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Quando la percezione conta più della realtà

Quando la percezione conta più della realtà

Reputazione aziendale: oggi serve più di una buona mossa social per crearla e mantenerla. Citofonare a Ferrero, che ha scalato tutti i gradini, arrivando al top. Warren Buffet, tra i più grandi investitori finanziari mondiali di tutti i tempi, pare abbia detto: «Ci vogliono venti anni per costruirla, bastano cinque minuti per rovinarla».

è sempre stata fondamentale. «Sono migliaia di anni – spiega Luca Poma, professore in Reputation management alla Lumsa di Roma – che si guarda alla reputazione come a un bene prezioso. Ne parlavano i grandi classici latini, ma anche San Tommaso d’Aquino, con la frase Honor est praemium virtutis nella Summa Theologiae. In ogni caso la reputazione non si costruisce a chiacchere, ma con la virtù concreta, con i fatti. Per questo oggi non si può confonderla con l’immagine sociale, aspetto desueto, esteriore spesso inautentico, costruito con le campagne di marketing e pubblicità».

È dunque qualcosa di più strutturato che ha bisogno di un lavoro più solido. Secondo il professore, «ci sono precise e complesse strategie per costruire una buona reputazione e, soprattutto, mantenerla nel tempo. Tutti i pubblici vanno innanzitutto ascoltati. Pochissimi lo fanno davvero. Il dialogo va rafforzato non solo in quantità, ma soprattutto in qualità, e gli scenari di possibile crisi reputazionale vanno immaginati in anticipo. Occorre prepararsi prima. In Italia, invece, vale la sciagurata regola del “se mi capiterà, vedrò come gestire”. Il nemico numero uno della buona reputazione è l’assenza di autenticità. Per recuperarla, occorre quindi non polemizzare né chiudersi in difesa o nel silenzio, prendersi responsabilità dei danni eventualmente causati, saper chiedere scusa con sincerità, e costruire un buon piano di recovery».

Anche perché gli effetti sono a cascata. «È indubbio – ancora Poma – che la responsabilità di una cattiva reputazione ricada su tutti: imprenditore, manager, dipendenti. Anche i pubblici, esterni, vengono danneggiati quando c’è crisi di reputazione. Si pensi solo ai fornitori che vedono ridursi gli ordini a causa della crisi dell’azienda o alle banche che faticano a recuperare i propri crediti». Secondo Poma, Ferrero è il miglior esempio da seguire perché «non guarda solo alle trimestrali di bilancio, ma getta lo sguardo molto più in là».

Qualcosa è cambiato?

«Con l’avvento di Internet – ci dice Andrea Baggio, Ceo di ReputationUp – l’impatto delle percezioni online si è moltiplicato. E se prima della rete il buon nome di un’azienda dipendeva da interazioni dirette e passaparola, ora, con la digitalizzazione, ogni aspetto positivo o negativo viene amplificato e può influenzare rapidamente l’opinione pubblica. Una famosissima azienda di moda italiana in tre secondi ha bruciato 400 milioni di euro, a causa di un video diventato virale, massacrato sui social».

E allora, come si mantiene la faccia? Sempre per Baggio, la cui azienda utilizza uno strumento chiamato RepUP Monitoring Tool (capace di intercettare in tempo reale qualsiasi contenuto positivo, negativo e neutro pubblicato su Surface Web, Deep Web e Dark Web e un sofisticato algoritmo di IA per calcolare il sentiment di un brand aziendale o personale), conservando «la qualità del prodotto/servizio, l’etica lavorativa, la responsabilità sociale, e il rapporto con clienti, fornitori e comunità. Non esiste una formula percentuale fissa, ma trasparenza e coerenza del messaggio sono cruciali».

Spesso c’è uno scarto tra percezione e realtà. «Un’azienda – continua Baggio – può avere pratiche eccellenti, ma una cattiva reputazione a causa di comunicazioni errate o incidenti isolati. Al contrario, una buona campagna di comunicazione può migliorare la percezione di un’azienda che altrimenti sarebbe mediocre. Però bisogna sottolineare che oggi quella che io chiamo la verità percepita sta diventando quasi più importante della verità vera. Quanto a Ferrero è merito di prodotti di qualità, impegno per la sostenibilità, buone pratiche lavorative e una comunicazione efficace. La loro strategia non si limita alla sola comunicazione, ma include azioni concrete e totali che rispecchiano i loro valori aziendali».

A sentire Isabella Corradini, psicologa sociale e del lavoro, responsabile scientifico della rivista digitale Reputation Today, oltreché curatrice di tre libri sull’argomento, per una buona reputazione «fondamentali sono: la qualità dei prodotti e dei servizi, la capacità dell’organizzazione di trasmettere fiducia e sentimenti positivi ai clienti. Ma anche promuovere luoghi di lavoro sani e partecipativi e far crescere le competenze perché il personale stia bene e lavori bene. Data la centralità dei temi etici e della sostenibilità, è importante anche il modo in cui l’azienda si rapporta al suo esterno, verso l’ambiente e le comunità. Poi non escluderei l’attenzione ai temi del digitale ed in particolare alla protezione dei dati di tutti coloro che interagiscono con l’organizzazione».

La psicologa ci fa sapere che esistono strumenti gratuiti e a pagamento capaci di analizzare il sentimento – la cosiddetta sentiment analysis – per ascoltare cosa dice la rete. «Ritengo però – avverte- che questo possa andare bene nell’ottica del marketing, ma misurare la reputazione aziendale richiede un lavoro di analisi a più livelli».

Non si discosta molto la posizione di Amelia Cuomo, imprenditrice (dirige il Museo della Pasta Cuomo, azienda storica bicentenaria di Gragnano: «La buona reputazione dipende dal rispetto degli accordi, dalla qualità effettiva e percepita dei prodotti. Ma sono importanti anche le buone pratiche adottate all’interno dell’azienda nei confronti dei lavoratori».

Per l’imprenditrice della pasta, in caso di errori, «è necessario cambiare i vertici che rappresentano l’azienda e comunicare bene questi cambiamenti. Ferrero all’apice? È perché in azienda hanno cura ed attenzione non solo nei confronti del processo produttivo, ma anche verso i dipendenti, stimolando politiche incentivanti dal punto di vista economico (stock options ed Mbo per la dirigenza, scatti di carriera ed aumenti di stipendio per gli altri dipendenti), rispettando le norme di legge e attuando una corretta politica di sostenibilità ambientale, sociale ed economica».




Titolo: Approvato il nuovo Regolamento UE sui imballaggi e packaging sostenibili

Titolo: Approvato il nuovo Regolamento UE sui imballaggi e packaging sostenibili

I Ventisette Stati membri dell’Unione europea hanno approvato oggi il Regolamento sugli imballaggi e rifiuti di imballaggi e la Direttiva sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità. La decisione è stata adottata a livello di Ambasciatori nel Comitato dei Rappresentanti Permanenti Aggiunti presso l’Unione Europea (Coreper I). Si tratta dell’ultimo passo per l’adozione dei due provvedimenti dopo i negoziati con il Parlamento Europeo e sarà poi formalizzata da quest’ultimo e dai Ministri dei Ventisette.

La decisione segue a complessi negoziati in cui l’Italia ha svolto un ruolo cruciale fornendo un contributo di primo piano affinché si trovasse il giusto equilibrio tra obiettivi ambientali e competitività delle imprese e tra armonizzazione e valorizzazione delle esperienze nazionali di successo.
Dopo il decisivo passo di oggi, con l’accordo tra i Ventisette i testi approvati verranno adesso trasmessi al Parlamento europeo e quindi al Consiglio per l’adozione finale.

Il Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio accrescerà la sostenibilità del settore, promuovendo una maggiore riciclabilità degli imballaggi, nonché contribuirà a ridurre alcune barriere al funzionamento del mercato interno, introducendo norme comuni sull’etichettatura e sulla gestione dei rifiuti. Il provvedimento impegnerà inoltre gli Stati membri a ridurre i rifiuti, lasciando, come da noi auspicato, flessibilità agli Stati ed agli operatori nella scelta delle misure per raggiungere l’obiettivo, in particolare tra imballaggi riutilizzabili e quelli monouso riciclabili, laddove questi ultimi, come nel caso del settore della ristorazione, rappresentano ancora l’opzione che offre il risultato ambientalmente migliore e per la conservazione dei prodotti agricoli e alimentari. Gli emendamenti approvati incentivano tecnologie in cui stiamo investendo, come il riciclo chimico. Salvaguardano inoltre settori in cui le nostre aziende hanno accresciuto la riciclabilità degli imballaggi, in cui siamo all’avanguardia, come quello delle plastiche compostabili, o in cui esportiamo prodotti di eccellenza, come vini, spumanti, vermouth e distillati. Nella gestione dei rifiuti, libertà di scelta è concessa tra l’adozione del deposito cauzionale e il mantenimento di modelli virtuosi di raccolta separata, come quello italiano.

La Direttiva sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità contribuirà ad assicurare che le catene di approvvigionamento delle principali imprese europee siano il più possibile rispettose dei diritti umani e della sostenibilità ambientale. L’Italia ha svolto un ruolo chiave nel raggiungimento di un testo equilibrato ed efficace, che concentra gli oneri sulle società di grandi dimensioni (oltre 1.000 dipendenti e 450 milioni di fatturato globale) meglio in grado di monitorare le proprie catene di approvvigionamento e di contribuire alla mitigazione degli effetti delle attività economiche sui cambiamenti climatici, nonché alla tutela dei diritti umani delle persone interessate dall’attività d’impresa.

I risultati raggiunti sono il frutto di uno sforzo corale di tutti gli attori del “sistema Italia.

“Abbiamo dimostrato che oggi a Bruxelles c’è un’Italia che non si arrende a soluzioni che penalizzano la nostra industria, ma che è capace di continuare a negoziare fino alla fine in maniera decisa, facendo valere la bontà dei propri argomenti, valorizzando le nostre eccellenze e riuscendo a modificare sostanzialmente il risultato finale”, dichiara il precedente del Consiglio, Giorgia Meloni. “Il merito di questi successi va attribuito all’azione di impulso assicurata dai Ministeri coinvolti, in stretto coordinamento con Palazzo Chigi, all’attività negoziale condotta dai nostri rappresentanti diplomatici a Bruxelles, ma anche al cruciale lavoro di squadra svolto dai nostri europarlamentari, che hanno saputo travalicare gli schieramenti politici. In questo senso, un ringraziamento particolare va all’On. Massimiliano Salini e all’On. Patrizia Toia, che hanno svolto un lavoro decisivo durante il trilogo nella costruzione del consenso a sostegno delle posizioni nazionali sul dossier packaging. Abbiamo dimostrato come un’Italia coesa e determinata possa davvero spostare gli equilibri a Bruxelles e giocare un ruolo da protagonista”, conclude il presidente Meloni.




Roberto Scano: aziende, l’accessibilità digitale non è un obbligo ma un valore per tutti 

Roberto Scano: aziende, l’accessibilità digitale non è un obbligo ma un valore per tutti

Sabato 28 giugno 2025 sarà una data importante per la tecnologia solidale in Italia. Perché? Perché da quel giorno in poi tutte le aziende, tranne le microimprese (che avranno comunque obblighi similari), dovranno rendere accessibile la loro presenza digitale, i loro prodotti e i servizi online. Quel giorno entrerà definitivamente in vigore operativa la direttiva Ue 2019/882, che disciplina i requisiti di accessibilità dei prodotti digitali.

Accessibilità digitale, una norma in vigore dal 2005 

Sabato 28 giugno 2025 sarà una data importante per la tecnologia solidale in Italia. Perché? Perché da quel giorno in poi tutte le aziende, tranne le microimprese (che avranno comunque obblighi similari), dovranno rendere accessibile la loro presenza digitale, i loro prodotti e i servizi online. Quel giorno entrerà definitivamente in vigore operativa la direttiva Ue 2019/882, che disciplina i requisiti di accessibilità dei prodotti digitali.

“Perché dal 2005 la norma è in vigore per le pubbliche amministrazioni e dal 2022 per le imprese con fatturato medio superiore a 500 milioni di euro nell’ultimo triennio”

Quindi stiamo ricordando che realtà come banche, GDO, grandi gruppi che erogano servizi devono già essere accessibili…

“Esattamente. In poche parole i principali soggetti con cui interagiamo quotidianamente devono già essere accessibili. Tra poco più di un anno, ma in realtà è come se fosse domani, tocca a tutte le altre, siano esse imprese pubbliche o private.”

Per la tua esperienza, come possono organizzarsi le imprese? Credo che il primo passo sia essere consapevoli della scadenza e il secondo non far finta di niente…

“Guarda è davvero così. Questo è il presupposto per fare poi il conseguente scatto di mentalità…”

Vale a dire?

“…vale a dire capire che l’accessibilità oggi è un principio di qualità, un aspetto essenziale della progettazione di un prodotto o di un servizio digitale e che deve essere parte integrante di ogni iniziativa, dalla progettazione alla realizzazione finale e di continua manutenzione in caso di aggiornamenti. E capire che in questo percorso bisogna dialogare con il proprio pubblico, per migliorare continuamente i prodotti digitali.”

Accessibilità digitale, la situazione nelle aziende

Questo è un aspetto molto importante dell’accessibilità. Purtroppo i dati pubblicati il 1 febbraio della ricerca “Dichiarazioni di accessibilità dei privati: qual è la situazione?”, condotta da Ergoproject e da altri partner sulle aziende che già hanno l’obbligo dell’accessibilità dicono che ancora le aziende faticano…

“Abbiamo analizzato la “Dichiarazione di accessibilità”, documento che le aziende devono compilare una volta l’anno, entro il 23 settembre, per rendere pubblico come applicano l’accessibilità e che deve contenere la descrizione del meccanismo di feedback. La ricerca ha riguardato 74 aziende con un fatturato superiore ai 500 milioni e 293 touchpoint.”

Cosa sono i touchpoint?

“Sono i punti di connessione tra azienda e cliente. I dati emersi non sono confortanti. Il 32% dei touchpoint presi in considerazione non possiede una dichiarazione di accessibilità, il che significa che gli uffici compliance delle grandi aziende o non hanno percepito questo adempimento oppure l’hanno sottovalutato, visto che la dichiarazione di accessibilità è la fine di un percorso di analisi e l’inizio di un percorso di miglioramento continuo dell’accessibilità.

Nel 49% dei casi la dichiarazione è disponibile in HTML e il 51% in PDF, in entrambi i casi, per lo più non accessibile: ad esempio, delle dichiarazioni in PDF solo il 29% era accessibile.”

E il rapporto con le persone che usano questi strumenti di contatto com’è?

“Per quanto riguarda il meccanismo di feedback, ossia la modalità obbligatoria di contatto tra utenti ed aziende da inserire nella dichiarazione, la situazione è meno critica: solo il 5% delle aziende interpellate non lo usa o non lo ha inserito nella dichiarazione: per il resto l’80% lo fa via email e il 15% via form digitale.”

Accessibility overlay, un tampone che non garantisce l’accessibilità

Infine, nella ricerca parlavate degli accessibility overlay. Che cosa sono? Funzionano?

“L’accessibility overlay inserisce porzioni di codice correttivo “esterno”. Però è un “tampone” che non solo non garantisce l’accessibilità, ma spesso crea ulteriori problemi, come segnalato dalla Commissione Europea a fine 2023AgID nonché da una lettera congiunta di European Disability Forum and International Association of Accessibility Professionals.

Perché questa soluzione non funziona?

“Si tratta di soluzioni “rapide”, una sorta di cerotto sopra una frattura. Il fatto che il 22% dei touchpoint analizzati presenti l’uso di questi strumenti sta a significare che si è cercata una soluzione tampone invece di intervenire sul funzionamento effettivo. La mia speranza è che questa sia visto come un rimedio per prendere il tempo utile per lavorare e migliorare i servizi e non sia visto come la risoluzione della questione. In altri paesi, come gli USA, i siti che utilizzano tali strategie sono bersaglio di contenziosi legali da parte di associazioni e persone con disabilità.”

Insomma, come ci siamo detti il 9 gennaio nel corso del convegno che IWA e Fondazione Pensiero Solido hanno organizzato per i vent’anni della Legge Stanca sull’accessibilità digitale, abbiamo ancora molta strada da percorrere…

“Sì, anche se le cose migliorano, non alla velocità che ci piacerebbe, ma migliorano. Serve più informazione per creare più consapevolezza su quanto prevede la legge, per fare in modo che i servizi digitali siano di qualità e che il mondo digitale non sia veicolo di discriminazione.”

Il giubileo dell’accessibilità verso la scadenza del giugno 2025

Per questo sempre il 9 gennaio abbiamo lanciato il “giubileo dell’accessibilità” – rigorosamente con la g minuscola per non confonderlo con quello vero, che ci sarà nel 2025 a Roma – un insieme di appuntamenti pubblici in vista dell’obbligo che scatterà per tutte le aziende il 28 giugno del prossimo anno…

“Dobbiamo far capire a quante più persone possibile che sviluppare un prodotto o un servizio digitale a scopo di vendita o di divulgazione di informazioni ed escludere dalla fruizione una parte di potenziali clienti è sbagliato moralmente e anche praticamente: perdi clienti e rischi che coloro che si sentono esclusi rendano nota pubblicamente questa discriminazione, con il relativo danno reputazionale.”

La sfida è dunque quella di adeguare tempestivamente i prodotti esistenti…

“Invece di accettarla, in molti casi in troppi fanno orecchie da mercante e stanno attendendo passivamente la scadenza del 2025. Tra l’altro non pensano al fatto che un utente discriminato già oggi può fare causa, ai sensi della legge 67/2006, norma che già nel titolo dice tutto: Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”, e similmente può fare un dipendente che si ritrova discriminato perché la sua postazione di lavoro e l’interazione lavorativa non è accessibile: in questo caso non solo la legge Stanca (art. 4 comma 4) ma anche il Dlgs. 216/2003 consentono di tutelare il dipendente, anche in sede giudiziaria, per rimuovere le discriminazioni.”

Noi però continuiamo a operare perché si capisca che la data del 28 giugno 2025 non è solo una scadenza, un obbligo, ma un’opportunità…

“Assolutamente. L’opportunità di fare meglio, sotto ogni punto di vista, il proprio business e la propria attività. Con soddisfazione per tutti i clienti, che in questo caso possono pure incrementare, e per le imprese.”.

Come sempre nella vita, il bene è conveniente. Di conseguenza l’accessibilità è cosa buona, giusta, utile. Per tutti.




Sam Altman, il papà di ChatGPT e l’intelligenza artificiale: “Non dormo la notte se penso ai rischi e alla mancanza di regole”

Sam Altman, il papà di ChatGPT e l’intelligenza artificiale: “Non dormo la notte se penso ai rischi e alla mancanza di regole”

Rischi potenziali“, ma “vantaggi indiscutibili“, sono i due pesi che attualmente hanno due misure diametralmente opposte. Se da un lato l’Intelligenza Artificiale si sta evolvendo quotidianamente, arrivando ad essere sempre più parte integrante della nostra società (anche laddove non ce ne accorgiamo), d’altro canto, secondo quanto spiegato dal “papà” di ChatGPT Sam Altman, occorrono al più presto delle regolamentazioni tra governi per l’utilizzo di questa dirompente tecnologia.

Ciò è quanto emerso durante il World Governments Summit (WGS), un incontro in cui si è discusso delle caratteristiche della nuova GPT-5. Altman non ha nascosto la soddisfazione, combinata alle potenzialità del progetto ma, allo stesso tempo, si è detto preoccupato dei potenziali “scenari degni di una fiction” che “non lo farebbero dormire la notte”. I diversi stati, sempre secondo l’AD di OpenAI, dovrebbero cooperare nel “testare tutti i diversi processi regolamentari“, arrivando così ad accordi condivisi. Il rischio che l’AI diventi incontenibile è dietro l’angolo, per questo Altman sta insistendo sul concetto di ‘prevenire è meglio che curare’, mettendo in guardia tutti.

Nonostante ciò l’imprenditore rimane “ottimista” ed è convinto che ChatGPT potrà dare comunemente “le stesse immense risorse a disposizione ogni giorno“, e quindi “potenzialità enormi” di realizzare i sogni e progetti.




Reskilling e Upskilling: la più grande tendenza nel reclutamento

Reskilling e Upskilling: la più grande tendenza nel reclutamento

Il 2020 e il 2021 sono stati anni complessi per il mondo del lavoro, ma sono stati anche un grande strumento per comprendere quali sono le tendenze dell’industria mondiale nell’ambito della gestione dei propri dipendenti. I lavoratori sono spesso stati costretti a lavorare a distanza e ripensare il proprio metodo di lavoro, facendo sì uso delle proprie competenze ma cercando di acquisirne di nuove.

In questo contesto è diventato chiaro che il reskilling e l’upskilling sono la soluzione ideale per assicurare il successo delle aziende e dei dipendenti. Qual è però il significato di reskilling e il significato di upskilling? Qual è la differenza e in che modo possono essere usati? In questo nostro articolo vi illustreremo tutte le informazioni di cui avete bisogno.

Cosa sono il reskilling e l’upskiling e qual è la differenza

Prima di capire come utilizzare questi concetti in pratica, bisogna capire qual è la differenza tra i due, partendo dalla definizione.

Cos’è il reskilling?

Se vi state domandando cos’è il reskilling, è presto detto. Si tratta della procedura che porta allo sviluppo di nuove competenze che permettano al lavoratore di andare a ricoprire un differente tipo di ruolo all’interno dell’azienda per la quale lavora.

Cos’è l’upskilling?

L’upskilling, invece, è il processo di formazione attraverso il quale un lavoratore espande le conoscenze o acquisisce nuove competenze legate al campo di lavoro nel quale già lavora e del quale ha già esperienza.

Qual è la differenza tra reskilling e upskilling

Ora che sappiamo cosa significa reskilling e upskilling, è necessario fare un passo aggiuntivo e comprendere appieno qual è la differenza tra upskilling e reskilling.

Pur vero che entrambe le procedure mirano a far imparare ai lavoratori professionisti competenze e conoscenze che non possiede, il punto di partenza è molto diverso e di conseguenza il tipo di percorso di formazione da intraprendere è differente.

L’upskilling è pensato per fare in modo che una persona diventi più abile nel proprio lavoro, senza allontanarla dal proprio ambito. Questa procedura è da eseguire se la posizione coperta è ancora attuale e se tutto quello di cui si ha bisogno è che il dipendente sia al passo con le novità del settore o, semplicemente, che migliori il proprio rendimento o si occupi di mansioni più complesse.

Il reskilling, invece, è finalizzato alla riqualificazione di una persona abile, le cui competenze pregresse non sono però più utili per la nuova direzione della società per la quale lavora. Il mercato cambia rapidamente, a causa di evoluzioni tecnologiche o limitazioni situazionali (come una pandemia che costringe al lavoro da remoto), e alcune mansioni potrebbero essere presto desuete. Invece di abbandonare i lavoratori di talento e i professionisti dell’azienda, il reskilling permette di riposizionarli all’interno della compagnia, con tutti i vantaggi conseguenti.

Reskilling e Upskilling

I benefici di upskilling e reskilling per i lavoratori e le aziende

Prima di andare a progettare il reskilling o l’upskilling dei propri dipendenti, bisogna avere ben chiaro quali sono i vantaggi di entrambe le procedure.

I benefici dell’upskilling

L’upskilling porta benefici sia ai dipendenti che alle aziende. I lavoratori professionisti hanno infatti l’opportunità di migliorare le proprie competenze, sentirsi più soddisfatti del proprio operato e vedere la possibilità di crescita professionale. Le aziende, di conseguenza, riescono a crearsi un organico più produttivo e felice.

Secondo la compagnia Robert Half, un cultura interna che promuove la formazione e l’upskilling porta il tasso di ritenzione dei dipendenti al 30-50%. Gallup aggiunge che i lavoratori professionisti che sentono di poter sfruttare al meglio le proprie competenze hanno il 15% di possibilità in meno di licenziarsi. Questo significa che la forza lavoro delle aziende potrà contare su un morale più alto e una coesione interna maggiore.

Tutto questo porta ovviamente vantaggi diretti alle aziende. L’upskilling, oltre a migliorare il morale dei dipendenti, fa sì che siano più efficienti nel proprio lavoro. Dobbiamo infatti ricordare che nuove tecnologie e l’alta competizione rischiano di rende l’offerta di un’azienda obsoleta: fare in modo che il proprio team abbia tutte le competenze necessarie e sia sempre al passo con le ultime tecniche lavorative permette di mantenere la propria offerta soddisfacente agli occhi del cliente.

L’upskilling ha anche un positivo effetto secondario: rende le aziende più interessante per potenziali talenti in cerca di lavoro. Presentarsi come una società disposta a supportare i propri dipendenti sul lungo termine tramite la formazione interna, rende più attraente una posizione lavorativa.

I benefici del reskilling

Alle volte, però, un’azienda ha bisogno non solo di migliorare la propria offerta, ma ampliarla e modificarla. Potreste pensare che in tale situazione l’unica soluzione sia assumere nuovi professionisti specializzati con nuove competenze, ma non è così. Il reskilling è una pratica alternativa sempre più di tendenza negli ultimi anni tra le aziende.

I processi di assunzione e il licenziamento di dipendenti hanno dopotutto costi significativi e investire direttamente sul proprio personale può portare a un risparmio sul lungo termine. Ricordiamo inoltre che un nuovo dipendente richiede comunque di un periodo di formazione iniziale per fargli comprendere tutti i dettagli del suo lavoro: un processo che ha i propri costi.

Il reskilling non garantisce benefici unicamente ai livelli più bassi, ma anche per i manager. Aver accesso a progetti di formazioni rende più semplice per gli organizzatori e i supervisori la gestione del team e dei piani aziendali a lungo termine.

È chiaro che è necessario selezionare i dipendenti migliori per il reskilling. Una buona idea è scegliere persone che, di propria iniziativa, tendono ad ampliare i propri orizzonti e ad apprendere nuove competenze legate alla propria posizione lavorativa. Inoltre, è bene scegliere persone che sono in grado di organizzare il proprio tempo nel migliore dei modi: un processo di reskilling deve avvenire di pari passo con i compiti quotidiani e scegliere persone che saranno in grado di sopportare tale carico di lavoro è importante.

I benefici di upskilling e reskilling

Come eseguire upskilling e reskilling tramite l’eLearning

Ora che abbiamo capito cosa sono l’upskilling, il reskilling e i relativi benefici, è tempo di comprendere in che modo è possibile eseguire queste procedure di formazione per potenziare la propria forza lavoro e migliorare le competenze e l’efficienza della propria azienda.

Vi sono molteplici strade che è possibile seguire. Uno dei metodi è assumere dei professionisti di coaching che possano lavorare a stretto contatto con i dipendenti per identificare i problemi e capire in che modo esercitare nuove competenze e ottenere nuove conoscenze. Un coach può lavorare in remoto o direttamente all’interno dell’azienda.

Un’altra soluzione è l’affiancamento. Un dipendente che deve apprendere competenze e conoscenze già note a una parte dei dipendenti può affiancare i propri colleghi più esperti e osservare il loro lavoro quotidiano per comprendere cosa deve essere fatto. Il lavoratore inizia quindi a svolgere nuovi compiti pian piano.

Una terza soluzione è l’eLearning. Si tratta per certo di uno degli strumenti più potenti e flessibili tra quelli a disposizione di un’azienda. Un corso di formazione, dopotutto, è disponibile a qualsiasi ora e in qualsiasi luogo visto che basta un semplice computer o anche un dispositivo mobile, come tablet e smartphone. Un corso online è anche una soluzione rapida che permette di focalizzarsi solo sulle competenze più importanti.

Un corso di formazione eLearning può essere ovviamente comprato, ma in questo caso è fondamentale assicurarsi che vada a coprire ogni argomento che il proprio dipendente ha bisogno di apprendere per il proprio lavoro. Non scordate, inoltre, che i migliori corsi di formazione sono alle volte in altre lingue e questo vi richiederebbe un ulteriore investimento per ottenere una traduzione efficace. Infine, vi sono in ogni azienda certe dinamiche o necessità uniche che richiederebbero comunque delle integrazioni.

Per questi motivi, molte aziende prendono in considerazione l’idea di creare internamente dei corsi di formazione eLearning. In questo modo, si ha a disposizione uno strumento ottimizzato, riutilizzabile senza costi aggiuntivi e – in caso – modificabile in modo rapido per adattarsi a nuove necessità palesatesi col tempo. Uno strumento facile che permette di creare corsi senza conoscenze tecniche è iSpring Suite. Ti suggeriamo di scaricare la sua versione di prova.

In che modo, quindi, è possibile eseguire upskilling e reskilling tramite eLearning? Ecco i passaggi fondamentali.

Passo 1. Identificare le competenze da apprendere

Il primo passo per il reskilling e l’upskilling è l’analisi e l’identificazione delle competenze datate e che devono essere sostituite o ampliate tramite un corso di formazione.

Possiamo fare un facile esempio: un’azienda può capire che il suo bisogno futuro di sviluppatori di software non sarà soddisfatto dal personale attuale; tuttavia, ha dipendenti in altri ruoli, ad esempio il personale di supporto IT, che probabilmente hanno la capacità di imparare con successo quel set di competenze. Questi dipendenti hanno già familiarità con alcune delle tecnologie relative a tale lavoro e con i processi di business dell’azienda. Sapere su quali competenze lavorare e chi sottoporre ad upskiling e reskilling è quindi il primo passo.

Passo 2. Preparare un programma di formazione

In questa fase, è necessario comprendere in che modo insegnare al proprio lavoratore nuove competenze, definire obiettivi di apprendimento specifici e cose saranno organizzati.

Continuando con l’esempio precedente, per riqualificare il nostro personale di supporto IT come sviluppatore di software, il programma di formazione includerebbe moduli eLearning che coprono i concetti di base dell’ingegneria del software, spiegazioni teoriche di programmazione, più una serie di moduli su linguaggi di programmazione specifici utilizzati dall’organizzazione, come PHP o Python.

Passo 3. Preparare il materiale per la formazione

Una volta che si sa quali sono le competenze da insegnare, quali sono le persone adatte e quali sono le componenti fondamentali da includere in un corso di formazione, non resta altro da fare se non creare il proprio corso.

Per fare ciò, è necessario uno strumento di authoring completo che permetta di creare corsi di formazione. Una delle scelte migliori è iSpring Suite, ideale per corsi di formazione di upskilling e reskilling. Questo set di software permette di creare un corso eLearning a partire da PowerPoint. Si tratta in altre parole di uno strumento semplice e alla portata di tutti.

Cosa si può creare all’interno di iSpring Suite? Prima di tutto, è possibile registrare delle videolezioni: ad esempio, un membro del personale già qualificato può presentare tutti gli elementi più importanti della propria posizione di lavoro. Un tutorial video può essere riguardato in qualsiasi momento, per avere sempre accesso a tutte le informazioni necessarie.

Videolezioni in iSpring Suite

Inoltre, è possibile registrare lo schermo del computer per mostrare ai dipendenti specifiche azioni da eseguire con un programma di proprietà dell’azienda. All’interno del video è poi possibile aggiungere una narrazione audio, inserire una serie di note scritte che aggiungano dettagli o facciano notare particolari sullo schermo, così da rendere il tutorial chiaro e completo. È possibile anche aggiungere musica, effetti grafici e molto altro: iSpring Suite contiene tutti gli strumenti necessari per fare editing video, quindi non è richiesto di passare attraverso altri software.

Nel caso nel quale non siate esperti e vogliate realizzare corsi di formazione in modo rapido, iSpring Suite include anche una libreria di contenuti già pronti, nella versione Max. Si tratta di blocchi che propongo una struttura chiara, nella quale è poi possibile aggiungere solo le informazioni che volete trasmettere. Con pochi click è possibile modificare immagini ed effetti già posizionati, così da personalizzare la diapositiva ed evitare di doverla ideare di proprio pugno.

iSpring Suite Max include 450 modelli di diapositive, oltre 65,000 immagini di personaggi (300 foto per 212 persone diverse), 1,025 immagini di diversi luoghi a diverse ore, così da creare un chiaro contesto per ogni contenuto proposto.

Libreria di contenuti

Passo 4. Proponi ai dipendenti il tuo programma di upskilling e reskilling

Una volta creato il proprio corso di formazione, è necessario pubblicarlo e condividerlo con i dipendenti. Molte aziende preferiscono utilizzare un LMS (Learning Management System), ovvero una piattaforma che permette l’erogazione dei corsi di formazione in modalità eLearning.

Un esempio è iSpring Learn LMS. iSpring Learn LMS permette di creare dei percorsi di apprendimento che guidino i tuoi lavoratori professionisti all’ottenimento di competenze che li rendano veri professionisti dedicati a nuovi ruoli.

iSpring Learn LMS concede molteplici vantaggi. È possibile sfruttare un calendario dei corsi, così da pianificare lezioni di formazione online, eventi formativi dal vivo, programmare laboratori pratici e webinar, tutto con una sola pagina. Non è inoltre necessario invitare ogni dipendente al corso manualmente, ma è possibile inviare richieste in modo preciso, come ad esempio invitare a un webinar solo coloro che hanno completato certe parti della formazione. Inoltre, permette di mantenere salvati i progressi con un corso di formazioni e riprendere un modulo di una lezione da dove ci si era interrotti.

iSpring Learn LMS risulta quindi utile per gli organizzatori così come per i dipendenti che devono gestire la formazione e l’apprendimento di nuove competenze, senza però metter da parte il proprio lavoro quotidiano. iSpring Learn LMS permette di visualizzare i corsi di formazione sia tramite computer che tramite smartphone e tablet, anche offline con l’app iPad e Android.

Calendario dei corsi

Passo 5. Misurare e valutare il successo del corso

Non vi è alcun motivo di creare e proporre programmi di upskilling e reskilling se poi non si può tenere traccia di quanto questi siano efficaci. Fortunatamente tramite iSpring Learn LMS e iSpring Suite è possibile raccogliere tutti i dati necessari.

Oltre a proporre videolezioni e tutorial, all’interno dei vostri corsi di formazione potete inserire anche altri tipi di contenuti. È infatti possibile creare un quiz online con 14 diversi formati: ci sono domande a scelta multipla, sezioni interattive e scenari ramificati all’interno dei quali i dipendenti possono fare esperienza di situazioni vicine al proprio ambito di lavoro. È anche possibile creare dei test che scelgono domande e risposte casuali all’interno di un gruppo da te definito, così da avere test diversi di volta in volta e impedire che vi siano imbrogli.

Inoltre, con iSpring Learn LMS potete usare varie metriche per analizzare i risultati dei test e questo, in combinazione con il feedback dei dipendenti e con le valutazioni dei quiz, vi permetterà di avere una chiara idea di quali parti del programmi di reskilling e upskilling sono stati efficaci e quali invece hanno bisogno di correzioni, o di quali dipendenti hanno necessità di formazione aggiuntiva per ottenere tutte le competenze necessarie.

Ecco il corso sulla sicurezza antincendio realizzato con iSpring Suite:

Pensieri finali

In questo nostro articolo abbiamo quindi visto quali sono i vantaggi di un corso di formazione di upskilling e reskilling. Queste due pratiche hanno lo stesso tipo di obiettivo finale, ovvero acquisire nuove competenze, ma il punto di partenza è ben diverso. Ciò che conta è che il datore di lavoro abbia una chiara idea di come sia composta la propria forza lavoro e sia quindi in grado di definire cosa deve essere appreso e cosa invece non deve fare parte di un corso.

Il mercato del lavoro è in continua evoluzione e la formazione interna è sempre più centrale per mantenere la propria azienda al top. Reskilling e upskilling sono strumenti fondamentali in questo processo e, con il supporto di programmi come iSpring Suite è possibile creare internamente lezioni e tutorial che rispondano alla specifiche e uniche esigenze della vostra azienda. Approfitta della prova gratuita di iSpring Suite Max della durata di 14 giorni.