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Al momento, il mercato dei rating Esg (Environmental, Social, Governance) è viziato da non conformità, elementi distorsivi e soprattutto rischio di greenwashing. È un problema ormai sotto i riflettori, dimostrato anche da una recente ricerca finanziata dall’Europarlamento – presentata a Bruxelles nel giugno scorso – secondo la quale il 70% circa delle aziende che pubblicano bilanci di sostenibilità, confermano che il lavoro delle società di certificazione si è basato soltanto sull’analisi di documenti ed evidenze prodotte dall’azienda stessa, senza quindi vera e propria verifica.

I rating Esg sono ormai indispensabili ovunque per partecipare a bandi, appalti, beauty contest, ma nella maggior parte dei casi le cosiddette “certificazioni” altro non sono che validazioni di auto-dichiarazioni delle aziende stesse, sulle quali non viene effettuato poi alcun controllo di autenticità. È per questo motivo che a breve, a Bruxelles, si discuterà della proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio europeo sulla trasparenza e sull’integrità delle attività di rating Esg, messo recentemente a punto dalla Commissione europea.

“Non esistendo un quadro normativo specifico a livello europeo per i rating Esg, gli Stati membri, attualmente, operano indipendentemente l’uno dall’altro, generando eccessiva eterogeneità, possibili conflitti e una protezione ineguale degli investitori nei diversi Stati membri”, ha dichiarato Luca Poma, Professore di Reputation Management all’Università Lumsa di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino, che ha avuto modo di analizzare nel dettaglio la bozza di proposta che sta per approdare in Parlamento e avanzare alle autorità preposte alcune osservazioni di merito. “Questo strumento legislativo vuole garantire, attraverso dichiarazioni Esg credibili, autentiche e rilasciate da enti e agenzie autorizzate, una standardizzazione di questo genere di certificazioni, garantendo un approccio omogeneo tra gli Stati membri e una maggiore trasparenza e protezione degli investitori”.

È un intervento che punta dunque a offrire coerenza per un quadro normativo omogeneo che faciliterebbe la comparabilità tra i rating Esg, evitando la diffusione di norme diverse a livello nazionale e garantendo la riduzione delle incertezze per gli operatori del mercato. Un passo importante nella lotta al greenwashing, ma non mancano le criticità. “Per fare solo tre esempi tra tanti, la bozza per com’è ad oggi concepita prevede che l’Esma (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dell’Ue) abbia l’autorità per fare ispezioni solo in caso di segnalazione di violazioni e non di propria iniziativa”, ha aggiunto Poma.

“Senza ispezioni in loco, verifiche e altri meccanismi di controllo, non vi sarà alcuna certezza che i requisiti previsti dal regolamento siano mantenuti nel tempo dalle agenzie di certificazione. Poi, non è prevista la creazione di una banca dati delle aziende che hanno ricevuto il rating Esg e delle relative agenzie che le hanno certificate. Questo limita fortemente la trasparenza verso i cittadini, che dovrebbe invece essere una delle prerogative principali dell’Ue”.

In ultimo, dovrebbero essere gli stessi certificatori ad adottare le misure necessarie per garantire che i rating Esg forniti non siano influenzati da conflitti di interessi, ma chi avrà la responsabilità di verificare che queste misure siano effettivamente rispettate? “Insomma – ha concluso Poma – c’è molto di buono in questa proposta di regolamento, ma anche molto ancora da migliorare”. La proposta, appena approdata in Parlamento, verrà presa in esame dalle varie commissioni delegate già nel corso di questo novembre.

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