1

Shopping nel Metaverso: il 46% dei consumatori è propenso all’acquisto

Shopping nel Metaverso: il 46% dei consumatori è propenso all’acquisto

L’eCommerce nel Metaverso attira metà dei consumatori. Ma un quarto di loro non sa cosa siano gli Nft.

Ecco i principali dati che mette in luce l’indagine di BigCommerce sulle nuove tendenze nel mondo eCommerce e le nuove abitudini d’acquisto dei consumatori.

Shopping nel Metaverso: la propensione all’acquisto divide il mondo consumer

Dall’indagine, dal titolo “Global Consumer Report: Current and Future Shopping Trends di BigCommerce, emerge che il Metaverso, le criptovalute e gli NFT sono pronti a rinnovare il mondo del commercio. Tuttavia le esperienze di acquisto personalizzate e gli incentivi rimangono le tendenze principali.

Lo shopping nel Metaverso divide equamente i consumatori: quasi metà è propenso (46%) e poco più della metà no (52%). Ma fra quelli che esprimono propensione all’eCommerce nel Metaverso, il 51% è interessato a comprare sia beni virtuali che fisici.

A differenza del Metaverso, la maggior parte dei consumatori afferma di non conoscere bene gli Nft. Addirittura il 26% dichiara di non sapere neanche cosa siano.

Fra i metodi di pagamento per fare eCommerce, il 5% degli intervistati utilizza le criptovalute, in maggioranza negli Stati Uniti e in Italia.

Le altre tendenze nell’eCommerce

L’indagine di BigCommerce mette in luce anche altre tendenze emergenti nel mondo eCommerce e nuove abitudini d’acquisto dei consumatori. Eccone una panoramica.

Il 55% dei consumatori ammette di fare shopping online almeno una volta alla settimanaModa ed abbigliamento sono le categorie che attraggono di più (80%). Seguono a ruota elettronica (56%) ed intrattenimento (55%).

L’opzione di pagamento Buy Now Pay Later sta acquisendo popolarità: quando disponibile, in Italia la usa il 5% degli intervistati.

Sulle decisioni di acquisto influisce la personalizzazione: i consumatori sono disposti a condividere informazioni personali (quali email, nome o genere) per ricevere un’esperienza di acquisto tagliata su misura.

In Italia, il 38% degli intervistati è propenso a condividere i propri dati a seconda delle informazioni richieste. Il 29% dichiara che dipende dal brand e il 23% non è disponibile in generale.

Inoltre, i valori che più stanno a cuore ai consumatori sono l‘onestà e la trasparenza, ma al secondo posto si piazza la garanzia di salari equi e benefit per i dipendenti.

La maggior parte dei consumatori (84%) mette la sostenibilità del brand fra i valori importanti da prendere in esame al momento decidere un acquisto.

“Questi risultati”, commenta Lisa Eggerton, chief marketing officer at BigCommerce, “dimostrano che i progressi tecnologici stanno ridisegnando il percorso dell’acquirente e offrono ai brand nuovi e migliori modi per coinvolgere i loro clienti”.




Facebook scopre 400 app truffa: a rischio i dati di un milione di utenti

Facebook scopre 400 app truffa: a rischio i dati di un milione di utenti

I dati di un milione di utenti di Facebook potrebbero essere stati compromessi da 400 app di terze parti scaricabili sul Play Store di Google (355) e nell’App Store di Apple (47). Di che parliamo? Di malware, categoria spyware, software progettati per carpire le informazioni all’utente. App “truffaldine” le ha definite Meta, la società madre del social network blu, in un report stilato dai ricercatori della sicurezza di Facebook e che è stato reso noto appena ieri.

App progettate, si spiega, per dirottare le credenziali dell’account Facebook degli utenti, mascherate da servizi “divertenti o utili”, come falsi editor di foto (circa il 40%), app per fotocamere, servizi VPN, reti private virtuali che affermavano di aumentare la velocità di navigazione e di ottenere l’accesso a siti Web bloccati, app per oroscopo, strumenti di monitoraggio del fitness. Alcune app promettevano anche di trasformare la faccia dell’utente in un cartone animato. 

Un guaio che ha spinto la società di Palo Alto ha inviare avvisi a 1 milione di persone che potrebbero aver utilizzato le app, in cui si informano gli utenti che le informazioni sull’account potrebbero essere state compromesse da un’app (la società non ha indicato quale), consigliando di reimpostare le password. 

Una vicenda questa che ripropone in modo drammatico quanto siano fragili le misure messe a punto dalle pur grandi compagnie a tutela della privacy. Le app truffaldine di cui si parla  hanno superato le misure di sicurezza di Apple e Google per essere chiari. Sullo sfondo l’ombra della vicenda Cambridge Analytica, società che ha avuto accesso impropriamente ai dati personali di milioni di utenti di Facebook. Caso per il quale Facebook ha dovuto sborsare 5 miliardi di dollari e che ha cambiato per sempre la società di Zuckerberg.

Meta ha rimosso queste app

Sul caso ieri ha fatto il punto il direttore di Threat Disruption di Meta, David Agranovich. Il manager ha detto che Meta ha condiviso i suoi risultati sia con Apple che con Google: entrambe le società hanno confermato che le app identificate da Meta sono state rimosse dai rispettivi app store. “Tutte le app identificate nel rapporto non sono più disponibili su Google Play”, ha detto un portavoce di Google.

“Gli utenti sono anche protetti da Google Play Protect, che blocca queste app su Android”. Meta ha trovato app dannose sia nel Play Store di Google che nell’App Store di Apple. Mentre le app Android dannose erano per lo più app di consumo, come i filtri fotografici, le 47 app iOS erano quasi esclusivamente quelle che Meta chiama app di “utilità aziendale”.

Questi servizi, con nomi come “Very Business Manager”, “Meta Business”, “FB Analytic” e “Ads Business Knowledge”, sembravano essere mirati specificamente alle persone che utilizzavano gli strumenti aziendali di Facebook. “I criminali informatici sanno quanto siano popolari questo tipi di app e le usano per ingannare le persone e rubare i loro account e informazioni” ha detto Agranovich. “Se un’app promette qualcosa di troppo bello per essere vero, come funzionalità inedite per un’altra piattaforma o sito di social media, è probabile che abbia secondi fini”. 

Come funziona il traffico di informazioni via app

Come funzionava il traffico truffaldino di informazioni? Semplice il meccanismo. Le app spesso richiedono agli utenti di “Accedere con Facebook” prima di poter accedere alle funzionalità promesse. Ma queste funzionalità di accesso sono semplicemente un mezzo per rubare le informazioni sull’account degli utenti di Facebook.

Il direttore di Threat Disruption di Meta, David Agranovich, ha notato che molte delle app identificate da Meta erano a malapena funzionanti. “Molte delle app fornivano poche o nessuna funzionalità prima dell’accesso e la maggior parte non forniva alcuna funzionalità anche dopo che una persona ha accettato di accedere” ha sottolineato sempre Agranovich.




Elon Multitasking. Mentre propone la pace in Ucraina prova a integrare Twitter con il suo impero satellitare

Elon Multitasking. Mentre propone la pace in Ucraina prova a integrare Twitter con il suo impero satellitare

Con il solito, scarno e scanzonato tweet, Elon Musk annuncia il suo vero obbiettivo per l’acquisto della stessa piattaforma su cui scrive, ossia Twitter. Si tratta, lo spiega con 11 parole, di realizzare, sulla base della massa di dati che tutte le sue attività -spaziali, automobilistiche, biotecnologiche e giornalistiche- gli consentono di integrare un’app universale.

Eviterei di reagire nella altrettanto solita e inconcludente ironica incredulità che ha accompagnato molte delle imprese del magnate sudafricano. Dalla tesla alla programmazione dei viaggi dum arte alla flotta satellitare più poderosa del pianeta.

Proprio 24 ore dopo aver scosso il Nasdaq con il suo rilancio per l’acquisto dell’uccellino, annunciando di mobilitare 44 miliardi di dollari, si passa alla seconda fase, quella che potremmo definire del “te lo avevo detto io“. Sempre l’uomo più ricco del mondo, lo è al momento in cui sto scrivendo, ma sicuramente lo rimarrà per le prossime 24 ore, nonostante i bruschi sbalzi delle sue fortune, indotti proprio dal suo spregiudicato modo di gestire l’informazione insider, ha banalizzato i suoi obiettivi comunicandoli con una compiaciuta ed esibite aura di informale paradossalità.

Voglio andare su Marte, era l’annuncio con cui ha coperto la creazione di una flotta di oltre 18 mila satelliti, che potrebbe arrivare a 30 mila in qualche mese. Con quel sistema di controllo dal cielo ha spostato gli equilibri della guerra in Ucraina, rispondendo al famoso appello del ministro della tecnologia di Kiev Fiodorov – “mentre stai colonizzando Marte ci stanno aggredendo e distruggendo”. E ora, con un altro click con cui lancia un referendum globale sul cessate il fuoco, si permette di tenere in scacco le cancellerie del mondo giocando a fare il nuovo Metternich che disegna equilibri e trattati di tregua, per privatizzare la pace come ha privatizzato la guerra.

Contemporaneamente, in violazione di ogni regola di trasparenza nell’uso delle informazioni durante una procedura di merger finanziario, come è quella che da mesi tiene sospesa sulla testa degli azionisti di Twitter, propone un altro quiz sulle finalità di questa operazione, dando qualche indizio.

Un’app universale, dice. In realtà intende un sistema di ingabbiamento dei nostri servizi e comportamenti in rete interconnesso a un solo server e un solo sistema di analisi e profilazione degli utenti per elaborare modelli di proposte personalizzate a livello planetario.

La domanda è: questa follia è possibile? La risposta è sì. In parte è gia realizzata. Se pensiamo alla convergenza di tutti i sistemi di memorizzazione delle piattaforme che fanno capo a Google abbiamo già una potenza di classificazione e profilazione a livello mondiale, diciamo 5 miliardi di individui sono condomini di Alphabet.

Ma Elon Musk evidentemente pensa a qualcosa ancora di più pervasivo. I suoi investimenti e i brevetti accumulati nel campo delle applicazioni neuronali, che mirano a rendere il cervello umano un terminale di una rete esterna, con il pretesto di curare l’Alzheimer ci dimostrano che non siamo da tempo nella fantascienza.

Ora proprio nella fase di ingegnerizzazione di queste nuove frontiere dell’interferenza corticale, come viene chiamnata da qualcuno, bisognerebbe che entità istituzionali e politiche prendessero sul serio questo signore. Se vuole un‘app universale dovremmo pensare a un’authority universale che possa contrastarla e normarla. Almeno dovremmo pensare a una nuova release dell’ultimo provvedimento che l’Unione europea ha licenziato in questo settore, il cosiddetto Digital Market Act che già prevede la negoziabilità delle nuove frontiere del controllo e accumulo dei dati, ma che ora dovrebbe anche dotarsi di procedure e messanismi per indagare progetti sperimentali e atti, come appunto la convergenza di una piattaforma di informazione come Twitter insieme a database bio tecnologici quali quelli che Musk ricava dalle sue aziende automobilistiche e satellitari. Ora, non dopo.




FEDERGINNASTICA: REPUTAZIONE BRUCIATA?

FEDERGINNASTICA: REPUTAZIONE BRUCIATA?

I fatti

La Federazione Ginnastica d’Italia (F.G.I.) è un Ente Morale fondato nel 1869, con sede nazionale a Roma, affiliata agli analoghi organismi internazionali (F.I.G. Federazione Internazionale di Ginnastica e U.E.G. Unione Europea di Ginnastica) e riconosciuta dal CONI – Comitato Olimpico Nazionale Italiano, e dal CIO – Comitato Olimpico Internazionale. In Italia, la F.G.I. è l’unico Ente di riferimento per le attività di ginnastica artistica maschile e femminile, ginnastica ritmica, ginnastica generale e ginnastica aerobica.

Dopo un secolo e mezzo dalla sua fondazione, questa importante istituzione è ora salita agli onori delle cronache per le denunce di atlete Olimpiche come Nina Corradini e Anna Basta (altre contestazioni stanno prendendo corpo, giorno dopo giorno, a ritmi inquietanti): l’ossessione del peso, i controlli continui, le offese da parte dello staff degli allenatori, le umiliazioni, le mortificazioni pubbliche di fronte a tutte le compagne, allo scopo di demolirne l’autostima, epiteti come “ippopotamo”, “vitello tonnato”, “cinghiale”, con riferimento – dispregiativo – sempre al peso. Una pressione insopportabile, tale da stimolare idee suicidarie in diverse atlete: non ci è scappato il morto per miracolo. Ora scoppia lo scandalo, ne parlano tutti i giornali italiani ed anche la stampa estera: è un intero sistema ad apparire sotto accusa.

Le reazioni della Federazione

La Federazione Ginnastica d’Italia incassa il colpo e reagisce: il presidente Gherardo Tecchi, con delibera d’urgenza, ha disposto il commissariamento dell’accademia internazionale di ginnastica ritmica di Desio, da dove sono partite le prime denunce da parte delle atlete.

Inoltre emette un comunicato stampa: dichiara di non tollerare alcuna forma di abuso e di essere sempre al fianco di tutti i propri tesserati. “Sono state date disposizioni perché siano immediatamente informati la Procura Federale e il Safeguarding Officer per gli accertamenti e le azioni di rispettiva competenza. Su questi profili la Federazione è impegnata a migliorare sia l’informazione che la prevenzione, solo tutti insieme si possono affrontare questi intollerabili comportamenti e sradicarli dal mondo della Ginnastica che è forte, sano e non ha spazio per chi non condivide i valori dello sport”. Anche Andrea Abodi, Ministro dello Sport, ha incontrato il presidente del Coni Giovanni Malagò e quello di Federginnastica: si annunciano provvedimenti incisivi. Parole sante e reazioni dovute. Ma anche assai tardive.

Davvero le istituzioni non sapevano?

Siamo a novembre, ma già da agosto è in corso un’inchiesta della Procura bresciana sui presunti maltrattamenti in palestra, denunciati – attraverso un esposto – dalla mamma di due giovanissime ginnaste che sarebbero state sottoposte a costanti controlli sul peso, ma così pressanti da provocare uno stress realmente insopportabile. Il fascicolo procede a rilento, e per ora non avrebbe ancora avuto risultati. Singolare tuttavia che i vertici nazionali non ne sapessero nulla.

Ma – voci di corridoio a parte, sempre esistite – un’altra denuncia era già nota precedentemente, da anni, scritta nero su bianco: quella di Marta Pagnini, grandissima ginnasta italiana, capitana della squadra nazionale italiana di ritmica, le Farfalle, dal 2012 al 2016, che nel marzo 2018 pubblicò un libro, dal titolo “Fai tutto bene”, scrivendo testualmente: Ho anche incontrato persone negative, che mi hanno resa insicura e fragile, che hanno usato parole pesanti e offensive nei miei confronti, portandomi a passare momenti di grande tristezza e difficoltà. ‘Sei la peggiore, non ti meriti di stare qui’, mi ripetevano. Ogni giorno”

Reazioni e iniziative, allora, da parte di Federginnastica, CONI, Ministero, eccetera? Nessuna. Meglio lasciar correre e non sollevare polemiche, evidentemente.

Reputazione in crisi

“La buona reputazione – dichiara la dott. sa Giorgia Grandoni, specialista in gestione della reputazione e ricercatrice presso il Centro studi della start-up innovativa Reputation managementè l’asset immateriale più importante e di maggior valore per qualunque organizzazione, come confermano sia la letteratura, assai robusta, sia le ricerche di mercato. Secondo un’indagine di Weber Shandwick dal titolo “The State of Corporate Reputation”, il 63% del valore di mercato di un’azienda è infatti attribuibile alla reputazione. Esistono inoltre numerosissime evidenze empiriche che correlano il danno reputazionale, e la scorretta gestione delle crisi reputazionali, a ingenti danni economici e a distruzione del valore per gli stakeholder e la comunità. Vale per le imprese – termina la Grandoni – ma vale esattamente nella stessa misura per le istituzioni, per il mondo del no-profit e per organizzazioni come Fedeginnastica. Quanto è accaduto è semplicemente sconcertante, e preoccupa in particolare per l’omertà che ha impregnato il settore per anni. Possibile che nessuno ai vertici avesse avuto sentore di nulla?”

La gestione delle crisi reputazionali, in particolare, è materia assai delicata e specialistica: ad esempio, le scuse non condizionate, com’è ben documentato nella letteratura specialistica sul crisis management, sono il solvente universale di ogni crisi reputazionale. Potrà infatti apparire paradossale, ma negli ultimi anni – complice l’affermarsi di una virata verso il web 2.0, caratterizzato da un elevato grado di partecipazione e interazione tra gli utenti – quella delle scuse non condizionate è la strategia che si è rivelata in assoluto più efficace: scusarsi con sincerità e schiettezza smorza le polemiche, smussa le armi ai giornalisti, preserva quanto più possibile la reputazione dell’organizzazione e riduce le – inevitabili – richieste di risarcimento danni in sede giudiziale. I cittadini apprezzano tale comportamento, e, percependo una riduzione generale dell’entropia, valutano la crisi e i suoi effetti con occhi più “concilianti”: ma i tempi giocano un ruolo fondamentale in questi processi, e la vicenda di Federginnastica non brilla certo per corretto tempismo.

In USA, tutta un’altra storia

Anche in USA, il report sulla Lega Calcio femminile americana (NWSL) sul tema dei comportamenti abusanti e delle cattive condotte sessuali sulle donne nel calcio professionistico è stato un fulmine a ciel sereno. Peccato che l’indagine non sia stata generata da denunce e inchieste giornalistiche, come in Italia, ma sia stata promossa dall’ex procuratrice generale Sally Q. Yates, su mandato proprio della US Soccer Federation, l’organizzazione ufficiale del calcio femminile.

Riporta Yates come commento alla pubblicazione dell’indagine: “Il nostro lavoro è stato in grado di rivelare la cattiva condotta e gli abusi (verbali, emotivi e sessuali) che erano diventati sistemici all’interno della lega Nwsl (…), un pattern di commenti a sfondo sessuale, avances indesiderate, molestie fisiche e abusi sessuali”.

Cindy Parlow Cone ha comunicato la pubblicazione del report nel suo ruolo di Presidente della US Soccer Federation, commentando così l’esito dell’indagine: “Come ex giocatore, come allenatore, come presidente dell’organo di governo nazionale del calcio, ho il cuore spezzato dai contenuti del rapporto, che chiariscono che sono necessari cambiamenti sistemici a ogni livello del nostro sport. L’abuso descritto nel verbale è del tutto imperdonabile e non trova spazio nel calcio, dentro o fuori dal campo (…). Ci vorrà l’impegno di tutti i membri di US Soccer per creare il tipo di cambiamento necessario per garantire che i nostri atleti siano al sicuro”.

Nel caso della vicenda USA, è accaduto infatti esattamente il contrario rispetto all’Italia: è l’iniziativa autonoma della Federazione che ha sollevato pubblicamente il caso, e non uno scandalo emerso a seguito di denunce delle atlete che ha – solo in un secondo momento – sollecitato la Federazione ad intervenire.

Conclusioni

Se le inchieste giudiziarie e le verifiche di carattere interno alla Federazione confermeranno, com’è presumibile, lo scenario riferito dalle atlete, la reputazione di Federginnastica in primis, e del CONI a seguire, ne risulterà significativamente pregiudicata, e – vista la gravità dei problemi emersi – è difficile immaginare che ci si possa limitare a “voltare pagina” con generiche promesse di discontinuità e roboanti provvedimenti disciplinari.

Problematiche come queste andrebbero prevenute, intercettate anticipatamente mediante appositi assessment di crisis & risk management: sarebbe sufficiente, banalmente, applicare buone prassi codificate e note da anni. Ma applicarle per tempo, sollecitamente, e non solamente dopo lo scoppio di un pubblico scandalo.




Corpi “reali” e cucina: il dibattito sulle tiktoker Natasha e Jenny

Corpi "reali" e cucina: il dibattito sulle tiktoker Natasha e Jenny

Ed ecco un’altra polemica social, anch’essa esplosa l’ultima estate: le due sorelle TikToker Natasha e Jenny, al centro di un surreale dibattito per il loro aspetto fisico. Mentre i loro video culinari conquistavano un pubblico sempre più ampio, alcune critiche si sono concentrate sulla loro forma fisica, considerata non conforme ai canoni estetici tradizionali dei social media.

Questo caso ha riacceso il dibattito sull’importanza dell’aspetto fisico nel mondo dei social media, in particolare per i creator. Da un lato, c’è chi sostiene che l’immagine sia fondamentale per attirare l’attenzione e costruire un seguito. Dall’altro, si leva la voce di coloro che difendono il diritto di ognuno di essere sé stessi, senza sentirsi giudicati per il proprio corpo.

Nel caso specifico delle due sorelle, la polemica ha assunto una connotazione particolare, legata al tema del cibo e della cucina. Il loro successo è stato costruito proprio sulla condivisione di ricette e consigli culinari, ma le critiche ricevute hanno messo in discussione la loro credibilità come esperte di cucina, associando implicitamente la capacità di cucinare a un corpo magro e atletico.

Queste esperienze mettono in evidenza come l’aspetto fisico possa influenzare significativamente la reputazione di un creator e la percezione che il pubblico ha della sua professionalità. Chi non risponde ai canoni estetici dominanti rischia di essere screditato, anche quando le sue competenze sono innegabili.

Le conseguenze di queste dinamiche possono essere profonde e durature. In primo luogo, possono scoraggiare molte persone, soprattutto le donne, dall’esprimere la propria creatività sui social media. In secondo luogo, possono contribuire a rafforzare l’idea che esiste un unico modello di bellezza al quale tutti devono conformarsi.

È fondamentale che le piattaforme social e i media tradizionali promuovano una maggiore inclusività e diversità, valorizzando le differenze individuali e celebrando la bellezza in tutte le sue forme. Solo in questo modo potremo creare un ambiente online più sano e più rispettoso per tutti.