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L’uso dei social media come strumento di supporto terapeutico: il caso di Maya

L'uso dei social media come strumento di supporto terapeutico: il caso di Maya

Un altro caso, quello di Maya, una giovane creator di TikTok affetta da anoressia nervosa, ha sollevato un acceso dibattito sull’utilizzo dei social media come supporto terapeutico. Maya, ricoverata in ospedale e costretta a nutrirsi tramite un sondino, ha condiviso la sua esperienza in diretta su TikTok, dichiarando che solo attraverso la connessione con i suoi follower riesce a trovare la forza di nutrirsi.

Il fenomeno di Maya non è isolato: sempre più persone cercano sostegno e conforto sui social media, trasformando piattaforme come TikTok in spazi di auto-aiuto e terapia collettiva. Tuttavia, questo caso particolare solleva domande cruciali sulla salute mentale e sull’uso dei social media in situazioni di estrema vulnerabilità.

La Dualità dei Social Media

Da un lato, i social media possono offrire un senso di comunità e supporto. Per persone come Maya, che lottano con gravi disturbi alimentari, il sostegno immediato e l’interazione diretta con gli altri possono fornire un sollievo temporaneo e un motivo per continuare a lottare. La trasparenza di Maya e il suo coraggio nel condividere una realtà così difficile hanno certamente sensibilizzato molte persone sulla gravità dell’anoressia nervosa.

D’altra parte, affidarsi esclusivamente ai social media per trovare conforto può comportare rischi significativi. L’approvazione e il sostegno virtuale, sebbene possano offrire un sollievo temporaneo, non possono sostituire l’aiuto professionale e gli strumenti terapeutici tradizionali. Inoltre, i social media possono perpetuare una dipendenza malsana dall’approvazione esterna, rafforzando l’idea che il proprio valore dipenda dal riconoscimento degli altri.

L’Importanza degli Strumenti Terapeutici Tradizionali

I disturbi alimentari come l’anoressia nervosa richiedono un approccio terapeutico complesso e multidisciplinare, che include interventi medici, psicologici e nutrizionali. La terapia cognitivo-comportamentale, la terapia familiare e altri approcci basati sull’evidenza sono essenziali per affrontare le radici profonde dei disturbi alimentari e promuovere una guarigione duratura.

Affidarsi esclusivamente ai social media può distogliere l’attenzione dalla necessità di un trattamento professionale e completo. Inoltre, l’esposizione sui social può comportare rischi di privacy e un possibile impatto negativo dovuto a commenti inappropriati o critiche.

Un Equilibrio Necessario

Il caso di Maya evidenzia l’importanza di trovare un equilibrio tra l’uso dei social media come strumento di supporto e l’adozione di interventi terapeutici tradizionali. Mentre la comunità virtuale può offrire un supporto immediato e una piattaforma per condividere esperienze, è fondamentale che le persone affette da disturbi alimentari ricevano anche l’assistenza professionale necessaria per una guarigione completa e sostenibile.

Gli operatori sanitari e i familiari dovrebbero essere consapevoli dei benefici e dei rischi associati all’uso dei social media in contesti terapeutici. Un approccio integrato che combina il sostegno virtuale con trattamenti medici e psicologici può offrire la migliore possibilità di recupero per individui come Maya. In conclusione, mentre i social media possono essere una risorsa preziosa per chi affronta difficoltà personali, è essenziale riconoscere i loro limiti e garantire che vengano utilizzati in modo complementare agli strumenti terapeutici tradizionali. Solo così si può promuovere una guarigione sana e duratura, basata sull’autentica auto-approvazione e non sull’approvazione virtuale.




La pericolosa esposizione dei disturbi alimentari sui Social: un altro caso

La pericolosa esposizione dei disturbi alimentari sui Social: un altro caso

Ed eccoci nuovamente – ahimè – a commentare un caso di esposizione pubblica di disturbi alimentari da parte di alcuni creator. Questa volta parliamo di della creator Leila, ricoverata in strutture psichiatriche o cliniche riabilitative, che ha condiviso – e condivide tuttora – sui social media contenuti che ritraggono le proprie condizioni fisiche in modo estremamente preoccupante.

La possibilità di condividere la propria esperienza con gli altri è un diritto fondamentale. Tuttavia, quando la condivisione di contenuti riguardanti disturbi alimentari diventa una forma di esibizionismo o di ricerca di attenzione, si oltrepassa un confine delicato. La diffusione di immagini che di corpi emaciati o comportamenti alimentari disfunzionali può avere un impatto negativo su un pubblico particolarmente vulnerabile, come gli adolescenti, e contribuire a normalizzare pratiche pericolose.

La vicenda solleva interrogativi sulla necessità di un monitoraggio più attento delle attività svolte all’interno delle strutture che si occupano di disturbi alimentari. È fondamentale garantire che i pazienti non siano esposti a situazioni che possano compromettere il loro percorso terapeutico e che non utilizzino i social media per promuovere comportamenti dannosi.

Le piattaforme social, i loro algoritmi che regolano la distribuzione di contenuti, e le cosiddette “regole della community”, che autorizzano o cassano la pubblicazione di determinati contenuti relativi a temi “sensibili”, hanno un ruolo cruciale in questa vicenda. Da un lato, offrono la possibilità di creare comunità di supporto e di condividere esperienze. Dall’altro, possono diventare uno strumento per la diffusione di contenuti nocivi e pericolosi. È necessario che le piattaforme adottino misure più efficaci per contrastare la diffusione di contenuti che promuovono disturbi alimentari e per proteggere gli utenti più vulnerabili.

Gli influencer hanno una grande responsabilità nei confronti del loro pubblico. È fondamentale che utilizzino i loro canali per promuovere messaggi positivi e per sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della salute mentale e del benessere.

La diffusione di contenuti che ritraggono disturbi alimentari sui social media è un fenomeno complesso e multifattoriale. Per affrontarlo in modo efficace, è necessario un impegno congiunto da parte delle istituzioni, delle strutture sanitarie, delle piattaforme social e degli stessi influencer.




Il caso della finta malattia per fare hype: la deriva dei social media

Il caso della finta malattia per hype: la deriva dei social media

Pochi giorni fa abbiamo analizzato un caso di presunta simulazione di disturbi alimentari da parte di una giovane creator… l’ecosistema Social sviluppatosi attorno al reality “Il Collegio” ha prodotto un altro caso davvero desolante. Una fanpage dedicata al popolare programma ha scatenato una tempesta di critiche e indignazione dopo aver finto un tumore per ottenere maggiore visibilità e attenzione. Questa azione, apparentemente motivata dal desiderio di attirare l’interesse mediatico e di ricevere riconoscimenti dai protagonisti del programma, ha sollevato un acceso dibattito sull’etica e sui valori della comunicazione online.

Tra i primi a esprimere pubblicamente il loro sdegno sono state Vittoria Lazzari ed Elisa Angius, due ex partecipanti al programma, che hanno condannato duramente la fanpage. Le due ragazze hanno sottolineato come questo comportamento rappresenti una grave mancanza di rispetto nei confronti di coloro che realmente lottano contro malattie così gravi, e hanno evidenziato l’inquietante superficialità con cui certi individui sono disposti a manipolare le emozioni altrui pur di ottenere un effimero momento di notorietà.

Il caso della fanpage del “Collegio” non è un episodio isolato, ma si inserisce in un fenomeno più ampio e preoccupante. Negli ultimi anni, l’ossessione per la visibilità sui social media ha portato alcune persone a ricorrere a pratiche sempre più discutibili. Fingere malattie, e in particolare malattie gravi come il cancro, è una delle strategie più estreme e dannose di questa tendenza. Questi comportamenti non solo sfruttano la sensibilità del pubblico, ma possono causare danni psicologici reali a chi è già vulnerabile.

La manipolazione emotiva attraverso la falsa narrazione di malattie rappresenta una deriva pericolosa della cultura digitale, dove il confine tra realtà e finzione si fa sempre più labile. Le piattaforme social, nate per connettere e condividere, possono diventare un terreno fertile per comportamenti tossici, dove l’empatia viene sfruttata come merce di scambio per ottenere consensi e visibilità.

Tuttavia, è importante chiedersi perché si arrivi a tanto. Il desiderio di attenzione e di approvazione, esacerbato dalla pressione dei social media, può spingere alcune persone a cercare scorciatoie morali per raggiungere la fama. La mancanza di regolamentazione e la difficoltà di verificare la veridicità delle informazioni online rendono queste azioni difficili da prevenire e punire.

Il caso sollevato da Lazzari e Angius dovrebbe far riflettere tutti, utenti e piattaforme, sulla necessità di un maggiore senso di responsabilità. Non si tratta solo di denunciare e condannare i comportamenti scorretti, ma anche di promuovere un uso più etico e consapevole dei social media. La manipolazione emotiva attraverso la falsificazione di malattie non è solo un tradimento della fiducia pubblica, ma anche una ferita profonda al rispetto e alla dignità umana.

In un’epoca in cui l’autenticità dovrebbe essere il valore cardine delle interazioni online, è necessario ribadire che la verità, anche quando dolorosa, è sempre preferibile alla menzogna, e che l’empatia non può essere usata come strumento per fini egoistici. La lezione da trarre è chiara: l’hype non giustifica mai la violazione dei valori fondamentali di rispetto e integrità.




Corporate reporting e ESG: WEF alla ricerca di una metrica universale per “misurare” la sostenibilità

Corporate reporting e ESG: WEF alla ricerca di una metrica universale per “misurare” la sostenibilità

Il valore di una classifica, di qualunque disciplina si tratti, è determinato dall’affidabilità delle metriche in base alle quali vengono misurate le performance. Sui temi della sostenibilità in generale e dell’ESG (Environmental, Social, Governance) l’attenzione e l’esigenza di risposte universalmente accettate e riconosciute è quanto mai alta e importante. Il valore di qualsiasi percorso o progetto di sustainability è determinato dalla possibilità di verificarne i risultati e di comunicarli poi in modo affidabile e preciso. Su questo tema arrivano una serie di risposte dal World Economic Forum che con la collaborazione di Deloitte e Impact Management Project mette in evidenza la possibilità di dare vita a una metrica standard che consenta di misurare gli impatti delle performance ESG sul valore economico delle aziende. Il white paper “Reporting on enterprise value” presenta la possibilità di un primo prototipo di standard dedicato all’informativa sulla sostenibilità e sul cambiamento climatico sul valore delle imprese. La prospettive che intende aprire questo lavoro riguarda la possibilità di misurare, quantificare e successivamente comunicare, nel rispetto di standard condivisi, gli effetti di valori legati ai contenuti ESG in termini di sostenibilità e di governance sulla generazione di nuovo valore per le imprese o al contrario su eventuali rischi che possono erodere quel valore.

La proposta intende condurre alla creazione di uno standard globale e potrebbe portare novità molto rilevanti a livello di Corporate Reporting. Le eventuali novità nell’ambito del Corporate reporting avrebbero una ricaduta importantissima anche a livello di intervento sulla struttura informativa delle imprese, ovvero sulla mappatura e sul controllo delle fonti rilevanti per mettere a disposizione i dati appropriati per questo tipo di reportistica.

Integrazione tra l’informativa finanziaria e l’informativa non finanziaria

Il lavoro condotto da WEF con Deloitte e Impact Management Project va anche nella direzione di una maggiore integrazione tra l’informativa finanziaria e l’informativa non finanziaria (si suggerisce la lettura a questo proposito di Le normative sulla rendicontazione non finanziaria) allo scopo di comprendere il valore e l’impatto di fattori come il climate change o come le varie declinazioni della sostenibilità che hanno un evidente impatto sui risultati di business sia in termini di opportunità, sia in forma di possibili rischi.

Il punto chiave dello studio sta nel concetto di “interconnessione” tra i diversi fattori e i diversi fenomeni che incidono in modo diretto e indiretto sui risultati delle imprese e che devono consentire agli investitori e agli analisti di comprendere il vero valore delle imprese con metriche comuni basate sulla relazione tra la sostenibilità ESG e il rendimento degli investimenti. Il documento ipotizza di affiancare l’informativa sulla sostenibilità a un nuovo componente informativo rappresentato delle sustainability-related financial disclosures rappresenta e misura l’impatto specifico dei contenuti che rientrano negli ambiti ESG espressamente sul valore delle imprese che a sua volta si affianca a una lettura “contabile” di questa misurazione costituita dal financial accounting e disclosure che ha il compito di misurare gli impatti ESG Environmental, Social, Governance e climate change sulla creazione di valore e da un componente denominato financial accounting e disclosure a cui è invece affidato il compito di gestire l’impatto contabile di questi parametri sulle metriche economico-finanziarie dell’impresa

La centralità del Risk Management

Come molti osservatori hanno più volte sottolineato uno dei valori fondanti dell’ESG è rappresentato dalla possibilità di aumentare la capacità delle imprese di utilizzare strumenti di Risk Management. Questo tipo di reportistica consolida questa dimensione e anzi la attualizza e la riconduce alla possibilità di parametrarne l’impatto sul valore delle imprese. Lo studio, come mette in evidenza la nota di Deloitte, pone al centro le necessità di fornire una informativa con una forte relazione rispetto ai rischi e alle opportunità ad esempio rispetto agli impatti del climate change, anche in termini finanziari. Il tutto nel rispetto delle raccomandazioni TCFD (Task Force on Climate-related Financial Disclosures) e nel riconoscimento dei principali punti di riferimento come governance, strategia, gestione del rischio e metriche.




Dalla facciata perfetta al dramma reale: il dissing tra due creator e le fragilità Online

Dalla facciata perfetta al dramma reale: il dissing tra due creator e le fragilità Online

Ancora una polemica tra due giovanissime creator. Questa volta al centro dell’attenzione sono Roberta Zacchero, ex partecipante de “Il Collegio”, su Rai 2, e Giada Scognamillo. Il caso vede svelato un retroscena inaspettato e pone l’accento su un tema delicato: la distanza tra l’immagine curata che si mostra sui social e la realtà, spesso più complessa e contraddittoria.

Giada Scognamillo ha puntato il dito contro Roberta Zacchero, accusandola di comportamenti incoerenti tra la vita online e quella reale, in poche parole, snobismo e strafottenza. Roberta Zacchero, in risposta, ha messo in discussione la sincerità di alcuni contenuti della collega, insinuando che avesse finto disturbi alimentari per attirare l’attenzione e aumentare la propria popolarità.

L’episodio solleva interrogativi sulla natura stessa della figura dell’influencer e sull’immagine che questi personaggi costruiscono di sé sui social media. La vita online, spesso, è una rappresentazione idealizzata della realtà, dove tutto sembra perfetto e senza sbavature. Tuttavia, dietro questa facciata curata, si nascondono spesso fragilità, insicurezze e conflitti interiori.

La scelta di utilizzare temi delicati come i disturbi alimentari per aumentare l’engagement è una pratica pericolosa e oggettivamente censurabile a prescindere. Può portare a conseguenze negative sia per chi la mette in atto che per il pubblico. Da un lato, chi finge di soffrire di un disturbo alimentare rischia di banalizzare una malattia seria e ferire le persone che ne sono realmente affette. Dall’altro, chi consuma questi contenuti può sviluppare un’immagine distorta della realtà e sentirsi in colpa o inadeguato se non corrisponde agli standard di bellezza e perfezione proposti.

In un mondo sempre più connesso, è fondamentale che gli influencer assumano un ruolo di responsabilità e promuovano valori positivi. La trasparenza e l’autenticità sono elementi chiave per costruire una relazione solida con il proprio pubblico. È importante che gli influencer mostrino anche i loro lati meno perfetti e che ammettano di commettere errori.

Le polemiche tra creator possono degenerare in vere e proprie campagne di cyberbullismo, con conseguenze devastanti per le persone coinvolte. Continuo a ricordare quanto sia fondamentale che le piattaforme social adottino misure più efficaci per contrastare l’hate speech e proteggere gli utenti da comportamenti aggressivi.

Il caso delle due creator ci ricorda che i social media sono uno strumento potente che può essere utilizzato sia per il bene che per il male. È importante essere consapevoli dei meccanismi che governano questi ambienti e di non farsi ingannare dalle apparenze.