1

Intelligenza artificiale e pappagalli stocastici: il rischio di pregiudizi amplificati a briglia sciolta

Intelligenza artificiale e pappagalli stocastici: il rischio di pregiudizi amplificati a briglia sciolta

Stavolta vorrei provare una cosa nuova: raccontare l’intelligenza artificiale con articoli di ricerca tra i più noti nel giro accademico ma sconosciuti ai più. Credo che sia d’interesse pubblico divulgare alcune delle riflessioni che maturano sul fronte dell’IA anche attraverso conflitti epici.

Il primo è un articolo uscito a marzo 2021, fondamentale e a suo modo scandaloso, con un buffo titolo: Sui pericoli dei pappagalli stocastici: i modelli di linguaggio possono essere troppo grandi?  Autrici principali: Emily M. Bender, linguista dell’Università di Washington, e Timnit Gebru, informatica di prima grandezza e attivista cofondatrice di Black in AI.

Che cos’è un “pappagallo stocastico”? Un pappagallo ripete quello che diciamo, imitando i suoni senza capirci un’acca. Un processo stocastico è un fenomeno nel tempo che possiamo misurare ma non prevedere, come le precipitazioni sul mio balcone o l’andamento del Dow Jones. I valori che assume istante per istante possiamo anticiparli solo in termini di statistica e probabilità.

Combinando le due cose si ottiene una sagace definizione dei language models (LM), i modelli IA che manipolano e generano linguaggio (le IA “creative” delle scorse puntate): “un LM è un sistema che appiccica insieme a casaccio sequenze di forme linguistiche che ha osservato nei suoi sterminati dati di addestramento, in base a informazioni probabilistiche sui modi in cui si possono combinare, ma senza alcun riferimento al significato: un pappagallo stocastico“.

È proprio così: i LM non fanno che ripetere quello che hanno sentito da noi. Siccome lo riassemblano con sofisticatezza, le loro esternazioni sembrano autentica produzione umana e destano meraviglia, proprio come i pappagalli. Ma come questi non hanno la benché minima comprensione di ciò che dicono.

I LM sono essenzialmente distribuzioni di probabilità di sequenze di parole. Producono testi cercando di predire la prossima sequenza come noi proviamo a prevedere che tempo farà. Bizzarro, vero?

A partire da Bert (Google, 2019) i LM sono ingrassati a dismisura sia per numero di parametri (coefficienti dei nodi interni della rete neurale, ora centinaia di miliardi) che per dimensioni dei dataset di addestramento. Le prestazioni sono migliorate, ma al prezzo di un colossale impiego di denaro e di energia per il calcolo. I costi ambientali non sono ancora fra i criteri per valutare la loro efficienza.

Dataset più grandi, inoltre, non portano più varietà o verità. I dati sono raccolti dal web, che è un ritratto del mondo umano assai distorto. Molte lingue sono quasi o del tutto assenti. I punti di vista dominanti sono assai più frequenti delle culture minoritarie e includono vaste paludi di discriminazione e malignità contro donne, trans, disabili, anziani, minoranze, emarginati di tutti i tipi, e ovviamente razzismo assortito. Figure cristallizzate nei dataset e rese immutabili. L’egemonia culturale è codificata e occultata nel profondo delle reti neurali.

È questa la Bildung delle macchine: una formazione falsamente universalista ma in realtà faziosa e retrograda, che guasta alla radice la promessa dell’IA di aiutare l’umanità a risolvere problemi universali. Del linguaggio c’è solo la forma (i dati) senza il significato. Il significato infatti non risiede in rapporti statistici: è incalcolabile.

L’agilità nel fabbricare testi con tali mezzi non fa che portare “più testi nel mondo che rinforzano e propagano stereotipi e associazioni problematiche, sia presso gli umani che incontrano quei testi, sia verso i futuri LM che saranno allenati con gli output della generazione precedente”. Pregiudizi amplificati a briglia sciolta.

Il divorzio tra espressione linguistica e comunicazione di senso è una minaccia non da poco per il genere umano. L’importanza di capirsi con i nostri simili ci ha dotato di un automatismo evolutivo che ci induce a leggere un’intenzione e un significato ovunque ve ne sia la minima apparenza. Ora, però, ci sono macchine che dirottano questa natura. Ed eccoci pronti per essere ingannati oltre ogni limite.

Per esempio trasformando un LM in un ideologo complottista. Facile fargli produrre montagne di storie fantasiose, che una folla di bot sguinzagliati nei forum e nelle chat dissemineranno ai target giusti per reclutare seguaci e promuovere azioni politiche estremiste. Azioni fondate sul nulla, la beffa più amara. Credere che dietro le parole fatte a macchina ci sia qualcuno che le ha meditate può trascinarci in un delirio collettivo.

Per queste e altre serie ragioni argomentate con ben 158 fonti, le autrici propongono di abbandonare la via dei LM ipertrofici e insidiosi, spostando le risorse sulla vera comprensione del linguaggio naturale e sulla creazione di dataset più dosati, curati e documentati con la dedizione che si usa per gli archivi. Ma il fatto che dopo questo articolo Gebru sia stata licenziata da Google per rappresaglia suggerisce che la strada dell’IA non sarà quella della ragionevolezza.




Federginnastica: reputazione bruciata?

Federginnastica: reputazione bruciata?

La Federazione Ginnastica d’Italia (F.G.I.) è un Ente Morale fondato nel 1869, con sede nazionale a Roma, affiliata agli analoghi organismi internazionali (F.I.G. Federazione Internazionale di Ginnastica e U.E.G. Unione Europea di Ginnastica) e riconosciuta dal CONI – Comitato Olimpico Nazionale Italiano, e dal CIO – Comitato Olimpico Internazionale. In Italia, la F.G.I. è l’unico Ente di riferimento per le attività di ginnastica artistica maschile e femminile, ginnastica ritmica, ginnastica generale e ginnastica aerobica.

Dopo un secolo e mezzo dalla sua fondazione, questa importante istituzione è ora salita agli onori delle cronache per le denunce di atlete Olimpiche come Nina Corradini e Anna Basta (altre contestazioni stanno prendendo corpo, giorno dopo giorno, a ritmi inquietanti): l’ossessione del peso, i controlli continui, le offese da parte dello staff degli allenatori, le umiliazioni, le mortificazioni pubbliche di fronte a tutte le compagne, allo scopo di demolirne l’autostima, epiteti come “ippopotamo”, “vitello tonnato”, “cinghiale”, con riferimento – dispregiativo – sempre al peso. Una pressione insopportabile, tale da stimolare idee suicidarie in diverse atlete: non ci è scappato il morto per miracolo. Ora scoppia lo scandalo, ne parlano tutti i giornali italiani ed anche la stampa estera: è un intero sistema ad apparire sotto accusa.

Le reazioni della Federazione

La Federazione Ginnastica d’Italia incassa il colpo e reagisce: il presidente Gherardo Tecchi, con delibera d’urgenza, ha disposto il commissariamento dell’accademia internazionale di ginnastica ritmica di Desio, da dove sono partite le prime denunce da parte delle atlete.

Inoltre, emette un comunicato stampa: dichiara di non tollerare alcuna forma di abuso e di essere sempre al fianco di tutti i propri tesserati. “Sono state date disposizioni perché siano immediatamente informati la Procura Federale e il Safeguarding Officer per gli accertamenti e le azioni di rispettiva competenza. Su questi profili la Federazione è impegnata a migliorare sia l’informazione che la prevenzione, solo tutti insieme si possono affrontare questi intollerabili comportamenti e sradicarli dal mondo della Ginnastica che è forte, sano e non ha spazio per chi non condivide i valori dello sport”. Anche Andrea Abodi, Ministro dello Sport, ha incontrato il presidente del Coni Giovanni Malagò e quello di Federginnastica: si annunciano provvedimenti incisivi. Parole sante e reazioni dovute. Ma anche assai tardive.

Davvero le istituzioni non sapevano?

Siamo a novembre, ma già da agosto è in corso un’inchiesta della Procura bresciana sui presunti maltrattamenti in palestra, denunciati – attraverso un esposto – dalla mamma di due giovanissime ginnaste che sarebbero state sottoposte a costanti controlli sul peso, ma così pressanti da provocare uno stress realmente insopportabile. Il fascicolo procede a rilento, e per ora non avrebbe ancora avuto risultati. Singolare tuttavia che i vertici nazionali non ne sapessero nulla.

Ma – voci di corridoio a parte, sempre esistite – un’altra denuncia era già nota precedentemente, da anni, scritta nero su bianco: quella di Marta Pagnini, grandissima ginnasta italiana, capitana della squadra nazionale italiana di ritmica, le Farfalle, dal 2012 al 2016, che nel marzo 2018 pubblicò un libro, dal titolo “Fai tutto bene”, scrivendo testualmente: “Ho anche incontrato persone negative, che mi hanno resa insicura e fragile, che hanno usato parole pesanti e offensive nei miei confronti, portandomi a passare momenti di grande tristezza e difficoltà. ‘Sei la peggiore, non ti meriti di stare qui’, mi ripetevano. Ogni giorno”

Reazioni e iniziative, allora, da parte di Federginnastica, CONI, Ministero, eccetera? Nessuna. Meglio lasciar correre e non sollevare polemiche, evidentemente.

Reputazione in crisi

“La buona reputazione – dichiara la dott. sa Giorgia Grandoni, specialista in gestione della reputazione e ricercatrice presso il Centro studi della start-up innovativa Reputation management – è l’asset immateriale più importante e di maggior valore per qualunque organizzazione, come confermano sia la letteratura, assai robusta, sia le ricerche di mercato. Secondo un’indagine di Weber Shandwick dal titolo “The State of Corporate Reputation”, il 63% del valore di mercato di un’azienda è infatti attribuibile alla reputazione. Esistono inoltre numerosissime evidenze empiriche che correlano il danno reputazionale, e la scorretta gestione delle crisi reputazionali, a ingenti danni economici e a distruzione del valore per gli stakeholder e la comunità. Vale per le imprese – termina la Grandoni – ma vale esattamente nella stessa misura per le istituzioni, per il mondo del no-profit e per organizzazioni come Fedeginnastica. Quanto è accaduto è semplicemente sconcertante, e preoccupa in particolare per l’omertà che ha impregnato il settore per anni. Possibile che nessuno ai vertici avesse avuto sentore di nulla?”

La gestione delle crisi reputazionali, in particolare, è materia assai delicata e specialistica: ad esempio, le scuse non condizionate, com’è ben documentato nella letteratura specialistica sul crisis management, sono il solvente universale di ogni crisi reputazionale. Potrà infatti apparire paradossale, ma negli ultimi anni – complice l’affermarsi di una virata verso il web 2.0, caratterizzato da un elevato grado di partecipazione e interazione tra gli utenti – quella delle scuse non condizionate è la strategia che si è rivelata in assoluto più efficace: scusarsi con sincerità e schiettezza smorza le polemiche, smussa le armi ai giornalisti, preserva quanto più possibile la reputazione dell’organizzazione e riduce le – inevitabili – richieste di risarcimento danni in sede giudiziale. I cittadini apprezzano tale comportamento, e, percependo una riduzione generale dell’entropia, valutano la crisi e i suoi effetti con occhi più “concilianti”: ma i tempi giocano un ruolo fondamentale in questi processi, e la vicenda di Federginnastica non brilla certo per corretto tempismo.

In USA, tutta un’altra storia

Anche in USA, il report sulla Federazione Calcio americana (NWSL) in merito quanto accaduto sul tema dei comportamenti abusanti e delle cattive condotte sessuali sulle donne nel calcio professionistico è stato un fulmine a ciel sereno. Peccato che l’indagine non sia stata generata da denunce e inchieste giornalistiche, come in Italia, ma sia stata promossa dall’ex procuratrice generale Sally Q. Yates, su mandato proprio della US Soccer Federation, l’organizzazione ufficiale del calcio femminile.

Riporta Yates come commento alla pubblicazione dell’investigazione: “Il nostro lavoro è stato in grado di rivelare la cattiva condotta e gli abusi (verbali, emotivi e sessuali) che erano diventati sistemici all’interno della lega Nwsl (…), un pattern di commenti a sfondo sessuale, avances indesiderate, molestie fisiche e abusi sessuali”.

Cindy Parlow Cone ha comunicato la pubblicazione del report nel suo ruolo di Presidente della US Soccer Federation, commentando così l’esito dell’indagine: “Come ex giocatore, come allenatore, come presidente dell’organo di governo nazionale del calcio, ho il cuore spezzato dai contenuti del rapporto, che chiariscono che sono necessari cambiamenti sistemici a ogni livello del nostro gioco. L’abuso descritto nel verbale è del tutto imperdonabile e non trova spazio nel calcio, dentro o fuori dal campo (…). Ci vorrà l’impegno di tutti i membri di US Soccer per creare il tipo di cambiamento necessario per garantire che i nostri atleti siano al sicuro”.

Nel caso della vicenda USA, è accaduto infatti esattamente il contrario rispetto all’Italia: è l’iniziativa autonoma della Federazione che ha sollevato pubblicamente lo il caso, e non uno scandalo emerso a seguito di denunce delle atlete che ha – solo in un secondo momento – sollecitato la Federazione ad intervenire.

Conclusioni

Se le inchieste giudiziarie e le verifiche di carattere interno alla Federazione confermeranno, com’è presumibile, lo scenario riferito dalle atlete, la reputazione di Federginnastica in primis, e del CONI a seguire, ne risulterà significativamente pregiudicata, e – vista la gravità dei problemi emersi – è difficile immaginare che ci si possa limitare a “voltare pagina” con generiche promesse di discontinuità e roboanti provvedimenti disciplinari.

Problematiche come queste andrebbero prevenute, intercettate anticipatamente mediante appositi assessment di crisis & risk management: sarebbe sufficiente, banalmente, applicare buone prassi codificate e note da anni. Ma applicarle per tempo, sollecitamente, e non solamente dopo lo scoppio di un pubblico scandalo.




La forza generativa della fiducia

La forza generativa della fiducia

Nella sua autobiografia, David Packard, il fondatore della Hewlett-Packard, a un certo punto scrive: «Sul finire degli anni ‘30, quando lavoravo alla General electric, i capi erano particolarmente attenti alla sicurezza degli impianti (…). La Ge era specialmente zelante nel sorvegliare gli attrezzi e i componenti meccanici per evitare che gli operai potessero portarseli via. Come risposta a questa ovvia manifestazione di sfiducia molti operai si sentivano giustificati e rubavano ogni qual volta ne avevano la possibilità (…). Quando fondammo la Hp, questi ricordi erano ancora vivi e per questo decidemmo che i nostri magazzini dei componenti e degli attrezzi sarebbero sempre rimasti aperti. Questo ci avvantaggiò in due modi: innanzitutto risparmiammo sulla sorveglianza ma soprattutto creammo un clima di fiducia che divenne il centro intorno al quale la HP fa ruotare il suo modo di fare affari» (“Hp way: How bill Hewlett and I built our company”, Collins, 1995).

L’importanza della fiducia

La diffidenza crea opportunismo, la fiducia, invece, concorre ad alimentare l’affidabilità. Questa è un dato tanto fondamentale quanto trascurato.
La nostra psicologia del senso comune, infatti, concettualizza un atto di fiducia come basato su una valutazione circa l’affidabilità della persona di cui si decide di fidarsi.
«Mi fido di te perché credo tu sia affidabile».
Quindi il nesso causale va dalla affidabilità alla fiducia.

È il fatto di ritenerti affidabile che causa la mia decisione di fidarmi. Ma come abbiamo visto questa è solo una parte della storia, la più banale. L’altra parte della storia ci dice che la mia fiducia suscita, almeno in parte, la tua affidabilità. Qui il nesso causale è invertito. La fiducia, appunto, genera affidabilità. Comprendere questa lezione è fondamentale. Se ci basassimo solo sulla prima parte della storia ci comporteremmo, infatti, come i dirigenti della General Electric; solo considerando anche la seconda parte saremmo in grado di attuare politiche più sagge come quelle adottate dalla Hewlett-Packard.

Fidarsi vuol dire rischiare

Lo stesso messaggio si può, naturalmente, applicare a molti altri ambiti della vita sociale, politica, economica, alla scuola, alla famiglia. Quando qualcuno si fida di me, questo fatto, già di per sé, costituisce una ragione addizionale perché io mi dimostri affidabile. Alla base di questo meccanismo di “induzione” della fiducia sta il principio che ho chiamato altrove di “rispondenza fiduciaria”. Fidarsi di qualcuno significa innanzitutto instaurare una relazione interpersonale e, nell’ambito di questa relazione, operare insieme per il raggiungimento di uno stato di cose migliore rispetto allo status quo, rispetto a quello, cioè, che si sarebbe determinato qualora si fosse deciso di non fidarsi. Ma alla possibilità di un potenziale vantaggio fa da naturale contraltare il rischio connesso al tradimento della fiducia, alla tentazione dell’opportunismo. I due elementi sono così strettamente legati che David Hume li riteneva concettualmente inseparabili: «È impossibile separare la prospettiva di un bene dal rischio di un male», scriveva.
Fidarsi, dunque, vuol dire rischiare! Ma non come si rischia quando si gioca in borsa o d’azzardo. Non si fronteggia l’imprevedibilità degli eventi naturali o l’imperscrutabilità del caso. Si rischia perché ci rendiamo volontariamente vulnerabili agli altri, all’impossibilità di controllo del loro comportamento, del loro libero arbitrio.

L’inevitabile oscillazione

Gran parte del nostro stare insieme, allora, del nostro vivere in società può essere descritto come un continuo oscillare tra la necessità di fidarsi degli altri e il tentativo di ridurre il rischio legato a tale apertura. Sembra quasi che la fiducia getti le sue radici nel “tragico”, nell’impossibilità, cioè, di non fidarsi e nella contemporanea assenza di certezze circa la risposta altrui. Eppure, studi recenti che portano sostegno empirico all’idea di rispondenza fiduciaria sembrano mostrare che questi momenti non siano separati, così come la visione “tragica” suggerisce, ma che siano, al contrario, strettamente connessi, quasi conseguenza l’uno dell’altro. Perché fidarsi significa già ridurre i rischi della fiducia. È questo fatto che rende i fenomeni fiduciari intrinsecamente paradossali. Ma in fondo ogni relazione interpersonale è nel suo intimo paradossale. Andare alla ricerca delle radici di ciò che vuol dire “fidarsi”, ci sfida a gettare uno spiraglio di luce nell’ombra di questa intimità.




Non sottovalutate Musk. Con l’acquisto di Twitter si apre una strada verso il potere

Non sottovalutate Musk. Con l'acquisto di Twitter si apre una strada verso il potere

Così Elon Musk risponde alle mille illazioni sul suo vertiginoso take over di 44 miliardi di dollari, per conquistare la piattaforma dell’uccellino.

In sostanza dice “ragazzi ora ci divertiremo”, ora accadrà di tutto.

Il prezzo per questo spettacolo lo ha pagato molto caro: circa tre volte la quotazione dei più ottimistici esperti. Siamo in piena recessione tecnologica, con una caduta di tutte le piattaforme principali, da facebook che sta precipitando , perdendo circa il 70 % del valore dall’inizio dell’Anno, a Google che è sotto del 25 % Ad Amazon che ha ceduto il 13 %. In questa congiuntura il miliardario sudafricano raccoglie una fortuna di 44 miliardi di cui la metà di tasca propria, e si prende twitter ad un prezzo fuori mercato. Perché?

Trump è convinto che la cosa gli aprirà la strada per una rivincita a Washington, a Mosca pensano che proprio perché costretto a prosciugare le sue finanze Musk sarà meno generoso con l’appoggio alla resistenza ucraina. Persino Salvini si congratula mettendo in conto uno spostamento del senso comune della piattaforma. In realtà il padrone di Tesla sembra avere altre idee in testa.

 La chiave è proprio la guerra in Ucraina. Musk con i suoi satelliti di Starlink ha privatizzato il conflitto, diventando il primo decisivo alleato di Zelensky, con la sua capacità di georeferenziare qualsiasi oggetto si muova sul terreno. Ora mira a comporre direttamente lo scontro armato. La sua proposta di pace che sembrava l’ennesima battuta, diciamo l’avanspettacolo della commedia che annuncia su Twitter. Invece la talpa sta scavando: il Cremlino è attento e per nulla dispiaciuto da quell’ipotesi che garantirebbe alla Russia Crimea e la contesa in Donbass. E lo stesso dipartimento di stato non ha certo snobbato la cosa, limitandosi ad un silenzio interessato.

Lo stesso sta accadendo in Cina, dove il gruppo Tesla ha grandi investimenti.

Da tutto questo si intuisce che la spesa per avere Twitter ha due veri obbiettivi. Il primo di carattere tecnologico: integrare una massa preziosa e sofisticata di dati, largamente legati al mondo del giornalismo, ai nuovi processi di automatizzazione della scrittura e del pensiero che Musk sta finanziando copiosamente. Come ha spiegato lui stesso, si tratta di arrivare rapidamente a un’intelligenza artificiale in grado di interpretare direttamente i nostri desideri e di comunicarli all’esterno. E il modo più sicuro per interpretare i desideri, ci spiega Shoshanna Zuboff nel suo saggio Il capitalismo della Sorveglianza (Luiss editore) è quello di suggerirli e condizionarli.

L’altro aspetto dell’operazione Twitter , whatever it takes, costi quel che costi, avrebbe detto il nostro ex presidente del consiglio Draghi, è aprire la strada ad un ruolo di reale potere istituzionale. Diciamo che Elon Musk non spende 44 miliardi per far giocare nuovamente Trump a fare il presidente, ma molto probabilmente intenderà direttamente scendere in campo e diventare un protagonista diretta della commedia, per rimanere alla sua metafora.

Non a caso Musk ha già costituito un partito trasversale che sta usando proprio per raccogliere le risorse per comprare Twitter. Nella nuova compagine azionaria che per altro ha deciso di ritirare il titolo dal mercato del Nasdaq , per non soffrire di regole e obblighi di trasparenza, ci sono forze geo politiche come il principe saudita Al Waleed , numero se banche d’affari europee, conglomerate giapponesi, e persino per l’Italia il gruppo Unipol che dovrebbe farci capire perché si è infilato in una combinazione così eccentrica.

Ora il nodo sarà capire come contenere e civilizzare questa forza che irrompe sulla scena. Il commissario al mercato interno europeo Breton ha subito dichiarato che l’uccellino di Twitter se vorrà volare dovrà farlo rispettando le norme europee. Ma , come al solito, nei processi digitali, cambiano le circostanze e la materia delle nome. Non si tratta di fronteggiare un monopolio, o un uso distorto della privacy, ma di contenere la capacità di riproduzione delle nostre volontà sulla base di una molteplicità di saperi e tecnologie, tutte dipendenti da un unico proprietario.

Una tale potenza non è circoscrivibile con norme che dovrebbero essere adeguate ogni sei mesi, ma tagliando all’origine la base del suo potere, ossia la privatizzazione di dati e algoritmi che sono entrambe risorse pubbliche . Su questo bisogna che la politica si adegui al nuovo conflitto di interessi galattico, pena organizzare qualche convegno fra qualche anno per capire perché siamo tutti sudditi di un’unica piattaforme.




Spesi miliardi per accaparrarsi terreni nel metaverso. Soldi buttati o grande investimento?

Spesi miliardi per accaparrarsi terreni nel metaverso. Soldi buttati o grande investimento?

Quasi 2 miliardi di dollari. E’ questa la cifra spesa nel metaverso per l’acquisto di terreni virtuali nell’ultimo anno. E’ quanto emerge da una ricerca dedicata, che mostra come la corsa alla nuova dimensione della Rete sia in pieno svolgimento.

E così, scrive il sito della BBC, non sono pochi coloro che negli ultimi 12 mesi hanno deciso di investire per acquistare un lotto virtuale in qualcuna delle piattaforme virtuali che stanno animando i diversi metaversi disponibili.

C’è chi ha speso fino a 1500 sterline per un loto virtuale, acquistato per vantarsene con i conoscenti e potenziali clienti, come ad esempio artisti che hanno messo in piedi delle vere e proprie gallerie d’arte virtuali per mettere in mostra le loro opere online, messe in vendita in criptovaluta ad esempio sulla piattaforma Voxels.  

Dozzine di mondi virtuali diversi

Voxels è uno delle dozzine di mondi virtuali che si descrivono come metaversi. È fonte di confusione, perché le persone spesso parlano del “metaverso” come se ce ne fosse uno solo. Ma finché una piattaforma non inizia a dominare, o questi mondi disparati si uniscono, le aziende vendono terreni ed esperienze nelle loro versioni.

Dozzine di grandi marchi hanno acquistato appezzamenti di terreno nella mappa Sandbox negli ultimi sei mesi

Secondo al società di analisi  DappRadar nell’ultimo anno sono stati spesi 1,93 miliardi di dollari di criptovaluta per l’acquisto di terreni virtuali, di cui 22 milioni di dollari spesi per circa 3.000 appezzamenti di terreno su Voxels.

DappRadar può monitorarlo perché Voxels è costruito sul sistema di criptovaluta Ethereum, in cui, come tutte le valute virtuali, ogni transazione viene registrata e pubblicata su una blockchain pubblica.

Uno dei mondi più popolari è il cartone animato Decentraland. Lanciati nel 2020, i lotti di terreno vengono venduti per migliaia, a volte milioni di dollari. Samsung, UPS e Sotheby’s sono tra coloro che hanno acquistato terreni e costruito negozi e centri visitatori lì.

Il marchio di moda di lusso Philipp Plein possiede anche un lotto delle dimensioni di quattro campi da calcio, che spera conterrà alla fine un negozio e una galleria del metaverso.

Tuttavia, il proprietario, il signor Plein, dice che sua madre non è convinta del suo acquisto da 1,5 milioni di dollari.

“Mia madre mi ha chiamato e mi ha detto: ‘Cosa hai fatto? Perché? Sei matto, perché spendi così tanti soldi, cos’è questo?’”, dice.

Vestiti virtuali a caro prezzo

Il signor Plein vende beni in 24 diverse criptovalute online da più di un anno. All’inizio del 2022, ha aperto un nuovo negozio in Old Bond Street a Londra vendendo vestiti e alcuni token non fungibili (NFT) in cambio di criptovalute come Bitcoin ed Ethereum, oltre a sterline.

Dice che l’apertura del negozio lo ha aiutato a saperne di più sul metaverso e aggiunge:

Tuttavia, con il crollo generale del valore delle criptovalute, Dapp Radar afferma che i valori immobiliari del metaverso sono vicini al minimo di un anno

Gucci Town su Roblox

Su Sandbox, un altro dei metaversi crittografici, Adidas, Atari, Ubisoft, Binance, Warner Music e Gucci sono solo alcune delle multinazionali che acquistano terreni e costruiscono esperienze per vendere e promuovere i loro prodotti e servizi.

Gucci ha anche costruito Roblox, che insieme ad altre grandi piattaforme di gioco come Minecraft e Fortnite, è visto come il più mainstream dei metaversi.

A Gucci Town su Roblox, i giocatori possono acquistare vestiti per i loro avatar utilizzando la valuta di gioco Robux

Queste società di gioco non vendono terreni e sono gestite senza l’uso di alcuna tecnologia blockchain. Tuttavia, hanno già alcuni degli ingredienti chiave di cui gli scrittori di fantascienza dicono che abbiamo bisogno per un vero metaverso:

• la capacità di uscire e giocare

• le proprie valute mondiali

• l’opportunità di fare soldi sulla piattaforma

• enormi comunità fiorenti

Amber Jae Slooten prevede che ci sarà un “mercato di massa” per i vestiti digitali

“Quando abbiamo iniziato, tutti ci chiamavano pazzi, perché dicevano, ‘perché avresti bisogno di questo?’. Ma credevamo fermamente nell’idea che in futuro le persone avrebbero indossato gli articoli digitali”, afferma il co-fondatore e capo designer Amber Jae Slooten.

La vendita del record di The Fabricant finora è un vestito digitale che ha fruttato 19.000 dollari, sebbene sia stato venduto come NFT – un’opera d’arte digitale – e non sia stato indossato dall’avatar del proprietario.

Davvero vivremo nel metaverso?

La società ha appena raccolto 14 milioni di dollari di finanziamenti da investitori che scommettevano sull’idea che molti di noi vivranno presto parte della nostra vita nel metaverso.

Ma non è certo se e quando ciò accadrà. I metaversi crittografici sono generalmente scarsamente popolati e utilizzati realmente solo quando si tengono eventi, e anche in questo caso partecipano solo migliaia, e non milioni, di persone.

Meta di Mark Zuckerberg ha perso centinaia di miliardi di valore sul mercato azionario dalla sua spinta nel metaverso Anche nel mondo virtuale in cui Meta, proprietaria di Facebook e Instagram, sta investendo miliardi di dollari, i promemoria trapelati mostrano che le persone non rimarranno a lungo. Ma la signora Slooten è convinta che man mano che questi mondi si svilupperanno, le persone arriveranno. “Ci sarà sicuramente un mercato di massa in questo perché se si pensa alle nuove generazioni, già giocano. Per loro non c’è distinzione tra virtuale e reale. Ma deve ancora essere costruito”.