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Position Paper 01 – ASSERZIONI ETICHE CRITERI DI SCELTA PER DICHIARAZIONI AFFIDABILI, ACCURATE E CREDIBILI

Position Paper 01 – ASSERZIONI ETICHE CRITERI DI SCELTA PER DICHIARAZIONI AFFIDABILI, ACCURATE E CREDIBILI

Diligentia ritiene la scelta di un’asserzione etica debba essere effettuata in base a criteri di accuratezza, affidabilità e credibilità degli elementi e metriche di valutazione, di competenza di chi effettua le verifiche e, soprattutto, di credi­bilità e affidabilità di chi verifica/valida tali asserzioni in conformità a norme riconosciute a livello internazionale.

Il Position Paper, frutto di un esercizio di scrittura collettiva cui hanno partecipato numerosi soci di Diligentia e special invitees in rappresentanza di organismi istituzionali, è articolato in 3 parti.

La prima parte è focalizzata sull’analisi del­la domanda di informazioni sulle prestazioni etiche delle organizzazioni proveniente dal quadro normativo emergente e dai diversi Sta­keholders.

La seconda parte contiene i 16 criteri proposti da Diligentia per scegliere un’asserzione etica accurata, credibile, affidabile con una verifi­ca/validazione di terza parte indipendente.

La terza parte mette in evidenza il modo in cui i diversi Stakeholders possono adottare nei propri processi i criteri elencati nella parte 2 e i relativi vantaggi.

A questo link, il form per scaricare gratuitamente il documento completo




La comunicazione come strumento (non) ancillare ai progetti di Welfare culturale

La comunicazione come strumento (non) ancillare ai progetti di Welfare culturale

Abstract

La comunicazione dei progetti di welfare culturale – che con la sempre maggior diffusione delle piattaforme digitali 2.0 deve includere preoccupazioni inedite, e richiede padronanza e specializzazione su specifici linguaggi – perde quindi il proprio carattere “ancillare” al contenuto dei progetti stessi (un “di cui” della progettazione), ed assume invece un ruolo centrale, sostanziale e indifferibile, funzionale a garantire il buon fine degli stessi attraverso un adeguato coinvolgimento della cittadinanza, che è poi lo scopo ultimo della progettazione culturale.

Keywords: Welfare culturale, progetti di welfare, comunicazione, digitale, stakeholder engagement, citizen empowerment, rendicontazione

Testo

La letteratura più recente in materia, con particolare riferimento ad alcuni settori scientifici – segnatamente scienze della comunicazione e reputation management – conferma l’importanza della comunicazione nella costruzione delle relazioni.

Senza costruzione di relazioni, non esiste divulgazione efficace; e senza divulgazione efficace non esiste stakeholder engagement; e senza stakeholder engagement non esiste costruzione di valore mediante i progetti di welfare culturale.

Quindi, possiamo osservare come una comunicazione assente o inefficace genera scarso coinvolgimento della cittadinanza, o più specificatamente del pubblico target di un certo progetto, con conseguente mancata “messa a terra” delle iniziative.

Toni Muzi Falconi, considerato da molti il “padre” delle relazioni pubbliche italiane, già nel 2005 diede un’articolata definizione dell’unico modello di comunicazione efficace al fine di generare stakeholder engagement: parliamo del cosiddetto ”modello di Gruning”.

Questo modello prevede una comunicazione pienamente “a due vie”, nell’ambito del quale i pubblici, gli influenti e gli stakeholder sono ascoltati continuamente, mediante un dialogo che genera un effettivo allineamento e condivisione di valori e obbiettivi, anche attraverso, se necessario, il progressivo riposizionamento e la modifica degli stessi.

Gli interessi dell’organizzazione che promuove il progetto e dei suoi pubblici, in questo confronto continuo, si vanno quindi a sovrapporre fino a coincidere, orientando in modo armonico sia le strategie dell’organizzazione proponente, che le opinioni e i desideri dei vari pubblici coinvolti. Una vera e propria “contaminazione”, quindi, tra chi progetta l’intervento e chi ne beneficia.

Il modello di Gruning è infatti definito “simmetrico a due vie”, in quanto la comunicazione tra organizzazione e i suoi stakeholder è reciproca, e i due attori rivestono un ruolo avente sostanzialmente – in linea di principio – lo stesso potere.

Potremmo in questo caso parlare di “conversazione” con i propri pubblici: un dialogo nel quale l’organizzazione che propone il progetto ricopre il ruolo di attento ascoltatore e attivo interprete, in modo da stimolare un dialogo dinamico con i pubblici influenti, volto a far coincidere il più possibile – armonicamente – gli obiettivi di entrambi.

Solo attraverso l’ascolto attivo dei propri pubblici e la continua interazione con essi sarà possibile immaginare e “costruire scenari futuri”, aumentando il valore dell’organizzazione e dei progetti da essa proposti, e, nel contempo, prendendosi cura della società che circonda l’organizzazione stessa, integrando strategicamente preoccupazioni di carattere etico nella sua attività.

Secondo questo modello, le organizzazioni pubbliche e private non vengono più percepite come “confezionatrici/erogatrici di progetti” – atteggiamento tra l’altro di sapore vagamente auto-referenziale – bensì come “negoziatrici di obiettivi e di valori”, in un processo continuo di proficua contaminazione con la propria audience.

Anello non certamente ultimo per importanza di questo processo di engagement, è il momento della rendicontazione ex post dei progetti, che – come dimostra la letteratura in materia – è lo strumento principe di comunicazione attraverso cui passa la costruzione e lo sviluppo del capitale relazionale dell’organizzazione, pubblica o privata che sia.

Rendicontazione che non deve esaurirsi con un mero adempimento burocratico (magari al fine di sbloccare il saldo di un contributo a fondo perduto) bensì dovrebbe trasformarsi essa stessa in un momento di stakeholder engagement: una rendicontazione, quindi, attraverso la quale le organizzazioni proponenti i progetti dovrebbero rendere note le informazioni riguardanti i progetti andati a buon fine, integrate – aspetto questo non trascurabile – con la valutazione delle performance del progetto sul piano ambientale, sociale ed economico, od eventualmente – perché no – anche su quelli non andati a buon fine, o che per qualunque motivo hanno sotto-performato, analizzandone criticamente i motivi, secondo il principio del comply or explain.

Sui moderni stumenti di rendicontazione dei progetti sociali si aprirebbe un capitolo che ci porterebbe troppo lontano: il riferimento implicito è alla copiosa letteratura relativa al reporting integrato, tema sul quale tra l’altro stanno lavorando diversi framework internazionali anche in ambito professionale (segnatamente la Value Reporting Foundation, ex IIRC e SASB).

Voglio solo in questa sede evidenziare come da tempo la dottrina si sia evoluta passando da procedure di mera rendicontazione ex post dei singoli progetti (rendicontazione come “prodotto”), alla rendicontazione a flusso continuo, 365 giorni all’anno, sulle attività dell’organizzazione culturale/sociale proponente i progetti: una rendicontazione intesa quindi come un “processo”, un “flusso senza soluzione di continuità”.

In definitiva, il rispetto dei requisiti imprescindibili per un’adeguata comunicazione (sintetizzabili in: visibilità, autenticità, trasparenza, coerenza e attivo coinvolgimento della audience) può contribuire in modo decisivo al buon esito delle relazioni con i portatori di interesse, e allo sviluppo ottimale del capitale relazionale dell’organizzazione che propone progetti di welfare.

La comunicazione dei progetti di welfare culturale – che con la sempre maggior diffusione delle piattaforme digitali 2.0 deve includere preoccupazioni inedite, e richiede padronanza e specializzazione su specifici linguaggi – perde quindi il proprio carattere “ancillare” al contenuto dei progetti stessi (un “di cui” della progettazione), ed assume invece un ruolo centrale, sostanziale, indifferibile, funzionale a garantire il buon fine degli stessi attraverso un adeguato coinvolgimento della cittadinanza, che è poi lo scopo ultimo della progettazione culturale.

Mi piace concludere questa mia introduzione al panel con una riflessione di una delle “madri” del welfare culturale in Italia, Catterina Seia, quando dice (cito verbatim): Oggi sussistono le condizioni per un vero e proprio ridisegno del welfare: generativo e di comunità, non più riparativo e assistenziale. In questa cornice, si iscrivono le potenzialità della cultura come fattore abilitante trasversale per la creazione di contesti salutogenici e in grado di promuovere anche empowerment dei cittadini. Tutto ciò, non può che passare da un coinvolgimento attivo delle persone e degli attori sociali, con una negoziazione di valori che vanno co-costruiti. La stessa presenza in ogni documento di policy europeo dell’enfasi sui processi di co-costruzione si fonda proprio su questi principi”

Ecco, in questo scenario, ben disegnato da Seia, la comunicazione come ho detto deve uscire da un ruolo ancillare, addirittura percepito come “frivolo” e a volte, a tratti, svilente del contenuto progettuale, e deve diventare invece forma-mentis: non dev’essere confezionata “a valle”, ma deve diventare una risorsa centrale nell’attivazione e costruzione di un vero cambiamento culturale a favore della cittadinanza.

Integrando processi e strategie di buona comunicazione nei progetti, il welfare culturale – per citare sempre Seia – diventa un modo di stare al mondo, di lavorare insieme, per favorire qualità sociale, autodeterminazione dei popoli e – perché no – giustizia. 

Grazie per la vostra attenzione nell’ascoltarmi, su un tema peraltro non scontato e di stringente attualità come la comunicazione dei progetti di welfare culturale.

Passo con piacere a presentarvi il primo relatore di questo panel (segue dopo la Bibliografia)

Breve bibliografia:

  • Ang S.H., Wight M-M., Building Intangible Resources: The Stickiness of Reputation, Corporate reputation Review, Vol. 12, No. 1, pp. 21-32. 2009
  • Brioschi A., Uslenghi, A., White Space: comunicazione non convenzionale, Egea Editrice, 2009
  • Cloninger, C.R.,  Feeling Good: the Science of Well-Being, Oxford University Press, New York, 2004
  • Cuomo M. T., Tortora D., Metallo G., Misurare il contributo della comunicazione alla corporate reputation per la creazione di valore, Sinergie, n. 90, p. 168, 2013
  • Eccles G.R, Ioannou I., Serafeim G., The impact of corporate culture of sustainability on corporate behavior and performance, Harvard Business School, 2012
  • Grunig J., Two-way symmetrical public relations: past, present, and future, in R.L. Heath, Handbook of Public Relations, Sage, Thousand Oaks CA 2001, pp. 11-30; doi 10.4135/9781452220727.n1
  • Grunig, J., Two-way symmetrical public relations: past, present, and future, In R. L. Heath Handbook of public relations (pp. 11-30). Thousand Oaks, CA: SAGE Publications, Inc. 2001, doi: 10.4135/9781452220727.n1 APA
  • Lampagnano, S. P., Digital reputation management, Maggioli Editore (Apogeo), Milano, 2016
  • Morin E., Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, Milano, 1993
  • Muzi Falconi T., Governare le relazioni. Obiettivi, strumenti e modelli delle relazioni pubbliche, Il Sole 24Ore, Milano, 2003
  • Poma L, Grandoni G, Il reputation management spiegato semplice, Celid Edizioni, Torino, 2021
  • Poma, L, “Strumenti innovativi per la mappatura degli stakeholder
    e per la rendicontazione integrata”
    , XIX° convegno International Marketing Trends Conference, gennaio 2019
  • Romenti S., Valutare i risultati della comunicazione. Modelli e strumenti per misurare la qualità delle relazioni e della reputazione, Franco Angeli, Milano, p. 156, 2005
  • Romiti S., Corporate governance e reputazione: dallo stakeholder relationship management allo stakeholder engagement, Impresa Progetto, n. 2, p. 2. 2008
  • Salovey, P., Sluyter D., J., (a cura di) Emotional development and Emotional Intelligence: educational implications, New York: Basic Books, 1997
  • Vecchiato Giampietro, Relazioni pubbliche e comunicazione, FrancoAngeli, Milano, 2003
  • Vicari S., Verso il Resource-Based Management, in Vicari S. (a cura di), (1995), Brand Equity. Il potenziale generativo della fiducia, Egea, Milano, p. 17

PRESENTAZIONI PANELIST

  • La Dott.ssa Emanuela Reale è Dirigente di ricerca del CNR e attualmente direttrice dell’IRCRES – Istituto di Ricerca sulla Crescita Economica Sostenibile. Si occupa di politiche dell’università e della ricerca, con particolare attenzione ai problemi di governance delle università, alle politiche di finanziamento del settore pubblico della ricerca, e ai metodi e strumenti per la valutazione dei risultati della ricerca. Tra gli altri incarichi, è co-editor della rivista internazionale Research Evaluation e Presidente del Forum Europeo per la Ricerca e l’Innovazione. Tra le sue diverse pubblicazioni, possiamo ricordare il numero speciale nella rivista Welfare & Ergonomia che contiene una serie di contributi sulla struttura e l’organizzazione della ricerca pubblica in Italia, e sul passaggio verso un nuovo modello di relazioni tra scienza e società.
  • Presento ora con piacere la collega Franca Maino, dell’Università degli Studi di Milano, dove dirige il Laboratorio “Percorsi di secondo welfare”, e dove insegna “Politiche Sociali e del Lavoro”. La Prof. Maino è tra le altre cose membro del Comitato di redazione di “Stato e Mercato” e della “Rivista Italiana di Politiche Pubbliche”, è membro di autorevoli comitati scientifici di fondazioni e centri studi nonché del CdA dell’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo. Tra le numerose sue pubblicazioni, ho piacere di ricordare i cinque Rapporti biennali sul secondo welfare in Italia, assai significativi per i temi che trattiamo oggi.
    Il suo intervento verterà sul rapporto tra Welfare e cultura, con riferimento particolare alle trasformazioni in atto a livello locale, che vedono una pluralità di attori collaborare all’interno delle reti territoriali, e sulla dimensione culturale come una leva per il rinnovamento del welfare stesso.
  • La Dott. sa Alexa Pantanella, ex discente della mia stessa università, la LUMSA, ha lavorato tra Roma e Milano per importanti multinazionali, sia all’estero che in Italia (una tra tutte, Luxottica, azienda di assoluta eccellenza per la quale ha diretto il marketing e la comunicazione). Alla fine di questo mese, uscirà un suo libro, uno dei primissimi testi in Italia veramente esaustivi sul tema del linguaggio inclusivo. È fondatrice di Diversity and Inclusion Speaking, con la quale porta avanti progetti sul tema del linguaggio e dell’inclusione, argomenti sui quali si concentra il suo intervento di oggi, nel tentativo di rispondere – tra le altre – a una domanda saliente: come alcune espressioni – spesso di uso corrente – rischiano di rallentare il cambiamento culturale di cui c’è bisogno nella nostra società?



IL SOLE È SORTO DA TEMPO: MA NON CE NE SIAMO ACCORTI

IL SOLE È SORTO DA TEMPO: MA NON CE NE SIAMO ACCORTI

Ho letto con interesse sul vostro magazine online il pezzo dal titolo Trovare l’alba dentro l’imbrunire: ha ragione la giornalista, il passaggio da una società massificata, con una risposta preconfezionata eguale per tutti, a una società centrata sulle relazioni, è ormai una realtà. Per la stessa ragione, cresce l’interesse delle aziende per i digital-influencer in grado di parlare a una audience piccola, micro, a volte nano, ma molto mirata e realmente ingaggiata: da Chiara Ferragni, che pure mantiene il suo appeal (ma costa molti denari) a Il Giallino, ad esempio, ragazzo che parla ad altri ragazzi e fa divulgazione scientifica peer-to-peer, dialogando davvero con la propria community, e non limitandosi a pubblicare post patinati (e incassare i relativi cachet).

In buona sostanza, le aziende, in ritardo come al solito, si sono rese conto – e la pandemia c’entra molto marginalmente – che le persone, quelle vere e in carne ed ossa, preferiscono un dialogo reale con altri esseri viventi, che non solo sbavare dinnanzi a un manifesto (ancorché digitale).

Da tempo, la letteratura scientifica nel dominio delle scienze sociali ha rimesso al centro l’importanza dell’identità: specie le giovani generazioni, quelle cresciute su Tik-Tok, desiderano, cercano (e ammirano) le identità autentiche, nelle altre persone come nei brand. Preferiscono capire chi sei, rispetto a cosa hai, e facendolo ridisegnano un poco le nostre scale di valori, interrogandoci, provocandoci.

L’identità e l’autenticità corrono poi sui binari delle relazioni, si nutrono di esse: coltivando e migliorando la propria rete di relazioni, online come offline, le persone alimentano la propria sete di vero, di concreto, di autentico.

Spesso condividendo, ovvero dividendo con, sinonimo di possedere insieme, partecipare, offrire del proprio ad altri, e viceversa: nell’estenuante ricerca del giusto equilibrio che ci permetta di essere utili, e anche di trarre sopravvivenza da chi ci circonda, per proseguire nella nostra personale missione (quale che sia) nella quale coinvolgere sempre più altre persone, sempre più altre parti di noi.

La cosa curiosa è che ce ne si accorga solo ora, dal momento che in letteratura questi concetti sono una consolidata realtà da anni. Per una volta, la ricerca e l’università scavalcano la vita reale, anticipano i tempi, prevedono il sorgere di un sole che, per parafrasare il vostro titolo, è già sorto da tempo, solo che non ce ne siamo accorti: come ho raccontato nel mio ultimo volume dal titolo #Influencer, scritto a sei mani con i colleghi (e amici) Luca Yuri Toselli e Giorgia Grandoni, le relazioni autentiche sono il potentissimo solvente universale in grado di permetterci di risolvere più velocemente qualunque crisi personale e professionale, di evolverci e di gestire con successo qualunque processo di cambiamento, sul lavoro come nella vita.

Con buona pace dei vari Gianluca Vacchi, Elisabette Franchi, e via discorrendo, le varie “Milano da bere”, glamour, aggressive ed effimere, stanno – era ora – perdendo terreno dinnanzi ad aurore boreali da osservare con ritrovata calma e minor superficialità, alla ricerca non tanto di “vagonate di like” quanto della qualità del dialogo, della possibilità di porre una domanda, e del piacere di ricevere una risposta. Semplice, fin banale: oggi, nel mondo del digitale, alle porte del metaverso, con un piede immerso negli oceani digitali e uno ancora a terra piantato sulla vita reale, riscopriamo il piacere dell’essere umani.

Luca Poma




NFT e Sport Industry: un’opportunità di Fan Engagement e incremento di “value per fan”

NFT e Sport Industry: un’opportunità di Fan Engagement e incremento di “value per fan”

7.1M di dollari. A tanto ammonta il valore degli NFT (Non-Fungible Token) scambiati nel 2020 nella Sport Industry, secondo una ricerca di Statista che risale al marzo 2021. Un dato significativo, che fa da prologo al vero e proprio boom di questo mercato nel 2021. Negli ultimi mesi, infatti, sono nati diversi progetti legati agli NFT e alle loro applicazioni nella Sport Industry, il più celebre dei quali è riconducibile a NBA Top Shot. E i loro volumi di scambio sono schizzati alle stelle. Ma a cosa ci riferiamo quando parliamo di Non-Fungible Token?

Gli NFT sono dei veri e propri certificati digitali irreplicabili e unici nel loro genere che vengono scambiati all’interno della blockchain. L’unicità è dunque un primo tratto distintivo di questi token, che non si possono suddividere in altre parti con un valore inferiore. La caratteristica dell’autenticità è garantita da un indirizzo che contiene il codice identificativo di quel determinato asset: qualsiasi transazione storica relativa a un determinato NFT è registrata dal sistema blockchain, che fa appunto da garante. All’unicità dei prodotti associabili agli NFT, si aggiunge la loro scarsità. Esiste, infatti, solo un numero limitato di asset collegati alla tecnologia NFT: questo li rende particolarmente ricercati sul mercato e genera interesse tra i collezionisti.

NBA Top Shot: l’esclusività degli NFT al servizio del Fan Engagement

Proprietà e scarsità rendono gli NFT appetibili anche per la Sport Industry. Leghe, club e atleti si sono lanciati nella sperimentazione di questo nuovo approccio al business con l’intento di generare valore per i fan. Un obiettivo certamente perseguito dall’NBA che, in collaborazione con Dapper Labs, ha sviluppato NBA Top Shot, una piattaforma di crypto collectibles all’interno della quale è possibile acquistare e scambiare gli highlights (definiti moments) delle migliori giocate delle star NBA. Un progetto, lanciato sul mercato in versione beta nel maggio 2020, che ha subito scatenato l’interesse di milioni di fan e utenti. Secondo un’indagine di Cryptodata, solamente nel mese di aprile 2021 la quota relativa alla vendita degli NFT su Top Shot ammonta a 82.3M di dollari, per un totale di 1.26 milioni di transazioni effettuate. A questo punto sorge spontanea una domanda: in che modo i moments generano valore per il fan?

La chiave sta tutta nell’esclusività. Ciascun highlights di cui entra in possesso l’acquirente è infatti unico nel suo genere. Questo aspetto fa sì che il fan si senta premiato e valorizzato: la personalizzazione del prodotto è il core dell’offerta di NBA Top Shot. Non va inoltre sottovalutato il fatto che spesso questi moments sono venduti sotto forma di packs, cioè pacchetti, che vengono ufficialmente “aperti” in sessioni online dedicate, alle quali è necessario iscriversi. Queste dinamiche contribuiscono a generare Fan Engagement, dato che i tifosi, travolti dall’adrenalina del momento, sono sempre più curiosi di scoprire di quale moment si tratti e quale atleta NBA ritragga. Si crea dunque una solida community, con transazioni e scambi sempre più frequenti. Un bacino di utenti sul quale l’NBA può puntare per sviluppare ulteriore business in futuro: i moments contengono infatti una quantità enorme di dati, che la National Basketball Association può raccogliere e monetizzare per offrire ulteriori contenuti tailored ai propri appassionati.

Dalle leghe ai club: il valore dei collectibles

L’NBA ha aperto la strada, altre leghe stanno seguendo le sue orme. A tal proposito, la Lega Serie A ha recentemente annunciato di aver stretto un accordo con Crypto.com, una delle piattaforme di criptovaluta più importanti al mondo con oltre 10 milioni di utenti. La partnership vedrà la luce in occasione della finale di Coppa Italia del 19 maggio tra Juventus e Atalanta: verrà lanciata una collezione speciale di NFT, che include tra gli altri gli highlights e il trofeo ufficiale della competizione. Un punto di partenza per le collaborazioni future, con un intento ben chiaro: arricchire la Fan Experience con elementi innovativi. Una necessità sempre più impellente per le leghe, che devono tenere i tifosi quanto più possibile incollati alla propria realtà anche al di fuori dell’evento sportivo. La vera partita si gioca oltre i 90 minuti della finale.

L’universo NFT è però sbarcato in Italia già da qualche tempo, grazie ad accordi di licensing stipulati da alcuni club (tra cui Juventus, Milan e Napoli) con Sorare, che permette ai tifosi di collezionare card digitale in edizione limitata secondo tre categorie:

  •  Unique (1 solo esemplare per stagione)
  •  Super rare (10 esemplari unici per stagione)
  •  Rare (100 esemplari unici per stagione)

Il numero seriale che accompagna ciascuna card garantisce l’esclusività del prodotto. Non è tutto: il sistema implementato da Sorare include anche un aspetto legato alla gamification. La collezione delle card, infatti, permette ai fan di creare la propria squadra e competere in un gioco simil Fantasy football, in cui ciascuna card ha il proprio valore più o meno elevato rispetto alle altre.

Tale impostazione favorisce la creazione di una community di appassionati della prima ora che si sfidano. Una community che però, stando alla stessa ricerca Cryptodata di cui sopra, sarebbe ancora particolarmente ridotta: ad aprile, gli acquirenti unici delle cards Sorare sono “soltanto” 7.9K, a fronte dei 120.1K di Top Shot e degli 11.4K di Topps MLB, un progetto lanciato il 20 aprile che prevede il trading di digital card raffiguranti atleti di baseball americano del presente e del passato. Questi dati riflettono la necessità di Sorare di ampliare la fanbase, magari rendendo il processo di compravendita degli NFT molto più accessibile e creando un canale privilegiato che parta dalle App dei rispettivi club.

NFT e Sport Industry Infografica: niftysports.co

Gli NFT come ponte tra digitale e fisico

In questo contesto creativo, anche gli atleti stanno provando a inserirsi con delle proposte originali che attivino l’interesse dei fan. Il primo è stato Rob Gronkowski, giocatore NFL dei Tampa Bay Buccaneers, che ha messo in vendita un set di quattro card digitali (in edizione limitata, sono 87 in tutto) che lo raffigurano durante le quattro stagioni in cui ha vinto il titolo NFL. Oltre a ciò, ha creato una singola card, in edizione unica, che racchiude tutte e quattro le stagioni trionfanti. Quest’ultima è stata acquistata da un utente sul marketplace peer-to-peer OpenSea per circa 430.000 dollari.

Il dato sulla cifra d’acquisto è significativo, poiché dimostra ancora una volta come i fan prestino grande attenzione alle scelte degli atleti anche fuori dal campo e siano disposti a tutto pur di avvicinarsi ai propri idoli e sentirsi come loro. Oggi più che mai, il rapporto tra atleti e tifosi è disintermediato. I primi sono sempre più digitali e digitalizzati: in quest’ottica, dimostrano ai tifosi di essere interessati a seguire le tendenze digitali del momento, per venire incontro alle esigenze della fanbase. L’impatto degli atleti è assimilabile a quello degli influencer, con margini di crescita molto ampi in virtù della loro popolarità su scala globale.

Ecco spiegato il perché anche un calciatore di livello internazionale come Alphonso Davies stia sperimentando la strada degli NFT. Da giugno sarà infatti disponibile la sua collezione personale di Non-Fungible Token, che includerà anche un’opportunità unica per i tifosi: un golden ticket che permetterà a un solo fan di trascorrere una giornata con il terzino del Bayern Monaco. Una proposta estremamente significativa perché crea un ponte tra la componente digitale degli NFT (una digital card, un highlights ecc.) e quella fisica (l’esperienza dal vivo con l’atleta): il Fan Engagement si presenta così nelle sue diverse forme.

NFT e Sport Industry: quali opportunità per il futuro?

Gli esempi citati si riferiscono alle primissime iniziative della Sport Industry legate agli NFT. Ma le opportunità non finiscono qui. Quali altri ambiti dello Sport Business potrebbero subire un forte impatto con lo sviluppo dei Non-Fungible Token?

Il ticketing è sicuramente uno di questi. Il sistema di blockchain, sotto forma di NFT, può infatti garantire una maggiore tracciabilità delle operazioni nella compravendita di biglietti per un evento, con un chiaro vantaggio: i club, attraverso gli smart contract che registrano le transazioni, potranno risalire facilmente allo storico di ticket acquistati da un tifoso, proponendogli offerte ad hoc che includano altri benefit fisici e/o digitali. Come la possibilità di vivere in maniera esclusiva il matchday casalingo della propria squadra del cuore e/o incontrare il proprio idolo al termine della partita. Proposte che invoglierebbero il tifoso a percorrere la strada degli NFT nell’ottica di ricevere un premio per la loro fedeltà.

Per sviluppare questo processo, le società sono chiamate a implementare funzioni interattive all’interno delle proprie piattaforme digitali, creando un canale diretto con i sistemi di blockchain. La nuova App dell’Eintracht Francoforte è un esempio in tal senso. L’obiettivo finale è evidente: generare Fan Engagement e loyalty, per garantirsi una fonte di revenue costante.

Oltre al ticketing, anche gli accordi con i partner possono subire una notevole spinta innovativa. Pensare di offrire dei prodotti unici (ad esempio la maglietta indossata da un calciatore e il pallone di una partita importante), in versione limitata ed esclusiva, ai fan che acquistano token da piattaforme blockchain può valorizzare il ruolo degli sponsor di un club, che avranno maggiore visibilità e un touchpoint ulteriore con i potenziali clienti.

Gli NFT e gli accordi di licenza: property e royalty

Possiamo definire la tokenizzazione, quindi l’utilizzo dei Non-Fungible Token, l’atto di rappresentare tutti i tipi di diritti sotto forma di token digitale che rappresenti un’unicità di elemento, crittograficamente protetto. In pratica gli NFT rappresentano una certificazione di diritti in forma digitale che vanno ad affiancarsi alle certificazioni cartacee che costituiscono la maggior parte delle contrattualizzazioni di licenza che esistono nello sport.

Quali diritti possono essere tokenizzati nello sport? Naturalmente in primis tutti quei diritti afferenti al marchio che possono essere rimandati a una contrattualizzazione tra licensor e licensee, lì dove il soggetto licenziante del marchio (negli esempi analizzati in precedenza, i club coinvolti nell’oggetto di licenza) offre la possibilità a soggetti licenziatari di utilizzare il proprio marchio da associare a prodotti o servizi, nel nostro caso, digitali e crittografati.

Il parallelismo che possiamo fare, relativamente all’oggetto del contratto di licenza che si pone in essere tra licenziante (club) e licenziatario (es. Sorare) è direttamente proporzionale a ciò che è successo in campo musicale lì dove per il file mp3, attraverso le piattaforme di distribuzione come Spotify, non si consente di effettuare la copia e il download del contenuto ma viene permessa la sua diffusione attivando un flusso di revenue che viene distribuito tra licensor e licensee. Il plus che viene offerto da una tecnologia come quella dei Non Fungible Token è la certificazione crittografata dell’oggetto che ne identifica sia la sua essenza sia il processo di proprietà, pagamento e diffusione.

Come e che tipo di revenue attivano questi contratti di licenza? Nello sport, solitamente, la percentuale di revenue dei contratti di licenza, le royalties, variano come applicazione della percentuale relativa alla quota parte delle royalties stesse da distribuire tra licensor e licensee. Nell’universo conosciuto dei prodotti tradizionali in licenza (che ricordiamo essere dei veri e propri contratti di affitto del marchio con una scadenza temporale che influisce sull’accordo), la property del marchio varia tra il 2% e il 18% in base alla diversa categoria dei prodotti, l’importanza della proprietà intellettuale e il profilo del titolare del marchio e la sua capacità negoziale. In linea generale per definire la percentuale della royalty ci si basa su una serie di fattori:

  •  la forza della property nel settore;
  • una base già identificabile di consumatori;
  • i caratteri demografici del pubblico di riferimento;
  • la storia commerciale del marchio.

I Non-Fungible Token sono un prodotto a processo innovativo ma considerando il settore sport che ha ben chiari e definiti i 4 punti elencati, che sono i fattori determinanti per strutturare un’ipotesi di percentuale di royalty, possiamo ipotizzare che una media della percentuale indicata sarà quella di possibile contrattualizzazione dell’oggetto tokenizzato.

La tecnologia NFT ha dunque spianato la strada a scenari di rottura con il passato (anche per quanto riguarda l’aspetto normativo), facilitando una stratificazione della fanbase su diversi livelli e valorizzando i tifosi più fedeli alla squadra. Tutto questo sarà però possibile solo incanalando l’interesse dei fan in una piattaforma proprietaria, che permetta di gestire iniziative di Fan Engagement di diverso genere e implementare dinamiche di gamification che si prestino all’offerta NFT: quiz, sondaggi e premi esclusivi per coinvolgere la fanbase anche prima e dopo l’evento sportivo. Integrando le strategie online e offline.




Nuovi linguaggi di csr: Fondazione Barilla fa “edutainment” con i comici

Nuovi linguaggi di csr: Fondazione Barilla fa “edutainment” con i comici

I nuovi linguaggi della csr e la capacità di fare divulgazione su temi-chiave in modo puntuale, ma al contempo efficace e coinvolgente, sono un tema centrale della comunicazione odierna. In quest’ambito si colloca il nuovo progetto di Fondazione Barilla, che avviato una campagna che mette al centro la relazione uomo-cibo-ambiente, raccontando con messaggi semplici e concreti come sostenere il Pianeta.
Per diffondere la conoscenza scientifica ci si è affidati a diversi comici e food influencer noti, da Lillo a Max Mariola, per una serie di contenuti (28 video nei formati clip da 30 e da 15 secondi) che fondono informazione e intrattenimento attraverso una pianificazione cross-media completa.

I messaggi al cuore della campagna, sviluppata con il supporto dell’agenzia digitale integrata Next 14, sono veicolati sul web e i social, e su 29 radio, nazionali e locali, appartenenti ai principali gruppi editoriali. A supporto anche un sito internet, rinnovato in ottica più user-friendly, che fa da punto di riferimento di ogni iniziativa. Attraverso il portale, inoltre, è possibile richiedere il libro, “100 Food Facts – Piccola guida per grandi cambiamenti”, contenente una selezione di 100 messaggi brevi, utili e interessanti, comprensibili da tutti, con evidenze chiare associate a un gesto semplice da mettere in atto. L’ideazione e la pianificazione delle nuove attività di comunicazione della Fondazione Barilla sono state affidate all’agenzia Next 14, mentre le attività di pr e media relation sono seguite da Inc, Pr partner di Fondazione Barilla dal 2016.