1

Internet: gli italiani intrappolati nella bolla di Whatsapp e Facebook

Siamo dentro una bolla. Noi italiani più di altri. A leggere con attenzione i dati del rapporto “Internet in Italia – I Trend del 2017” pubblicato da comScore ci scopriamo provinciali ed egotici. Anche o forse soprattutto nell’uso dei cellulari.
Ma andiamo con ordine. Lo studio ci dice cose che in parte sappiamo bene. Cresce la popolazione online in Italia, ma soprattutto aumentano gli italiani che possono definirsi “mobile only”, ovvero che si connettono in rete solo da dispositivi mobili come smartphone e tablet. Ci dice che due minuti su tre online li passiamo su device mobili.
Quello che non sapevamo è che il traffico via smartphone e tablet è concentrato su determinate tipologie di contenuti, messaggi e social network in testa, e su poche applicazioni: 6 minuti ogni 10 vengono trascorsi su Facebook o WhatsApp. A differenza di quanto accade negli Usa o nel Regno Unito dove da smartphone si accede principalmente a contenuti di intrattenimento, per noi lo smartphone è il punto d’accesso per le piattaforme social. Il livello di concentrazione sia del traffico che delle Audience in ambiente app è ancora più forte: circa il 60% del tempo totale viene infatti trascorso sulle due app più utilizzate (WhatsApp e Facebook) mentre in termini di penetrazione sugli utilizzatori di smartphone tutte le prime 10 App appartengono a Google o Facebook.
Non parliamo di strumenti di intrattenimento neutri. Facebook, Whatsapp, Youtube sono anche piattaforme editoriali. Come suggerisce il clamore legato alla caccia alle bufale sul web, all’interno di questi “mondi” tanto cari agli italiani vengono offerti contenuti con una gerarchia in parte determinata da algoritmi proprietari.  Come dire, i contenuti sono presi dalla rete ma l’ordine con cui ci vengono proposti non è interamente deciso da noi. Il rischio è quello dei rimanere intrappolati in una bolla. Parliamo sempre con i nostri amici, prevalentemente di alcuni argomenti e con una certa sensibilità. L’effetto echo chamber è legato alle nostre scelte e all’algoritmo che ci “aiuta” a selezionare e mettere in primo piano solo le informazioni giudicate più interessanti per noi. Il tutto accompagnato da offerte pubblicitarie in linea con le nostre abitudini digitali. Nulla di malvagio, in teoria. Si perde però quella funzione di scoperta che in una fase iniziale è stata attribuita al web. Non scopriamo nulla di nuovo perché restiamo nel nostro. Almeno in Italia. Anzi, soprattutto in Italia. A dicembre nella top 15 troviamo al primo posto Whatsapp con una penetrazione del 93%, segue Google Play al 90 (l’indagine è limitata agli smartphone con Android) poi segue Google search, Youtube, Facebook ecc. Per uscire dai mondi di Google Facebook e Amazon occorre attendere la quattordicesima posizione dove troviamo My Vodafone Italia. Come dire, almeno in Italia siamo sempre là dentro, da quelle parti.
E poi c’è il trend del video. A dicembre 2016 sono stati 28 milioni gli Italiani che hanno visto un video online attraverso il desktop e 18 quelli che hanno dichiarato di farlo con uno smartphone. La crescita delle visualizzazioni da smartphone in Italia (+15% nel 2016) è seconda solo a quella registrata in Germania (+19%). Oggi oltre la metà (55,5%) dei possessori di smartphone italiani dichiara di aver visto un video utilizzando il proprio device, e lo fa con sempre maggiore frequenza: crescono del 34% (da 3,3 a 4,4 milioni) gli utenti che guardano video quasi ogni giorno. Si guarda tanto Youtube  sui “piccoli” schermi degli  smartphone. E non solo. I più giovani passano metà del loro tempo su desktop a vedere video.




COMUNICARE LA COSA PUBBLICA: SETTE COSE CHE HO IMPARATO AL COMUNE DI MILANO

Il progetto di presenza del Comune di Milano sui Social Media è nato nel 2012: per conto dell’agenzia di comunicazione digitale Hagakure (oggi Doing), ne sono stata la responsabile fino al dicembre del 2016.
Dall’analisi preliminare alla stesura della strategia e delle policy, dal piano di formazioni all’interno dell’ente all’attività redazionale quotidiana, questa esperienza è stata in assoluto la più interessante e formativa della mia vita professionale: perché mai come prima ho dovuto lasciare da parte abitudini, convinzioni e (molti) pregiudizi per fare spazio in fretta a una mole spaventosa di informazioni, eventi, condotte e processi. Ho condiviso questi anni con alcuni compagni straordinari: Alessio Baù, innanzitutto, responsabile fin dal principio della creazione di contenuti; le altre persone che negli anni hanno fatto parte del team e i referenti d’agenzia, Chiara Bassani e Marco Massarotto; l’ufficio stampa del Comune; il Gabinetto del Sindaco, tutti gli Assessori e gli “articoli 90” che hanno lavorato insieme a loro, veri attori della creazione di un modello nuovo di amministrazione.
È stato un percorso complesso e felice, e in un ecosistema che molto spesso parla di trasformazione digitale senza provare a praticarla in un contesto reale, è stata una fortuna averlo vissuto: perché ho avuto lo spazio e il tempo per scoprire, da dentro, la città in cui sono nata e cresciuta, e il privilegio di aprire una strada per cambiarne un pezzettino.
Non tutto è riuscito, e di certo si poteva fare di più, o meglio: ma negli anni abbiamo capito alcune cose, e con Alessio, conclusa l’esperienza, abbiamo pensato che potesse essere utile iniziare a condividerle anche al di là degli appuntamenti accademici o di settore in cui ci chiedono di raccontarle. Qui trovate le sue riflessioni; di seguito, invece, alcune delle lezioni che ho imparato io. Il fatto che siano sette, lo giuro, è un puro caso

1. A cosa servono i Social Media di una PA

A informare i cittadini, naturalmente, illustrando servizi e azioni amministrative. Ma a farlo senza mediazioni: su presidi propri, all’interno delle piattaforme che il pubblico già popola, preferendole ormai da anni ad altri mezzi (per chiarezza: non alla televisione, che peraltro culturalmente condiziona le modalità di produzione e fruizione delle informazioni anche online; ma di certo ai giornali); con scelte editoriali, di formati e frequenza di pubblicazione indipendenti da terzi; con l’obiettivo non di “fare notizia”, ma di far sì che la notizia sia chiara e accessibile a tutti, e si possa ricondurre a una visione coerente della città; attraverso un piano editoriale quotidiano, e, alla stessa stregua, con ciascuna delle risposte fornite alle domande, ai dubbi e alle critiche degli interlocutori. A recepire queste ultime: replicando con altre spiegazioni e approfondimenti, quando possibile e necessario, e a beneficio non solo del cittadino che le esprime, ma di chiunque legga, perché i Social Media sono a tutti gli effetti un ufficio reclami, ma condiviso; e usarle come feedback da veicolare all’interno, come polso dell’impatto delle singole azioni come delle politiche di intervento nel loro complesso. A intercettare, in questa attività, i focolai di crisi. A risolvere problemi, infine, interpretando le esigenze, mediando con gli uffici, fornendo risposte e suggerimenti – negli ovvi limiti del diritto amministrativo.
(Nota per chi farà questo lavoro: è l’ultimo, probabilmente, l’aspetto migliore. Non lo vedranno in molti: i problemi più seri di solito si materializzano in forma di messaggio privato. Aiutare uno sconosciuto a risolverli, o a capire come farlo, è la cosa che darà maggiore senso alle tue giornate.)

2. Accuratezza

Quando si dialoga per conto di una Pubblica Amministrazione, non sono consentiti errori. (Sì, si fanno lo stesso. Per colpa propria, o di qualcun altro, non ha importanza: l’Amministrazione viene percepita – giustamente – come una. Allora si chiede scusa. Si corregge. Si impara.) È necessario essere accurati, perfino ossessivi: capire la ratio e i dettagli di tutto quello che si comunica, approfondirli per prevenire le domande, approfondirli di nuovo per rispondere a posteriori a tutte quelle cui non si era pensato prima, conoscere origine e senso delle scelte (tradotto: elementi di storia e cronaca della città; principi di diritto, funzionamento e competenze all’interno dell’ordinamento giuridico; dinamiche della politica), e infine spiegarli, rendendoli chiari per tutti (è bandito il linguaggio burocratico; sono benvenuti i supporti multimediali, come infografiche, render, video), senza banalizzarli.
(Nota per chi farà questo lavoro: non farti guidare dal feticcio del real time, anche in una logica di Social Media. La certezza delle informazioni e la qualità dell’esposizione vengono prima della velocità. Se inverti i fattori, ne farai le spese.)

3. Integrazione

Definire ancora nuovi i Social Media, quando si parla di comunicazione, è ridicolo. Ma 4 anni fa lo erano, e continuano ad esserlo oggi, per organizzazioni complesse che di rado li hanno usati – come le PA. La macchina amministrativa, sollecitata da richieste provenienti dall’ennesimo punto di contatto con i cittadini – un punto di contatto che esige reazioni rapide, e che ancora viene percepito come luogo (se va bene) di svago -, nella nostra esperienza al principio è stata refrattaria. La prima fase dell’apertura di nuovi canali di comunicazione bidirezionale deve quindi contemplare della formazione interna, che spieghi, prima di poterla dimostrare nei fatti, la loro utilità; deve prevedere inoltre un lavoro a stretto contatto con chi produce le notizie. È un processo lento, inizialmente, e bisogna dimostrare una professionalità che in altri ambienti è data per scontata; quando accelera, però, lascia la gradevole impressione di aver contribuito a creare una piattaforma di comunicazione più variegata, efficace e capillare. E di avere, allo stesso tempo, seminato un po’ di cultura digitale.
(Nota per chi farà questo lavoro: non dire che anche tu, una volta nella vita, non hai pensato male dei dipendenti pubblici. Abituati a ricrederti: la PA è piena di persone che svolgono il proprio lavoro come una vocazione, malgrado le etichette. E sì, è sicuramente piena anche di persone che fanno l’esatto contrario. Come qualunque altro posto in cui tu abbia lavorato in vita tua.)

4. Pazienza

Siamo un paese di una sessantina scarsa di milioni di commissari tecnici della Nazionale di calcio. Ma anche di esperti di viabilità, di ingegneri costruttori di metropolitane, di ideatori di piste ciclabili, di economisti e giuristi. Qualunque cosa si comunichi per conto di una PA – che si tratti di qualcosa di irrilevante, sacrosanto, rivoluzionario – non piacerà a qualcuno, e quel qualcuno, per quanto a digiuno di qualunque preparazione sul tema, terrà una conferenza – in pubblico – sui motivi per cui è sbagliata, pensata da soggetti incompetenti o lontani dai problemi che sono immancabilmente ben altri, realizzata in malafede o per interessi variamente distanziati dal concetto di bene comune. Un provvedimento concepito per i giovani susciterà gli sfoghi degli anziani; un provvedimento concepito per gli anziani susciterà gli sfoghi dei giovani. Ogni intervento per l’accoglienza o l’integrazione di profughi e stranieri sarà salutato dal canonico “prima gli italiani”; ogni intervento mirato ai soli residenti, da cori contro l’evidente egoismo delle intenzioni. La colpa di chi parcheggia in doppia fila, non paga le tasse, non differenzia la spazzatura o lascia il cane libero di esprimere ovunque le sue esigenze corporali non sarà mai di chi parcheggia in doppia fila, non paga le tasse, non differenzia la spazzatura o lascia il cane libero di esprimere ovunque le sue esigenze corporali: sarà dell’insufficienza dei controlli e delle sanzioni. Fino a che il più accanito sostenitore dei controlli e delle sanzioni rivolte agli altri – ognuno di noi, in effetti – non sarà destinatario di un controllo o di una sanzione: allora il termine colpa assumerà per magia i contorni dell’eccesso di zelo, della scarsa comprensione delle esigenze, dell’arroganza del potere. “Ci voleva un genio per capire che?” “Esigo di sapere chi è il fenomeno che.” “A Tokyo l’avrebbero fatto in un quarto del tempo per un decimo dei soldi.” “Tanto paghiamo noi.” (Ad libitum, sfumando.) È normale: siamo fatti così. Per moderare l’account di una PA ci vuole pazienza. Molta. Ci si dota di regole – una Policy – di moderazione: è cruciale, ma non basta. Nella Policy ci saranno scritte cose abbastanza ovvie: non dire le parolacce, per favore, non insultare gli altri (e, se ci riesci, nemmeno quelli che ti devono rispondere), non scrivere cose razziste e sessiste, non offendere le religioni altrui, e via snocciolando principi di buon senso e buona educazione. Applicarla, però, sarà facile solo di rado: la responsabilità di togliere la parola a qualcuno, se si lavora per un ente pubblico, è pesante, e al netto di chi si esprime con affermazioni facili da inquadrare, come (cito, purtroppo) “Patrocinio al Gay Pride? ci vorrebbe un’altra Orlando” o “Gli zingari come gli ebrei, tutti ai forni”, spesso è difficile tracciare un confine fra una legittima e magari feroce contestazione e un insulto che deve essere rimosso – anche considerando che un insulto si può costruire in molti modi, e che scrivere (pardon) “l’Assessore XY ha rotto i coglioni” non sarà mai grave quanto insinuare, anche nella più forbito dei linguaggi, che l’Assessore ha preso una tangente.Moderare una conversazione implica l’esercizio di una sensibilità specifica, insomma; e la certezza che a qualunque intervento in questo senso (anche quando effettuato espressamente a tutela di chi, senza forse nemmeno rendersene conto, si mette nella posizione di essere querelato) corrisponderà un’accusa di censura.
(Nota per chi farà questo lavoro: non hai idea di quanto non la vorrai, questa responsabilità. Ma stai comunicando per una PA, e te la devi prendere. Insieme a tutti gli insulti.)

5. I panni degli altri

La sensibilità richiesta al moderatore va oltre la scelta di cosa resta o non resta in un thread. I troll sono tanti, ma non sono tutti. Chi fa questo lavoro deve capirel’interlocutore: l’entità del suo problema, la legittimità della sua rabbia, della sua frustrazione, del suo semplice disaccordo. Il modo più facile per farlo è mettersi nei suoi panni – cioè una delle cose più difficili da praticare nella vita. “Se fossi un disabile e vivessi in una casa popolare con l’ascensore rotto”, “se avessi un genitore anziano non autosufficiente”, “se non riuscissi a provare che il vigile aveva torto e io ragione”, “se per motivi di lavoro non potessi farla, quella fila in Anagrafe”, “se mi mandassero da uno sportello all’altro”, non mi arrabbierei anch’io? Usare la propria esperienza di vita, e completarla con l’umiltà di comprendere senza giudicare, è cruciale (va sottolineato, che la chiave sta nel senza giudicare? Forse sì, se si parla di esperienza di vita: perché qualunque paragone potrebbe essere fuorviante. Un esempio personale: sono nata in un quartiere periferico di Milano, quattro mesi prima della bomba nera di piazza Fontana; ho trascorso l’infanzia e la prima adolescenza in un’epoca in cui a Milano si sparava per strada. Quando qualcuno, oggi, si lamenta della poca sicurezza, qualcosa dentro di me grida. Non ci posso fare niente, ma è sbagliato, e lo so. “Mettersi nei panni” è un esercizio di empatia, non una razionalizzazione: se qualcuno oggi subisce un’aggressione, degli anni Settanta e della diminuzione dei reati certificata dalla Questura non gliene può – a ragione – importare di meno. E anche quando questo non avviene nei fatti, la paura è paura. E va rispettata, o non si spegnerà mai). Disinnescare l’emotività, inoltre, è utile (a volte basta pronunciare le parole che vorremmo sentirci dire noi: “hai ragione.” “Ci dispiace.” “Come possiamo aiutarti.”); contribuire a risolvere il problema, infine, appagante.
(Nota per chi farà questo lavoro: nessuno ti ha mai detto che sarebbe stato semplice. Ma poi, in fondo, sì.)

6. Fact-checking

Facciamo finta che qui ci sia un elenco dell’infinita teoria di siti spazzatura che su internet spacciano notizie false per attirare clic. Facciamo finta che qui ci sia anche un elenco di testate che convinte che i titoli a sensazione rallentino la caduta libera di tirature e venduto. Facciamo infine finta che qui ci sia un elenco di politici sempre pronti a citare o nutrire una delle due categorie precedenti. (Facciamo finta perché sto scrivendo cosa ho imparato, mica sono in cerca di querele.) L’attività quotidiana di chi gestisce la comunicazione di una PA comprende un continuo fact-checking delle affermazioni altrui. “Non è vero” non è mai una risposta sufficiente: bisogna spiegare i motivi per cui non lo è, e dare dei riferimenti per provarlo: altrimenti si finisce dalle parti della propaganda. È utile costruirsi una mappa delle fonti affidabili: gli enti di riferimento, le leggi, la giurisprudenza. Ed è importante informarsi a propria volta il più possibile; essere veloci e puntuali nelle ricerche; saperle sintetizzare; capire quando un articolo o un post possono scatenare una crisi, e prevenirla.
(Nota per chi farà questo lavoro: sai quando sopra ho scritto “assimilare in fretta una gran quantità di informazioni”? Non era un modo di dire.)

7. Panta rei

Le crisi si risolvono quando si risolvono le crisi. È un principio di base del crisis management: una comunicazione corretta aiuta a governarle, a volte anche ad anticiparle, ma sono i fatti (gli interventi, i provvedimenti) a farle superare. Chi lavora per una PA vive in una sorta di allarme costante, perché tutto quello che succede – che si tratti di eventi programmati, come i disagi da grandi opere o eventi, o meno prevedibili, come le calamità naturali, gli episodi di cronaca nera, perfino le bufale – può scatenare una crisi, più o meno profonda, più o meno critica. L’onda della crisi – l’allerta, l’esplosione, la gestione, la chiusura – si affronta in due modi. Il primo è stabilire dei processi: definire, in altre parole, a quali eventi devono corrispondere dei messaggi al pubblico, e quali, in un equilibrio delicato fra trasparenza e rassicurazione. La velocità e la correttezza della reazione comunicativa, soprattutto in caso di fatti gravi, sono indispensabili per sostenere l’azione di chi deve agire su cause e soluzioni; le regole aiutano a spiegare con tempismo quel che accade e ad assistere in maniera corretta chi è coinvolto – mantenendo il sangue freddo. Il secondo è una consapevolezza: tutto passa. Passano i troll, quando la crisi è un’operazione politica, un falso ricordo, una bufala: pazienza, rispetto e puntualità di risposta, col tempo, li scoraggiano. E passano – lasciando più cicatrici – anche le vicende più serie, inglobate dal tessuto della città, o del paese, che non può che rialzarsi e andare avanti. La responsabilità di chi comunica – e prima ancora di chi detta le regole per la comunicazione – in questo caso è duplice: perché la crisi si affronti, e passi; e perché, quando è passata, non si dimentichi.
(Nota per chi farà questo lavoro: affrontare qualunque crisi è possibile, se si ha fiducia nelle persone per cui si lavora, quelle che prendono le decisioni, che fanno la PA. È il punto, forse, che separa i consigli dagli auspici: in questo senso, noi siamo stati molto fortunati. Ti auguriamo altrettanto.)




Tecnologie della Persuasione: ecco come i computer ci fanno fare quello che vogliono

La Captologia studia come i dispositivi interattivi influenzano le nostre scelte di ogni giorno

I computer possono agire come persuasori occulti. Ci avete mai pensato? Forse sì. In realtà la riflessione è abbastanza banale: siccome i computer ci assistono nel fare le cose che abbiamo sempre fatto, piano piano si stanno sostituendo a chi ce le faceva fare: il maestro, il prete, il poliziotto, la mamma, il commesso, eccetera. I computer ci influenzano quanto loro: ci consigliano, ci indicano quali regole rispettare, ci suggeriscono le modalità per essere efficaci, svolgere un compito, ottenere uno scopo.

Questo è il senso ultimo della comunicazione, cambiare lo stato mentale del ricevente e predisporlo all’azione per ottenere dei risultati individualmente utili e socialmente accettabili. Semplice no? In questo senso la comunicazione e la persuasione non sono così diverse. Anzi.

Possiamo dire che ogni forma di comunicazione è sempre una forma di persuasione

Che cos’è la persuasione

Facciamo un passo indietro allora. Che cos’è la persuasione? È il tentativo di farci fare quello che non faremmo di nostra spontanea iniziativa.Più esattamente, qual è l’obiettivo della persuasione? Quello di farci avviare, smettere o modificare un comportamento.

La persuasione fa leva sia sul ragionamento che sugli appelli emotivi, ma si fonda largamente su risposte già pronte, che sono quelle a cui la cultura e l’istruzione ci hanno programmati per vivere in società ed essere bravi studenti, onesti lavoratori, buoni vicini di casa. In aggiunta, come esseri umani ci portiamo dietro una serie di risposte automatiche, sotto la soglia della coscienza, che sono radicate da secoli nella nostra psicologia di esseri sociali, e favoriscono la tendenza a fare gruppo, a proteggere i nostri simili, ad organizzare le attività quotidiane.

Sono molti quelli che hanno provato a definire i principi della persuasione sociale basandosi sull’osservazione dei comportamenti individuali e collettivi e hanno applicato questi principi al marketing, alla politica, allo sport e all’economia.

Secondo Robert Cialdini, uno psicologo sociale americano, le regole principali della persuasione sono almeno sei:

  1. Reciprocità: la regola di contraccambiare ciò che ci viene dato
  2. Impegno e Coerenza: la regola impone di comportarsi in maniera coerente quando abbiamo già fatto una scelta simile
  3. Riprova Sociale: la regola impone di comportarsi come gli altri per non essere esclusi
  4. Gradimento: la regola ci induce a dare ascolto a chi ci piace e ci somiglia
  5. Autorità: la regola impone il rispetto dell’autorità sopratutto se accompagnata dall’autorevolezza
  6. Scarsità: la regola ci dice che se c’è poca disponibilità di qualcosa, e noi cerchiamo di averla prima che finisca

I computer come tecnologie persuasive

I filosofi greci erano maestri di retorica e usavano i suoi principi per convincere gli altri sulla migliore forma di governo possibile, oggi ci sono gli spin doctor che devono vendere un programma politico all’elettorato: in mezzo possiamo infilarci i venditori porta a porta, gli ambulanti del mercato e perfino i computer. Come, i computer?

Sì. I computer sono progettati per rendere più facile la nostra interazione col mondo, per migliorare la produttività individuale, faticare di meno. I computer sono delle protesi cognitive che ci permettono di fare di più e meglio. E sono progettati con questo fine anzitutto replicando il modo di funzionare del cervello umano che funziona secondo principi imitativi e di economia cognitiva. È così che i computer possono diventare dei persuasori occulti. La regola generale è che chi è in grado di persuaderci è chi ci conosce meglio.

Pensate allora cosa succede oggi con la profilazione attuata dai social network, l’elaborazione dei dati personali inviati via web e la scienza dei big data. Se conosci una persona puoi offrirgli di fare o di comprare qualcosa che non può rifiutare. Perché? Perché già pronto a farlo. Ma se azzecchi il momento giusto, oggi che con un click si fa quasi tutto, il gioco è fatto.

Se vi sembra strano sappiate che esiste un’intera branca dell’Interazione uomo-macchina, che se ne occupa da anni ed ha acquisito dignità scientifica con pubblicazioni, riviste, studi e siti web. Si chiama Captologia e deriva dall’acronimo scelto da uno dei suoi teorici, BJ Fogg, che ha elaborato il framework concettuale dei Computer As Persuasive Technologies(Computer come tecnologie persuasive).
Questa disciplina celebra ogni anno un proprio congresso di studi, l’ultimo si è tenuto in Austria, a Salisburgo, nello scorso aprile.
Ma se vi chiedere perché se ne parla così poco la risposta è facile: le tecnologie persuasive sono già incorporate nei nostri strumenti digitali: computer, tablet, smartphone e tv intelligenti.

Ma come fanno i computer modificare comportamenti ed attitudini per farci fare quello che non faremmo di nostra spontanea iniziativa? Rendendo più facile l’esecuzione di un compito, offrendo esperienze che ci modificano nel profondo, dandoci ricompense di carattere sociale.

Precisiamo che i computer che usiamo ogni giorno non hanno ancora un’intenzionalità, anche se le frontiere dell’intelligenza artificiale e del machine learning li avvicinano sempre di più agli esseri umani, perciò per ora parliamo delle “intenzioni” che in essi hanno incorporato i progettisti.

Secondo B.J. Fogg, i dispositivi interattivi ci riescono secondo la dinamica della triade funzionale, agendo come toolsmediaattori sociali. I tools persuasivi inducono o facilitano comportamenti d’acquisto, sono letecnologie tunnel che in un paio di click ci fanno comprare l’oggetto desiderato, strutturando la scelta come un percorso che ci illude di averne il controllo. Oppure possono essere strumenti che individuano il nesso di causa-effetto di un comportamento, come le tecnologie che ci insegnano a mangiare di meno se siamo obesi. Ancora, agiscono come media, mezzi di simulazione, per farci apprendere un comportamento o agiscono come attori sociali assumendo caratteristiche animate che danno premi e punizioni: come i pupazzi interattivi che insegnano ai bambini a mangiare la frutta.

Volete un esempio specifico? Pensate alla cyclette che in palestra mostra sul display digitale gli effetti dei vostri sforzi: avere di fronte il risultato del faticoso pedalare funziona da incentivo a non smettere, indirizza il ritmo della pedalata, soddisfa la vostra voglia di cambiamento (dimagrire, irrobustire i muscoli, tenere sotto controllo il battito cardiaco).
Ne volete un altro? Le email che cominciano con il vostro nome hanno il 50% di possibilità in più di essere aperte e lette. Oppure, pensate al sito chiamato dall’app con cui avete fotografato il piatto di pasta che avete davanti e che vi aiuta a stabilire quanta mangiarne per non sbagliare il giusto apporto calorico alla vostra dieta. C’è di più. Oggi con le tecnologie di geofencing, quando il nostro telefonino entra nel raggio di comunicazione previsto, la pubblicità di un certo negozio di scarpe ci appare sul display visualizzando costo e qualità del prodotto che cercavate, a due passi da voi. Ma in fondo se usate Google lo sapete già: altrimenti come è possibile che la pubblicità del motore di ricerca sia tarata esattamente su quel viaggio in Thailandia per cui avete cercato le offerte nei giorni scorsi? Fate una prova con Facebook: citate in un post il titolo di un libro che consigliereste agli amici, quasi subito in alto a destra vi comparirà copertina, prezzo e bottone per acquistarlo.

La persuasione efficace

La persuasione funziona quando ci migliora la vita, rende più semplice prendere delle decisioni, rafforza delle scelte. Sopratutto se non la si riconosce come tale.

E tuttavia i computer persuasivi sono agenti di cambiamento positivo se riescono ad evitare comportamenti dannosi per la salute o per l’ambiente. Pensate ai cassonetti col display che ci ringraziano ogni volta che li richiudiamo dopo aver gettato la spazzatura. Oppure a tutte le tecnologie che ci permettono di agevolare rapporti di lavoro e di amicizia o il perseguimento di altri scopi sociali attraverso una petizione, l’organizzazione di gruppi di pressione, la difesa di beni comuni.

Paolo Iabichino, nel suo libro Invertising, parla della comunicazione pubblicitaria efficace e riporta le tesi di BJ Fogg che si chiede: “Esiste una tecnologia persuasiva più potente di Facebook che ogni giorno inventa nuove funzioni per invitarci a usare il social network?” Infatti. Pensate alla potenza persuasiva del tagging: chi è che non va a vedere dove e perché ci hanno taggato?

Ovviamente c’è un lato oscuro sia della persuasione tradizionale che di quella via computer. Però nei confronti di chi vende la religione porta a porta siamo vaccinati (forse), mentre non lo siamo rispetto ai computer. Perché? Il motivo è semplice: i computer sono presunti neutrali, crediamo di controllarli, non si presentano come persuasori e si trovano ovunque. Ma sopratutto tendiamo a rapportarci ad essi come alle persone in carne ed ossa (Reeves, Nass, 1996)

Imparare a riconoscere il carattere persuasivo di una comunicazione e dell’interazione con un computer significa incrementare la nostra autonomiaaumentando i gradi di libertà del nostro agire quotidiano.
E significa imparare a scegliere quando vogliamo essere persuasi a cambiare i nostri comportamenti, in meglio.

ARTURO DI CORINTO*
Roma, 3 Luglio 2016

  • Psicologo cognitivo, esperto di comunicazione e nuove tecnologie, ha studiato a Stanford con B.J. Fogg

Bibliografia minima

  • R. Cialdini, Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, Giunti, Firenze, 2013
  • Cicerone, l’arte di comunicare, Mondadori, Milano, 2012
  • P. Iabichino, Invertising. Ovvero, se la pubblicità cambia il suo senso di marcia, Guerini e Associati, Milano, 2009
  • B., J., Fogg, Tecnologia della Persuasione, Apogeo, Milano, 2005
  • P. Levy, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 2002
  • B. Reeves, C. Nass, The Media Equation. How people treat computers, television, and new media like real people and places, Cambridge Universitu Press, 1996



5 cose che non vi hanno detto sul video per Adidas “virale”

La notizia non approfondita, le scarse competenze di certo giornalismo e il concetto di viralità usato senza conoscerne il significato. Alcune riflessioni sul video del giovane studente apparentemente rifiutato da Adidas

Ho voluto virgolettare alcune frasi perché sono state quelle più usate sugli articoli letti nei vari siti e usate sui social media.
Questa notizia è interessante perché permette di fare alcune riflessioni sull’informazione, sulla pubblicità e su come si costruiscono le news (e le opinioni) sul web.
1. Chi conosce davvero la verità?
La storia ci è stata raccontata in modo univoco con posizioni piuttosto nette, perfette per la narrazione giornalistica: da una parte il giovane moldavo che gira il video in economia, spendendo anche soldi propri, e dall’altra la multinazionale cattiva e insensibile, che non risponde neanche alla mail dello studente.
Nessuna dichiarazione da parte di Adidas, solo una breve intervista dello studente. Siamo sicuri sicuri che la dicotomia sia così netta? Se uno indaga un po’ meglio scopre che Eugen Nerher non è proprio lo studentello sprovveduto che è stato raccontato (guardate la sua pagina dei lavori già prodotti) e che la stessa scuola aveva prodotto un’altra cosa simile in passato. E poi siete davvero sicuri che questo spot, sebbene ben fatto fatto e toccante, sarebbe stato giusto per la comunicazione di Adidas?
Sarebbe bello che anche i giornali ogni tanto, piantassero il seme del dubbio – o facessero qualche ricerca in più – senza per forza lanciare il titolone da clickbaiting.

2. Non siamo tutti pubblicitari

Certo, tutti noi siamo spettatori di migliaia di pubblicità e ora che tutto è comunicazione e che in giro c’è questa idea della giuria popolare, e così leggiamo articoli di giornalisti di costume che disquisiscono di semiotica come Roland Barthes e, sui social, studenti fuoricorso di medicina che tengono lezioni di marketing strategico. Qui poi c’erano tutti gli elementi perfetti per il raccontino acchiappa click: come già detto c’era il giovane studente, la ricca major e poi anche la storia del vecchio atleta che fugge dalla casa di riposto e ricomincia a correre all’alba. Il marketing è una disciplina parecchio complessa e la pubblicità che piace e commuove non è proprio detto che funzioni sempre. Insomma, le cose sono un po’ più complicate di come vengono disegnate e ci sono mille altre variabili in gioco. Non è il caso che le elenchiamo qui, potrebbe essere molto lungo e noioso, ma fidatevi che ci sono.
3. Le parole usate a caso
“Lo storytelling dei valori”, “i creativi dell’Adidas”, “il cortometraggio capolavoro”, “il secco rifiuto di Adidas”, “il video spopola sul web”.
4. La viralità
Ecco, questa è un’altra parola con la quale si riempono la bocca tutti quanti da tempo, spesso falsandone il significato. Quindi partiamo dalla sua definizione: il messaggio virale è un contenuto in grado di replicarsi quando entra in contatto con qualcuno. Chi lavora in comunicazione sa che questa cosa della viralità è uno spauracchio che si presenta ogni giorno. Aziende clienti di agenzie pubblicitarie le quali vogliono che i loro spot diventino virali , addirittura ci sono alcuni che chiedono di produrre video virali. Il concetto di viralità in realtà non è tanto legato al like o alla condivisione compulsiva, bensì quando quel contenuto viene anche modificato e rielaborato dagli utenti: quando il messaggio diventa una sorta di meme allora si può veramente parlare viralità legata al web e ai social. Questo, per ora, non è il caso, dello spot di Eugen Nerher.
5. Qual è oggi lo scopo della comunicazione e della pubblicità?
Mica semplice rispondere a questo quesito finale. Certo è che tutto intricato, stratificato. Partiamo da un assunto semplice e un po’ scontato: la pubblicità serve per vendere un prodotto. Siamo sicuri che quello spot serva a far vendere più scarpe Adidas al proprio target? Ma voi giustamente direte che vendere in fondo, non è l’unico scopo della pubblicità: c’è la notorietà, la brand awereness, il fatto che un marchio sia impegnato anche su temi sociali, e poi la credibilità, la reputazione. Siamo sicuri che quest’ultimi fini siano trasmessi dalla pubblicità e non da altri tipi di messaggi? Potrebbe essere che la notizia e il seeding siano state create ad arte da Adidas per far parlare di sé, senza peraltro spendere niente, proprio nel periodo di saldi post-natalizi. Non ci è dato saperlo, però sappiamo che le vie della comunicazione sono infinite.




Movimento Cinque Stelle Primo In Europa A Diffondere Notizie False E Propaganda Russa

I fondatori del Movimento Cinque Stelle gestiscono una rete di siti, alcuni ufficiali altri all’apparenza indipendenti, che diffondono notizie false in rete.

Un’inchiesta di BuzzFeed News ha trovato che i leader del partito Italiano anti-establishment, il Movimento Cinque Stelle (M5S), hanno costruito una diffusa rete di siti e di account social media che stanno diffondendo notizie false, teorie cospiratorie, e propaganda pro-Cremlino a milioni di persone.
Grazie al suo reach e ad un sofisticato sistema di distribuzione di propaganda, il M5S sta facendo dell’Italia un vero e proprio campo di battaglia in un’Europa già intensamente preoccupata dell’impatto delle notizie false e dell’influenza Russa sui processi democratici.
Questo sistema di diffusione include non solo il blog e gli account social media del partito stesso che hanno milioni di seguaci, ma anche una collezione di siti redditizi che si auto-descrivono “indipendenti” ma che in effetti sono controllati dalla leadership del partito. Questi siti ribadiscono incessantemente le linee di pensiero del M5S, spargono notizie false, e sfoggiano attacchi ai partiti politici di opposizione, in particolare contro il primo ministro Matteo Renzi. Uno di questi siti, TzeTze, vanta 1,2 milioni di seguaci su Facebook.
Con sgargianti lettere maiuscole, e frasi del tipo “LA VERITÀ CHE CI STANNO NASCONDENDO,” il blog del partito, TzeTze, e altri siti di questa rete effettuano “crossposting” tra gli account di dozzine di notizie false. Alcune di queste dichiarano che gli Stati Uniti stanno segretamente finanziando trafficanti che portano immigrati dal Nord Africa in Italia, e che Barack Obama vuole abbattere il regime siriano per creare instabilità nella regione cosicché la Cina non possa avere accesso al petrolio.
Spesso le origini delle notizie vengono attribuite a siti di propaganda Russa come Sputnik.La linea editorial del M5S è favorevole a Putin, mentre critica fortemente gli Stati Uniti e i leader Europei principali.
“Il martellamento è incessante. Ogni giorno, tutto il giorno,” un giornalista Italiano ha detto a BuzzFeed News.
Il partito M5S, fondato dall’ex-comico Beppe Grillo e dall’imprenditore web Gianroberto Casaleggio, ha cavalcato la stessa onda di rabbia nazionalista e anti-establishment che ha portato al voto Brexit nel Regno Unito, e a l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti.
Il M5S ha sorpreso tutta l’Europa quando ha ricevuto voti sia dalla sinistra che da destra garantendogli più di 100 seggi parlamentari nel 2013, l’ultima volta in cui gli Italiani sono stati chiamati a votare. Ora si serve della forza della propria infrastruttura propagandistica per tentare di sconfiggere riforme costituzionali sostenute dal governo che saranno votate in un referendum il 4 dicembre.
Nel caso in cui Renzi si dimettesse come ha già alluso di voler fare in caso della sconfitta della riforma costituzionale, il M5S potrebbe vincere le prossime elezioni.
Grillo ha paragonato il suo partito a Trump, e ha accolto la vittoria del repubblicano come un “gran Vaffanculo.”
Il suo blog è tra i più popolari in Italia, e BuzzFeed News ha trovato che i post sulla sua pagina Facebook — che ha quasi 2 milioni di seguaci — godono di un engagement, in media, comparabile uno dei più grandi giornali italiani, il Corriere della Sera.
La pagina Facebook ufficiale del M5S ha 900.000 seguaci, mentre i suoi più importanti parlamentari ne hanno centinaia di migliaia. Ci sono dozzine di pagine affiliate, di gruppilocali legati al M5S, e di fanclub dei membri del parlamento. Alcuno di questi account, come “W II M5S” (che ha 405.000 “mi piace”) e “Perché votare Movimento 5 Stelle” (che ha 21.000 “mi piace”), rilanciano quasi esclusivamente informazioni dalla rete di siti propria.
La leadership del partito controlla TzeTze ed un altro sito, anche questo teoricamente indipendente, La Cosa, che ha 125.000 “mi piace” sulla propria pagina Facebook. Nonostante fosse lanciato nel 2013 per trasmettere la campagna elettorale di Grillo in tempo reale e dichiarando di offrire una “visione sociale e politica unica,” insiste comunque di essere un sito di notizie. In passato ha reagito alla critica affermando che tutti i post vengono verificati per la loro affidabilità.
Analisi condotta da BuzzFeed News ha trovato che le informazioni maggiormente condivise da entrambi i siti negli ultimi 12 mesi sono stati link pro-M5S che attaccano il governo Renzi. Nonostante il reach diretto di La Cosa sia molto minore rispetto agli altri siti, il suo contenuto viene amplificato dal crossposting su TzeTze, sul blog di Grillo, e sugli altri account del partito.

Gianroberto Casaleggio co-fondatore del Movimento Cinque Stelle Remo Casilli / Reuters

Al centro di questa rete di blog e di siti interconnessi è Casaleggio Associati, la società tecnologica istituita dal co-fondatore del partito che è morto nel mese di aprile. L’azienda, che ora è presieduta dal figlio di Casaleggio, Davide, possiede e gestisce sia TzeTze e La Cosa, e il sito di salute, La Fucina, che oltre a condividere messaggi su cure miracolose, ha anche alimentato dibattiti anti-vaccino.
Inoltre, l’azienda è intimamente collegata al sito e al blog del M5S, e al blog personale di Grillo. Casaleggio ha sviluppato le varie tecnologie per la raccolta fondi del partito e quelle inerenti alle attività di democrazia diretta, le quali sono controllate dall’azienda e da una cerchia ristretta di parlamentari M5S tramite un’associazione senza scopo di lucro chiamata Rousseau, lanciata all’inizio di quest’anno. Tutti i parlamentari del partito sono tenuti a firmare un contratto in cui si esige che seguano la linea della leadership.
La complessità della struttura è illustrata dal blog di Grillo. Afferma che responsabile del trattamento dei dati é la Casaleggio Associati. Il sito principale e il blog M5S dichiarano che il copyright è di BeppeGrillo.it. I dati sono condivisi con Rousseau e Casaleggio Associati.
BuzzFeed News ha scoperto che il blog di Grillo, i siti web del partito, e i cosiddetti siti di notizie indipendenti condividono lo stesso indirizzo IP, così come ID Google Analytics e AdSense.
Un ex-dipendente del team di Google Ads ha paragonato la rete di siti M5S ai siti di notizie false pro-Trump e di essere stata lanciata, come ci rivela BuzzFeed News, da un unico paese della ex-Repubblica iugoslava di Macedonia.
“Il M5S parla molto di trasparenza, ma poi come parte del mio lavoro mi sono reso conto che questi stanno guadagnando molto da questa cosa,” ha detto. “Quando si cerca on-line non c’è trasparenza per quanto riguarda la rendita dei blog e dei siti. È tutto molto confuso. I dirigenti del partito stanno facendo soldi tramite un aggregatore di notizie false. È come se Trump possedesse i siti macedoni.”
Google ha rifiutato di commentare su siti specifici o sui messaggi pubblicitari. Tuttavia, la scorsa settimana, la società ha annunciato un’onda di nuove norme per dare un giro di vite alle notizie false e ai contenuti ingannevoli. Ha anche detto che limiterebbe la pubblicazione di annunci su pagine che travisano o nascondono informazioni sull’editore, sulla proprietà, o lo scopo primario del sito web. Google sta già lavorando per far applicare le nuove norme a livello globale, e sta studiando attivamente i siti web che sono stati segnalati.
Sulla sua pagina di Facebook, TzeTze non fa alcuna menzione della sua affiliazione al M5S, e sostiene invece di essere un editore indipendente che offre notizie segnalate dai suoi lettori in tempo reale.
Una delle sue fonti preferite è Sputnik, un sito web creato dal Cremlino per diffondere propaganda russa. Tzetze riproduce i titoli e copia direttamente la versione degli eventi mondiali dalla prospettiva del Cremlino su Sputnik.
Nell’agosto del 2015, per esempio, TzeTze ha pubblicato una storia dal titolo cospicuo “Stanno segretamente finanziando i trafficanti di migranti in Italia gli Stati Uniti?” Citando come fonte “i servizi di intelligence austriaca,” la storia ha affermato che a quanto pare Washington—tramite il Dipartimento di Stato e la Fondazione Soros—stava finanziando l’introduzione illegale di migranti dalla Libia in Italia.
Il post di Tzetze fa riferimento ad una storia pubblicata su Sputnik Italia che legava la crisi dei rifugiati ad una mossa strategica degli Stati Uniti anziché al disagio delle persone in fuga dalla guerra in Siria o altrove. Sputnik, a sua volta, aveva ripreso la storia da un blog di un ex-giornalista italiano il quale citava un sito di estrema destra. L’ex-giornalista, tra le altre cose, sostiene che l’11 settembre è stato un complotto interno, e le cui diatribe sono spesso raccolte e segnalate come dati di fatto sia da TzeTze che da Sputnik. Il titolo del blogpost originale era “Negri e contrabbandieri.”
Nonostante la sua origine dubbiosa, il post di TzeTze è stato condiviso più di 12.000 volte su Facebook ed è stato ripreso da altri siti.

Ma queste condivisioni sono minori rispetto ad esempio questo video pubblicato su Facebook da TzeTze a marzo di quest’anno che dichiarava: “Russia-Turchia-America-Europa-Italia, questa è tutta la verità che stiamo nascondendo. Leggere, condividere e informare tutti! Gli italiani devono sapere!”
Il video suggerisce l’esistenza di un complotto segreto globale guidato dagli Stati Uniti e dalla Turchia per impedire alla Russia di combattere l’ISIS. Secondo il video, la Turchia era intenzionata a vendere del petrolio all’ISIS, mentre i leader europei, in particolare la tedesca Angela Merkel, erano complici nel sostenere la Turchia per arrestare il flusso migratorio nei loro paesi. Finora, il video è stato visto 1,3 milioni di volte ed è stato condiviso 46.000 volte.
In un altro post dal titolo: “PERCHÉ OBAMA VUOLE LA TESTA DI ASSAD? ANCORA UNA VOLTA I MEDIA NASCONDONO LA VERITÀ,” TzeTze ha postato un link da La Cosache sosteneva che gli Stati Uniti volevano tenere la Cina alla larga dal petrolio nel Medio Oriente.
Il post di La Cosa ottenuto quasi 13.000 engagement su Facebook, ed è stato postatoanche da Grillo ottenendo altri 7.500 “mi piace” e 3.000 condivisioni.

Facebook

Ma il principale bersaglio del M5S è Renzi. In un video pubblicato da Tzetze, Grillo ridicolizza il primo ministro che viaggia con una scorta di sicurezza a Bruxelles, nonostante sia un protocollo che si applica a tutti i leader dell’UE.
Link pubblicati recentemente su Facebook da Tzetze hanno descritto il PM come unimbarazzante commetitore di gaffe, un dittatore, un bugiardo, un usuraio, e un pappone.
In un altro post sul blog di Grillo che ha dato il via a una campagna hashtag #RenziNonContaNulla, il primo ministro è stato accusato di essere responsabile dell’alto numero di migranti in Italia da quando ha assunto l’incarico di premier. L’autore del messaggio è un deputato del M5S che ha scritto: “La Germania ha preso solo 20 immigrati! Quale solidarietà? L’Europa è solo interessata a vendere le armi.”
In realtà, considerando l’interezza della crisi dei rifugiati, la Germania ha accolto quasi 1 milione di richiedenti asilo solo lo scorso anno. L’affermazione del M5S è stata ancheriportata dal quotidiano La Stampa.

La Stampa

Un altro tema ricorrente del M5S è la rappresentazione di un’Italia in costante rivolta che manifesta contro il primo ministro.
In un post poi corretto da Grillo, il capo del M5S ha messo un nuovo titolo in lettere maiuscole: “UNA MAREA UMANA IN PIAZZA. LA GENTE NON NE PUÒ PIÙ…,” ma la foto che utilizza era di una piazza di Napoli dove stava parlando il Papa.

Il mese scorso un video dal canale mediatico Russo RT è stato condiviso ampiamente nella rete M5S. Il video sosteneva di mostrare migliaia di persone che protestavano contro il referendum, mentre in realtà queste persone stavano partecipando ad una manifestazione a favore del referendum. Il video è stato visto 1,5 milioni di volte.
Poi ci sono le teorie del complotto. In un post di Facebook che è poi stato cancellato, undeputato M5S ha affermato che il governo e i media si sono messi d’accordo per declassare l’intensità del terremoto che ha colpito l’Italia centrale all’inizio di quest’anno, al fine di ridurre il costo dei danni.
In un altro post sul blog del M5S, un documento creato dalla banca JP Morgan nel 2013 sul tipo di riforme di cui l’Europa avrebbe bisogno è stato usato come prova che le riforme costituzionali proposte dal governo sono state dettate dalla banca.
JP Morgan aveva aggiunto le riforme costituzionali a un elenco di questioni che i governi dell’Europa meridionale potrebbero prendere in considerazione. Questa storia è stata ripresa dal sito HackTheMatrix, che si occupa di complotti, dove è stato condiviso direttamente su Facebook altre 11.000 volte. Titoli recenti su questo particolare sito web includono: “Il pianeta Terra deve essere avvertito, afferma un astronauta prima di andare in coma.”

Ecco la lettera originale con cui la banca JP Morgan chiede al governo di distruggere la nostra costituzione perché è troppo democratica” è il titolo trovato da un sito notiziario incentrato sui complotti sul blog del M5S HackTheMatrix

In un altro post, il deputato del M5S Manlio Di Stefano ha sostenuto che la NATO stava preparando un “assalto finale” alla Russia.
Uno degli aspetti più sorprendenti della copertura sui siti gestiti dalla leadership del M5S è stato il mutamento nel loro atteggiamento verso Vladimir Putin e la Russia, che sembra andare oltre la pubblicazione di affermazioni prive di fondamento da Sputnik, RT, e da altre fonti Cremlino-simpatizzanti.
Fino al 2014, la copertura del movimento è stata minima e per lo più critica. Il partito, e Grillo, hanno preso una posizione dura sull’atteggiamento regressivo della Russia nei confronti dei diritti LGBT e sulle restrizioni dei media e delle organizzazioni senza scopo di lucro.

Il blog di Beppe Grillo

Quando il presidente russo Putin ha visitato l’Italia nel novembre 2013, il M5S ha invitato il primo ministro italiano ad andare al Parlamento per dare spiegazione degli “oscuri rapporti del governo con lo Zar russo.”
Nel marzo 2014, i deputati M5S descrivevano gli eventi in Ucraina come un’invasione russa, attribuendo la passività dell’Italia e dell’Unione europea agli interessi di tutelare i propri accordi con Putin per il gas.
Solo pochi mesi dopo la posizione del partito sembra essere sostanzialmente cambiata. Unpost condiviso da Grillo alla fine del 2014 racconta la storia degli operai di una fabbrica salvato da Putin: “Cosa avrebbe potuto fare Renzie? Putin fa fatti. Renzie fa slogan” (l’errore ortografico del cognome del PM è intenzionale, e si riferisce a un meme che paragona Renzi a Fonzie dalla sitcom Happy Days).
Alcuni deputati M5S che siedono nella commissione parlamentare di affari esteri, tra cui Alessandro Di Battista e Di Stefano, hanno incontrato funzionari russi all’inizio di quest’anno. I deputati parlamentari del M5S hanno partecipato anche alla conferenza del partito di Putin, Russia Unita, lo scorso giugno, dove Di Stefano ha dichiarato che un colpo di stato avrebbe avuto luogo a Kiev, e che l’UE e gli Stati Uniti sarebbero stati coinvolti in una campagna di disinformazione e di interferenze.

YouTube

Nel videoclip, Di Stefano ringrazia Sergei Zheleznyak, il vice presidente del parlamento russo per l’invito. Zheleznyak è sulla lista delle sanzioni UE. Nello stesso video, Di Stefano allude anche ad incontri a Roma con i funzionari russi.
BuzzFeed News ha chiesto a Di Stefano e Di Battista di fornire un elenco dei funzionari Russi che hanno incontrato. Nessuno dei due ha risposto.
Oltre a pubblicare messaggi pro-Russi e anti-NATO tramite le sue proprietà web, il M5S ha richiesto che le sanzioni vengano rimosse, ha accettato l’annessione della Crimea, e nel luglio 2015 ha posto una domanda parlamentare che chiedeva la normalizzazione delle relazioni con il dittatore siriano Bashar al-Assad. Il mese scorso il partito ha protestato contro l’uso di truppe italiane in un esercizio di addestramento della NATO nel Mar Baltico.
Una deputata M5S ha addirittura sostenuto in parlamento che era a conoscenza di fonti che provavano l’esistenza di campi di concentramento in Ucraina gestiti dal governo locale, nonché delle torture subite cittadini russi nel paese. Entrambe le affermazioni sono prive di fondamenta.
Ha inoltre affermato falsamente che vi erano prove di cannibalismo in Ucraina in base a una foto che aveva visto. In realtà, l’immagine citata è stata ripresa da un film. La deputata ha ritirato questa supposizione solo dopo che era stata ampiamente condivisa sui social media.

WARNING

This image is graphic

Click to reveal

La foto vista dalla deputata M5S che secondo lei dava prova di atti di cannibalismo in Ucraina VK

BuzzFeed News ha messo insieme una lista di 12 domande per M5S e Casaleggio riguardanti la rete di siti che controlla, il ruolo del partito nella diffusione di notizie false e di propaganda pro-Russia, e il rapporto del partito con il Cremlino.
Casaleggio Associati ha detto che la policy dell’azienda era di non rispondere al tipo di domande poste da BuzzFeed News. Ha detto che tutte le accuse specifiche alla società erano inesatte, ma ha rifiutato di spiegare come. Un portavoce ha aggiunto che la società non aveva alcun rapporto con la Russia o con aziende russe.
Il M5S ha rifiutato di commentare. Un portavoce ha detto a BuzzFeed News che non sarebbe in grado di fornire “feedback” qualsiasi sulle domande fino a dopo il referendum di domenica.