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Gucci investe in Toscana con un nuovo hub per la moda sostenibile

Gucci investe in Toscana con un nuovo hub per la moda sostenibile

Gucci, con il supporto di Kering, annuncia oggi il progetto per l’avvio del primo hub per il lusso circolare in Italia. Il circular hub nasce con l’obiettivo di accelerare la trasformazione del modello produttivo del settore moda in Italia in chiave circolare per creare il prodotto del lusso circolare del futuro: un prodotto che massimizza l’utilizzo di materiali riciclati, la durabilità, la riparabilità e la riciclabilità dei prodotti a fine vita.

L’hub sarà collocato all’interno del territorio toscano e porterà benefici all’intero sistema moda su diversi fronti: promuovendo la ricerca condivisa di materiali circolari e l’innovazione sugli impianti industriali dei distretti locali; sviluppando nuovi canali di approvvigionamento locali e di consolidamento della filiera e minimizzando gli impatti ambientali e sociali delle filiere produttive coinvolte grazie alle economie di scala e di scopo. Tutto ciò infatti renderà possibile consumare meno risorse, ridurre le emissioni di gas serra, creare occupazione di qualità e contribuire al benessere del territorio. Da una prima stima degli impatti ambientali effettuata sull’ecosistema Gucci pelletteria, sarà possibile arrivare a una riduzione sino al 60% delle emissioni di gas serra attualmente generata nella gestione degli scarti produttivi.

Quando partiranno i lavori

La prima fase dei lavori prenderà il via nel primo semestre 2023 e si avvarrà delle competenze dei ricercatori del Kering Material Innovation Lab di Milano e del supporto di tecnici e ricercatori di prodotto per abbigliamento, pelletteria, calzature e accessori dei centri d’avanguardia di artigianato industriale e sperimentazione di Gucci di Scandicci e di Novara. Per lo sviluppo delle attività progettuali, la piattaforma prevedrà inoltre il supporto di partner industriali e la collaborazione scientifica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che opererà nel perimetro di intervento delle linee di ricerca industriale e di sviluppo di soluzioni circolari, anche relativamente ai modelli operativi e logistici.

“L’industria della moda ha oggi la responsabilità di stimolare azioni concrete e trovare soluzioni in grado di accelerare il cambiamento, ripensando anche alle modalità produttive e all’impiego delle risorse. La creazione del circular hub è un importante traguardo e nasce proprio per perseguire quest’obiettivo. È motivo di orgoglio per me che l’hub nasca in Italia, sede di alcuni dei più importanti e rinomati poli produttivi e del know-how del Gruppo”, ha commentato Marie-Claire Daveau, chief sustainability and institutional affairs officer di Kering. “La collaborazione con Gucci ha dato vita al nuovo progetto e ciò è testimonianza non solo di una forte comunità di obiettivi all’interno del gruppo ma anche di un esempio ambizioso che, nella logica dell’open source, vuole essere un invito aperto ad altre realtà a unirsi in questo percorso”.




EDU-MOB2, IL PROGETTO TRANSFRONTALIERO TRA LIGURIA E PROVENCE-ALPES-COTE D’AZUR PROMUOVE LA MOBILITÀ SOSTENIBILE IN LUOGHI DI GRANDE FASCINO

EDU-MOB2, IL PROGETTO TRANSFRONTALIERO TRA LIGURIA E PROVENCE-ALPES-COTE D'AZUR PROMUOVE LA MOBILITÀ SOSTENIBILE IN LUOGHI DI GRANDE FASCINO

L’obiettivo è favorire il cambiamento di comportamenti sulla mobilità di residenti e turisti, sul territorio di confine tra la Liguria e la regione Provence-Alpes-Cote d’Azur. L’evento finale è in calendario dal 3 al 5 marzo 2023 in occasione del termine del progetto Edu-Mob2 cofinanziato dal Programma di cooperazione transfrontaliera Italia Francia Alcotra, da Regione Liguria, Dipartimento 06 Alpes Maritimes e dai Comuni di Bordighera, Vallecrosia, Ventimiglia, Mandelieu, Villeneuve Loubet e Mentone, e con la collaborazione della Fiab Riviera dei Fiori. Venerdì 3 marzo, a Ventimiglia, al Forte dell’Annunziata, si tiene il seminario sugli esiti di Edu-Mob2, in particolare riferiti alle ciclovie Eurovelo 8 e Tirrenica, mentre sabato 4 si svolgerà la prima pedalata transfrontaliera da Ventimiglia a La Turbie e domenica la seconda pedalata transfrontaliera tra Bordighera e Mentone. Il progetto Interreg Edu-Mob2 ha riguardato il territorio di confine tra Italia e Francia sia con azioni di informazione ed educazione alla mobilità sostenibile, sia con la realizzazione di alcune opere infrastrutturali nei Comuni di Bordighera, Vallecrosia, Ventimiglia, Mandelieu, Villeneuve Loubet e Mentone, su cui è ora opportuno fare il punto.

Edu-Mob2, il progetto transfrontaliero tra Liguria e Provence-Alpes-Cote d'Azur promuove la mobilità sostenibile in luoghi di grande fascino
Edu-Mob2, il progetto transfrontaliero tra Liguria e Provence-Alpes-Cote d'Azur promuove la mobilità sostenibile in luoghi di grande fascino
Edu-Mob2, il progetto transfrontaliero tra Liguria e Provence-Alpes-Cote d'Azur promuove la mobilità sostenibile in luoghi di grande fascino

“Il bisogno di mobilità è fondamentale per gli individui ma il suo soddisfacimento ha un impatto notevole in termini economici, sociali e ambientali – spiegano i promotori – per questo motivo il rapporto città, mobilità e ambiente ha assunto nell’ultimo decennio un ruolo centrale nelle iniziative dell’Unione Europea e sta diventando fondamentale per le politiche comunali e del territorio. Ecco perchè il Progetto ha l’obiettivo di stimolare cittadini e turisti a scegliere una mobilità a basso impatto ambientale (meno auto, più spostamenti a piedi, in bicicletta e con i mezzi pubblici)”. Sono 1,6 milioni di euro i fondi stanziati per nuove piste ciclabili, nel Ponente Ligure, dal progetto Edu-Mob. In particolare gli interventi infrastrutturali hanno contribuito all’avanzamento di due importanti ciclovie: Eurovelo 8 è la Ciclovia del Mediterraneo che, partendo da Cadice, attraversa la Spagna, la Francia e l’Italia, in parte su ferrovia, per poi proseguire, attraverso i Balcani, fino alla Grecia e a Cipro, con uno sviluppo di oltre 7.000 km, attraverso 10 nazioni. E poi la Tirrenica che, nel quadro del Sistema Nazionale delle Ciclovie Turistiche – Snct, collegherà lungo la costa Ventimiglia con Roma. Con la realizzazione di queste ciclovie l’area di confine diventerà nei prossimi anni un importante snodo per la ciclabilità internazionale, in un magnifico contesto ricco di storia, cultura e bellezze paesaggistiche.

Grazie al progetto, in territorio francese sono state installate 590 rastrelliere per biciclette, principalmente nei comuni situati lungo l’EuroVélo 8, a Sophia-Antipolis e in 16 scuole del Dipartimento. Inoltre, sono stati posizionati e messi in funzione 5 box per biciclette, 9 stazioni di ricarica Vae (3 ad Antibes, Valbonne, St Vallier-de-Thiey e Villefranche-sur-Mer e 5 nella valle della Roya). In aggiunta, è stato acquistato e posizionato a Villeneuve-Loubet un totem in grado di conteggiare gli accessi alla pista ciclabile e l’installazione nella regione di circa 60 stazioni di gonfiaggio e riparazione è prevista entro il primo trimestre del 2023. In territorio italiano, i fondi di progetto permettono al Comune di Ventimiglia di concorrere alla realizzazione di ulteriori 450 metri di pista ciclabile (Via Tacito /Via Trento Trieste), al Comune di Bordighera di effettuare opere di sistemazione finale del lotto già realizzato con il precedente progetto e al Comune di Vallecrosia di acquistare e posizionare una serie di attrezzature per completare l’arredo e migliorare la sicurezza e la fruibilità della tratta di ciclabile realizzata.

Edu-Mob2, il progetto transfrontaliero tra Liguria e Provence-Alpes-Cote d'Azur promuove la mobilità sostenibile in luoghi di grande fascino
Edu-Mob2, il progetto transfrontaliero tra Liguria e Provence-Alpes-Cote d'Azur promuove la mobilità sostenibile in luoghi di grande fascino



Dipendenti meno stressati, ricavi in crescita: l’esperimento britannico sulla settimana corta è stato un successo

Dipendenti meno stressati, ricavi in crescita: l’esperimento britannico sulla settimana corta è stato un successo

“Mi aspettavo che le persone apprezzassero, ma una risposta così entusiastica mi ha sorpreso. Tutti parlano dell’effetto di questa iniziativa sul loro benessere. Molti colleghi dicono di sbrigare le commissioni nel giorno libero aggiuntivo e di poter trascorrere così il weekend con le loro famiglie. Una persona ha imparato a guidare, un’altra ha ridato vita a un suo progetto di punto croce”. Claire Hall lavora nelle risorse umane per l’associazione benefica Citizens Advice Gateshead e ha raccontato al Guardian l’esperimento sulla settimana lavorativa di quattro giorni – a parità di stipendio – a cui ha preso parte tra giugno e dicembre 2022. Un successo, secondo i dati diffusi dai promotori.

L’esperimento ha coinvolto 61 aziende e 2.900 lavoratori in tutto il Regno Unito. Il 92% delle imprese (56) ha deciso di continuare con la settimana corta, 18 hanno reso permanente il nuovo regime. “Questo momento è fondamentale per la transizione verso una settimana lavorativa di quattro giorni”, ha dichiarato Joe Ryle, direttore di 4 Day Week Campaign, la no profit che ha promosso l’iniziativa. “In molti settori diversi i risultati dimostrano che la settimana corta a parità di stipendio funziona. È di certo arrivato il momento di cominciare ad adottarla in tutto il paese”.

Il test britannico è il più vasto condotto finora sulla settimana corta. Gli autori del report finale sono quattro membri della società di ricerca Autonomy e professori di varie università: Boston College, Università di Cambridge, University College di Dublino e Vrije Universiteit di Bruxelles.

I numeri dell’esperimento

Il 39% dei dipendenti sostiene di essere meno stressato. I livelli di ansia e fatica sono diminuiti, al pari dei disturbi del sonno. La salute mentale e fisica è migliorata. Il 54% ha trovato più facile bilanciare il lavoro e le incombenze domestiche. I dipendenti si sono detti più soddisfatti anche della gestione delle finanze, delle relazioni e del tempo. Per sei su dieci è diventato più facile conciliare lavoro e vita sociale.

Il numero di persone che hanno lasciato le loro aziende durante l’esperimento è sceso del 57% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il totale dei giorni di malattia è calato di due terzi. Il 15% ha dichiarato che per nessuna cifra tornerebbe ai cinque giorni lavorativi.

Se il gradimento dei dipendenti poteva essere scontato, non lo erano gli effetti positivi sugli indicatori economici. Secondo Autonomy, la società di ricerca che ha elaborato i risultati, i ricavi delle aziende, pesati in base alle dimensioni delle imprese, sono aumentati in media dell’1,4%.

Alcuni casi

David Mason, chief product officer dell’azienda di robot Rivelin Robotics, dove oggi si lavora dal lunedì al giovedì tra le 8 e le 17.30, ha dichiarato al Guardian che l’orario ridotto potrebbe facilitare le future assunzioni: “È qualcosa a che ci rende diversi dalla media”. Mentre il chief technology officer, David Alatorre, ha spiegato di avere voluto “creare una cultura aziendale che mette il benessere al primo posto. Intendiamo assicurarci che tutti siano riposati e trovino un buon equilibrio tra lavoro e vita privata”. I due hanno ammesso anche che ci sono stati momenti di difficoltà, complice uno staff composto da sole otto persone, e che alcuni membri dello staff preferirebbero cinque giorni più brevi rispetto a quattro.

Ed Siegel, amministratore delegato dell’istituto di credito Charity Bank di Tonbridge, nel Kent, ha definito l’esperimento “un corso intensivo sui miglioramenti della produttività”. Simon Ursell, managing director della società di consulenza ambientale Tyler Grange, ha detto alla Npr statunitense che i quattro giorni hanno richiesto investimenti in tecnologia e la fine della “spazzatura” legata ad alcuni compiti amministrativi quotidiani. “Se dai alle persone un incentivo a fare qualcosa – il genere di incentivo che i soldi non possono comprare, come un intero giorno libero per fare ciò che vogliono, senza abbassare lo stipendio – le spingi a concentrarsi davvero”.

Le voci contrarie

Non tutti sono ancora convinti. Jay Richards, cofondatore di Imagen Insights, che aiuta le imprese a raccogliere opinioni dai membri della Generazione Z, ha dichiarato a Sky News che “una settimana di quattro giorni suona come una bella cosa. Nella pratica, però, come può aiutare il benessere dei dipendenti comprimere in quattro giorni il lavoro di cinque?”.

L’azienda di Richards ha proposto allora un altro tipo di riduzione di orario. “Facciamo una settimana di cinque giorni, ma lavoriamo dalle 10 del mattino alle 4 del pomeriggio. Accorciamo le giornate in modo che i dipendenti possano raggiungere l’armonia tra lavoro e vita privata, ma senza cambiare la loro settimana, cosa che metterebbe troppa pressione su di loro”.

Nel resto del mondo

Il principale esperimento sulla settimana da quattro giorni, prima di quello inglese, era stato condotto in Islanda tra il 2015 e il 2019. Aveva coinvolto 2.500 persone in 66 luoghi di lavoro e, secondo Autonomy e l’Associazione islandese per la sostenibilità e la democrazia, è stato “un successo straordinario”. Anche in quel caso la produttività era rimasta costante o era aumentata, mentre i dipendenti avevano accusato meno stress.

Anche Spagna e Portogallo hanno approvato progetti pilota sulla settimana corta. La Scozia ha stanziato 10 milioni di sterline per un programma sperimentale. Il Belgio ha proposto di permettere la scelta tra quattro o cinque giorni a parità di stipendio, all’interno di una riforma che sancisce anche il diritto di spegnere i dispositivi elettronici e ignorare le comunicazioni legate al lavoro fuori orario.

Perfino il Giappone nel 2021 ha introdotto la settimana corta nel suo Piano economico annuale. Una misura pensata sia per contrastare il fenomeno della morte per eccesso di lavoro – il cosiddetto karoshi, che secondo il Consiglio nazionale per la difesa delle vittime uccide 10mila persone all’anno -, sia per permettere alle coppie di fare più figli e ringiovanire una società sempre più vecchia.

In Italia

In Italia, finora, i test si sono limitati alle iniziative di alcune aziende. Intesa Sanpaolo ha proposto una settimana di quattro giorni da nove ore, a parità di retribuzione. Magister Group passerà da 40 a 32 ore nelle sue società Ali e Repas, Lavazza si è fermata ai venerdì brevi tra maggio e settembre.

“La notizia deve aprire anche in Italia un confronto tra le parti sociali”, ha dichiarato a Wired Roberto Benaglia, segretario generale dei metalmeccanici della Fim Cisl. “È tempo di regolare il lavoro, soprattutto nel settore manifatturiero, in modo più sostenibile, libero e produttivo. I salti tecnologici e organizzativi che la digitalizzazione e il lavoro per obiettivi stanno portando in tante aziende ci devono spronare. È possibile ripensare gli orari aziendali e ridurli non contro la competitività aziendale, ma alla ricerca di nuovi equilibri e migliori risultati”.

Sul tema dei mutamenti tecnologici insiste anche Joe Ryle di 4 Day Week Campaign: “L’economia non ha bisogno che lavoriamo ancora cinque giorni a settimana. La transizione ai cinque giorni è avvenuta 100 anni fa. Da allora l’economia si è trasformata”.




La Commissione europea mette al bando TikTok: la richiesta a tutti i dipendenti di disinstallare l’app

La Commissione europea mette al bando TikTok: la richiesta a tutti i dipendenti di disinstallare l'app

Dopo il bando del governo federale americano, anche l’Unione europea chiede ai suoi dipendenti di non usare.  TikTok: «Decisione sbagliata e basata su pregiudizi»

Mentre TikTok diventa sempre più popolare sugli smartphone – e non solo di quelli dei più giovani ma anche degli adulti – le preoccupazioni sulla sicurezza del social cinese non fanno che aumentare. Dopo il governo federale americano, anche l’Unione europea ha sollevato i suoi dubbi, che hanno preso forma in una richiesta formale a tutti i dipendenti della Commissione (uno dei tre organi dell’Ue insieme a Parlamento e Consiglio) di disinstallare l’app dai propri telefoni. Sia da quelli professionali sia da quelli personali. Chi proprio non potrà fare a meno di scorrere i video scelti dall’algoritmo di TikTok, potrà continuare a farlo solo sul dispositivo personale, assicurandosi però che tutti i documenti relativi al suo lavoro siano eliminati. Per il momento, come detto, la richiesta è arrivata soltanto ai dipendenti della Commissione europea, ma è altamente probabile che giungerà a breve anche a coloro che ricoprono cariche al Parlamento e al Consiglio.

«Estremamente attenti a proteggere i nostri dati»

«La Commissione europea è un’istituzione e come tale ha un forte focus sulla protezione della sicurezza informatica ed è su questo che abbiamo preso questa decisione», ha spiegato Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno. «Siamo estremamente attenti a proteggere i nostri dati» e precisa: «No, non c’è stata alcuna pressione dagli Stati Uniti». La decisione sul bando a TikTok, ha chiarito, è stata presa dal commissario Ue Johannes Hahn. I dipendenti avranno tempo fino al 15 marzo per disinstallare l’app.

La risposta di TikTok

Arriva il commento di TikTok: «Siamo delusi da questa decisione, che riteniamo sbagliata e basata su pregiudizi. Abbiamo contattato la Commissione per mettere le cose in chiaro e spiegare come proteggiamo i dati dei 125 milioni di persone che sono su TikTok ogni mese in tutta l’Unione Europe». Al Corriere Giacomo Lev Mannheimer, Responsabile Relazioni Istituzionali Sud Europa di TikTok, ha inoltre spiegato: «Riteniamo che questa decisione sia fondata su pregiudizi. Ci preoccupa e ci delude ancora di più il metodo: è stata una decisione improvvisa che non è stata preceduta da nessun confronto. Non è l’esito di un processo chiaro e trasparente, e non è stato specificato il capo d’accusa mosso, né è stata data possibilità d’appello». Mannheimer specifica anche come questa sia una decisione interna e non politica, ma comprende che possa destare preoccupazioni tra gli utenti: «Noi abbiamo un rapporto costante con la Commissione, il nostro Ceo è stato a Bruxelles due settimane fa. Abbiamo a cuore la sicurezza degli utenti in Europa e cerchiamo di fare sempre di più. Nel dialogo con l’Unione europea è stato ripetuto un grande messaggio: qui si rispettano le regole. E TikTok le regole le rispetta: finché siamo in quel campo di gioco rimaniamo sereni e fiduciosi».

Il bando del governo americano

La decisione dell’Unione europea di prendere precauzioni sul più popolare social cinese segue a quella del governo federale americano: lo stesso presidente Joe Biden ha chiesto a fine dicembre a tutti i dipendenti di disinstallare l’app dagli smartphone usati per lavoro. Un’imposizione che arriva dopo le precedenti decisioni di diversi Stati (dall’Ohio al New Jersey) ma anche del Pentagono di vietare l’app. Il motivo? Le tante preoccupazioni di sicurezza nazionale. Che non fanno che crescere soprattutto dopo l’avvistamento – a abbattimento – di una serie di palloni-spia che sorvolavano il territorio del Nord America. Secondo gli Stati Uniti, TikTok – e la società proprietaria ByteDance – potrebbero sfruttare il social installato su milioni di dispositivi per accedere ai dati personali dei cittadini americani, nonché – nel caso del governo federale – per accedere a informazioni riservate che transitano sui telefoni dei dipendenti. TikTok aveva risposto, attraverso le parole di un portavoce, descrivendo la decisione come «un gesto politico che non farà nulla per portare avanti gli interessi di sicurezza nazionale».

La battaglia di Trump

Ora anche l’Unione europea ha deciso di alzare il suo livello di attenzione su TikTok. E così stanno iniziando a fare anche alcuni Paesi membri, come l’Olanda, che sta considerando un bando dell’app per i suoi politici nazionali. Se per l’Ue questo è il primo atto politico contro la cinese ByteDance, nel caso degli Stati Uniti la pressione su TikTok prosegue da anni. Fu Trump il primo ad annunciare un bando dell’applicazione, scatenando le proteste non solo dalla Cina ma anche tra i giovanissimi utenti americani che consideravano inaccettabile rinunciare al social. Dopo settimane di caotiche dichiarazioni, si è passati a mesi in cui la società doveva garantire che i dati dei cittadini statunitensi rimanessero su suolo americano. Non si è ancora trovata una soluzione definitiva, ma con Biden si è tornati sul tema. Ci sono promesse ma non sicurezze sul fatto che questi dati non viaggino attraverso il Pacifico per raggiungere la Cina.

Dove finiscono i dati dei cittadini europei?

In Unione europea la questione è diversa. I nostri dati sono protetti dal GDPR – il regolamento europeo sulla privacy – che prevede tra le altre cose che i dati degli europei devono rimanere in Europa. TikTok, che ha già aperto un data center in Irlanda, sta pianificando di aprirne altri due per poter contenere le informazioni degli oltre 125 milioni di utenti attivi mensilmente nel nostro continente. Al momento è poco chiaro dove finiscano i nostri dati condivisi con il social. Sebbene ci siano state tante rassicurazioni da parte del Ceo Shou Zi Chew sia alle autorità Usa sia alle autorità Ue, un recente annuncio di cambiamento della privacy policy ha rivelato come in realtà i dipendenti di ByteDance abbiamo accesso ai dati degli utenti europei, «per garantire che la loro esperienza sulla piattaforma sia coerente, piacevole e sicura». Come riporta il Guardian, la stessa responsabile della privacy di TikTok in Europa, Elaine Fox, ha spiegato: «Sulla base di una comprovata necessità di svolgere il proprio lavoro, nel rispetto di una serie di solidi controlli di sicurezza e protocolli di approvazione, e attraverso metodi riconosciuti dal Gdpr, consentiamo ad alcuni dipendenti del nostro gruppo aziendale situati in Brasile, Canada, Cina, Israele, Giappone, Malesia, Filippine, Singapore, Corea del Sud e Stati Uniti, l’accesso remoto ai dati degli utenti europei di TikTok». Saranno davvero al sicuro e il Gdpr rispettato? Non c’è molta convinzione, vista la mossa dell’Ue.




Innovazione nel rispetto della nostra cultura: come valorizzare l’industria italiana secondo Giordano Riello, fondatore di NPlus

Innovazione nel rispetto della nostra cultura: come valorizzare l’industria italiana secondo Giordano Riello, fondatore di NPlus

La Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna figurano tra le prime dieci regioni in Europa per livello di valore aggiunto industriale. Secondo i dati Istat, aggiornati al 2021, la Lombardia è in testa a questa classifica, davanti alle due regioni tedesche di Stoccarda e dell’Oberbayern, con il Veneto al sesto e l’Emilia-Romagna all’ottavo posto. E pensare che il triangolo industriale italiano mantiene queste posizioni praticamente dal 2015 e continua, anno dopo anno, a confermare il notevole cambio di passo di un settore che negli ultimi anni è cresciuto molto di più della media europea.

“L’Italia è un Paese a vocazione manifatturiera”, afferma Giordano Riello. Un classe ’89 che ha mosso i primi passi nell’azienda di famiglia tra torni, presse e trapani verticali. Un ragazzo che crede fermamente nel valore del made in Italy, della manifattura e che si ‘sporca le mani’ quotidianamente nella fase produttiva delle sue imprese.

I primi passi nella Aermec, l’azienda di famiglia

Tra queste Aermec, fondata nel 1961 in Veneto e parte integrante della Giordano Riello International Group, gruppo diversificato di aziende con un fatturato aggregato di più di mezzo miliardo di euro, duemila collaboratori e otto stabilimenti produttivi. Aermec è la più grande del gruppo, con 800 collaboratori e 320 milioni di fatturato: “Tutto nacque a inizio ‘900 con la Riello, azienda che produceva caldaie. Negli anni ’60 mio nonno, per far fronte alla stagionalità di cui soffre questo tipo di prodotto, in seguito a un viaggio negli Stati Uniti iniziò a importare l’aria condizionata in Europa. Oggi la Riello Condizionatori, diventata Aermec, è leader europea della climatizzazione dell’aria”.

Oltre al nome, Giordano ha ereditato dal nonno il fiuto imprenditoriale e la passione per la fabbrica: “Durante i periodi estivi mi portava con sé in attrezzeria e mentre lavorava mi affidava dei compiti. Un giorno mi mise in mano la lima e un pezzo di ferro: avrei dovuto restituirgli a fine stagione estiva un cubo perfetto. Tutt’altro che semplice per un bambino”. E se oggi Riello è dirigente commerciale di questa azienda, non è soltanto per meriti ereditari: “Si entra nel gruppo soltanto se si fonda un’impresa manifatturiera sul territorio italiano con i capitali del mercato. Se l’azienda genera utili, si ha il permesso di entrare nell’azienda madre con ruoli operativi”.

La fondazione di NPlus nel 2016 e l’ingresso nella Riello

Un’ottima strategia per assicurare il ricambio generazionale. Un po’ per legittimare il suo ingresso nella Aermec, un po’ per un richiamo naturale verso il mondo dell’imprenditoria, Giordano fonda nel 2016 NPlus, società specializzata in progettazione e produzione di elettronica, attiva nel campo del monitoraggio strutturale di edifici, ponti e viadotti. Tra le aziende tecnologiche più avanzate del settore, ha chiuso il 2022 con 5,8 milioni di euro di fatturato e rappresenta un punto di riferimento a livello europeo.

“Con i nostri hardware andiamo a effettuare il cosiddetto structural health monitoring delle infrastrutture italiane, informando i gestori sullo stato di degrado e individuando eventuali criticità”, afferma il fondatore, che tra le referenze più importanti vanta le colonne del Duomo di Milano, sulla cui cima la Madonnina protegge la città. Un asset strategico invidiabile, all’interno di un settore in cui il crollo del Ponte Morandi ha acceso improvvisamente i riflettori: “Le opere in calcestruzzo compresso hanno una vita di circa 70 anni e sono state realizzate quasi tutte nel dopo guerra, intorno agli anni ’60: dunque è necessario verificare il loro stato di salute in questo momento”. E soprattutto orientare sapientemente le opere di manutenzione: “Non tutte le infrastrutture ne hanno bisogno in egual misura: i nostri monitoraggi permettono di indirizzare al meglio i controlli, ottimizzando al massimo le spese”.

In NPlus innovazione e rispetto della nostra cultura: “Basta scimmiottare la Silicon Valley”

Se non dovesse bastare il crollo del Ponte Morandi, a certificare l’importanza della manutenzione delle infrastrutture c’è il tema della viabilità: bloccare un’arteria di comunicazione tra Nord e Sud del Paese significa bloccare il Pil. “La politica deve porre attenzione a questo aspetto”. NPlus, dal lato suo, sta impiegando ogni mezzo a sua disposizione: le collaborazioni aperte con tre università e lo spirito giovane che si respira nel reparto ricerca & sviluppo – ci sono tre dottorati di ricerca e una prevalenza femminile nell’organico – testimoniano il suo impegno: “Stiamo sviluppando algoritmi di analisi dei dati e sistemi di autoapprendimento. Il machine learning e l’intelligenza artificiale sono due asset su cui stiamo spingendo molto, ma è anche e soprattutto l’atmosfera che si respira in fabbrica a fare la differenza”.

Con un matrimonio, due figli e una bambina in arrivo, Giordano Riello crede fermamente nei valori della famiglia, “la startup più bella che abbia mai fondato”. Crede nell’importanza di estenderli all’interno dell’azienda. E spera che il nostro Paese possa investire di più nel settore manifatturiero e nei giovani. “Non dobbiamo scimmiottare il modello d’impresa della Silicon Valley. Non che sia sbagliato, ma non rispecchia la nostra cultura. Dobbiamo reinterpretare quella che è la nostra storia in chiave moderna e dare sostegno alle imprese costituite dai giovani, che rappresentano il futuro della nostra industria, semplificando il quadro normativo esistente e introducendo nuovi incentivi fiscali”.

L’importanza di difendere il made in Italy nel mondo

Sempre per valorizzare e difendere il nostro più grande tesoro: il made in Italy. Un patrimonio che, se fino a qualche anno fa ci
permetteva di dormire sonni tranquilli, oggi è minacciato da una competizione più aggressiva. Il made in China, la manifattura tedesca e quella francese stanno crescendo in qualità e la bellezza del prodotto italiano non è più un fatto da dare per scontato. Riello difende le proprie origini all’estero non soltanto attraverso l’attività imprenditoriale, ma anche grazie alla sua esperienza passata in Confindustria Giovani e a quella attuale come vicepresidente di Confindustria Ungheria: “Ho conosciuto Budapest quando mio padre ha fondato la Rpm Hungaria, azienda che produce motori elettrici per il condizionamento”, afferma Giordano.

“L’Ungheria è un territorio molto importante a livello logistico: è vicino all’Italia, i costi sono inferiori ed è una porta verso l’Oriente. Ci sono molte pmi e la manodopera è qualificata: mi auguro che gli scambi commerciali con l’Italia possano prosperare”. Tutto questo dipenderà anche dalle politiche che verrano messe in atto dal nostro Paese, dalla sua capacità di rimanere competitivo, di garantire l’alto tasso di innovazione che gli ha permesso di rappresentare il traino dell’industria europea dal 2015 a oggi, di generare politiche di attrazione di talenti, di incentivare l’imprenditoria femminile e di continuare a seguire la propria vocazione: quella di un Paese manifatturiero, che ha costruito sulla manifattura le sue fortune. Giordano Riello, nel suo piccolo, lo sta facendo.