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Deep Knowledge Group è un consorzio misto profit-no profit, che – anche grazie a un accordo di collaborazione scientifica con il King’s College di Londra – si occupa di ricerca e sviluppo e di investimenti nei campi dell’Intelligenza artificiale, dell’analisi di Big-data e delle soluzioni di tecnologia avanzata per i Governi.

In un interessante ed approfondito articolo su Forbes, curiosamente non ripreso dalla stampa italiana, si evidenzia come – nonostante il continuo release di un enorme quantità di dati sulla pandemia Covid-19 rilasciati da organizzazioni come OMS, CDC, Johns Hopkins University e Worldometers – tali dati assai raramente vengano analizzati in modo efficiente e sistematico per fornire indicazioni realmente utili alla gestione dell’emergenza sanitaria, che interessa materie assai differenti tra loro – ma complementari – come medicina, biologia, epidemiologia, psicologia studio dei comportamenti umani, ed altre aree di interesse scientifico.

DKG e il Covid-19

Un team di esperti DKG ha quindi raccolto e analizzato i dati generati per 200 paesi in tutto il mondo, e ha sviluppato alcuni quadri analitici avanzati per analizzare lo scenario delll’epidemia di Coronavirus, presentando poi l’output sotto forma di dettagliate “classifiche” che dovrebbero essere utili alle istituzioni pubbliche per inquadrare meglio le strategie realmente vincenti nel contenimento dei danni da Covid-19 e per la gestione efficace dell’impatto economico della pandemia.

L’analisi di DKG – che ha valutato i dati in modo imparziale tramite una metodologia basata su metriche proprietarie e accessibile in modalità open-source – è stata progettata per valutare rapidamente la situazione in continua evoluzione nei vari paesi, che muta mentre le autorità si sforzano di mitigare le conseguenze sanitarie ed economiche della diffusione del virus, e ha dimostrato che alcuni paesi sono stati assai efficaci nella lotta contro COVID-19 fin dall’inizio, mentre altri – al di la delle roboanti dichiarazioni utili per la propaganda politica interna – assai meno.

I paesi “virtuosi” si sono concentrati sulla prevenzione anticipata della pandemia, implementando misure di quarantena prima che il numero di casi confermati superasse numeri ingestibili per il servizio sanitario pubblico, e utilizzando metodi efficienti per la mappatura del contagio e per il trattamento dei pazienti ospedalizzati, utilizzando anche tecnologie come l’intelligenza artificiale, la robotica e l’analisi dei big data, in combinazione con le tecniche di trattamento medico e di gestione dell’assistenza sanitaria strutturate in modo sofisticato.

Le “pagelle” di DKG

Ogni paese analizzato è stato classificato con un punteggio numerico costruito utilizzando una metodologia ben definita: a ogni aspetto viene assegnato un peso specifico, o fattore di importanza, che viene utilizzato come input nelle equazioni utilizzate nello studio per generare vari quadri di classificazione matematica dei fenomeni e comportamenti analizzati.

Più nel dettaglio, il primo quadro di classificazione dà informazioni sul grado di sicurezza in senso assoluto nei vari Paesi, ricavate utilizzando 24 parametri specifici, in 4 categorie distinte: efficienza della quarantena, efficienza della gestione del governo, monitoraggio dei contagi e disponibilità ed efficienza nel trattamento sanitario di emergenza, tenendo conto della protezione dall’infezione COVID, della mortalità, delle informazioni relative alla quarantena e al monitoraggio del contagio, nonché della sicurezza e stabilità in senso lato, compresa la protezione dagli esiti negativi estremi ad esempio sul piano sociale ed economico, tenendo conto che i paesi non in grado di gestire efficacemente la pandemia potrebbero innescare una catena di eventi nefasti tali da pregiudicare la stabilità anche di loro vicini geografici o di nazioni che con essi hanno intense relazioni commerciali.

Sotto questo aspetto, sul podio Israele, Germania e Sud Corea. L’Italia non appare in classifica nei primi 40 posti.

Il secondo quadro di classificazione è centrato sul rischio COVID-19 nelle nazioni analizzate, evidenziando quindi i Paesi in base ai loro livelli di rischio potenziale, analizzato un ventaglio di fattori di tipo sia medico e non medico, tra cui il rischio di infezione, ricovero, morte e mantenimento della qualità delle condizioni di salute nel tempo. Utilizza anche in questo caso 24 parametri specifici raggruppati in 4 categorie distinte: rischio di diffusione dell’infezione, gestione del governo, efficienza sanitaria e rischi specifici regionali.

In questa sezione – da analizzare in termini di valore negativo, quindi i primi paesi sono quelli più a rischio – l’Italia è al non rassicurante primo posto, seguita da USA, Inghilterra e Spagna. Come abbiamo detto, l’analisi è costantemente aggiornata, quindi il triste primato si riferisce al tempo presente, e non è escluso che nelle prossime settimane lo scenario per la nostra penisola possa – auspicabilmente – migliorare.

Il terzo quadro di classificazione riguarda l’efficienza specifica con la quale sta venendo trattato il virus COVID-19, ed è basato su un’analisi comparativa dei Paesi in base al modo in cui stanno monitorando la diffusione dell’infezione, offrendo ai cittadini gli strumenti e le informazioni necessari per gestire i casi non critici a casa senza sovraccaricare l’infrastruttura sanitaria, quanto rapidamente stanno sviluppando test, vaccini e trattamenti COVID-19 più efficaci, etc. Questo framework è basato su: monitoraggio delle malattie, gestione delle malattie, terapia di emergenza e nuovi approcci alla ricerca e sviluppo del trattamento.

Sul podio per l’eccellenza nell’efficienza del trattamento del Covid-19, troviamo Germania, Cina, Sud Corea, e leggermente distanziate Hong-Kong. Taiwan, Singapore e Israele. L’Italia non figura tra i primi 10.

Il quarto quadro di classificazione è centrato specificamente sui fattori peculiari presenti in Europa, come ad esempio le economie nazionali altamente interconnesse, gli alti livelli di filiera, il significativo flusso turistico all’interno dell’Unione Europea, e l’incidenza di specifici punti critici all’interno dell’UE, e misura quindi il grado di sicurezza potenziale all’interno dei Paesi dell’Eurozona (allargata, includendo ad esempio anche la Svizzera) applicando una versione appositamente modificata del modello di analisi dei dati.

In questa sezione, salgono sul podio la Germania, la Svizzera e l’Austria, mentre l’Italia è al non rassicurante 32° posto.

Dopo aver analizzato la situazione in Asia nel quinto quadro di classificazione, con la Sud Corea al primo posto, nel sesto quadro di classificazione lo studio DKG evidenzia per ogni Paese del mondo la portata, la diversità, l’efficienza e l’efficacia degli sforzi e delle misure del Governo per fornire sostegno economico (ad esempio agevolazioni fiscali, sussidi, prestiti di emergenza, etc.) ai cittadini, alle imprese, e in particolare alle PMI, ai lavoratori autonomi e ad altri pubblici interessate dalla crisi COVID-19.

Sul podio, in questo caso, Germania, USA e Giappone, con l’Italia al modesto 10° posto della classifica.

La lezione da imparare

Questa imponente analisi ha prodotto output assai interessanti, ben sintetizzati in un set di interessanti infografiche, dalle quali risulta chiaro una volta di più lo spazio di miglioramento del sistema Italia, che avevo già evidenziato in una mia precedente analisi. Dal punto di vista del crisis management, comunque, il modello che più ha attirato la mia attenzione, nel complesso, resta quello di Taiwan, anche per l’esiguo numero di vittime imputabili al Coronavirus (6, alla data di pubblicazione di questo articolo), grazie alla messa in opera di un efficiente e completo Crisis-plan preventivamente elaborato e testato.

Concludendo, invece che pontificare sul presunto “modello italiano” di gestione della crisi Covid, come hanno fatto molti pennivendoli italiani nell’ultimo mese, sarebbe forse ben più utile sedersi in un’aula (virtuale, ovviamente) e imparare: le informazioni, peraltro, sono tutte disponibili online.

Aggiornamento del 28/11/2020: questo articolo è stato scritto e pubblicato ad aprile 2020, come varie altre analisi su ricerche internazionali che hanno valutato l’impatto della gestione della pandemia Covid-19 della maggior parte delle nazioni coinvolte nell’emergenza. Finalmente, a novembre 2020, 7 mesi (e molti defunti) dopo, anche la stampa italiana mainstrem si accorge delle realtà: il Corriere della Sera pubblica questo articolo, dove scrive: “Nella classifica sui peggiori Paesi per risultati economici e sociali nell’affrontare la pandemia, l’Italia si piazza al quarto posto quasi in pareggio con il Regno Unito e preceduta da Spagna e Belgio; altro che modello italiano da esportare e far copiare nel mondo. E invece di trasformare la sfortuna di essere incappato per primo nel coronavirus, in opportunità per preparare le difese e le contromisure per la più che prevedibile «seconda ondata» (che forse è solo la ripresa della prima ondata), ha perso sette preziosi mesi”. Meglio tardi che mai… (to be continued)

Aggiornamento del 22 febbraio 2021

Si sono succeduti nel tempo numerosi altri studi ed analisi che hanno smentito la narrazione del Governo Conte relativa all’eccellenza italiana nella gestione della pandemia. L’ultima, in ordine cronologico, è quella dell’australiano Lowy Institute, che relega il nostro paese in 59esima posizione tra le 98 nazioni esaminate.

IN calce, una eloquente e impietosa infografica:

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