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Certificazione di sostenibilità poche aziende usano enti terzi

Certificazione di sostenibilità poche aziende usano enti terzi

Le aziende italiane che operano anche in Europa non usano certificazione di sostenibilità di enti terzi e guardano alla rendicontazione di sostenibilità in modo poco strutturato. Il personale dedicato al bilancio di sostenibilità part time e una responsabilità che fa capo direttamente al consiglio di amministrazione. Solo il 39% ha un consigliere delegato a seguire il tema sostenibilità.

Un quadro preoccupante che emerge dall’indagine “Rating ESG delle imprese, asserzioni etiche aziendali e percezione dei cittadini riguardo alle scelte green delle aziende”, condotta su richiesta del On. Tiziana Beghin, eurodeputata (gruppo Non Iscritti) e presentata nel corso di un talk a Bruxelles presso la sede del Parlamento Europeo.

Come i cittadini percepiscono l’impegno verso la sostenibilità delle aziende intervistate

Il greenwashing preoccupa quasi un cittadino italiano su due. Ben il 45% dei cittadini europei ritiene che le imprese utilizzino il tema green solo per motivi pubblicitari e di marketing. Non solo la fiducia verso i dati da esse prodotte in ambito di sostenibilità è basso per il 44,5% dei cittadini e bassissimo per il 19,5%.

La scarsa fiducia deriva dal fatto che sono solo un quarto (25%) delle organizzazioni europee che affermano di essersi sottoposte a uno specifico audit interno sulla rendicontazione dei criteri ESG, Environmental, Social, Governance. Mentre il 70%, pubblica un bilancio di sostenibilità approvato unicamente sulla base di documenti ed evidenze autoprodotti, senza alcuna verifica da parte di un ente di certificazione esterno.

Gli obiettivi dell’indagine

“Scopo del progetto di ricerca – ha dichiarato Luca Poma, Professore di Reputation management all’Università LUMSA di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino, referente scientifico dell’indagine – è quello di fotografare lo stato dell’arte sul tema della rendicontazione non finanziaria ed ESG nei bilanci delle aziende europee, al fine di intercettare punti di forza e di debolezza delle prassi attualmente messe in campo e favorire, nel contempo, un miglioramento della qualità informativa di questa forma di rendicontazione, riflettendo anche sulla percezione che i cittadini hanno delle scelte green compiute dalle aziende. Il lavoro si innesta, infatti – conclude Poma – nello sforzo sostenuto dall’Unione Europea di promuovere una cultura della sostenibilità non solo tra cittadine e cittadini comunitari ma anche all’interno delle PMI e dei grandi gruppi aziendali”.

“Lo scenario competitivo mondiale è caratterizzato dalla circolazione sempre più libera di persone, beni e capitali, filiere di fornitura lunghe e frammentate su scala globale e uno spazio geografico degli scambi e degli investimenti sempre più ampio, con una crescente esposizione ai rischi”, ha dichiarato l’On. Beghin. “È quindi di assoluta attualità per noi legislatori – ha concluso l’eurodeputata – comprendere come poter rendere più trasparente questo tipo di rendicontazione, garantendo rating appropriati e non fuorvianti agli occhi dei cittadini dello spazio comune europeo”.

Le maggiori criticità emerse dal rapporto con le imprese

L’indagine ha coinvolto 500 cittadini italiani e 100 aziende italiane che operano anche in Europa, di vari settori e dimensioni. Nel lavoro i ricercatori evidenziano alcune criticità nel rapporto con enti e istituti primo tra tutti la scarsa disponibilità a condividere le informazioni in loro possesso ai fini dell’indagine. L’assenza di standard condivisi e di un ente pubblico che regoli e monitori le certificazioni ESG sono stati gli altri due elementi di criticità emersi da una fotografia dello stato dell’arte.

  • L’85% degli intervistati ha affermato che il tema della sostenibilità è guidato dal consiglio di amministrazione.
  • Solo il 39% dichiara di avere un consigliere delegato alla sostenibilità.
  • Il 62,5% delle imprese con meno di 500 dipendenti dichiara di avere un responsabile per la sostenibilità. Di questi poco più della metà 52,83% è part time.
  • Il 65% delle imprese con più di 500 dipendenti dichiara che la DNF non è stata validata da un soggetto esterno
  • Solo il 14% delle aziende ha effettuato un audit basato su un organismo accreditato esterno.