but, at most, a validation of a self-declaration by the certified company based on a proprietary tool (BIA);
  2. there is currently no firm evidence that the “B Corp certification” scheme complies with the requirements defined in ISO 17029 – Annex A, following an assessment made by a recognized accreditation body with respect to internationally harmonized standards. In particular, there is no evidence of documents specifying the competencies of the people involved in the assessment, the level of assurance of the assessment, and other key information for a program;
  3. there is currently no firm evidence that the assessment elements used for the certification issue are comprehensive and cover all aspects of sustainability referred to in guidelines (e.g., OECD Due Diligence guidance for responsible business conduct), mandatory regulations (e.g., Directive 2022/2464) and voluntary standards (e.g., ISO 26000). Many relevant aspects of sustainability will only be included in the BIA and the assessment process in 2023, but to date the criteria cannot be called “inclusive” of all aspects of sustainability;
  4. there is currently no firm evidence that the certification process has the same procedures for all types of enterprises (as required by ISO 17000), since the differences in procedure between “large corporations” and “small and medium enterprises” do not seem to guarantee the comparability of the confidence level of the assessments and the repeatability of the results and, ultimately, the reliability of the assessments. Moreover, there is no firm evidence of objective and transparent criteria pursuant to which the decision to conduct an audit at the organization is made;
  5. there is currently no firm evidence that B Lab’s Standard Trust body (or other structure belonging to B Lab) is accredited to international standards by an Accreditation Body that is a signatory to international mutual recognition agreements for accreditations. In addition, there are elements that do not make it possible to guarantee the absence of conflicts of interest between those who provide consulting services to enterprises and those who carry out the certification activities.
  6. there is currently no firm evidence that the information disclosed on the “B Corp certification” corresponds to the service actually provided. Moreover, there is evidence of ambiguity between the “B Corp Certified” and “B Corp Certified Pending” logos.

I think that the doubts, the problems to date unresolved, and the requests for greater clarity raised in this article with regards to the “B Corp certification” require due investigation, in a collaborative spirit, without prejudice, and in the interest of the academic and professional community, since, should they be confirmed, they would result in liability profiles on two different levels, namely, hypothetically, unfair competition of the “B Corp certification” with regards to certification service providers that act in accordance with the framework of mandatory (EU regulations and directives) and voluntary regulations on standardization accreditation and certification, and – hypothetically – misleading advertising resulting from the companies’ misuse of the term “certification” on a trademark that identifies a service that is actually a “validation of a company’s self-declaration”.

Moreover, there also appear to be doubts as to whether the certification criteria and process meet the “promise of value” communicated by B Lab on its own website and those connected to it, a circumstance that could lead customers, consumers and other interested parties to make purchasing decisions or choose a company or product based on information of less than solid completeness, trustworthiness, reliability and accuracy.

We were pleased to receive confirmation from B Lab Global’s communications & marketing directorate that “A substantial revision of our B Corp certification standards is currently underway, including a revision of the basic structure so as to focus on increasingly fundamental topics and more specific requirements. This potential change, however, does not question the value of the standards as they are currently configured”.

Should the basic structure of the so-called standards for B Corp certification change substantially, how will it be possible to argue that the changes will not end up challenging the value of the current “standards” and “certifications” already issued? Will they then all be subject to revision?

We look forward to the new standards, hoping that they will prove to be more adherent to OECD guidelines and international standards (e.g., ISO 26000), but above all that the metrics for their assessment will be entirely appropriate to the information needs coming from the current regulatory framework and the stakeholders’ needs (including financial stakeholders), and it will be more effective in correctly representing the level of exposure to risks with predictive value and with an appropriate assurance level. Finally, I recall that in Italy the national Accreditation Body (Accredia) answers directly to MISE (Ministry of Economic Development) and, according to Regulation 765/2008, it performs supervisory functions over the accreditation of programs and certification bodies; the heads of B Lab Europe, B Lab Italia and Nativa in my opinion should take the opportunity to at least provide Accredia with convincing explanations and useful insights to clarify the perplexities expressed in this paper. This invitation for a frank, collaborative and transparent discussion, I understand, was made to B Lab Italia a few months ago – in the context of an email correspondence then circulated among insiders, which inspired these reflections and questions of mine – an invitation to which, however, I am not aware that any official meetings have yet followed. The hope is that the doubts I have raised in this analysis can be positively resolved by B Lab, in the interest of organizations, insiders in the world of certification and public relations, and – ultimately – all citizens.


[1] Professor in Reputation management and public relations at the LUMSA University of Rome and at the University of the Republic of San Marino (Bio – Bibliography).

[2] In this paper we shall use the term “B-Corp certification” in quotation marks because we aim at verifying the appropriateness of the term “certification” with respect to the applicable mandatory and voluntary regulatory framework.

[3] https://www.bcorporation.net/en-us/movement/about-b-lab.

[4] https://www.bcorporation.net/en-us/programs-and-tools/b-impact-assessment.

[5] https://www.bcorporation.net/en-us/certification

[6] Regulation (EU) No. 1025/2012 of the European Parliament and of the Council of 25 October 2012 on European standardisation.

[7] Regulation (EC) No. 765/2008 of the European Parliament and of the Council of 9 July 2008 setting out the requirements for accreditation and market surveillance.

[8] https://www.uni.com/index.php?option=com_content&view=article&id=157&Itemid=877

[9] ttps://www.bcorporation.net/en-us/standards

[10] Regulation (EC) No. 765/2008 of the European Parliament and of the Council of 9 July 2008 setting out the requirements for accreditation and market surveillance relating to the marketing of products.

[11] ISO 17000 “Conformity assessment – vocabulary and general principles”.

[12] https://bimpactassessment.net/

[13] https://BLabafrica.net/b-impact-assessment/

[14] ISO 17033 “Ethical claims and supporting information”.

[15] https://www.iso.org/standard/29352.html

[16] https://european-accreditation.org/wp-content/uploads/2020/09/EA-1_22-_Rev04_April-2020.pdf

[17] https://iaf.nu/iaf_system/uploads/documents/IAF_MD_25_Criteria_for_the_Evaluation_of_CAS_07012022.pdf

[18] Regulation (EC) No. 765/2008 of the European Parliament and of the Council of 9 July 2008 setting out the requirements for accreditation and market surveillance.

[19] https://nativalab.com/storie/cosa-nativa-le-b-corp-italiane/

[20] https://www.bcorporation.net/en-us/movement/global-network/

[21] https://www.bcorporation.net/en-us/news/blog/update-future-b-corp-certification-performance-requirements-february-2022

[22] https://www.bcorporation.net/en-us/news/blog/update-future-b-corp-certification-performance-requirements-february-2022

[23] https://www.bcorporation.net/en-us/certification

[24] ISO/TS 17033:2019 “Ethical claims and supporting information”.

[25] Scores are verified through a review process, which includes documentation, calls, and possibly on-site visits.

[26] https://europa.eu/europass/en/european-qualifications-framework-eqf

[27] ISO 9000:2015.

[28] The acronym P-D-C-A (or Deming Cycle) stands for Plan-Do-Check-Act, and is commonly visualized as a wheel, recalling the concept of a “continuous cycle” of refinement used for continuous control and improvement of processes and products, to be pursued iteratively.

[29] Certification for large enterprises. Pathway is intended for private or public eligible companies of $100 million or more, with more than 10 operating subsidiaries in multiple countries.

[30] https://corporate.danone.it/chi-siamo/SIAMO-UNA-B-CORP.html

[31] https://nativalab.com/storie/cosa-nativa-le-b-corp-italiane/




DA ELON MUSK A CHIARA FERRAGNI: QUANDO IL PERSONAL BRANDING VACILLA

DA ELON MUSK A CHIARA FERRAGNI: QUANDO IL PERSONAL BRANDING VACILLA

Elon Musk: la figura dell’iperpadrone è vincente?

Così l’ha soprannominato qualcuno. Perché lui comanda, arriva, contesta, critica, licenzia decine di migliaia di persone senza alcuno scrupolo; e poi twitta, senza sosta, contro i vaccini, strizzando l’occhio a Trump e Putin, e difendendo la “libertà di parola” sui Social, che – a suo avviso – si sostanzierebbe nel diritto di chiunque di dire qualunque cosa condividendo informazione-spazzatura online, inquinando i pozzi e alimentando fake-news e analfabetismo funzionale. Non per nulla, Musk piace molto al Ministro Matteo Salvini, che di queste strategie di disinformazione ha fatto una colonna portante del proprio posizionamento pubblico (senza comprendere che se il suo consenso in Italia è crollato dal 30 ed oltre per cento delle europee al misero 7% delle ultime politiche, un motivo forse c’è).

L’uomo più ricco del mondo – una specie di “faraone 2.0”, con 200 miliardi di dollari di patrimonio personale, che si vanta pubblicamente di richiedere a suoi collaboratori fedeltà senza limiti di orario a totale detrimento della vita privata – è l’emblema del “bene o male purché se ne parli”. Chiassone e a tratti trash, inconsapevole del fatto che il modello press-agentry, che predicava il riempimento degli spazi sui mass-media un tanto al chilo, è definitivamente tramontato da oltre 50 anni.

Incredibile la quantità di valore bruciato: un oceano di capitale reputazionale che, se ben speso, avrebbe potuto fare la differenza sia per Musk che per i suoi ambiziosi – e a volte geniali – progetti imprenditoriali. “Perché?”, si chiedono i migliori relatori pubblici nei 5 continenti…

E se lo chiedono anche influencer non da poco, come ad esempio Elton John (1,1 milioni di follower sul social dell’uccellino azzurro), che ha frizzato il proprio Twitter perché “la disinformazione sta prosperando senza controllo”, dichiarando: “Per tutta la vita ho cercato di usare la musica per unire le persone eppure mi rattrista vedere come la disinformazione venga ora utilizzata per dividere il nostro mondo”. Ma anche il mondo della scienza è lapidario: Karen How, la senior editor della MIT Technology Rewiew, disse: “I novellini ascoltano sempre il più rumoroso nella stanza, ma nessun esperto è interessato a quel che dice Elon Musk”

Musk è una celebrità, questo è certo, ma afflitto da una smisurata ipertrofia dell’ego: patisce a non essere costantemente sulla cresta dell’onda (digitale) ed è disponibile a cavalcare qualunque tipo di polemica pur di surfare l’hype, come un adolescente complessato e desideroso di attenzione. Nulla di male, si direbbe, se non fosse che la continua e reiterata violazione dei fondamentali del reputation management fa male non solo alla sua immagine pubblica, ma anche al valore di borsa delle sue aziende, esposte alle fluttuazioni generate dalle esternazioni del loro lunatico CEO (Tesla ad esempio è calata del 52% dall’inizio del 2022). Ultima in ordine di tempo, quella del sondaggio online: “Dovrei dimettermi da capo di Twitter?”. L’imbarazzante esito è che il 57,5% dei votanti ha detto “SI”, gettando il boss nello sconforto: obbedire al volere della rete come ha sempre dichiarato essere imprescindibile fare, o passare oltre facendo dimenticare la votazione, ma tradendo così la fiducia degli utenti? Per intanto, le analisi degli specialisti confermano la crisi: solo il 18% della fan-base esprime un sentiment convintamente positivo per Elon Musk, a conferma che costruire reputazione è un po’ più complesso che non “comunicare”, specie se le comunicazioni sono prive di logica, come quando, dopo un improvvido tweet a mercati aperti in cui aveva detto che era pronto a ricomprarsi la sua azienda a 420 dollari ad azione (il numero è un slang che definisce la cannabis nel gergo di strada), il titolo è stato inizialmente sospeso per eccesso di rialzo, per poi – chiarita la boutade – essere oggetto di due multe da 20 milioni di dollari l’una, una temporanea destituzione dal suo ruolo di Presidente esecutivo, e il blocco di twitter per 3 mesi richiesto e ottenuto dai membri del suo Consiglio di Amministrazione. Davvero allora “bene o male, purché se ne parli?”.  

Peccato, perché il ragazzone mai completamente cresciuto, bullizzato da piccolo e dotato di inossidabile forza di volontà, è anche un genio, come confermano i suoi ingegneri della sua SpaceX, con la quale vuole colonizzare Marte, che in più di un’occasione Musk ha smentito dimostrando – ad esempio con l’utilizzo della saldatura ad attrito sui razzi, considerata impossibile da utilizzare – che lui aveva ragione e loro torto. Manda astronauti sulla stazione spaziale (neanche fosse la NASA, eppure…), crea Starlink, la più grande rete di satelliti a bassa quota per garantire l’accesso ad internet ovunque nel mondo, investe sull’auto elettrica diventandone leader mondiale. In ogni caso, c’è del contenuto: a maggior ragione, allora, quanto spreco!

In attesa di capire quanto ancora resterà in piedi la piramide – fortemente asimmetrica – del faraone Musk, lui procede spedito come il suo Hyperloop, il treno super veloce dentro un tubo a bassa pressione (progetto però del quale però si sono perse le tracce), e chiama suo figlio X Æ A-12 (che starebbe per Intelligenza Artificiale in lingua elfica, mentre A-12 si riferisce all’Archangel-12, l’aereo da ricognizione della CIA che Musk ama più di ogni altro aggeggio tecnologico). “In casa però lo chiamiamo solo X, è più breve”: occorre aggiungere altro?

Chiara Ferragni: in carenza di autenticità?

Ennesimo scivolone della prima delle influencer nostrane, nota a livello internazionale. Succede che la fabbrica di dolci Balocco chiuda un accordo con la Ferragni: un pandoro griffato solidale, che sarebbe andato a sostenere l’ospedale oncologico infantile Regina Margherita di Torino (“sono davvero fiera di questa iniziativa”, ammicca Ferragni dai social nel post di lancio). Ma la (malefica) Selvaggia Lucarelli non ci crede, e si attacca al telefono stalkerizzando sia l’azienda che l’ospedale, i quali rispondono a tratti stizziti e a tratti vaghi: impossibile sapere l’entità della donazione, che comunque – contrariamente a quanto avevano capito le massaie dell’intera penisola – non è correlata alle vendite.

Quindi non è “compro pandoro, aiuto ospedale”, quanto piuttosto: “Balocco paga (molto) Ferragni, che benedice il pandoro limited edition con lo zucchero a velo rosa, e fa anche – l’azienda – una donazione al Regina Margherita”; che se la facevano e basta, la donazione, senza costruirci sopra una campagna di marketing solidale andava bene lo stesso, solo che poi nessuno ne parlava sui giornali.

Ferragni non commenta, e in compenso nel pieno del buzz negativo si fa riprendere in slip sulla neve, secondo la vecchia saggia regola “se sei in mezzo a un casino, distraili…”, sollevando un pandemonio per alcuni commenti sgarbati di bodyshaming (scritti dal suo ufficio stampa, ha ipotizzato qualche mala lingua…) e spostando così completamente l’attenzione dalla vicenda del pandoro. Furba, la Chiara nazionale: d’altra parte, se ha costruito un impero ci sarà un motivo.

Ferragni, che già aveva deluso qualche addetto ai lavori, quando – in epoca non sospetta – era stata sorpresa ad organizzare con il marito e socio in affari Fedez una veloce recovery dopo le prime reactions negative alla figuraccia del cibo gettato per terra durante la sua festa di compleanno organizzata in un supermercato Carrefour (a caro prezzo… per Carrefour, ovviamente): “adesso facciamo un video così e cosà, tu ti metti a piangere, eccetera” discutevano lei, lui e la suocera. Anche questa vicenda rapidamente dimenticata grazie all’interventismo in epoca Covid, con un po’ di denaro donato da loro (il che è cosa buona), molto denaro donato da altri coinvolti da loro, e la patina di rispettabilità rapidamente ristabilita. O no?

Quel che è certo, e che o la top-influencer italiana – che pure ha molto meriti per aver costruito per prima un universo esperienziale di grande valore (anche economico) – avvierà rapidamente una riflessione accurata e profonda sul proprio frame narrativo, riposizionandosi pubblicamente in modo efficace sotto il profilo dell’autenticità, ovvero della coerenza tra identità (ciò che siamo) e immagine (come appariamo), o questi segnali deboli di crisi deflagreranno in un disastro reputazionale a confronto del quale quanto accaduto fin ora apparirà come un’inezia.

Reputazione: la differenza tra identità e immagine

“Far comprendere la bellezza del costruire la propria reputazione privilegiando non l’immagine, la pubblicità o il marketing fini a se stessi, bensì l’azione, il fare, e il raccontare bene ciò che si è fatto, partendo, sempre, dalla consapevolezza profonda e sentita della propria identità”, scrivevo nell’introduzione a un ponderoso volume sul reputation management scritto a quattro mani con la collega Giorgia Grandoni.

Il termine identità si riferisce all’essenza, al nucleo, all’insieme degli elementi che caratterizzano l’organizzazione nel profondo, sia materiali che immateriali, la sua personalità, la vision, la mission, i valori guida ed i comportamenti dei membri: nel senso più esteso, il motivo stesso per il quale l’organizzazione esiste.

Mai il termine greco Telos – utilizzato da Aristotele, ma ripreso poi anche da Hegel e Marx- fu più centrato: lo studio degli oggetti in relazione ai loro obiettivi, contrapposto (o meglio, integrato) dal termine Téchne, ovvero il metodo grazie al quale si raggiunge uno scopo o si realizza un oggetto. La domanda alla quale, banalmente, tentare di rispondere, quando si indaga circa l’identità di un’azienda, o si lavora per rivitalizzarla, è la seguente: quale era il sogno dell’imprenditore, il giorno in cui ha sottoscritto l’atto fondativo dell’organizzazione? Dove voleva arrivare? Cosa voleva cambiare nella società?

L’immagine riguarda invece la forma esteriore dell’organizzazione, il riflesso dell’identità dell’organizzazione così come appare agli occhi dei suoi pubblici, ed è questione assai più superficiale ed effimera. Le organizzazioni investono molto sul concetto di immagine per cercare di distinguersi e di essere attraenti, mostrandosi al meglio agli occhi di tutti gli stakeholder, eil processo di costruzione dell’immagine aziendale è spesso la priorità degli uffici marketing e pubbliche relazioni, ma quest’attività può rivelarsi assai rischiosa quand’è auto-referenziale: quando ci si allontana troppo dalla vera identità dell’organizzazione, proiettando un’immagine inautentica ed artefatta, si entra nel tunnel del rischio di crisi reputazionale, che distrugge valore non solo per l’influencer/brand ma – ed è ben più grave – anche per tutti coloro che su di esso hanno investito.

Metaforicamente, come ripeto spesso, potremmo immaginare l’identità di un’organizzazione come un palazzo, e l’immagine come un’impalcatura costruita dagli operai per rendere la facciata gradevole alla vista e senza alcuna crepa. Se la distanza tra l’impalcatura e il palazzo fosse eccessiva, naturalmente andrebbe a verificarsi un crollo della prima, così come avverrebbe se un brand cercasse di comunicare inautenticamente un’immagine artefatta e intrinsecamente distante dalla propria identità (qualunque riferimento ai due casi citati in questa analisi non è puramente casuale).

Ed è proprio qui, nello spazio tra identità e immagine, che si posiziona il concetto di reputazione, cheidentifica il grado di allineamento tra l’identità dell’organizzazione e la sua immagine: la reputazione si costruisce nel tempo, insieme ai pubblici dell’organizzazione, che si creano un’opinione valutando tutti i messaggi e soprattutto le azioni – auspicabilmente coerenti con i messaggi – dell’organizzazione stessa.

Le differenze tra Musk e Ferragni sono notevoli, a tratti incolmabili: Musk – oltreché disporre di molte più risorse finanziarie – è polarizzante, divisivo, sopra le righe e non convenzionale ai limiti, a volte, dell’aggressività; la Ferragni vuole (vorrebbe) piacere a tutti, è inclusiva, a la page, moderna, centrata apparentemente su valori progressisti. Se Musk non piace, sta nelle cose; se la Ferragni incomincerà a non piacere, sarà l’inizio della fine della sua posizione di supremazia digitale.

Abbiamo tuttavia isolato alcune keyword preziose, centrali, nella costruzione della reputazione di un brand quali sono indubbiamente, con tutte le loro peculiarità e differenze, Elon Musk e Chiara Ferragni: ascolto della propria audience, rapporto a due vie con reciproca contaminazione di valori, rispetto, sostenibilità (sociale, non solo ambientale), ma soprattutto coerenza e autenticità.

E niente, fa già ridere così.




Le lobby nella “cura” della democrazia. L’intervento di Manfredi

Le lobby nella “cura” della democrazia. L’intervento di Manfredi

Non ci sono dati precisi su quanti siano gli esperti di relazioni pubbliche, public affairs e lobby che lavorano in Italia. Mentre alcuni famosi giornalisti parlano in televisione di lobbisti che “pascolano” in parlamento, potremmo azzardare una cifra: quasi centomila sono i professionisti delle relazioni pubbliche – non solo lobbisti – ma tutti quei professionisti che sono specializzati in comunicazione, una disciplina quindi della scienza del management, che si occupa della gestione delle organizzazioni complesse. La funzione delle relazioni pubbliche è di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione con un’attività continuativa, consapevole e programmata di gestione e di coordinamento dei sistemi di relazione che si attivano fra la stessa organizzazione e i suoi diversi segmenti di pubblico influente.

Un’immagine quella del pascolare in parlamento che non è offensiva per i relatori pubblici ma lo è per la democrazia, che come sistema complesso ha bisogno dei relatori pubblici e dei lobbisti per essere equilibrata e consapevole.

Dopo lo scandalo #Qatargate c’è una nuova tempesta perfetta nei confronti di una professione che anche i più informati continuano a non voler capire. La rappresentanza di interessi, etica e consapevole, è frutto di analisi, studio, approfondimento. Le tecniche del lobbying e del public affairs sono uno strumento manageriale evoluto che consente alle organizzazioni di essere consapevoli e pronte – all’interno della complessità sistemica – nel rispondere alle sollecitazioni e ai cambiamenti.

Rappresentare interessi legittimi, sebbene particolari, non ha nulla a che fare con i sacchi di banconote che faccendieri e delinquenti sono disposti ad accettare in cambio di non si sa quale processo di influenza. Tutti i professionisti del settore non rappresentano interessi e non analizzano i sistemi complessi in cambio di sacchi di banconote ma sulla base di contratti di rappresentanza regolati dal diritto civile. Certo ciò che manca è una regolamentazione della professione: non è certo colpa dei lobbisti se non si è mai riusciti ad arrivare ad una legge che regolamenti il sistema.

La questione è molto complessa: riguarda prima di tutto la trasparenza del processo democratico, la trasparenza del processo decisionale pubblico.

La Ferpi in quanto associazione di persone – che da più di cinquant’anni rappresenta i relatori pubblici, i comunicatori, i public affairs manager e i lobbisti – da sempre auspica che ci possa essere una legge che regoli il sistema di rappresentanza, una legge capace di riconoscere il valore della professione e della “cura” che i relatori pubblici apportano al processo democratico e al decision making. In questo la cura ha a che vedere con il trasferimento, sui tavoli negoziali, delle istanze e dei processi delle organizzazione per rendere il processo decisionale informato e consapevole e per dare alla collaborazione pubblico privato un contenuto strategico di creazione di valore duraturo e sostenibile.

I lobbisti seri, etici e consapevoli, che rispettano la legge e che sono orgogliosi di poter contribuire con la loro professionalità al processo democratico non hanno nulla a che vedere con criminali prezzolati. È arrivato il momento di cambiare questa narrativa che lede gli interessi delle organizzazioni e degli stessi paesi democratici. Non a caso, facciamo notare, i sistemi democratici prevedono la rappresentanza di interessi – regolata secondo norme diverse nei diversi paesi – mentre i paesi non democratici non prevedono la rappresentanza di interessi.

Anche l’OCSE nel suo rapporto sulla lobby afferma che la lobby è un modo per informare e influenzare i governi. È una attività lecita (anche quando non è regolata da norme specifiche) ed è parte integrante della democrazia da almeno due secoli. Strumento legittimo per influenzare le politiche pubbliche: è una attività che fa parte del più vasto insieme del public affairs, che a sua volta è una delle discipline delle relazioni pubbliche. Scrive l’Ocse: “Il lobbying può favorire la partecipazione democratica e fornire dati e analisi utili direttamente ai responsabili decisionali”. Se non c’è completa trasparenza e integrità ci potrebbero essere comportamenti elusivi delle norme di rappresentanza di interessi e distanziare il policy making dall’interesse pubblico generale. Ma è proprio questo il punto.

Rimettere al centro del dibattito il valore e l’efficacia delle relazioni pubbliche ci consente di “rallentare” lo sguardo, non lasciandoci ingabbiare dalla tentazione del breve termine e ci consente di dare all’ascolto, all’analisi – alla valutazione ex ante e alla rendicontazione ex post – lo spazio corretto. Porre al centro la costruzione di senso e di significato e non le urla scomposte, la velocità della comunicazione che invade, ma non crea, le tecniche ispirate solo dal profitto e non dalla creazione di valore. L’obiettivo delle relazioni pubbliche, come funzione di management, è di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione con un’attività continuativa, consapevole e programmata di gestione e di coordinamento dei sistemi di relazione che si attivano fra la stessa organizzazione e i suoi diversi stakeholder: orientare opinioni, atteggiamenti, comportamenti e decisioni degli stakeholder influenti e di tutti i soggetti che a vario titolo interagiscono con l’organizzazione.

Soggetti che possono ostacolare o agevolare il raggiungimento degli obiettivi di management e di governance perché dotati di specifici poteri decisionali o perché in grado di creare influenza. Non si annichilisce il dialogo o il rispetto fra le parti ma si creano i presupposti per una negoziazione sostenibile ed inclusiva. E da questo punto di vista gioca un ruolo cruciale il pensiero critico e l’intelligenza contestuale, una intelligenza emotiva che il relatore pubblico attua in quanto “ingegnere delle relazioni” e dei processi di cambiamento: analisi di contesto/scenario; definizione degli obiettivi di governance; sviluppo e implementazione della strategia; creazione e attivazione della tattica; valutazione costante e miglioramento continuo. Le relazioni pubbliche diventano una parte fondamentale della strategia complessiva dell’azienda.

Se consideriamo le relazioni pubbliche come espressione di molteplici funzioni di management – Corporate Reputation, Corporate branding e Identity, Brand Management, Public Affairs, Lobbying, Advocacy, Public Policy, Risk management, Issue Management, Crisis Management, Cause related marketing, e tante altre – forse è possibile capire allo stesso tempo la complessità della materia e le sue intersezioni strategiche in tutti gli ambiti di governance.

Le relazioni pubbliche sono una liturgia che sta al centro, tra leadership e potere, e procede per la risoluzione dei problemi complessi affinché il gioco non sia a somma zero, o che comunque ci possa essere, anche se in parte, soddisfazione per tutte le parti in gioco. Una relazione fatta di regole e trasparenza, di regolamenti complessi e di verifica sul medio lungo periodo delle decisioni in corso.

Noi lobbisti non abbiamo nulla a che fare con i faccendieri o con i delinquenti. È arrivato il momento che i nostri colleghi giornalisti esprimano la loro necessità di diventare edotti sul serio del valore strategico della nostra professione. Noi siamo disponibili.