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Autore: Luca Yuri Toselli e Luca Poma


 

Covid-19: alla ricerca di un vaccino per la cacofonia

Abbiamo imparato a difenderci dal nuovo Coronavirus, ma non da tutto il "rumore" mediatico che accompagna la pandemia

Insieme a quante persone stiamo trascorrendo questo – ahimè, ennesimo – lockdown? La risposta parrebbe in prima battuta, semplice: una, due, oppure quattro, per chi ha anche figli in casa.

Invece, a ben contare, decine, centinaia, per qualcuno migliaia di persone, se contiamo colleghi, studenti, clienti e quant’altri imperversano su Zoom per ragioni professionali; parenti e amici che intasano la messaggistica di Whatsapp; influencer e perfetti sconosciuti che pontificano sui nostri wall Social; per non parlare di opinionisti e giornalisti che dicono la loro dagli schermi televisivi e sulle frequenze radiofoniche. Un vero buzz costante, ma con il volume – purtroppo – sempre al massimo, una babele di voci, dati, opinioni, ipotesi e allarmi.

Vien da chiedersi come sia possibile non uscirne pazzi, e infatti i dati confermano un’impennata delle diagnosi di depressione e dell’uso (e abuso) di psicofarmaci: di fatto, tutti i nostri sensi hanno trascorso gli ultimi 13 mesi a correre come criceti in gabbia. Una gabbia, però, davvero troppo affollata. Una cacofonia che non lascia indenne neppure l’apparentemente asettico dominio della scienza: come farsi mancare, ad esempio, le recenti accese polemiche sulla sicurezza del vaccino AstraZeneca, o “Oxford Vaccine”, come lo chiama – autarchicamente – il Premier inglese Boris Johnson?

A seguito delle due tristi morti per trombosi registrate in Italia, le pagine Social dell’autorevole (sic!) “BustoArsizioToday” hanno pubblicano strilli e articoli sul mal di testa della Sciura Brambilla dopo la prima inoculazione del vaccino, domandando in grassetto ai lettori “E voi: vi fidate di questo vaccino…?”; le cronache di mezza Italia ci hanno tenuti impegnati per giorni sul tema “AstraZeneca si, AstraZeneca no”: come se a decidere sulla sicurezza di un vaccino dovessero essere i giornalisti, o peggio ancora, per plebiscito, i cittadini laureati all’Università della strada.

Più precisamente, sono stati registrati – purtroppo – due decessi nel nostro Paese, tra i vaccinati con AstraZeneca, su 3 milioni di dosi (leggasi: uno ogni 1,5 milioni), per una causa di morte – la trombosi cerebrale – che uccideva comunque, prima del lancio del vaccino, 30 italiani al giorno (uno ogni 2 milioni). Possiamo immaginare che questi due tristi decessi, avvenuti in concomitanza con la somministrazione del vaccino, siano accaduti del tutto a prescindere dall’inoculazione del prodotto? È quanto meno ragionevole ipotizzarlo. Qualora invece si trattasse di una correlazione diretta tra somministrazione del vaccino ed effetto collaterale, è giustissimo evidenziarlo: come scrive Roberto Colombo in un bell’articolo su Avvenire, “Inutile negare o sminuire i possibili eventi avversi rari ma seri riscontrati nella somministrazione dei vaccini (come avviene anche per altri farmaci), o nasconderli in qualche modo agli occhi dei cittadini, nella speranza di evitare timori sproporzionati o rifiuti irrazionali. Come la storia del rapporto tra paziente e medico insegna, la fiducia del primo il secondo se la conquista con la correttezza professionale, la trasparenza e il dialogo“. Ma senza panico, please, e senza per questo mettere in dubbio ad ampio raggio l’utilità dell’uso di uno strumento terapeutico fondamentale quale quello dei vaccini, che nel corso dell’ultimo secolo hanno salvato milioni di vite, pur presentando – tendiamo a dimenticarlo: come qualunque farmaco che utilizziamo ogni giorno – alcuni, rarissimi, effetti collaterali: dati alla mano, i vaccini Moderna e Pfizer insieme hanno causato alla data di pubblicazione di questo articolo segnalazioni per reazioni avverse gravi (meritevoli di ricovero, ma non mortali, per fortuna) in 138 casi, e quello AstraZeneca 36; numericamente ridicoli i primi, e praticamente inesistenti i secondi, se paragonati al numero complessivo di persone vaccinate.

Per non parlare poi delle polemiche sollevate – sempre dalla sciatta stampa nostrana – sull’efficacia del vaccino Astrazeneca per gli over 65. I produttori anglo-svedesi avevano consegnato all’EMA, l’agenzia europea per i medicinali, dati di trials ancora insufficienti a garantire la totale efficacia del prodotto per quella fascia d’età; ebbene, il rilievo relativo al fatto che la sperimentazione fosse stata inizialmente condotta su un numero di soggetti over 65 insufficiente per costituire una base statistica affidabile si è cabarettisticamente trasformato sui nostri giornali in titoli ad effetto di centinaia di organi di stampa: “AstraZeneca, vaccino pericoloso per gli anziani!”, generando un tanto diffuso quanto inutile allarmismo.

Ma non basta. Oggi, in Europa e quasi tutto il mondo, con poche felici eccezioni, i produttori di vaccini sono – purtroppo – in ritardo sulla produzione delle dosi che si sono impegnate a consegnare. Ecco allora i titoli sui più diffusi mass-media: “Big Farma ci ha truffati, promettendo centinaia di milioni di dosi, che poi in realtà va a vendere altrove” (chissà dove, poi).

Aggiungiamo magari anche le polemiche nostrane sulle lungaggini e disorganizzazioni nel piano vaccinale (certamente, si poteva – e si dovrà – far meglio), e tra titoli sensazionalistici e teorie complottiste l’ennesimo effetto distorsivo della realtà è garantito.

In un recente articolo pubblicato su The Atlantic a firma di Zeynep Tufekci, poi tradotto da Internazionale, l’apprezzata docente alla North Carolina University e al Berkman Klain Center di Harvard ha ricordato come quando fu approvato il vaccino contro la Poliomelite la notizia venne accolta con enormi manifestazioni di esultanza, con le campane delle chiese che suonarono a festa in tutti gli Stati Uniti, e i giornali che titolarono “Una vittoria monumentale”, bambini che uscirono prima da scuola per festeggiare e adulti per strada a ballare dalla gioia; per il Covid, curiosamente, non è accaduto nulla di tutto questo.

Vero, “big pharma” in passato ci ha male abituati: disease mongering (variazione dei criteri diagnostici di una malattia per vendere più farmaci, tecnica di marketing ampiamente documentata in letteratura), comparaggio (impegno assunto da un medico di agevolare a scopo di lucro la diffusione di prodotti farmaceutici di una determinata azienda), corruzione vera e propria, e anche occultamento doloso di studi scientifici che dimostravano che propri prodotti farmaceutici erano non solo inutili ma anche pericolosi… Pare insomma che l’industria farmaceutica si sia davvero impegnata, negli ultimi decenni, per pregiudicare la propria stessa reputazione e incrinare il rapporto di fiducia con i pazienti e la cittadinanza in generale, tanto che a seguito di questi deprecabili comportamenti la quasi totalità delle aziende farmaceutiche multinazionali è stata oggetto di sanzioni assai elevate, in alcuni casi vere e proprie multe monstre da miliardi di dollari.

Per non parlare poi della pessima gestione dell’emergenza socio-sanitaria causata dal Covid-19, da parte del Governo dell’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che pare abbia a sua volta fatto di tutto per incrinare la fiducia tra istituzioni e cittadini: altro che Italia come modello virtuoso nella gestione della pandemia, sono stati ben altri i Paesi che sono stati in grado di fare la differenza nel numero di decessi.

Ma ragioniamo, e una volta per tutte circostanziamo razionalmente l’analisi a quanto realmente accaduto negli ultimi mesi. Quindici mesi fa si veniva a conoscenza dell’esistenza di un nuovo coronavirus in Cina, il Covid-19; quattordici mesi fa si otteneva il completo sequenziamento del genoma di questo virus, sequenziamento che gli scienziati di tutto il mondo hanno avuto disponibile nelle successive 24 ore; oggi, a distanza di poco più di un anno dal “paziente zero”, disponiamo di una dozzina di vaccini già iniettati in centinaia di milioni di braccia, e altri stanno venendo approvati dalle autorità regolatorie.

Ben pochi, tuttavia, i titoli sui mass-media tali da segnalare in modo incisivo una delle notizie – francamente la più interessante ini questa pandemia – ovvero quella relativa al vero e proprio miracolo della scienza e della ricerca farmaceutica costituito dall’assoluta rapidità di risposta a questa crisi di dimensioni mondiali, che – direttamente o come concausa – ha lasciato per strada quasi 3 milioni di morti, con buona pace di Fragolina81, professione estetista, che su Facebook si straccia le vesti postando a gran voce, in grassetto e con sintassi dadaista: “Complotto! I vaccini li fanno con i feti morti e ci mettono dentro il microchip per il 5G di Bilgheitz”.

Probabilmente, non sarebbe azzardato scrivere che “Mai nella storia dell’uomo si è stati capaci di rispondere così rapidamente ed efficacemente a una nuova malattia”, con uno strumento efficace come il vaccino per il Covid-19, come dimostrano i dati straordinari della campagna vaccinale in Israele, segnalati a più riprese anche con tagliente ironia dal virologo Roberto Burioni. Ecco, questa sarebbe la vera notizia da enfatizzare a gran voce, risultato del quale giustamente godranno anche no-vax, complottisti, teorici del “potere di big pharma”, critici del metodo scientifico, e via discorrendo.

E a dimostrazione che la scienza non è perfetta ma perfettibile, vorremmo prima di concludere ricordare il lavoro di Katarina Kariko, per anni snobbata da tutti i consigli di facoltà e dai principali atenei, che ha fatto carte false per portare avanti la propria ricerca sull’RNA Messaggero, trascurata da ogni possibile finanziatore e anche boicottata da non pochi suoi colleghi, scienziata che – nonostante il vento avverso – ha tenacemente costruito anno dopo anno il know-how che oggi costituisce l’infrastruttura scientifica su cui poggiano buona parte dei vaccini anti-Covid. A questa scienziata straordinariamente lungimirante forse – anche in ambito accademico – qualcuno dovrebbe chiedere scusa, qualcun altro dedicare magari una targa, e tutti noi un minuto di riconoscenza. In silenzio, magari, così da bilanciare il pessimo spettacolo dato da non pochi uomini di scienza, che – caduti nella trappola del nostro dequalificato giornalismo – si sono scatenati a litigare h 24 in diretta TV: un epidemiologo che dibatte con un immunologo, un direttore sanitario che si prende a pesci in faccia con un medico di base, un virologo insultato da un fisico, e via discorrendo.

Per i mass-media, e relativi Social, tutto ciò si é sostanziato in accesi scontri, ovvero audience e click sulle notizie, quindi in definitiva, in soldi; per la scienza, è stato invece un pessimo spettacolo, perché gli scienziati dovrebbero dibattere in modo anche acceso nei congressi scientifici, e non in televisione, e dai congressi fare sintesi – possibilmente con un approccio multidisciplinare – per poi spiegare a noi cittadini il senso delle cose, con una sola versione, chiara, condivisa, per quanto possibile semplice, e comunque facilmente declinabile, in modo comprensibile, ai non addetti ai lavori. Diversamente, rischia di passare – come purtroppo a tratti è invece passato – il pericoloso messaggio che “neppure la scienza ha le idee chiare”, e allora per qualcuno ben venga il ciarlatano venditore di comode verità pret-a-porter spacciate come soluzioni alternative, o gli allarmismi in salsa pseudo-scientifica. Come ricordato dalla Tufekci sulle colonne del mensile americano, “La lotta alla pandemia è stata anche ostacolata da una comunicazione paternalistica che ha preferito imporre divieti, invece di fare corretta informazione. È necessario cambiare strategia, e soprattutto essere più ottimisti sui vaccini”

Sarebbe davvero il caso, allora, di dare tregua alle nostre menti confuse e disorientate, e concederci un po’ di tranquillità, magari spegnendo per un tempo ragionevole i nostri Device, e prendendo le distanze da tutta questa ridondante cacofonia, per la quale, purtroppo, non esiste ancora alcun efficace vaccino.


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