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Elon Multitasking. Mentre propone la pace in Ucraina prova a integrare Twitter con il suo impero satellitare

Elon Multitasking. Mentre propone la pace in Ucraina prova a integrare Twitter con il suo impero satellitare

Con il solito, scarno e scanzonato tweet, Elon Musk annuncia il suo vero obbiettivo per l’acquisto della stessa piattaforma su cui scrive, ossia Twitter. Si tratta, lo spiega con 11 parole, di realizzare, sulla base della massa di dati che tutte le sue attività -spaziali, automobilistiche, biotecnologiche e giornalistiche- gli consentono di integrare un’app universale.

Eviterei di reagire nella altrettanto solita e inconcludente ironica incredulità che ha accompagnato molte delle imprese del magnate sudafricano. Dalla tesla alla programmazione dei viaggi dum arte alla flotta satellitare più poderosa del pianeta.

Proprio 24 ore dopo aver scosso il Nasdaq con il suo rilancio per l’acquisto dell’uccellino, annunciando di mobilitare 44 miliardi di dollari, si passa alla seconda fase, quella che potremmo definire del “te lo avevo detto io“. Sempre l’uomo più ricco del mondo, lo è al momento in cui sto scrivendo, ma sicuramente lo rimarrà per le prossime 24 ore, nonostante i bruschi sbalzi delle sue fortune, indotti proprio dal suo spregiudicato modo di gestire l’informazione insider, ha banalizzato i suoi obiettivi comunicandoli con una compiaciuta ed esibite aura di informale paradossalità.

Voglio andare su Marte, era l’annuncio con cui ha coperto la creazione di una flotta di oltre 18 mila satelliti, che potrebbe arrivare a 30 mila in qualche mese. Con quel sistema di controllo dal cielo ha spostato gli equilibri della guerra in Ucraina, rispondendo al famoso appello del ministro della tecnologia di Kiev Fiodorov – “mentre stai colonizzando Marte ci stanno aggredendo e distruggendo”. E ora, con un altro click con cui lancia un referendum globale sul cessate il fuoco, si permette di tenere in scacco le cancellerie del mondo giocando a fare il nuovo Metternich che disegna equilibri e trattati di tregua, per privatizzare la pace come ha privatizzato la guerra.

Contemporaneamente, in violazione di ogni regola di trasparenza nell’uso delle informazioni durante una procedura di merger finanziario, come è quella che da mesi tiene sospesa sulla testa degli azionisti di Twitter, propone un altro quiz sulle finalità di questa operazione, dando qualche indizio.

Un’app universale, dice. In realtà intende un sistema di ingabbiamento dei nostri servizi e comportamenti in rete interconnesso a un solo server e un solo sistema di analisi e profilazione degli utenti per elaborare modelli di proposte personalizzate a livello planetario.

La domanda è: questa follia è possibile? La risposta è sì. In parte è gia realizzata. Se pensiamo alla convergenza di tutti i sistemi di memorizzazione delle piattaforme che fanno capo a Google abbiamo già una potenza di classificazione e profilazione a livello mondiale, diciamo 5 miliardi di individui sono condomini di Alphabet.

Ma Elon Musk evidentemente pensa a qualcosa ancora di più pervasivo. I suoi investimenti e i brevetti accumulati nel campo delle applicazioni neuronali, che mirano a rendere il cervello umano un terminale di una rete esterna, con il pretesto di curare l’Alzheimer ci dimostrano che non siamo da tempo nella fantascienza.

Ora proprio nella fase di ingegnerizzazione di queste nuove frontiere dell’interferenza corticale, come viene chiamnata da qualcuno, bisognerebbe che entità istituzionali e politiche prendessero sul serio questo signore. Se vuole un‘app universale dovremmo pensare a un’authority universale che possa contrastarla e normarla. Almeno dovremmo pensare a una nuova release dell’ultimo provvedimento che l’Unione europea ha licenziato in questo settore, il cosiddetto Digital Market Act che già prevede la negoziabilità delle nuove frontiere del controllo e accumulo dei dati, ma che ora dovrebbe anche dotarsi di procedure e messanismi per indagare progetti sperimentali e atti, come appunto la convergenza di una piattaforma di informazione come Twitter insieme a database bio tecnologici quali quelli che Musk ricava dalle sue aziende automobilistiche e satellitari. Ora, non dopo.




FEDERGINNASTICA: REPUTAZIONE BRUCIATA?

FEDERGINNASTICA: REPUTAZIONE BRUCIATA?

I fatti

La Federazione Ginnastica d’Italia (F.G.I.) è un Ente Morale fondato nel 1869, con sede nazionale a Roma, affiliata agli analoghi organismi internazionali (F.I.G. Federazione Internazionale di Ginnastica e U.E.G. Unione Europea di Ginnastica) e riconosciuta dal CONI – Comitato Olimpico Nazionale Italiano, e dal CIO – Comitato Olimpico Internazionale. In Italia, la F.G.I. è l’unico Ente di riferimento per le attività di ginnastica artistica maschile e femminile, ginnastica ritmica, ginnastica generale e ginnastica aerobica.

Dopo un secolo e mezzo dalla sua fondazione, questa importante istituzione è ora salita agli onori delle cronache per le denunce di atlete Olimpiche come Nina Corradini e Anna Basta (altre contestazioni stanno prendendo corpo, giorno dopo giorno, a ritmi inquietanti): l’ossessione del peso, i controlli continui, le offese da parte dello staff degli allenatori, le umiliazioni, le mortificazioni pubbliche di fronte a tutte le compagne, allo scopo di demolirne l’autostima, epiteti come “ippopotamo”, “vitello tonnato”, “cinghiale”, con riferimento – dispregiativo – sempre al peso. Una pressione insopportabile, tale da stimolare idee suicidarie in diverse atlete: non ci è scappato il morto per miracolo. Ora scoppia lo scandalo, ne parlano tutti i giornali italiani ed anche la stampa estera: è un intero sistema ad apparire sotto accusa.

Le reazioni della Federazione

La Federazione Ginnastica d’Italia incassa il colpo e reagisce: il presidente Gherardo Tecchi, con delibera d’urgenza, ha disposto il commissariamento dell’accademia internazionale di ginnastica ritmica di Desio, da dove sono partite le prime denunce da parte delle atlete.

Inoltre emette un comunicato stampa: dichiara di non tollerare alcuna forma di abuso e di essere sempre al fianco di tutti i propri tesserati. “Sono state date disposizioni perché siano immediatamente informati la Procura Federale e il Safeguarding Officer per gli accertamenti e le azioni di rispettiva competenza. Su questi profili la Federazione è impegnata a migliorare sia l’informazione che la prevenzione, solo tutti insieme si possono affrontare questi intollerabili comportamenti e sradicarli dal mondo della Ginnastica che è forte, sano e non ha spazio per chi non condivide i valori dello sport”. Anche Andrea Abodi, Ministro dello Sport, ha incontrato il presidente del Coni Giovanni Malagò e quello di Federginnastica: si annunciano provvedimenti incisivi. Parole sante e reazioni dovute. Ma anche assai tardive.

Davvero le istituzioni non sapevano?

Siamo a novembre, ma già da agosto è in corso un’inchiesta della Procura bresciana sui presunti maltrattamenti in palestra, denunciati – attraverso un esposto – dalla mamma di due giovanissime ginnaste che sarebbero state sottoposte a costanti controlli sul peso, ma così pressanti da provocare uno stress realmente insopportabile. Il fascicolo procede a rilento, e per ora non avrebbe ancora avuto risultati. Singolare tuttavia che i vertici nazionali non ne sapessero nulla.

Ma – voci di corridoio a parte, sempre esistite – un’altra denuncia era già nota precedentemente, da anni, scritta nero su bianco: quella di Marta Pagnini, grandissima ginnasta italiana, capitana della squadra nazionale italiana di ritmica, le Farfalle, dal 2012 al 2016, che nel marzo 2018 pubblicò un libro, dal titolo “Fai tutto bene”, scrivendo testualmente: Ho anche incontrato persone negative, che mi hanno resa insicura e fragile, che hanno usato parole pesanti e offensive nei miei confronti, portandomi a passare momenti di grande tristezza e difficoltà. ‘Sei la peggiore, non ti meriti di stare qui’, mi ripetevano. Ogni giorno”

Reazioni e iniziative, allora, da parte di Federginnastica, CONI, Ministero, eccetera? Nessuna. Meglio lasciar correre e non sollevare polemiche, evidentemente.

Reputazione in crisi

“La buona reputazione – dichiara la dott. sa Giorgia Grandoni, specialista in gestione della reputazione e ricercatrice presso il Centro studi della start-up innovativa Reputation managementè l’asset immateriale più importante e di maggior valore per qualunque organizzazione, come confermano sia la letteratura, assai robusta, sia le ricerche di mercato. Secondo un’indagine di Weber Shandwick dal titolo “The State of Corporate Reputation”, il 63% del valore di mercato di un’azienda è infatti attribuibile alla reputazione. Esistono inoltre numerosissime evidenze empiriche che correlano il danno reputazionale, e la scorretta gestione delle crisi reputazionali, a ingenti danni economici e a distruzione del valore per gli stakeholder e la comunità. Vale per le imprese – termina la Grandoni – ma vale esattamente nella stessa misura per le istituzioni, per il mondo del no-profit e per organizzazioni come Fedeginnastica. Quanto è accaduto è semplicemente sconcertante, e preoccupa in particolare per l’omertà che ha impregnato il settore per anni. Possibile che nessuno ai vertici avesse avuto sentore di nulla?”

La gestione delle crisi reputazionali, in particolare, è materia assai delicata e specialistica: ad esempio, le scuse non condizionate, com’è ben documentato nella letteratura specialistica sul crisis management, sono il solvente universale di ogni crisi reputazionale. Potrà infatti apparire paradossale, ma negli ultimi anni – complice l’affermarsi di una virata verso il web 2.0, caratterizzato da un elevato grado di partecipazione e interazione tra gli utenti – quella delle scuse non condizionate è la strategia che si è rivelata in assoluto più efficace: scusarsi con sincerità e schiettezza smorza le polemiche, smussa le armi ai giornalisti, preserva quanto più possibile la reputazione dell’organizzazione e riduce le – inevitabili – richieste di risarcimento danni in sede giudiziale. I cittadini apprezzano tale comportamento, e, percependo una riduzione generale dell’entropia, valutano la crisi e i suoi effetti con occhi più “concilianti”: ma i tempi giocano un ruolo fondamentale in questi processi, e la vicenda di Federginnastica non brilla certo per corretto tempismo.

In USA, tutta un’altra storia

Anche in USA, il report sulla Lega Calcio femminile americana (NWSL) sul tema dei comportamenti abusanti e delle cattive condotte sessuali sulle donne nel calcio professionistico è stato un fulmine a ciel sereno. Peccato che l’indagine non sia stata generata da denunce e inchieste giornalistiche, come in Italia, ma sia stata promossa dall’ex procuratrice generale Sally Q. Yates, su mandato proprio della US Soccer Federation, l’organizzazione ufficiale del calcio femminile.

Riporta Yates come commento alla pubblicazione dell’indagine: “Il nostro lavoro è stato in grado di rivelare la cattiva condotta e gli abusi (verbali, emotivi e sessuali) che erano diventati sistemici all’interno della lega Nwsl (…), un pattern di commenti a sfondo sessuale, avances indesiderate, molestie fisiche e abusi sessuali”.

Cindy Parlow Cone ha comunicato la pubblicazione del report nel suo ruolo di Presidente della US Soccer Federation, commentando così l’esito dell’indagine: “Come ex giocatore, come allenatore, come presidente dell’organo di governo nazionale del calcio, ho il cuore spezzato dai contenuti del rapporto, che chiariscono che sono necessari cambiamenti sistemici a ogni livello del nostro sport. L’abuso descritto nel verbale è del tutto imperdonabile e non trova spazio nel calcio, dentro o fuori dal campo (…). Ci vorrà l’impegno di tutti i membri di US Soccer per creare il tipo di cambiamento necessario per garantire che i nostri atleti siano al sicuro”.

Nel caso della vicenda USA, è accaduto infatti esattamente il contrario rispetto all’Italia: è l’iniziativa autonoma della Federazione che ha sollevato pubblicamente il caso, e non uno scandalo emerso a seguito di denunce delle atlete che ha – solo in un secondo momento – sollecitato la Federazione ad intervenire.

Conclusioni

Se le inchieste giudiziarie e le verifiche di carattere interno alla Federazione confermeranno, com’è presumibile, lo scenario riferito dalle atlete, la reputazione di Federginnastica in primis, e del CONI a seguire, ne risulterà significativamente pregiudicata, e – vista la gravità dei problemi emersi – è difficile immaginare che ci si possa limitare a “voltare pagina” con generiche promesse di discontinuità e roboanti provvedimenti disciplinari.

Problematiche come queste andrebbero prevenute, intercettate anticipatamente mediante appositi assessment di crisis & risk management: sarebbe sufficiente, banalmente, applicare buone prassi codificate e note da anni. Ma applicarle per tempo, sollecitamente, e non solamente dopo lo scoppio di un pubblico scandalo.




Corpi “reali” e cucina: il dibattito sulle tiktoker Natasha e Jenny

Corpi "reali" e cucina: il dibattito sulle tiktoker Natasha e Jenny

Ed ecco un’altra polemica social, anch’essa esplosa l’ultima estate: le due sorelle TikToker Natasha e Jenny, al centro di un surreale dibattito per il loro aspetto fisico. Mentre i loro video culinari conquistavano un pubblico sempre più ampio, alcune critiche si sono concentrate sulla loro forma fisica, considerata non conforme ai canoni estetici tradizionali dei social media.

Questo caso ha riacceso il dibattito sull’importanza dell’aspetto fisico nel mondo dei social media, in particolare per i creator. Da un lato, c’è chi sostiene che l’immagine sia fondamentale per attirare l’attenzione e costruire un seguito. Dall’altro, si leva la voce di coloro che difendono il diritto di ognuno di essere sé stessi, senza sentirsi giudicati per il proprio corpo.

Nel caso specifico delle due sorelle, la polemica ha assunto una connotazione particolare, legata al tema del cibo e della cucina. Il loro successo è stato costruito proprio sulla condivisione di ricette e consigli culinari, ma le critiche ricevute hanno messo in discussione la loro credibilità come esperte di cucina, associando implicitamente la capacità di cucinare a un corpo magro e atletico.

Queste esperienze mettono in evidenza come l’aspetto fisico possa influenzare significativamente la reputazione di un creator e la percezione che il pubblico ha della sua professionalità. Chi non risponde ai canoni estetici dominanti rischia di essere screditato, anche quando le sue competenze sono innegabili.

Le conseguenze di queste dinamiche possono essere profonde e durature. In primo luogo, possono scoraggiare molte persone, soprattutto le donne, dall’esprimere la propria creatività sui social media. In secondo luogo, possono contribuire a rafforzare l’idea che esiste un unico modello di bellezza al quale tutti devono conformarsi.

È fondamentale che le piattaforme social e i media tradizionali promuovano una maggiore inclusività e diversità, valorizzando le differenze individuali e celebrando la bellezza in tutte le sue forme. Solo in questo modo potremo creare un ambiente online più sano e più rispettoso per tutti.




Dalla Rete alla Tv: la polemica sulla “Prof del Corsivo”

Dalla Rete alla Tv: la polemica sulla "Prof del Corsivo"

Questa estate ha visto esplodere sulla scena digitale una nuova star: la “prof del corsivo”. Con una serie di video divertenti e ironici, Elisa Esposito ha conquistato il cuore degli utenti del web, insegnando loro le sfumature e le peculiarità dell’accento milanese. Il successo è stato tale da portarla sugli schermi televisivi, dove ha consolidato la sua fama.

Ma dietro questa rapida ascesa, si nasconde una piccola polemica. Diversi addetti ai lavori e colleghi influencer hanno infatti fatto notare come l’ironia sul corsivo milanese non fosse una novità assoluta. Anzi, molti di loro avevano già sperimentato questo filone comico molto prima della sua esplosione mediatica.

La domanda che sorge spontanea è: chi ha inventato la ruota? O, in questo caso, chi ha per primo ironizzato sul corsivo? È giusto che una sola persona si appropri di un trend e ne diventi il simbolo indiscusso, o è più corretto riconoscere il contributo di tutti coloro che hanno contribuito a renderlo popolare?

I social media, da un lato, offrono a chiunque l’opportunità di diventare famoso e di esprimere la propria creatività. Dall’altro, però, la viralità che contraddistingue certi contenuti amplifica fenomeni come il “copia e incolla” e la difficoltà nel riconoscere l’originalità. In un mondo dove l’attenzione è sempre più frammentata, è facile che idee e contenuti vengano ripresi e rielaborati da più persone, spesso senza che venga citata la fonte originale.

Questa vicenda ci insegna l’importanza di riconoscere e valorizzare il lavoro degli altri. Anche quando un’idea diventa virale e raggiunge un vasto pubblico, è fondamentale ricordare chi l’ha concepita per prima. Inoltre, ci invita a riflettere sulla natura effimera della fama online e sulla necessità di costruire un’identità digitale autentica e duratura.

La storia della “prof del corsivo” è solo uno dei tanti esempi di come i social media stiano trasformando il nostro modo di comunicare e di consumare contenuti. In questo nuovo scenario, è fondamentale saper distinguere tra originalità e imitazione, e promuovere una cultura del riconoscimento reciproco. Solo in questo modo potremo creare un ambiente online più sano e più equo per tutti.




La recitazione su TikTok: tra autenticità, meritocrazia e capacità

La recitazione su TikTok: tra autenticità, meritocrazia e capacità

Negli ultimi anni, TikTok è diventato un terreno fertile per la nascita di nuove forme di intrattenimento, tra cui la recitazione. Influencer e content creator si cimentano in sketch, doppiaggi e mini-serie, conquistando il pubblico con la loro creatività e ironia. Ma quanto la loro performance è autentica recitazione? E quanto conta il talento in un mondo dove il successo è spesso determinato da altri fattori?

Per molti, TikTok rappresenta una piattaforma democratica che permette a chiunque di mostrare il proprio talento e di emergere, indipendentemente da background o provenienza. La facilità d’uso del social e la brevità dei video incoraggiano la sperimentazione e la spontaneità, dando vita a nuove forme di espressione artistica.

In questo contesto, la recitazione non è più relegata ai palcoscenici tradizionali, ma diventa accessibile a tutti, con la possibilità di raggiungere un pubblico vastissimo. Nasce così una nuova generazione di attori, spesso autodidatti, che si formano attraverso tutorial online e il confronto con la community. Ed è qui che l’influencer Giulia Salemi, effettua uno sketch drammatico ripreso da Francesca Santaniello, attrice.

Tuttavia, questa democratizzazione della recitazione non è priva di rischi. La brevità dei video e la ricerca costante dell’effetto virale possono portare a una recitazione superficiale e poco curata. Inoltre, l’algoritmo di TikTok premia spesso contenuti leggeri e divertenti, a discapito di lavori più complessi e impegnativi.

Inoltre, la popolarità su TikTok non sempre rispecchia il talento recitativo. Il successo può essere determinato da fattori esterni come la bellezza, la simpatia o la capacità di creare trend. Questo può creare senso di ingiustizia e frustrazione tra chi investe tempo e impegno nella propria formazione artistica, senza ottenere il giusto riconoscimento.

Un futuro incerto per la recitazione su TikTok

Il futuro della recitazione su TikTok è ancora incerto. Da un lato, la piattaforma ha il potenziale per far emergere nuovi talenti e dare vita a nuove forme di espressione artistica. Dall’altro, il rischio di superficialità e la mancanza di meritocrazia non possono essere ignorati.

Sarà importante trovare un equilibrio tra la democratizzazione dell’arte e la valorizzazione del talento. Forse la soluzione sta nel promuovere una maggiore formazione e un’educazione critica del pubblico, in modo che sia in grado di apprezzare la recitazione di qualità, indipendentemente dalla piattaforma su cui viene proposta.

In conclusione, la recitazione su TikTok è un fenomeno complesso con luci e ombre.

Offre nuove opportunità per gli artisti emergenti, ma allo stesso tempo presenta dei rischi che non possono essere sottovalutati. Il tempo dirà se questa nuova forma di espressione artistica riuscirà a superare le sue criticità e ad affermarsi come un terreno fertile per il talento e la creatività.