1

Molestie sui mezzi di trasporto: il ruolo delle influencer nella lotta contro gli abusi

Molestie sui mezzi di trasporto: il ruolo delle influencer nella lotta contro gli abusi

Recentemente l’attenzione pubblica è stata catturata da due episodi che hanno visto protagoniste due influencer italiane: Giulia Salemi e Aida Diouf. Entrambe hanno denunciato sui propri canali social le proprie esperienze di molestie subite sui mezzi di trasporto, contribuendo a sollevare un dibattito cruciale su come affrontare e prevenire tali abusi.

Giulia Salemi ha denunciato di essere stata molestata da un tassista. Le sue accuse sono state supportate da registrazioni audio in cui si sentono chiaramente le avances improprie ricevute. Giulia ha il merito della prontezza di spirito documentando direttamente l’accaduto, così da ottenere prove tangibili che potrebbero essere utilizzate per azioni legali e per sensibilizzare il pubblico sui comportamenti inaccettabili. Il coraggio poi dimostrato nel rendere pubbliche queste registrazioni ha avuto un impatto significativo, suscitando solidarietà e accrescendo la consapevolezza riguardo al problema delle molestie sui mezzi di trasporto.

Aida Diouf ha in vece raccontato le molestie subite su un treno. Sebbene abbia documentato l’accaduto attraverso video e testimonianze, non ha ripreso direttamente l’aggressore. Il suo racconto ha comunque messo in luce la gravità della situazione, contribuendo a stimolare il dibattito sull’importanza di garantire la sicurezza pubblica.

Questi episodi dimostrano quanto sia efficace e funzionale condividere tali esperienze sui social media. Da un lato, l’atto di raccontare pubblicamente queste esperienze può avere un’importante funzione educativa e sociale. Fornisce visibilità a problematiche che spesso rimangono invisibili e permette ad altre persone di sentirsi meno sole. Inoltre, promuove una maggiore consapevolezza e può incoraggiare le vittime a parlare e a denunciare gli abusi.

Dall’altro lato, la pubblicazione di tali contenuti può sollevare dubbi relative a privacy e sicurezza delle vittime. Le registrazioni e i racconti potrebbero esporre ulteriormente le persone coinvolte, inclusi potenziali aggressori, e suscitare una varietà di reazioni che vanno dall’empatia alla colpevolizzazione. È quindi essenziale che la condivisione di queste esperienze sia gestita con cautela, bilanciando il diritto alla privacy con il bisogno di denuncia e di cambiamento sociale.

Il fine educativo di queste condivisioni sui social media è chiaro: sensibilizzare l’opinione pubblica, educare su comportamenti inaccettabili e stimolare un cambiamento culturale verso una maggiore rispetto e sicurezza per tutti. Tuttavia, è fondamentale che tali iniziative siano accompagnate da misure adeguate di protezione delle vittime e da una riflessione critica su come tali contenuti vengano utilizzati e interpretati.

In sintesi, la condivisione delle esperienze di molestie da parte di influencer come Giulia Salemi e Aida Diouf ha il potenziale di portare a una maggiore consapevolezza e a cambiamenti positivi, ma è cruciale che avvenga in modo responsabile e rispettoso della dignità di tutti i soggetti coinvolti.




IL CASO DI ELISA ESPOSITO E LA CULTURA NEL MONDO DEGLI INFLUENCER

IL CASO DI ELISA ESPOSITO E LA CULTURA NEL MONDO DEGLI INFLUENCER

Elisa Esposito, l’influencer che ha guadagnato notorietà come “professoressa del corsivo” grazie alla sua imitazione esagerata della cadenza milanese, è stata ospite di una trasmissione radiofonica che ha rapidamente acceso un dibattito acceso sulla cultura nel mondo degli influencer. Durante la trasmissione, Elisa è stata invitata a leggere uno dei versi più celebri della Divina Commedia di Dante Alighieri, ma la sua reazione ha lasciato molti allibiti: non ha riconosciuto il testo, manifestando una sorprendente mancanza di familiarità con uno dei pilastri della letteratura italiana.

L’incidente ha sollevato una domanda cruciale: quanto è importante per un influencer essere colto? E, d’altro canto, quanto invece vengono premiati coloro che, pur non avendo solide competenze culturali, possiedono altre qualità, come talento nell’intrattenimento e capacità comunicativa?

Elisa Esposito ha costruito la sua fama su un personaggio che sfrutta l’accento milanese in modo caricaturale, guadagnando un vasto seguito sui social media. Il suo successo dimostra come oggi, in un’epoca dominata dall’intrattenimento rapido e immediato, l’autenticità o l’abilità di far sorridere possano avere un impatto ben maggiore della conoscenza culturale tradizionale. Tuttavia, il suo scivolone sulla Divina Commedia ha fatto emergere i limiti di questa forma di popolarità.

Da un lato, molti ritengono che un’influencer come Elisa, che ha un seguito ampio e variegato, dovrebbe possedere almeno una conoscenza di base delle opere e delle figure culturali più importanti del proprio paese. Essere un volto pubblico comporta una responsabilità verso i propri follower, e la mancanza di consapevolezza culturale può essere vista come un esempio negativo, soprattutto per i più giovani, che spesso si ispirano ai loro idoli online.

Dall’altro lato, la realtà del mondo degli influencer mostra che le competenze culturali non sono sempre essenziali per ottenere successo. In molti casi, ciò che conta di più è la capacità di intrattenere, creare contenuti virali e costruire un personaggio accattivante. Questa dinamica premia coloro che, come Elisa Esposito, riescono a catturare l’attenzione del pubblico attraverso mezzi non convenzionali, anche a costo di sacrificare la profondità culturale.

Il caso di Elisa Esposito evidenzia un cambiamento significativo nella società moderna, dove la cultura e l’istruzione formale non sono più gli unici criteri per il successo. Al contrario, il carisma, l’abilità di comunicazione e l’originalità possono essere sufficienti per costruire una carriera di successo online. Tuttavia, questo solleva interrogativi su quali valori stiano realmente guidando la società e su come i nuovi modelli di ruolo influenzino la percezione della cultura tra le nuove generazioni.

In conclusione, mentre il mondo degli influencer continua a evolversi, il caso di Elisa Esposito ci ricorda l’importanza di un equilibrio tra intrattenimento e cultura. Anche se il successo può essere raggiunto attraverso vie non convenzionali, la conoscenza e l’apprezzamento del patrimonio culturale restano valori fondamentali, non solo per chi aspira a essere un modello di riferimento, ma per la società nel suo insieme.




Perché ci ricordiamo tutti dove eravamo e cosa stavamo facendo l’11 settembre 2001

Perché ci ricordiamo tutti dove eravamo e cosa stavamo facendo l'11 settembre 2001

Ci sono date e immagini che segnano più di altre la storia. Senza dubbio una di queste è l’11 settembre 2001, giorno dell’attentato alle Torri Gemelle. Negli Stati Uniti erano le 8.45 (in Italia le 14.45) quando il primo aereo si schiantò contro una delle torri del  World Trade Center a New York. Venti minuti più tardi un secondo aereo fece lo stesso. Sono passati esattamente 21 anni; ma pensateci bene, vi ricordate tutti con precisione – pochissimi esclusi – cosa stavate facendo e dove eravate in quel momento. E c’è un perché.

Perché ci ricordiamo tutti dove eravamo e cosa stavamo facendo l’11 settembre

A spiegarci questo curioso fenomeno sono le neuroscienze, che svelano cosa accade nel nostro cervello una volta che siamo sottoposti a eventi di altissimo impatto emotivo. Ed è innegabile che – sebbene avvenuto dall’altra parte del mondo – l’attacco alle Twin Towers lo sia stato.

Responsabile di questo meccanismo è un ormone chiamato cortisolo e prodotto dal surrene su “richiesta” del cervello. In pratica, nei momenti di maggiore stress emotivo determina l’aumento di glicemia e grassi nel sangue, mettendo a disposizione del nostro corpo tutta l’energia di cui ha bisogno per sostenere lo sforzo emotivo.

Ci sono date e immagini che segnano più di altre la storia. Senza dubbio una di queste è l’11 settembre 2001, giorno dell’attentato alle Torri Gemelle. Negli Stati Uniti erano le 8.45 (in Italia le 14.45) quando il primo aereo si schiantò contro una delle torri del  World Trade Center a New York. Venti minuti più tardi un secondo aereo fece lo stesso. Sono passati esattamente 21 anni; ma pensateci bene, vi ricordate tutti con precisione – pochissimi esclusi – cosa stavate facendo e dove eravate in quel momento. E c’è un perché.

https://15dbc80d0ff27fff3ea7a7a8bdd04ea8.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-40/html/container.html

Perché ci ricordiamo tutti dove eravamo e cosa stavamo facendo l’11 settembre

A spiegarci questo curioso fenomeno sono le neuroscienze, che svelano cosa accade nel nostro cervello una volta che siamo sottoposti a eventi di altissimo impatto emotivo. Ed è innegabile che – sebbene avvenuto dall’altra parte del mondo – l’attacco alle Twin Towers lo sia stato.

Responsabile di questo meccanismo è un ormone chiamato cortisolo e prodotto dal surrene su “richiesta” del cervello. In pratica, nei momenti di maggiore stress emotivo determina l’aumento di glicemia e grassi nel sangue, mettendo a disposizione del nostro corpo tutta l’energia di cui ha bisogno per sostenere lo sforzo emotivo.

Nel libro del giornalista Luca Poma “Il sex appeal dei corpi digitali” compare un intervento illuminante sul tema – dello svedese Lars Olov Bygren, specialista di medicina preventiva al Karolinska Institute – in cui si ricorre proprio all’esempio della memoria legata all’11 settembre.

“Se viviamo un un momento altamente emozionante, e quindi stressante per il cervello, l’ormone cortisolo fa da mediatore in un processo che porta alla fortissima impressione di quell’evento nella memoria. E’ per questo che tutti ci ricordiamo cosa stavamo facendo e dove fossimo l’11 settembre 2001.”

Occhio ai ricordi distorti, però…

Occhio, però, perché può darsi che se chiediamo a qualcuno dove era e cosa stava facendo potrebbe anche dirci una bugia inconsapevole. Uno studio   pubblicato sul Journal of Experimental Psychology, bimensile dell’Associazione Psicologica Americana, ha dimostrato che alcuni vantano ricordi dei quali sono convinti – in relazione a dove fossero e cosa stessero facendo l’11 settembre 2001 – ma non è affatto detto si tratti della verità.

Lo studio dice che di fronte a eventi particolarmente traumatici il cervello umano sia in grado di distorcere i fatti confondendoli con percezioni emotive. E va così che nel nostro subconscio costruiamo un nuovo ricordo che si mischia con quanto realmente accaduto. Il tutto in assoluta buona fede.

 Cosa accadde l’11 settembre 2001

L’11 settembre 2001 quattro attacchi aerei suicidi, realizzati mediante dirottamento aereo, causarono la morte di oltre 2.996 persone, ferendone oltre 6.000. A capo della strage un gruppo di terroristi aderenti ad al-Qāʿida. Tre su quattro raggiunsero il bersaglio designato: le Torri Nord e Sud del World Trade Center di New York – che si sgretolarono in poche ore imprimendo un quadro apocalittico nella memoria collettiva – e il Pentagono. Si riuscì a evitare soltanto l’impatto contro l’ultimo possibile obiettivo a Washington ovvero la Casa Bianca o il Campidoglio. Anche il quel caso, però, per i passeggeri del volo dirottato non ci fu scampo: andarono incontro a uno schianto mortale in un campo della Pennsylvania.




Il romanzo di una scrittrice cinese è stato censurato mentre era ancora in bozza sul suo computer

Il romanzo di una scrittrice cinese è stato censurato mentre era ancora in bozza sul suo computer

Una scrittrice cinese che si firma con lo pseudonimo di Mitu si è vista negare l’accesso al romanzo a cui stava lavorando mentre era ancora in bozze sul suo computer. Cercando di aprirlo compariva un avviso che diceva che il file era stato bloccato per “contenuti sensibili”.

Il testo, da circa un milione di parole, era salvato sul programma WPS, un’alternativa cinese a un word processor in stile Google Docs e Office che funziona con il cloud. La scrittrice ha raccontato l’accaduto su forum di letteratura cinese, Lkong, e il suo post è stato poi rilanciato da alcuni influencer di Weibo, il Twitter locale, come ricostruisce la Mit Technology Review, la rivista del celebre istituto americano. La denuncia ha aperto una discussione su che controllo possono operare per conto del governo le compagnie tecnologiche.

La risposta è semplice: non ci sono limiti. Pechino ha più volte bacchettato le sue aziende digitali per la gestione dei dati degli utenti, ma il concetto di privacy non esiste quando è applicato alla censura governativa, che è sempre più preventiva. A giugno 2022, l’agente regolatore del web ha reso pubblica la bozza di un aggiornamento della direttiva vigente che obbligherebbe le piattaforma social e le aziende ad applicare una censura preventiva sui contenuti e i commenti degli utenti ancor prima che vengano pubblicati. Il che significa verificarli mentre vengono scritti o tenerli in attesa prima che vadano online per vagliarli. La notizia era stata data in Occidente da Insider.

Durante il durissimo lockdown di Shangai la censura era così soffocante che gli artisti, per aggirarla, hanno dovuto usare gli Nft, quella forma di arte digitale certificata che grazie alla blockchain può essere tanto ufficiale quanto anonima.

Dei manifesti in NFT di PopagandaShangai su OpenSea.

Alla fine, la scrittrice cinese, Mitu, è riuscita ad accedere di nuovo al suo romanzo, secondo il South China Morning Post. La software house WPS ha negato di aver escluso l’autrice dal file, ma ha anche ribadito di essere obbligata dalla legge cinese a controllare ogni documento. Il che, nel caso di Mitu, è sorprendente se si considera che si trattava di un testo da più di un milione di parole. Su Weibo, intanto, altri scrittori hanno raccontato di esperienze simili. In un caso le loro testimonianze sono state persino riprese da media statali come l’Economic Observer, che ha riportato la storia di Liu Hui, sempre uno pseudonimo, tagliata fuori da un documento di 10 mila parole a luglio. L’incidente di Mitu risale invece a giugno (il romanzo era comunque accessibile con altri programmi).

Una delle ragioni per cui i documenti cloud non sono sicuri è l’assenza della crittografia end-to-end tra utente e aziende, il che permette a quest’ultima, volendo, di spiare il contenuto del cliente.

La tecnologia garantisce a un regime avanzato e autoritario come quello cinese di imporre forme di controllo che non hanno nulla da invidiare al Grande Fratello di Orwell e che sono anzi ben più subdole e precise. Per aggirare la censura preventiva digitale gli autori finiranno per tornare alla classica macchina per scrivere.




Elisabetta Canalis nella polemica per lo spot San Benedetto: “Un invito a saltare la colazione”, “Fatti un favore, non fare più pubblicità”

Elisabetta Canalis nella polemica per lo spot San Benedetto: “Un invito a saltare la colazione”, “Fatti un favore, non fare più pubblicità”

Elisabetta Canalis beve solo acqua a colazione. Sullo spot della San Benedetto scoppiano feroci polemiche. “È diet culture”. “Un messaggio che si può interpretare come invito a saltare il pasto più importante della giornata”. Ecco la story della pubblicità incriminata. La showgirl si è appena alzata tutta contenta e positiva. Si stiracchia felice quando scopre, ahinoi, che la fetta di pane messa a tostare per la colazione si è bruciata. Allora che fa? Prende la sua bottiglietta d’acqua, sorride ed esce. Non per andare al bar ma in ufficio, dove la vediamo felice di aver scoperto la sua acqua ricca di minerali per colazione. Sulla scrivania c’è la rivista Vanity Fair. In copertina c’è proprio lei: Elisabetta, la star.

Qual è il segreto del suo benessere? Questo le chiede il suo clona dalla pagina patinata. L’acqua ovviamente. Le critiche sul web scoppiano violente. Non solo saltare per la protagonista dello spot la colazione sarebbe salutare ma addirittura un esempio per raggiungere la bellezza. Quella da giornale di moda su cui svettano top model e attrici. Fra i contestatori in prima linea c’è Aestetica Sovietica, la rivista di analisi del linguaggio della politica sociale e stereotipi di genere, che su Instagram pubblica un post dal titolo “Il problematico spot con Elisabetta Canalis”. E scrive: “Magari è devianza? O magari Agcom (l’autorità per la garanzia nelle comunicazioni) dovrebbe intervenire?”. Tanti gli stereotipi nello spot. Richiamano uno standard di bellezza femminile assunto a modello per tutte. Ma nel caso specifico l’impegno per il suo raggiungimento sarebbe assurdamente incoerente: “Hai fame? Bevi”.

La showgirl è testimonial di tutta la linea San Benedetto, dall’acqua minerale ai succhi di frutta alle bevande zero. E questo non è l’unico spot a gettarla al centro di critiche pesanti. In quasi tutti però risponde alla domanda: “Qual è il tuo segreto?” con la bottiglietta del prodotto da bere. “Un’acqua leggera con tanti nutrienti preziosi!” E lo fa da bellissima, dall’alto dei suoi tacchi e del suo fisico statuario. È automatico pensare che il prodotto pubblicizzato possa essere interpretato come un sostituto della colazione. E’ questo il messaggio che fa capolino anche negli altri spot di prodotti San Benedetto che la vedono testimonial. Ecco un esempio: “Quanto conta per te la colazione?”. E lei: “Da uno a dieci? Zero. Succoso zero!”. La Canalis risponde con un gioco di parole che fa il verso al nome del succo di frutta, no zuccheri, sponsorizzato.

Secondo Aestetica sovietica, che invoca anche l’intervento di Iap (l’istituto di autodisciplina pubblicitaria) sarebbe l’ennesimo messaggio negativo inneggiante alla ‘diet culture’. La cultura della privazione del cibo che infuoca ancora di più il dibattito sui disturbi alimentari, di cui l’anoressia è argomento di studio e sensibilizzazione da decenni.

Insiste: “Impossibile non mettere in correlazione il fatto che abbia saltato la colazione con le indicazioni specifiche sulle sostanze nutrienti che l’acqua contiene”. Mica la si vede andare al bar a prendere cappuccino e brioche. Da casa sua va direttamente in ufficio, nello spot, con la sua bottiglietta d’acqua. E parla con l’immagine della rivista. “La fame causata dalla mancata colazione la porta a uno stato di delirio nel quale parla con la prima pagina di una rivista” chiosa un follower su Instagram. Attacca un altro: “Probabilmente sente le voci. Allucinazioni da stenti”. Infine: “Si è persa in un bicchier d’acqua”, ironizza un commentatore. “Elisabetta, fai un favore a te stessa: non fare più pubblicità o scegli un agente che ti consigli meglio!” si legge in un altro intervento.

E già. Non è la prima volta che gli spot interpretati da Elisabetta Canalis scatenano polemiche. Il recente “La mia Liguria” con cui lei sponsorizza le bellezze del territorio per Regione Liguria è stato molto chiacchierato. La showgirl apre così. Dopo aver pronunciato lo slogan “La Liguria è di tutti”, presenta la sua personale scelta: piazzetta di Portofino, calice di bollicine in barca, vista dalle vetrate di un grattacielo dello skyline come fosse a New York. Sono intervenuti pure i Pirati dei Caruggi con un contro-spot. Ovviamente comico. Si parla di rumenta, di spiagge affollate, di traffico per raggiungere i lidi promessi.