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Deepfake: cosa sono, chi ne è stato vittima e come riconoscerli

Deepfake: cosa sono, chi ne è stato vittima e come riconoscerli

Negli ultimi giorni in molti possono essersi imbattuti in un annuncio pubblicitario sui social che mostra una donna identica ad Emma Watson in atteggiamenti provocanti che richiamano quelli di un filmato porno. Ma la protagonista non è la celebre attrice britannica: il video è infatti parte di una campagna promozionale di un’applicazione deepfake che consente di sostituire il protagonista di un filmato con qualunque altro reperibile in rete, come nel caso di Watson. Molto usato per realizzare contenuti pornografici, questa campagna dimostra chiaramente come il deepfake si stia diffondendo anche su applicazioni di consumo alla mercé di tutti.

Cos’è e come viene usato il deepfake

Il deepfake è una tecnica che permette di creare video falsi ma abbastanza realistici da trarre in inganno. Si fa infatti ricorso all’apprendimento automatico che sfrutta l’intelligenza artificiale per ricreare in maniera artificiosa il volto e la voce di una persona, sovrapponendoli poi a un video esistente. La principale applicazione di questa tecnica è quella dei video a sfondo sessuale: un rapporto del 2019 di DeepTrace, una società con sede ad Amsterdam che monitora i media online, ha infatti rilevato che il 96% del materiale deepfake in rete è di natura pornografica. Ma il deepfake può anche essere utilizzato per diffondere notizie false o compiere atti di cyberbullismo e vari altri crimini informatici.

Se fino a poco tempo fa per realizzare questo tipo di contenuti erano necessari programmi sofisticati e a pagamento, adesso l’operazione sta diventando sempre più semplice anche per gli utenti comuni, dal momento che i reel di Instagram o i video di TikTok offrono agli utenti i volti di milioni di individui, famosi e non, da poter ‘sfruttare’ e le app che consentono la manipolazione del materiale anche senza approfondite conoscenze informatiche.

Casi celebri: da Zelenski a Matteo Renzi e Barack Obama

Diversi personaggi pubblici si sono purtroppo ritrovati in situazioni spiacevoli a causa dei deepfake, come nel caso di politici apparsi in video nei quali sembravano pronunciare parole che in realtà non avevano mai detto. Pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione russa, lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky ne fu vittima. Un video mal riuscito lo ritraeva mentre si rivolgeva ai suoi soldati, incoraggiandoli ad arrendersi. Nonostante il falso fu subito smascherato, (il labiale era ben sincronizzato, ma l’accento di Zelensky era sbagliato, la sua testa troppo grande e con una risoluzione diversa rispetto al corpo e allo sfondo), quelle immagini fecero suonare un campanello d’allarme, per le potenziali dannose conseguenze della diffusione di questo tipo di contenuti se utilizzati per influenzare l’opinione pubblica. Anche i politici italiani non sono rimasti immuni al fenomeno: celebre era il caso di Striscia La Notizia che nel 2019 aveva realizzato un finto fuori onda di Matteo Renzi Matteo Salvini.

Di deepfake si parla molto anche nel cinema, dove da tempo si discute se sia giusto utilizzarlo per ‘ringiovanire’ alcuni attori o addirittura ‘riportarne in vita’ altri, come accadde con il film di Star Wars Rogue One del 2016, quando il defunto Peter Cushing (1913-1994) è ‘tornato’ a interpretare il Grand Moff Tarkin grazie all’animazione digitale. Il regista premio Oscar Jordan Peele, per sensibilizzare sul tema, realizzò nel 2018 un deepfake dell’ex presidente Barack Obama, già allora molto credibile, a dimostrazione della crescente difficoltà di distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è.

Limitazioni: in Cina posti dei paletti alla creazioni di video

Le preoccupazioni sui deepfake hanno portato ad una proliferazione di contromisure. Il 10 gennaio è entrata in vigore in Cina una nuova normativa volta a disciplinare la creazione e la diffusione di contenuti ottenuti tramite le intelligenze artificiali generative, compresi i deepfake. Alcune piattaforme social, tra cui Facebook e Twitter, li hanno banditi dalle loro reti. E il Garante della Privacy nel 2020 mise a punto una scheda informativa per sensibilizzare gli utenti sui rischi connessi agli usi malevoli di questa nuova tecnologia.

Come riconoscere un deepfake

Seppure la qualità stia migliorando di giorno in giorno, smascherare un deepfake è ancora possibile: l’attuale tecnologia ha problemi ad animare realisticamente i volti ed il risultato è un video in cui il soggetto non sbatte mai le palpebre o lo fa troppo spesso e in modo innaturale. Si possono inoltre trovare anomalie per ciò che riguarda la pelle ed i capelli, oppure volti che sembrano essere più sfocati rispetto all’ambiente in cui sono posizionati. Anche la luce del video può rappresentare un indizio: spesso gli algoritmi di deepfake conservano l’illuminazione delle clip originali, che finiscono per non corrispondere a quella dei video a cui vengono sovrapposte. Infine sono spesso rintracciabili problemi relativi all’audio, che alle volte non emula adeguatamente la voce del protagonista o non viene manipolato con la stessa attenzione del video.




Perché non trasformare le biblioteche in centri per la cultura digitale?

Perché non trasformare le biblioteche in centri per la cultura digitale?

Presto inaugurerà, a Genova, un hub per la cultura digitale over 65: un luogo che, attraverso una collaborazione tra start-up e terzo settore, svilupperà servizi e offerte rivolte particolarmente alla silver generation. Il rapporto tra i cittadini e la cultura digitale è un tema importantissimo, che di rado viene opportunamente approfondito.
Nel caso di Genova, le condizioni sono state tali da poter strutturare un hub specifico, ma, in molte altre città italiane di medie e piccole dimensioni, questa attività potrebbe essere funzionalmente svolta da centri già esistenti e che, per propria vocazione istituzionale tendono, o dovrebbero tendere, alla creazione di un rapporto diretto con tutti i propri utenti, al fine di diffondere la conoscenza e favorire nella cittadinanza la comprensione e l’adozione di strumenti utili a interpretare il proprio tempo. Stiamo parlando delle biblioteche.
Le biblioteche di pubblica lettura, infatti, sono ormai da anni coinvolte in un processo di rinnovamento della propria attività, estendendo sempre più il proprio ruolo all’interno della comunità e trasformandosi da luoghi di custodia e di tutela a centri di accesso, divulgazione e valorizzazione della conoscenza.
Si tratta di un passaggio importantissimo, di cui è opportuno ribadire il carattere necessario: un tempo, infatti, erano i libri la conoscenza. Qualsiasi concetto che fosse realmente meritevole di essere distribuito e diffuso era affidato a un libro.

The New Library, Magdalene College. Credit images to Nick Kane
The New Library, Magdalene College. Credit images to Nick Kane

BIBLIOTECHE E CULTURA DIGITALE

La funzione delle biblioteche, quindi, era quella di custodire la conoscenza, di evitare andasse perduta. E, fin quando questa condizione è stata vera, disporre di tanti libri, e dare libero accesso a essi, voleva dire rendere la conoscenza accessibile.
Nell’ultimo decennio, e con grande probabilità nei prossimi dieci anni a venire, le biblioteche muteranno notevolmente pelle con lo scopo principale di continuare a svolgere il mandato sociale che è stato loro attribuito, adeguando i propri mezzi, le proprie attività e le proprie modalità di interazione con le persone alle nuove esigenze che la nostra società presenta.
Identificare nelle biblioteche, quindi, dei veri e propri hub per la cultura digitale vuol dire riconoscere il processo di trasformazione in atto, favorirlo e incrementare il livello di sviluppo della nostra cittadinanza.
Soprattutto, vuol dire garantire a tutti i cittadini una conoscenza concreta e reale degli strumenti che, piaccia o meno, governano una fetta importante delle nostre esistenze.
Qui forse è necessario un approfondimento: quando di solito si sente parlare di centri per la divulgazione della cultura digitale si pensa spesso a iniziative, più o meno efficaci, più o meno meritevoli, rivolte essenzialmente a un target di persone demograficamente identificato. Tutto iniziò, qualcuno lo ricorderà, con le lezioni gratuite di informatica per gli anziani, che, da allora, hanno mantenuto più o meno la stessa impostazione, pur essendo notevolmente mutate le condizioni.
Ad aver bisogno di un centro in grado di diffondere la cultura digitale, oggi, non sono solo gli anziani, ma la cittadinanza nella sua interezza. Cultura digitale significa infatti tantissime cose: significa essere consapevoli dei propri diritti e doveri digitali, significa saper utilizzare correttamente gli strumenti che oggi abbiamo a disposizione, significa cogliere le opportunità per migliorare la propria produttività scolastica e professionale.IL CONTENUTO PROSEGUE A SEGUIRE

CITTADINI E DIGITALE

Essere cittadini digitali non è affatto banale, perché presuppone non solo che gli individui incarnino le caratteristiche che li rendono cittadini, ma essere anche in grado di trasferire quei concetti anche alla sfera del nostro mondo digitale. Sicuramente significa conoscere gli strumenti, ma è solo una parte del tutto.
Sempre più persone trascorrono una parte importante del proprio tempo online, ed è presumibile che questo trend continuerà a crescere in modo significativo nei prossimi anni.
Basta questo a capire quanto sia importante per i cittadini essere degli internauti consapevoli.  Aiutano, certo, le campagne di sensibilizzazione. Ma non bastano. Non basta sapere che il bullismo online è ugualmente malvagio, che affidare il codice della propria carta di credito a un fantomatico governo internazionale che ti ha raggiunto via e-mail in quanto ereditario di un’immensa fortuna vuol dire vedersi svuotare il conto all’istante. Non basta nemmeno sapere che violare i diritti di privacy di una persona è reato, e che la navigazione in anonimo molto raramente è completamente anonima.
Queste sono le condizioni per poter esserci, nel digitale. Essere cittadini è un’altra cosa.
Le biblioteche di pubblica lettura, quindi, rappresentano forse una delle infrastrutture più adatte alla definizione di questo tipo di offerta culturale, che è essenziale venga erogata dal soggetto pubblico, così come è essenziale che venga erogata alla più vasta platea di persone possibili. Non solo per gli effetti positivi che una tale politica culturale può avere sulla nostra cittadinanza, ma anche per gli effetti positivi che una tale impostazione di diffusione può avere sulle nostre attuali biblioteche, così come sul comparto imprenditoriale legato all’innovazione e alla cultura digitale.

Nuova BEIC - Biblioteca europea di informazione e cultura di Milano, progetto vincitore. Courtesy Comune di Milano
Nuova BEIC – Biblioteca europea di informazione e cultura di Milano, progetto vincitore. Courtesy Comune di Milano

IL RUOLO DELLE BIBLIOTECHE OGGI

I modi attraverso cui tale sviluppo può essere favorito dalle biblioteche sono molteplici: si pensi, a un estremo, alla possibilità di fornire lezioni di coding già dalla più tenera età, con un percorso che segua i bambini per livelli di specializzazione crescenti. Una tale diffusione di conoscenza tecnica sicuramente potrà agevolare l’emersione di nuove esperienze imprenditoriali. Al lato opposto, invece, il possibile incremento dei livelli di domanda che può sorgere da una più ampia diffusione di conoscenza della cultura.
Così come nel caso della cultura tradizionale, per la quale vale il principio che, una volta acquisito il piacere di fruire cultura, quel piacere tenderà ad aumentare i consumi culturali nel tempo (per volume o per intensità), così, per la cultura digitale, riuscire a trasmettere il piacere di realizzare dei progetti online, di partecipare ad attività di citizen science, di produrre musica utilizzando l’intelligenza artificiale, di trasformare le proprie foto ricordo in prodotti multimediali può favorire un sempre più costruttivo utilizzo di internet e delle sue potenzialità.
Attribuire, dunque, alle biblioteche di pubblica lettura una tale funzione significa anche ridurre notevolmente i costi di investimento necessari per una seria politica di diffusione di centri per la cultura digitale nel nostro Paese. Esiste già un’infrastruttura estremamente capillare; esistono professionisti altamente competenti su tutto il territorio nazionale. Non resta che affidare istituzionalmente questo ruolo alle biblioteche, dotarle di risorse, anche minime, attraverso le quali poterlo concretamente sviluppare, e favorendo altresì la partecipazione dei cittadini. Il tutto senza dover investire ulteriori risorse per definire degli spazi, risorse che, allo stato attuale, in molte città, può essere più funzionale destinare alle persone.




Pagamenti con CBDC, il futuro è vicino: previsioni sulle valute digitali delle banche centrali

Pagamenti con CBDC, il futuro è vicino: previsioni sulle valute digitali delle banche centrali

pagamenti digitali con CBDC (Central Bank Digital Currencies, le valute digitali delle banche centrali) sono un futuro non vicinissimo ma, probabilmente, nemmeno troppo lontano come si poteva immaginare qualche mese fa.

D’altronde, da più parti si sta sviluppando la ferma convinzione che saranno le CBDC a costituire il trampolino di lancio per una piena maturazione della blockchain e delle valute digitali, considerato che l’utilizzo di questo strumento aprirà alla massa degli utenti una migliore soluzione di pagamento, avvicinando così anche coloro che non sono nativi digitali a questo mondo.

A sostenere con vigore le previsioni più rosee sulla crescita delle CBDC è una recente ricerca di Juniper Research, che ha analizzato il mercato fintech e dei pagamenti, prendendo in considerazione cosa potrebbe accadere a CBD e stablecoin.

Certo, di previsioni piuttosto aleatorie si tratta. Basti considerare, ad esempio, che in un territorio così vasto e rilevante come l’Unione Europea non c’è ancora alcun progetto ufficiale per il lancio di un euro digitale che, in ogni caso, non dovrebbe arrivare prima dei prossimi 4-5 anni (ottimisticamente). Meglio stanno andando le cose in Cina e in India, dove alcuni progetti pilota sono stati lanciati con buoni risultati.

Insomma, al netto di tale aleatorietà, le previsioni parlano di una crescita straordinaria dell’uso delle valute digitali da parte degli utenti nei prossimi anni. Ma perché?

Tutti i vantaggi delle CBDC

A spingere verso un’adozione di massa delle CDBC, secondo Juniper, saranno principalmente i governi, che utilizzeranno queste valute digitali per promuovere l’inclusione finanziaria e aumentare il loro controllo sulle modalità di pagamento digitale. In altri termini, non solo un’arma di attacco, quanto anche di difesa contro le criptovalute private, più volte osteggiate in ambito internazionale per il timore che possano compromettere la stabilità del sistema finanziario.

Guai, però, a mettere in stretta correlazione le criptovalute con le CBDC: stiamo parlando di due cose molto diverse.

La CBDC, infatti, è una forma aggiuntiva di moneta emessa, monitorata e controllata da una banca centrale. Si tratta pertanto di una sorta di alter ego digitale della valuta fiat, anch’essa – come la controparte cartacea – influenzata dalle politiche monetarie di una banca centrale.

Ciò che rende la CBDC diversa dalle criptovalute è che, quando lo strumento è emesso dalla banca centrale, dovrà essere accettato come forma di pagamento da tutti all’interno del mercato di riferimento. Non vi è invece alcun obbligo di accettare come strumento di pagamento le criptovalute. Inoltre, le CBDC potranno ben svolgere il ruolo di riserva di valore sicura per tutti i consumatori e gli operatori.

Sulla base di ciò, i ricercatori si dicono molto ottimisti sul fatto che le CBDC miglioreranno l’accesso ai pagamenti digitali, soprattutto nelle economie emergenti, dove la penetrazione degli strumenti di pagamento mobili mobile è ancora molto più alta della penetrazione bancaria e della disponibilità di un conto.




ESISTE IL DIRITTO AD ESSERE DIMENTICATI?

SENTENZA STORICA IN CALIFORNIA  : PRIMI PALETTI LEGALI PER L’ADDESTRAMENTO DELLE IA SUI CONTENUTI PROTETTI

Una delle grandi questioni democratiche è il tema della governance della società digitale, che deve delineare il miglior equilibrio tra informazione e tutela della privacy. Ne abbiamo parlato con Rosalba Tubère, Avvocato del Foro di Torino, nota esperta di tematiche di eccezionale attualità come il diritto all’oblio.

Avvocato, il rapporto tra informazione, nuove tecnologie e la dignità della persona pone nuovi interrogativi e nuove sfide. Qual’è la situazione ad oggi?

La Corte di Giustizia Europea ha trattato questo rapporto nelle sentenze sin dal 2014, attraverso il prisma del diritto all’ oblio che è stato recepito nella normativa contenuta nel Regolamento Europeo per la protezione dei dati G.D.P.R. 2016/679 all’ art.17. È il diritto a non subire effetti pregiudizievoli dalla ripubblicazione a distanza di tempo di una notizia non più attuale.

Può esistere un equilibrio tra diritto all’informazione e diritto all’oblio?

Certamente, il rapporto tra attualità della notizia, pubblicazione e oblio è mutato profondamente con l’avvento delle nuove tecnologie, ma il legislatore ha preso in carico queste preoccupazioni. Quando esisteva solo la carta stampata come mezzo di informazione, la diffusione delle notizie coincideva con la conservazione fisica del giornale. La rete invece ospita senza soluzione di continuità notizie spesso superate dagli eventi e non più attuali: annulla le distanze temporali.

Quali danni può generare l’impropria permanenza di una notizia in rete, ad esempio una notizia parziale, od obsoleta, su un procedimento giudiziario concluso da tempo?

Le ricadute della permanenza dei dati riferiti a vicende personali nell’ambito lavorativo, politico, giudiziario, sanitario possano rivelarsi devastanti, e avere una portata negativa, generando un danno all’immagine, alla reputazione, un danno alla vita di relazione, a quella lavorativa e via discorrendo. Ricadute destinate potenzialmente a perpetuarsi con la permanenza dei dati nella rete, e tali da generare anche danni economici certamente rilevanti e intrinsecamente ingiusti.

Situazioni di questo genere possono anche essere eteroindotte?

Certo che si, purtroppo, si pensi ad esempio a chi voglia orchestrare una campagna in danno di una determinata persona per presunti precedenti giudiziari, omettendone l’esito. In generale l’esposizione mediatica negativa costituisce una forma di danno gravissimo. E lo sa bene anche chi desidera danneggiare intenzionalmente una persona.

Quale può essere la soluzione?

Si può porre rimedio a questi effetti distorsivi esercitando il diritto all’oblio: che consiste nel diritto a essere dimenticati, in relazione ai fatti in questione. Ed il ricorso da parte di cittadini a questo rimedio è sempre più rilevante, allo scopo di garantire il diritto al giusto ridimensionamento della propria visibilità mediatica, rispetto all’implicazione decisamente più incisiva, pervasiva e apparentemente permanente dell’informazione in rete. La potenza dell’indicizzazione di identità digitali connotate negativamente, e insensibili al trascorrere del tempo, può essere contrastata con mezzi totalmente legali, esercitando, appunto, un proprio diritto stabilito dalla legge.

Quale può essere il risultato di questa azione di tutela?

Il suo esercizio ha come effetto la cancellazione delle informazioni negative presenti nella rete internet e/o la deindicizzazione, ovvero il non mostrare al pubblico le pagine dei siti internet contenenti le informazioni stesse, e/o la anonimizzazione, con inserimento delle sole iniziali del nome e del cognome, dai motori di ricerca. Questa azione di tutela bilancia il diritto all’informazione di cui godono le testate giornalistiche online, e può essere esercitato, ad esempio, anche nei confronti degli Organi Parlamentari della Camera e del Senato per le informazioni su dati personali contenute negli atti parlamentari che si desidera rimuovere, insomma, verso qualunque informazione presente in rete. Non tutti sono al corrente di questo diritto garantito al cittadino, per questo è necessario fare sempre più cultura su questi argomenti di grande attualità che riguardano la tutela della sfera personale e della nostra dignità come esseri umani.




Loro Piana, deal con Aura blockchain per la tracciabilità

Loro Piana, deal con Aura blockchain per la tracciabilità

Loro Piana sempre più etica e sostenibile. L’azienda controllata dal colosso del lusso francese Lvmh ha firmato un accordo con Aura blockchain consortium per la tracciabilità dei suoi prodotti. L’associazione guidata dai più importanti gruppi del lusso come PradaOtb e Richemont, vuole essere un hub tecnologico a garanzia dell’autenticità, tracciabilità ed eccellenza dei prodotti. Su questa scia, la maison ha aderito al progetto realizzando un Qr code per le etichette di 20 capi che, a seguito della scansione con un device elettronico, fornisce le informazioni di tracciabilità del prodotto, nonché la storia della sua manifattura, dalla fattoria produttrice della fibra all’arrivo del capo finito in boutique. I capi selezionati per il progetto sono interamente realizzati in lana «The gift of kings», una particolare fibra brevettata dal brand ottenuta dalla tosatura di selezionati esemplari di pecore merino allevate in Australia e Nuova Zelanda.

Attraverso il Qr code, è inoltre possibile registrare la proprietà del capo che, secondo un approccio di tracciabilità ereditaria, sarà tramandato di generazione in generazione, previa trasmissione del suddetto certificato di proprietà. Infine, ciascuno dei venti pezzi è associato ad un’esclusiva opera d’arte digitale 3d realizzata dall’artista londinese Charlotte Taylor, che reinterpreta il viaggio del tessuti The gift of kings.

Lo store di Loro Piana a Palo Alto (courtesy Loro Piana)

Questa iniziativa farà il suo debutto nella nuova boutique di Palo Alto, in California. Inaugurato oggi, lo store presenta uno spazio minimalista dal design contemporaneo e dall’atmosfera sofisticata ma dinamica. La facciata in kummel, colore iconico di Loro Piana, accompagna la scelta dei i toni neutri degli interni in oro, beige e blu, che mettono in risalto le sfumature dei tessuti. Anche gli arredi in rovere e i rivestimenti in cashmere per pareti e imbottiti confluiscono nel creare un’esperienza multisensoriale. 

Dopo la California, tuttavia, a partire da metà marzo e con la collezione primavera-estate 2023, la certificazione digitale sarà estesa a tutti i nuovi capi realizzati con questo tessuto particolare e saranno disponibili in tutte le boutique Loro Piana nel mondo. Segno di un crescente investimento nel savoir faire artigianale e nell’attenzione all’ambiente, della biodiversità e delle comunità locali.