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Re:Style, il fashion project di Hyundai

Re:Style, il fashion project di Hyundai

Si amplia il riuso creativo degli scarti che coinvolge settori diversi. Un esempio è Re:Style, un  progetto avviato da Hyundai nel 2020 che coinvolge personaggi importanti del mondo della moda.
L’iniziativa sfrutta gli scarti provenienti dai processi produttivi e dalla rottamazione dei veicoli in gioielli, tute, gilet da lavoro, borse e altri capi di abbigliamento. Nei giorni scorsi è stata lanciata la terza collezione realizzata in collaborazione con alcuni artisti che operano nel settore del design ecosostenibile. I sei designer coinvolti hanno lavorato con Hyundai utilizzando materiali scartati durante il processo di produzione dell’auto per dare vita alla collezione moda. Hyundai ha portato avanti l’iniziativa insieme ai due partner distributivi locali L’Eclaireur e Boontheshop, entrambe fashion boutiques di alto livello. Scopo principale del progetto è sottolineare l’impegno della casa automobilistica per l’ambiente e rafforzare il rapporto con le persone che premiano l’impegno delle imprese per lo sviluppo sostenibile.

Cosa c’è di nuovo

La creatività non ha limiti: molto interessante il riuso di materiali di scarto provenienti dalla produzione e dalla rottamazione di auto, un settore che difficilmente viene associato al mondo fashion.




Imen Jane, dietro il siparietto con la lavoratrice di Palermo c’è un sottotesto importante

Imen Jane, dietro il siparietto con la lavoratrice di Palermo c’è un sottotesto importante

Sono qui che ascolto l’annunciata spiegazione su quanto accaduto, ovvero su cosa intendessero le due under 30 Francesca Mapelli e Imen Jane, annoverate da Forbes come talenti 2020, quando hanno sostenuto che se una lavoratrice di una pasticceria di Palermo, pagata 3 euro l’ora, si fosse informata sulla storia del negozio o comunque – anche se pagata poco – fosse stata abbastanza intraprendente da studiarsela, “avrebbe potuto avere l’occasione di essere pagata tre volte tanto come guida turistica” magari per le milanesi “rompicoglioni” a Palermo. Tutto, ovviamente, comunicato con disappunto al proprietario del lido di dove erano a fare colazione, prima di partecipare a una “battuta” di raccolta di plastica dalle spiagge, prontamente condivisa sui social.

La diffusione di questo siparietto, il cinque trionfale che si sono date, la spocchia che hanno trasmesso in pochissimo tempo hanno sollevato polemiche su ogni piattaforma. Anche perché la rete non dimentica chi millanta lauree in Economia che non ha (Imen Jane), né tanto meno tollera chi così platealmente pensa di poter spiegare e insegnare la realtà ai propri coetanei dimostrando però di non potere essere più lontano dal conoscerla.

La spiegazione per me non c’è stata. Da parte di Imen Jane ci sono state delle scuse basate sulla superficialità nella comunicazione, sul “non mi rappresenta”, sul “grazie a chi ha capito”. Ma, per me, c’è stato anche un sottotesto importante: la abissale distanza tra “la comunicazione” che questi personaggi fanno (conveniente e a favore di like) e le persone che in realtà sono. Il loro sistema di valori, insomma, nella spontaneità viene fuori in tutta la sua pochezza.

Di positivo c’è che nelle ultime ore c’è stata una bella corsa a dissociarsi dal Imen Jane&C. Gli organizzatori dell’evento plasticfreeit di Palermo hanno precisato che nessuna influencer era stata assoldata per pubblicizzarlo, l’account di Will ha precisato che “sono cose che non ci riguardano” (eppure Imen nelle sue descrizioni conserva ancora il “Co-founder & Partner at Will Media”: come si spiega?). In ritardo anche Vice, di cui Francesca Mapelli è “Director, Southern Europe || @i_d & i-Deas || at @vice Media Group” (ah, ma quindi siamo nel campo della democraticissima moda) si è dissociato.

Ebbene, facciamo così: pure io vorrei dissociarmi.

E’ un appello, forse inutile ma accorato, che rivolgo ai marchi, ai media, ai talent scout, alle agenzie di management, alle piattaforme, agli editori, ai miei coetanei e ai più giovani: è possibile dissociarsi da questa rappresentazione delle nuove generazioni?

Disclaimer preventivo: ciò che segue è una pletora di luoghi comuni per molti, ma che ritengo oggi necessari.

Influencer, para-influencer, TikToker, nuovi esperti: questi personaggi, non importa quanto mentano, quanta spocchia abbiano, quanto siano scollati dalla realtà o quanto siano paradossali e goffi nel loro scimmiottare un potere che non hanno, continuano ad avere credito nei salotti, agli eventi, ai convegni, alle presentazioni dei libri, nei circoletti che contano, nei premi. Un po’ se lo cercano, un po’ li cercate. Non importa.

Importa che è così che si costruisce la loro notorietà oggi e il loro essere personaggi emblematici di una generazione che cresce, in assenza di reali opportunità di lavoro, pensando che il successo sia scartocciare regali griffati e scarpe di marca in una storia Instagram, che informazione siano le marchette mascherate, che contare qualcosa si misuri in inviti a party esclusivi o nel novero in classifiche che, di sicuro, sono quanto men poco trasparenti.

Instagram e TikTok sono la tv delle nuove generazioni. Quindi è davvero con questi personaggi che credete si debbano raggiungere e fidelizzare? Siete sicuri sia questa la comunicazione che funzioni e che funzioni sul lungo termine? E’ producente continuare a gonfiare questa bolla di rimpalli di notorietà? Dico la mia, sia mai che sia condivisa da qualcuno.

Vorrei dissociarmi da quello che credete possa piacerci. Non trovo nessun valore aggiunto in tutto questo. Nulla che non sia spazzatura facilmente raggiungibile con una serie ambientata in un’high school americana. Oggi parliamo di Imen Jane e Mapelli, ma ce ne sono mille che provano a prenderci in giro dietro la cortina di fumo dell’autenticità.

Sono quelli che intervengono su questioni importanti solo se portano like e gradimento, salvo poi vendere anche la propria arte al migliore offrente.

Sono quelli che non leggono un giornale o un libro da una vita ma che per “informarsi” su questioni spinose e complicatissime consigliano di seguire i 30 secondi di stories di un interessantissimo profilo Instagram a caso: informarsi lì è come dire che si sa leggere solo perché si conosce l’alfabeto.

Sono quelle che fanno “body positivity” quando porta soldi e fama e senza comunque disdegnare photoshop.

Sono quelli dei diritti dei gay ma solo quando c’è un “Io, perseguitato”.

Sono quelli del femminismo sì, ma basta che abbia uno slogan semplice.

Quelli che fanno milioni di seguaci perché hanno una storia strappalacrime alle spalle ma nessuno capisce che hanno fatto fortuna sull’incapacità delle persone di capire cosa stavano guardando o sull’opportunità politica del loro messaggio.

Per dirla con la diplomazia di una mia cara amica, tutta questa narrativa “totalizzante” non è altro che una rappresentazione molto parziale della realtà o della finzione che può piacerci e abbindolarci. “Esiste un mondo fuori da lì che Imen Jane per fortuna non sa neanche chi minchia sia” mi ha detto.

Per dirla a modo mio: ma pensate davvero che siamo tutti scemi? Spoilero. No, non lo siamo. E dovreste smettere di trattarci come tali.




Relief – pronto intervento psicologico

Relief - pronto intervento psicologico

Relief è innanzitutto una start-up dal forte contenuto innovativo. Di cosa si tratta, e come è nata l’idea?

Relief nasce come progetto selezionato due anni fa dal programma di crowdfunding dell’Università Bicocca di Milano, ed è il primo Pronto soccorso psicologico per le emergenze emotive e il benessere quotidiano, accessibile sette giorni su sette, dalle 8:00 alle 20:00, senza appuntamento. Sul sito www.reliefitalia.it sarà possibile invece prenotare le sedute da effettuare online, attraverso uno “studio virtuale”.

Lo scopo di Relief è, come dice il nome, il sollievo rapido, cioè l’uscita dalla crisi del momento, lo “switch”, la modulazione dell’emozione. Tutto in trenta minuti. Il team di psicologi del centro adotta un modello di intervento che trae spunto da due tradizioni cliniche internazionali – RAPID (Johns Hopkins Protocol) e Seven-stage Intervention Crisis Model (Roberts) – e vi integra una miscela di psicotecniche scientificamente validate, come ipnosi clinica rapida, EMDR per acuzie, realtà virtuale, biofeedback, e una dotazione di device tecnologici dedicati alla gestione fisiologica delle emozioni.

Immagino che la crisi globale, che non dimentichiamo è si sanitaria ed economica ma anche sociale e psicologica, abbia rappresentato una causa preminente nell’ideazione del progetto.

In realtà, per la nostra esperienza finora “l’effetto pandemia” non porta a rivolgersi ad uno psicologo, almeno non direttamente, ma può essere sicuramente lo sfondo sul quale peggiora la disregolazione emotiva. Aumentano ansia e calo dell’umore, peggiorano le relazioni significative. Più di una persona su tre lamenta problemi di coppia o in famiglia. Di queste, i due terzi hanno problemi amorosi, e in maggioranza sono maschi. Il Covid è ultimo in classifica tra i problemi che conducono a richieste di aiuto esplicite, solamente i 3% nei primi 3 mesi di attività. Questo dato però non ci deve ingannare: se è vero, come è vero, che rispetto al primo lockdown è cambiata completamente la percezione di pericolosità della malattia, al ribasso indipendentemente dai dati sanitari, il logorio quotidiano derivante dalle restrizioni imposte alla nostra libertà e dal continuo bombardamento di notizie riguardanti malattia e morte, ha avuto un impatto complessivamente significativo.

Quali sono dunque i sintomi più frequenti ricollegabili direttamente alla pandemia?

Il quadro delle motivazioni di richiesta d’aiuto parla di aumento dell’ansia (18% dei pazienti), calo dell’umore e diminuzione dell’autostima con amplificazione di pensieri intrusivi (15% circa dei pazienti) e naturalmente di un peggioramento complessivo di tutte le relazioni significative, provate dalla convivenza forzata e dall’assenza di distrazioni (34% complessivamente tra amore e altre relazioni). Neppure il tema del lavoro è escluso dalle difficoltà del periodo, visto che il 12% dei clienti accusa problemi relativi allo smart-working o alle nuove tensioni lavorative. Restano forse esclusi dal potenziale impatto del Covid traumi e lutti collegati alle normali curve dei percorsi di vita individuali. In questo periodo più che mai occorre lavorare con i pazienti per aiutarli a imparare a regolare le proprie emozioni a vantaggio delle relazioni personali e professionali, anche nei momenti difficili. Più del 70% delle persone che si recano al Pronto Soccorso ordinario temendo una crisi cardiaca è in realtà preda di uno stato d’ansia o di panico non riconosciuto e non gestito. In Italia il numero di persone che lamentano un disturbo psichico si avvicina a 18 milioni. Il 14,8% degli italiani che non hanno già un disturbo ha però un’elevata probabilità di manifestare nel breve e medio termine sintomi ansioso- depressivi: sono circa 5,5 milioni di persone. E la pandemia in corso ha probabilmente accentuato queste tendenze statistiche in senso negativo.

Il servizio è dunque pensato anche per i traumi quotidiani o da pandemia?

Siamo il primo pronto soccorso psicologico a Milano, in Italia e nel mondo, che offre programmi di benessere aziendale e individuale personalizzati, e che si rivolge a tre tipologie di pubblico maggiorenne. Il destinatario principale è la persona cui è successo realmente e di recente qualcosa di sgradevole: interruzione di una relazione, lutto, delusioni, litigi, incidenti, mobbing, bullismo, aggressioni, insomma grandi e piccoli traumi reali e puntiformi. Il secondo target è costituito da persone che hanno una giornata storta perché si sentono invase da ansia, rabbia o tristezza e non sanno come gestire l’emozione. Il terzo pubblico è composto da persone che stanno bene e hanno voglia di dedicarsi uno spazio e un tempo di relax fisico e mentale ad alta tecnologia. A tutti, al termine della seduta, viene fatta scaricare un’app con esercizi su misura per prolungare gli effetti delle sedute anche a casa. Mi piace sottolineare come le tariffe siano agevolate per under 25 e per over 65.

Non si rischia così di mettere in cattiva luce le tempistiche più tradizionali dei percorsi di psicoterapia o di analisi, che sono piuttosto lunghe e impegnative? 

Relief   non   si   sostituisce   né   si   oppone   a   un intervento psicoterapeutico strutturato e ordinario. Anzi, in parte fa prevenzione rispetto al consolidamento di disturbi conclamati, in parte può generare invii a percorsi classici. E tutto avviene in modo tanto scientifico quanto dinamico e moderno, grazie al lavoro del nostro team di qualificate professioniste. Vogliamo così portare la psicologia pratica all’interno e al servizio della quotidianità, con tutti i suoi alti e bassi. L’intento è creare una cultura dell’aiuto psicologico più vicina ai cittadini, e che includa il tema dell’autoefficacia e della serenità, prima ancora che della terapia: da qui, tra le altre cose, l’idea di una clinical-lounge colorata e accogliente, più che un semplice ambulatorio. per differenziare l’idea sanitaria del “guarire” dal concetto più gratificante e umano di “stare bene”. La mission di Relief è la salute mentale intesa come lo stato di benessere quotidiano in cui una persona può realizzarsi a partire dalle proprie capacità, per affrontare lo stress della vita di ogni giorno, lavorare in maniera produttiva e contribuire anche al benessere della propria comunità. Quando la disregolazione va verso l’alto, per eccesso di ansia e di irritazione, è possibile apprendere strumenti psicologici e fisici per imparare a “spegnersi”; al contrario quando la disregolazione tende a immobilizzare la persona e ad abbatterla, può essere utile imparare ad attivarsi a partire dal corpo o utilizzando routine mentali che riescano ad accendere il motore anche nei momenti più cupi. Imparare a modulare le proprie emozioni, in fondo, è la base per gestire meglio la propria vita.




Quanto sono sostenibili i fondi su cui investiamo. Una inchiesta

Quanto sono sostenibili i fondi su cui investiamo. Una inchiesta

Continua il boom degli investimenti sostenibili. Sempre più italiani vogliono far fruttare i propri risparmi con un occhio di riguardo al bene di ambiente e società. Secondo i dati di Assogestioni, l’associazione italiana dei gestori del risparmio, nel terzo trimestre di quest’anno in Italia il patrimonio promosso in fondi definiti come sostenibili ha superato i 361 miliardi di euro, segnando un +31% rispetto a sei mesi prima. Una categoria che racchiude i prodotti che promuovono “caratteristiche ambientali o sociali” o quelli aventi come obiettivo “investimenti sostenibili”, secondo, rispettivamente, gli articoli 8 e 9 della SFDR.

La SFDR è il Regolamento sull’Informativa di Sostenibilità dei Servizi Finanziari, voluto dalla Commissione europea per favorire la trasparenza. La normativa obbliga le società di gestione del risparmio a classificare i propri prodotti in base al livello di integrazione dei criteri di sostenibilità nella strategia di investimento. Fornendo in questo modo una bussola che dovrebbe orientare i risparmiatori: se ben informato, il singolo investitore può decidere quali rischi, finanziari e non, prendersi.

Insieme alla domanda da parte degli investitori cresce anche il numero di prodotti Esg (Environmental, Social, Governance) offerti: dai 1.205 di marzo 2021 ai 1.456 di settembre. L’acronimo sta per Environment, Social e Governance, e racchiude i criteri che dal 2006 misurano l’impatto ambientale (E), il rispetto dei diritti sociali (S) e i principi di buona gestione (G) di un’azienda. La rapida ascesa però sta accendendo anche i fari sulle reali credenziali degli investimenti. Dietro l’angolo si nasconde il rischio di greenwashing o social washing, ovvero l’offerta di prodotti in cui il velo della presunta sostenibilità maschera una realtà ben diversa. Un pericolo su cui le autorità vogliono vederci chiaro.

In Germania e negli Usa gli enti di vigilanza dei mercati hanno aperto un’inchiesta lo scorso agosto nei confronti di Dws, società di gestione del risparmio del gruppo Deutsche Bank, con l’accusa di aver esagerato le credenziali sostenibili di alcuni prodotti. Dws ha respinto fermamente le accuse, ma il caso, primo nel suo genere, ha messo il settore del risparmio gestito sull’attenti. Il rischio è di trovare brutte sorprese all’interno dei fondi: anche il risparmiatore più responsabile, se non a conoscenza dei criteri che si usano per selezionare alcune aziende come sostenibili, finisce col mettersi in tasca i titoli di aziende petrolifere o di estrazione mineraria, o a finanziare industrie legate a tabacco e gioco d’azzardo.

Per capire meglio quanto sia veramente sostenibile l’offerta delle Sgr italiane abbiamo analizzato alcuni dei principali fondi Esg dei quattro principali operatori: Intesa Sanpaolo, Generali, Amundi e Anima.

Intesa Sanpaolo

Numero uno in Italia per patrimonio gestito, Intesa Sanpaolo è attiva nell’asset management principalmente attraverso la controllata Eurizon. Tra centinaia di prodotti offerti dalla Sgr, i risparmiatori possono optare per quelli pubblicizzati chiaramente come Esg.  Come Equity Europe Esg e Equity Usa Esg, due fondi aperti lussemburghesi partiti nel maggio 2020 e che dichiarano di investire “solo in azioni di società che soddisfano standard ambientali, sociali e di governance minimi, senza esclusioni di settore”.

Scandagliando le posizioni aperte al 30 giugno (data di ultimo aggiornamento), il fondo Esg europeo comprendeva investimenti significativi in aziende oil&gas come Shell, BP, Total, Eni e Neste; oltre ai titoli di giganti dell’industria mineraria, come Rio Tinto, Anglo American, Antofagasta e BHP Group. Figura poi un’importante società di gioco d’azzardo e scommesse sportive come Flutter Entertainment (noto per i marchi Paddy Power, Pokerstars). I bookmakers fanno parte dei cosiddetti sin stocks (ovvero titoli legati ai “vizi”) – insieme a tabacco, pornografia e armi – per il loro minor valore etico. 

Il prodotto Equity Usa Esg è il gemello americano del fondo europeo. Qui i titoli del comparto energetico rappresentano al 30 giugno il 2,71% del portafoglio. Tra di essi figurano i giganti degli idrocarburi ExxonMobil, Chevron, ConocoPhillips e Marathon Petroleum. Tra i beni di consumo, invece, compaiono due leader dell’industria del tabacco come Philip Morris e Altria.

Intesa Sanpaolo spiega a Green&Blue che i due fondi promuovono, all’interno delle scelte di investimento, caratteristiche sociali o ambientali, oltre ad una buona governance, pur essendo fondi LTE (cioè che hanno un benchmark di riferimento tradizionale a fronte di un Limited Tracking Error, cioè minimo scostamento in termini di rischio). “Eurizon adotta logiche di esclusione per gli emittenti che operano in settori ritenuti non socialmente responsabili,” dice un portavoce di Intesa. “Non sono previste esclusioni per emittenti di settori come l’Oil&Gas, un settore in transizione del quale monitoriamo le dinamiche; o mineraria, che fornisce minerali necessari sia al settore dell’ICT impegnato nella digitalizzazione, sia metalli fondamentali per lo sviluppo dell’infrastruttura dell’energia rinnovabile”.

Eurizon offre poi una serie di prodotti che promettono di avere particolare occhio di riguardo all’impronta di carbonio delle aziende presenti in portafoglio. Tra di essi spicca il fondo chiamato Low Carbon. Dall’analisi dei titoli, però, emergono alcune società altamente inquinanti. Per esempio, poco più di 8 milioni di euro erano investiti al 30 giugno in azioni e bond emessi da Rwe, multinazionale del settore energetico. Secondo un report di Greenpeace, Rwe “vanta” il più alto livello di emissioni di CO2 in Europa, nonostante i recenti investimenti in energie rinnovabili. Una dipendenza dal carbone che quest’anno ha spinto Axa, la principale azienda assicuratrice francese, a tagliare i legami con Rwe

L’azienda tedesca dice di aver dimezzato le proprie emissioni di CO2 tra il 2012 e il 2019 e di voler proseguire in questa direzione, mettendo l’energia rinnovabile al centro della propria strategia. 

Intesa Sanpaolo spiega che “l’investimento in Rwe è legato alla possibilità della progressiva uscita dal carbone” tenuto anche conto del programma del nuovo governo di coalizione tedesco che prevede un forte aumento della capacità eolica e solare. “Rwe è il soggetto perfetto per questo tema, se pensiamo che, in base ai propri piani, l’azienda potrebbe approvvigionarsi solo da fonti di energia rinnovabile ragionevolmente dal 2026”, aggiunge Intesa Sanpaolo.

Oltre ai prodotti marcati come Esg, Eurizon dispone anche di tre fondi etici – Azionario Internazionale Etico, Obbligazionario Etico, Diversificato Etico – che escludono a priori tutte le aziende coinvolte in attività come energia nucleare, armamenti e tabacco.

Generali

Il Gruppo Generali, prima compagnia assicuratrice d’Italia, opera nella gestione del risparmio attraverso la controllata Generali Investments.

Anche Generali offre un’ampia gamma di prodotti che integrano criteri Esg nelle scelte di investimento. Tra i numerosi fondi aperti gestiti dal gruppo triestino c’è il Sustainable World Equity, che investe in azioni di aziende in tutto il mondo. Questo prodotto è frutto di un rebranding, che nell’ottobre 2020 lo ha fatto rinascere in chiave “sostenibile”. Infatti, in precedenza era semplicemente chiamato World Equity.

Tra i titoli presenti in portafoglio a fine giugno (ultimo aggiornamento disponibile) compaiono numerose società attive nell’oil&gas, come BP, Total, Eni. Oltre che a Pembina Pipeline, costruttrice di oleodotti e gasdotti. Scorrendo la lista delle posizioni aperte ci si imbatte poi in produttori di armi, come Northrop Grumman e Thales e nel gigante del tabacco Philip Morris.

Generali spiega che “il processo di selezione Esg non prevede l’esclusione a priori di interi settori, ma si basa sull’approccio Best-in-Class. Tale approccio consiste nell’escludere dall’universo investibile gli emittenti più in ritardo per quanto riguarda le politiche ambientali, sociali e di governance su base settoriale”.

Nell’offerta di Generali troviamo poi un altro fondo incentrato sulle azioni di società europee, lo Sri European Equity. Qui il gruppo triestino applica criteri più stringenti nella selezione dei titoli, preferendo aziende che contribuiscono attivamente al miglioramento ambientale e sociale. Di conseguenza, il portafoglio presenta una drastica riduzione dei titoli  più “controversi”. L’unico investimento nel settore petrolifero rimane quello nelle azioni del gruppo finlandese Neste.

Generali spiega a Green&Blue che la sostenibilità è un presupposto fondante del proprio piano strategico. “Con l’obiettivo di favorire la transizione verso un’economia e una società più sostenibili, il Gruppo ha realizzato sei miliardi di euro di investimenti green e sostenibili,” dice un portavoce.

Amundi

Leader dell’asset management in Europa, Amundi gestisce una fetta consistente del risparmio italiano. Il gruppo parigino è tra i pionieri degli investimenti sostenibili attraverso una divisione dedicata nata nel 2003. Diversi sono quindi i prodotti con il bollino Esg.

Global Ecology ESG e European Equity Green Impact, due fondi più marcatamente incentrati sull’impatto ambientale, escludono qualsiasi investimento in aziende attive nel settore oil&gas, puntando invece su chi sviluppa energie rinnovabili. Strategia diversa invece nella scelta dei titoli del portafoglio European Equity Esg Improvers. In questo caso i gestori francesi dicono di selezionare aziende con solidi fondamentali ma che oggi sono all’inizio del loro percorso verso una maggiore sostenibilità. Figurano quindi investimenti in azioni di Shell, Equinor e Neste, aziende impegnate nell’estrazione di idrocarburi.

Amundi spiega che sebbene le aziende citate non operino in settori “Esg friendly”, saranno tuttavia cruciali per la transizione energetica. “Queste aziende stanno mostrando un forte potenziale di miglioramento”, dice l’asset manager.
A fianco ai fondi aperti, Amundi controlla anche una vasta gamma di Exchange-Traded Funds (Etf) con caratteristiche Esg. Per loro natura gli Etf hanno l’obiettivo di replicare fedelmente l’andamento di un indice di riferimento. Inevitabile, di conseguenza, la presenza di numerosi titoli “critici”. Nell’Etf Esg dedicato all’indice americano S&P500, per esempio, spiccano Chevron, ConocoPhillips, ExxonMobil, Marathon Oil, Occidental nel settore oil&gas.

Amundi spiega che “l’indice Esg è costruito per offrire un profilo di rischio/rendimento simile a quello dell’indice principale, migliorando al tempo stesso il punteggio Esg. Per far ciò, si applica un filtro all’interno di ciascun settore – compresi il settore del petrolio e del gas – per escludere il 25% delle società con i punteggi Esg più bassi e per mantenere quelle con i punteggi Esg più alti”. Amundi precisa inoltre che l’S&P 500 Esg fa parte di una gamma più ampia di Etf Esg che adottano diverse metodologie di costruzione degli indici, tra cui un’offerta di Etf Sri che esclude i combustibili fossili.

Anima

Anima, il più grande gruppo indipendente di risparmio gestito in Italia, è entrata nel mercato degli investimenti sostenibili in tempi più recenti. Risale al 2019 la nascita del Comitato Esg e la stesura della prima policy sull’integrazione dei rischi socio-ambientali.

La Sgr milanese offre, in particolare, una serie di prodotti di investimento responsabile con il marchio ESaloGo. Questi fondi includono in modo strutturato l’analisi dei fattori Esg ed escludono a priori settori controversi come tabacco, armamenti e gioco d’azzardo.

Nella composizione dei portafogli è bassa anche la presenza di titoli nel comparto petrolifero. L’unica esposizione al settore avviene attraverso le azioni del colosso americano Chevron.

Armando Carcaterra, responsabile Investment principles and Support di Anima Sgr dice che l’approccio di Anima al settore oil&gas “prevede di investire tendenzialmente nelle società sensibili alle tematiche ambientali e comunque impegnate nella transizione energetica, monitorandone i progressi attraverso l’attività di engagement”.

“Per quanto riguarda nello specifico Chevron, secondo i dati utilizzati da Anima, l’emittente ha un punteggio ESG in linea con gli altri grandi operatori del settore”, aggiunge Carcaterra.

Conclusioni

Nel creare un portafoglio sostenibile, o Esg, gli operatori di mercato, come le Sgr italiane, possono adottare una serie di azioni anche molto diverse tra loro: dall’esclusione a priori di alcuni settori – come produttori di armi, tabacco o combustibili fossili – alla scelta dei titoli best-in-class, ovvero valutando il profilo di sostenibilità rispetto al benchmark dell’industria di riferimento.

Per esempio, Norges Bank, il fondo sovrano norvegese e uno dei più grandi investitori istituzionali al mondo, tiene sotto stretto controllo i rischi ambientali e quelli relativi alle condizioni lavorative delle società in cui investe. Dal 2012 Norges Bank ha ritirato i propri investimenti in 366 aziende che, secondo il fondo norvegese, non hanno un modello di business sostenibile. Nelle lista delle esclusioni compilata da Norge Bank compaiono diverse aziende, come Rwe, British American Tobacco e Philip Morris, i cui titoli sono invece in pancia ad alcuni fondi Esg italiani.

I gestori possono inoltre adottare un atteggiamento di azionariato attivo, provando a guidare dall’interno un’azienda poco “pulita” verso la sostenibilità socio-ambientale.

Così, senza criteri oggettivi, diventa complicato per gli investitori orientarsi in un mondo costellato da sigle e diciture la cui interpretazione varia da un gestore all’altro.

Per questo la Commissione Europea ha iniziato a mettere dei paletti al mercato. Dallo scorso marzo gli operatori finanziari sono obbligati a comunicare in modo trasparente le politiche intraprese per integrare i rischi di sostenibilità nei propri processi decisionali. Un primo passo per segnare dei confini più netti tra una pratica potenzialmente ingannevole e una lecita strategia d’investimento.




Nasce l’Orto della SME: un progetto di rigenerazione urbana presso la Scuola di Management ed Economia dell’Università di Torino

Nasce l’Orto della SME: un progetto di rigenerazione urbana presso la Scuola di Management ed Economia dell’Università di Torino

Torino – Venerdì 17 dicembre alle 15.30 presso la Scuola di Management ed Economia si inaugurerà il progetto Orto della SME, una zona dedicata ad orto urbano in cassone per la comunità studentesca e per la cittadinanza con lo scopo di incentivare la produzione e il consumo di alimenti sani in aree urbane come strumento di sensibilizzazione verso una maggiore sostenibilità dei consumi. Il progetto è finanziato grazie ad EIT Food, all’interno di un asse progettuale dedicato al concetto di New European Bauhaus. All’interno degli orti si potranno produrre frutta e vegetali a disposizione per una variegata comunità di stakeholder: studenti, studentesse, personale tecnico-amministrativo, docenti, ma anche associazioni e scuole del territorio, cittadini e cittadine. Dopo i saluti istituzionali, sarà possibile visitare l’area e con l’occasione sarà possibile portare in dono all’orto un regalo, anche di natura simbolica e verrà effettuata una posa della prima “pianta”. A seguire si festeggerà con vin brulè, cioccolata e the caldo.

Lo scopo del progetto è quello di creare uno spazio multifunzionale valorizzando un’area fino ad oggi poco utilizzata, incrementando il valore sociale, culturale, ambientale ed estetico. Il gruppo di ricerca che ha portato avanti l’iniziativa si è ispirato al Nuovo Bauhaus Europeo, definito dalla Commissione Europea come quell’insieme di principi per rendere il Green Deal un’esperienza culturale concreta per tutta l’Europa, specie nel processo di ripresa rispetto alla crisi indotta dalla pandemia.

L’iniziativa si è infatti concentrata sulla realizzazione di un progetto che rispondesse ai tre principi del nuovo Bauhaus e cioè qualità dell’esperienza, sostenibilità e inclusione. Ispirandosi quindi a questi principi il progetto è stato realizzato organizzando diversi momenti di scambio che hanno visto la partecipazione attiva di diversi stakeholder, interni ed esterni all’Università. Le attività che hanno portato alla realizzazione dell’orto sono iniziate nel mese di agosto e hanno visto, in questi mesi, il coinvolgimento attivo di più di 60 persone.

Esperienza

Grazie alla collaborazione con Città di Torino, i partecipanti al progetto hanno avuto modo di visitare Orti Generali e VOV 102 (luoghi cittadini già inclusi nei progetti europei ProGiReg e Fusilli). “Inoltre, sono stati organizzati alcuni momenti di co-progettazione che hanno permesso di raccogliere idee, spunti e per creare uno spazio capace di raccogliere diversi punti di vista e diverse esigenze, ispirato dalla creatività e dell’immaginazione dei singoli, ma con una visione corale” spiega la responsabile del progetto la Prof.ssa Laura Corazza (Dipartimento di Management). Durante i diversi incontri con anziani che frequentano abitualmente l’area e che sono cresciuti in questo quartiere, si è ricostruita la storia del sito, anche dal punto di vista delle specie arboricole che erano presenti. La scelta delle piante è stata ispirata dai racconti che abbiamo ascoltato e dalle diverse testimonianze di chi è cresciuto in questi spazi. Riprendere le radici storiche nella scelta delle piante è servito a dare un senso di continuità con il passato, riscoprendo una memoria storica importante.

Nel mese di Ottobre, una quarantina di persone, sia interne che esterne all’ateneo torinese hanno partecipato ad un workshop durante il quale si sono definite le migliori soluzioni gestionali per lo spazio e per la garanzia dell’accessibilità, le specie vegetali da coltivare e le strategie per favorire lo sviluppo di una comunità attiva e inclusiva. Nel mese di novembre è invece stato organizzato, grazie al supporto tecnico di Amiat Gruppo Iren, un momento di pulizia degli spazi con il coinvolgimento degli studenti e delle studentesse e il personale docente, con lo scopo di avviare simbolicamente il progetto di transizione. L’attività di pulizia ha permesso di raccogliere, in poche ore, 860 chilogrammi di rifiuti che grazie al supporto di Amiat sono stati avviati a trattamento e recupero.

Sostenibilità ed economia circolare

In aggiunta, come applicazione pratica alla vocazione scientifica del Dipartimento di Management, si è deciso di adottare una filosofia di economia circolare lungo l’intero progetto di design. Per la realizzazione tecnica delle infrastrutture e degli arredi si sono recuperate traversine dei treni (opportunamente trattate), legno di scarto da segherie locali e da cantieri edili che operano in bioedilizia che altrimenti sarebbero diventati rifiuti. Il legno che è stato utilizzato per creare il camminamento che attraversa gli orti è stato realizzato grazie al recupero di 22 quintali (3 metri cubi), pari a 28 traversine, di traversine ferroviarie in rovere. Le assi per la realizzazione dei cassoni sono composte da legno che è stato recuperato da cantieri edili e da falegnamerie di Torino. Questo ha permesso di recuperare 15 quintali di legno pari a 2 metri cubi in maggioranza corteccia di larici ed abeti. La casetta degli attrezzi, il tavolo e le panchine sono stati realizzati recuperando e riassemblando componenti esistenti da scarti di cantieri edili ed invenduti. Si è stimato che questo progetto abbia permesso di risparmiare circa 52/60 quintali di legno vergine e allungare il ciclo di vita di diversi prodotti e materie prime. La stima è avvenuta considerando la percentuale di materia prima che si perderebbe durante la gestione del bosco, e le diverse fasi di taglio, trasporto e macchinaggio.

Inclusione ed estetica

L’area in questione era stata dismessa e non accessibile alla comunità universitaria. Tramite questo progetto si è valorizzato il capitale naturale presente, anche attraverso la collaborazione con qualificati esperti di architettura del paesaggio che hanno offerto consigli sul miglioramento del senso estetico del luogo. Per migliorare l’accessibilità dell’area e consentire alla popolazione disabile una migliore fruibilità, si sono progettati dei camminamenti e dei cassoni disegnati per essere percorsi ed usufruiti da una popolazione con disabilità motorie. Cassoni più bassi e stretti, sono stati progettati per coinvolgere bambini e bambine delle scuole limitrofe. La storia dell’orto e le sue regole sono anche disponibili in formato audio, per la popolazione non vedente e ipovedente, accessibile con smartphone.

Il progetto è stato realizzato grazie al sostegno di EIT Food, all’interno del progetto Cross-KIC New European Bauhaus della Commissione Europea. La sua ideazione nasce dalla stretta collaborazione della Scuola di Management ed Economia, il Dipartimento di Management e il Dipartimento di Scienze economico-sociali e matematico-statistiche dell’Università degli Studi di Torino, con Obiettivo Studenti e AIESEC, e il prezioso contributo di Città di Torino. Hanno collaborato anche il Dipartimento di Cultura, Politiche e Società e il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari del nostro ateneo. Oltre ai cittadini e alle cittadine, durante gli eventi sono intervenuti: la Consulta per le Persone in Difficoltà, l’asilo nido Il Micino, REAR, Assiste SCS. Gli sviluppi del progetto in lingua inglese sono disponibili su: L’orto della SME @UniTo – Chiara Certomà (crowdusg.net). Per chi fosse interessato a collaborare al progetto e rimanere aggiornato è disponibile un canale Telegram: https://t.me/+V39i4MwGEZBiMTI8