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Il non facile rapporto tra piccole imprese e comunicazione. Intervista a Luca Poma

Le piccole e medie imprese costituiscono il 90 % del tessuto imprenditoriale italiano. Portatrici di eccellenze, vendono sui mercati internazionali, hanno spesso bilanci in attivo e creano occupazione in aree periferiche che le grandi aziende snobbano. A tanti pregi fa da contrappunto una carenza nella comunicazione, una assenza di cultura delle relazioni pubbliche che penalizza realtà meritevoli di ben altro successo.
Sulla questione ho chiesto il parere di Luca Poma*, che nella sua attività incontra frequentemente il mondo della piccola imprenditoria.
1) Tu sei di Torino però lavori anche nell’area milanese (oltre che a livello nazionale e internazionale). Quali differenze hai notato tra le PMI piemontesi e quelle lombarde e in particolare milanesi, dal punto di vista della comunicazione ? Sono più le problematiche che le accomunano in quanto PMI oppure ci sono differenze notevoli per mentalità, cultura, organizzazione, ecc. ?
Direi che sono più le mentalità che le accomunano in quanto PMI che non le differenze culturali dovute al territorio. Forse quelle piemontesi sono un poco più “conservative”: è difficile ad esempio diventare un loro fornitore, ma quando acquisisci la fiducia della proprietà è anche molto difficile cadere vittima del turnover. A Milano invece sono un po’ più sensibili alla “migliore offerta del momento”.
2) Quale attività o ambito della comunicazione consiglieresti di considerare per primo a un’azienda, presente già da tempo sul mercato, che deve cominciare da zero a comunicare in maniera sistematica e organizzata ?
Mappare i suoi pubblici, senza una mappatura adeguata è inutile qualunque azione di comunicazione. Per dirla con una battuta: se non sai “a chi” vuoi o devi parlare, perché apri la bocca? Prima bisogna stabilire le priorità, poi si ragiona sugli obiettivi, e solo infine sui mezzi.
3) Un consiglio da dare ai titolari di una start up che vuole puntare sulla comunicazione per farsi conoscere ?
Rifletti sul DNA della Tua azienda: cosa “sognavi” quando l’hai creata? Bisogna ripartire da li. In questo eccessivo “affollamento” di messaggi, la comunicazione non può innanzitutto che essere identitaria.
4) A che cosa non deve assolutamente rinunciare una piccola impresa che vuole comunicare ?
Alle idee. Non credo nei pubbli-redazionali pagati. I progetti devono “parlare da sé”, non serve – e non è bello – pagare pagine e pagine di pubblicità sui giornali per “fasti notare”. Il vero driver competitivo è ciò che distingue l’azienda dai concorrenti.
5) Quali sono gli errori più comuni che le PMI commettono nel fare comunicazione ?
Normalmente all’inizio, quando si affacciano nel “favoloso mondo della comunicazione”, partono dal presupposto che ogni sbadiglio dell’amministratore delegato – che spesso è anche il fondatore, il presidente, il tesoriere, etc – debba finire segnalato sulla prima pagina del Corriere della Sera, possibilmente gratis. Non ci riescono, e quindi – un po’ frustrati – si affidano a un normale ufficio stampa, come se bastasse mandare un comunicato stampa per ottenere visibilità sui mass-media. Non riescono ad ottenere risultati neanche così, e allora si convincono che sono tutti soldi sprecati e rinviano il problema di tre anni. Ripeto: senza mappatura degli stakeholder, priorità, obiettivi e strategie non si va da nessuna parte, il “mezzo” è decisamente l’ultima fase del processo.
6) Una delle tue specializzazioni è la comunicazione di crisi. Ritieni che questo particolare ambito della comunicazione serva anche alle PMI, e se sì fino a che punto, oppure che non valga la pena di investire nell’eventualità di eventi che solo ipoteticamente potrebbero verificarsi ?
Nel mio ultimo libro de Il Sole 24 Ore, “Crisis Management: guida alla comunicazione di crisi”, cito le case-history di molte grandi aziende, ma anche di PMI. Mosaico Arredamenti, un mobilificio, è entrato nella “storia” delle crisis. Quando mandarono una letteraccia legale chiedendo 400.000 di danni a un cliente insoddisfatto che si era lamentato su un forum di discussione sul web, a momenti chiudevano tanta è stata la rivolta di piazza che dal web si estesa off-line con proteste di ogni genere. Anche un negozio può essere vittima di una crisi reputazione o strutturale. Il problema vero è che in Italia la cultura della prevenzione delle crisis non c’è l’hanno le grandi aziende, figuriamoci le PMI. E dire che basterebbe un investimento anche modesto per mettersi al riparo da rischi, ma – per dirla con una metafora – com’è noto si tende a stipulare la polizza contro i furti solo quando i ladri sono già passati.
7) Le piccole imprese costituiscono il 90 % delle aziende italiane e sono spesso definite l’ossatura del sistema industriale nazionale, o anche il tessuto imprenditoriale sano dell’economia italiana. Però, a detta di molti, comunicano poco e non sempre bene. Come si spiega questa discrepanza ? E’ possibile cioè lavorare male sul piano della comunicazione e avere comunque successo ?
Rispondo con una domanda: riusciamo ad immaginare che successo avrebbero e quanto guadagnerebbero le PMI italiane se oltre che fare un lavoro ben fatto sapessero anche comunicarlo bene?
8) Le carenze delle PMI sul piano comunicativo hanno una parte – e se sì in che percentuale approssimativamente – di influenza sulla crisi economica che ha colpito l’industria italiana ?
La crisi che sta vivendo il paese è strutturale, non afferisce al dominio della comunicazione. Ma certamente le aziende meglio rodate dal punto di vista della comunicazione interna ed esterna, delle relazioni positive con gli stakeholder, della capacità di prevenire scenari di crisi, eccetera, sono anche invariabilmente quelle che la crisi la patiscono meno, è così da sempre, non è certo questa la prima crisi in cui si è trovato coinvolto il sistema Italia.
9) Si sente spesso dire che le piccole aziende dovrebbero usare i social media, particolarmente i social network, per fare comunicazione, in quanto soluzioni low cost, e in rete fioccano i consigli ai piccoli imprenditori su come fare. Sei dello stesso parere ? Perché sì oppure perché no.
Tutte le aziende dovrebbero fare propri i meccanismi del web 2.0. E non perché sono soluzioni low-cost, non necessariamente, una mia cliente l’anno scorso ha speso sul web mezzo milione di euro: ma semplicemente perché funzionano e sono una strumento efficace per mettersi in relazione con i propri pubblici.
10) Su che cosa devono puntare i relatori pubblici che lavorano all’interno o con le PMI per accrescere con il loro operato la cultura della comunicazione tra i piccoli imprenditori ?
Rispettare i codici etici di categoria, ad esempio, dal momento che siamo tra i pochi professionisti in consulenza aziendale che ne abbiamo di codificati. E prendersi cura di mettersi in gioco anche in assenza di un incarico retribuito al fine di migliorare la cultura d’impresa su questi temi, ad esempio rendendosi disponibili per educational, seminari, etc. Non mi tiro mai indietro quando devo spiegare a un imprenditore i benefici di una strategia di comunicazione ben costruita, anche se non desidera darmi immediatamente un mandato. Dobbiamo far crescere la sensibilità degli imprenditori: se tutti noi colleghi facessimo così, a medio termine crescerebbe il mercato per tutti.
11) Il relatore pubblico che opera in una piccola impresa o, se libero professionista, con piccole imprese, oltre alle competenze e caratteristiche della professione in generale, deve possedere secondo te delle caratteristiche e competenze peculiari ?
Una straordinaria sensibilità umana, e deve anche essere un po’ psicologo. Nelle grandi aziende si fa un progetto, se i numeri ci sono si va avanti. Nelle PMI si fa un progetto, magari i numeri ci sono anche, ma il “padrun” si è alzato male e non se ne fa niente. Lo dico affettuosamente: il mondo dei piccoli e medi imprenditori a volte è tanto stimolante quanto…bizzarro !
12) Le piccole imprese sono spesso più attente delle grandi aziende alla responsabilità sociale, soprattutto nei confronti dell’ambiente. Qual è il modo migliore per comunicare questo punto di forza in modo che sia adeguatamente valorizzato ?
Non concordo con questo dato, che pure alcune fonti riportano: trovo che la scriminante sia costituita dalla sensibilità dell’azionariato e del top-management. Abbiamo grandi aziende sensibilissime ai temi della sostenibilità, e piccole aziende che inquinano follemente, e viceversa.
13) Quali pensi siano le principali sfide che la comunicazione porrà alle aziende nel prossimo futuro ? Quali le sfide per i relatori pubblici ?
Come diceva un autorevole collega, “i mercati sono diventati conversazioni”, e le aziende che non accetteranno questo fatto – indiscutibile e non negoziabile – saranno condannate a rimanere indietro. I relatori pubblici devono invece vincere la timidezza e rendersi realmente misurabili: è troppo facile gettare fumo negli occhi degli imprenditori sostenendo che il nostro apporto è “immateriale” e non si può misurare. Tutte storie. E se chi deve comunicare per Voi non ha nei vostri confronti un approccio realmente “autentico”, beh… cambiate consulente !
Ringrazio Luca per la sua collaborazione.
*Luca Poma, giornalista, socio professionista della Federazione Relazioni Pubbliche Italiana, è consulente in Responsabilità Sociale d’Impresa, Comunicazione di Crisi e Comunicazione non convenzionale. Docente in comunicazione al Master di 1° livello dell’Università Bicocca di Milano, è relatore a centinaia di convegni e seminari in tutta Italia, autore di libri articoli e saggi, e negli ultimi 20 anni ha lavorato su questi temi – spesso con un approccio “non convenzionale” – in 23 paesi del mondo. La sua newsletter è Creatori di futuro.