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Perché non trasformare le biblioteche in centri per la cultura digitale?

Perché non trasformare le biblioteche in centri per la cultura digitale?

Presto inaugurerà, a Genova, un hub per la cultura digitale over 65: un luogo che, attraverso una collaborazione tra start-up e terzo settore, svilupperà servizi e offerte rivolte particolarmente alla silver generation. Il rapporto tra i cittadini e la cultura digitale è un tema importantissimo, che di rado viene opportunamente approfondito.
Nel caso di Genova, le condizioni sono state tali da poter strutturare un hub specifico, ma, in molte altre città italiane di medie e piccole dimensioni, questa attività potrebbe essere funzionalmente svolta da centri già esistenti e che, per propria vocazione istituzionale tendono, o dovrebbero tendere, alla creazione di un rapporto diretto con tutti i propri utenti, al fine di diffondere la conoscenza e favorire nella cittadinanza la comprensione e l’adozione di strumenti utili a interpretare il proprio tempo. Stiamo parlando delle biblioteche.
Le biblioteche di pubblica lettura, infatti, sono ormai da anni coinvolte in un processo di rinnovamento della propria attività, estendendo sempre più il proprio ruolo all’interno della comunità e trasformandosi da luoghi di custodia e di tutela a centri di accesso, divulgazione e valorizzazione della conoscenza.
Si tratta di un passaggio importantissimo, di cui è opportuno ribadire il carattere necessario: un tempo, infatti, erano i libri la conoscenza. Qualsiasi concetto che fosse realmente meritevole di essere distribuito e diffuso era affidato a un libro.

The New Library, Magdalene College. Credit images to Nick Kane
The New Library, Magdalene College. Credit images to Nick Kane

BIBLIOTECHE E CULTURA DIGITALE

La funzione delle biblioteche, quindi, era quella di custodire la conoscenza, di evitare andasse perduta. E, fin quando questa condizione è stata vera, disporre di tanti libri, e dare libero accesso a essi, voleva dire rendere la conoscenza accessibile.
Nell’ultimo decennio, e con grande probabilità nei prossimi dieci anni a venire, le biblioteche muteranno notevolmente pelle con lo scopo principale di continuare a svolgere il mandato sociale che è stato loro attribuito, adeguando i propri mezzi, le proprie attività e le proprie modalità di interazione con le persone alle nuove esigenze che la nostra società presenta.
Identificare nelle biblioteche, quindi, dei veri e propri hub per la cultura digitale vuol dire riconoscere il processo di trasformazione in atto, favorirlo e incrementare il livello di sviluppo della nostra cittadinanza.
Soprattutto, vuol dire garantire a tutti i cittadini una conoscenza concreta e reale degli strumenti che, piaccia o meno, governano una fetta importante delle nostre esistenze.
Qui forse è necessario un approfondimento: quando di solito si sente parlare di centri per la divulgazione della cultura digitale si pensa spesso a iniziative, più o meno efficaci, più o meno meritevoli, rivolte essenzialmente a un target di persone demograficamente identificato. Tutto iniziò, qualcuno lo ricorderà, con le lezioni gratuite di informatica per gli anziani, che, da allora, hanno mantenuto più o meno la stessa impostazione, pur essendo notevolmente mutate le condizioni.
Ad aver bisogno di un centro in grado di diffondere la cultura digitale, oggi, non sono solo gli anziani, ma la cittadinanza nella sua interezza. Cultura digitale significa infatti tantissime cose: significa essere consapevoli dei propri diritti e doveri digitali, significa saper utilizzare correttamente gli strumenti che oggi abbiamo a disposizione, significa cogliere le opportunità per migliorare la propria produttività scolastica e professionale.IL CONTENUTO PROSEGUE A SEGUIRE

CITTADINI E DIGITALE

Essere cittadini digitali non è affatto banale, perché presuppone non solo che gli individui incarnino le caratteristiche che li rendono cittadini, ma essere anche in grado di trasferire quei concetti anche alla sfera del nostro mondo digitale. Sicuramente significa conoscere gli strumenti, ma è solo una parte del tutto.
Sempre più persone trascorrono una parte importante del proprio tempo online, ed è presumibile che questo trend continuerà a crescere in modo significativo nei prossimi anni.
Basta questo a capire quanto sia importante per i cittadini essere degli internauti consapevoli.  Aiutano, certo, le campagne di sensibilizzazione. Ma non bastano. Non basta sapere che il bullismo online è ugualmente malvagio, che affidare il codice della propria carta di credito a un fantomatico governo internazionale che ti ha raggiunto via e-mail in quanto ereditario di un’immensa fortuna vuol dire vedersi svuotare il conto all’istante. Non basta nemmeno sapere che violare i diritti di privacy di una persona è reato, e che la navigazione in anonimo molto raramente è completamente anonima.
Queste sono le condizioni per poter esserci, nel digitale. Essere cittadini è un’altra cosa.
Le biblioteche di pubblica lettura, quindi, rappresentano forse una delle infrastrutture più adatte alla definizione di questo tipo di offerta culturale, che è essenziale venga erogata dal soggetto pubblico, così come è essenziale che venga erogata alla più vasta platea di persone possibili. Non solo per gli effetti positivi che una tale politica culturale può avere sulla nostra cittadinanza, ma anche per gli effetti positivi che una tale impostazione di diffusione può avere sulle nostre attuali biblioteche, così come sul comparto imprenditoriale legato all’innovazione e alla cultura digitale.

Nuova BEIC - Biblioteca europea di informazione e cultura di Milano, progetto vincitore. Courtesy Comune di Milano
Nuova BEIC – Biblioteca europea di informazione e cultura di Milano, progetto vincitore. Courtesy Comune di Milano

IL RUOLO DELLE BIBLIOTECHE OGGI

I modi attraverso cui tale sviluppo può essere favorito dalle biblioteche sono molteplici: si pensi, a un estremo, alla possibilità di fornire lezioni di coding già dalla più tenera età, con un percorso che segua i bambini per livelli di specializzazione crescenti. Una tale diffusione di conoscenza tecnica sicuramente potrà agevolare l’emersione di nuove esperienze imprenditoriali. Al lato opposto, invece, il possibile incremento dei livelli di domanda che può sorgere da una più ampia diffusione di conoscenza della cultura.
Così come nel caso della cultura tradizionale, per la quale vale il principio che, una volta acquisito il piacere di fruire cultura, quel piacere tenderà ad aumentare i consumi culturali nel tempo (per volume o per intensità), così, per la cultura digitale, riuscire a trasmettere il piacere di realizzare dei progetti online, di partecipare ad attività di citizen science, di produrre musica utilizzando l’intelligenza artificiale, di trasformare le proprie foto ricordo in prodotti multimediali può favorire un sempre più costruttivo utilizzo di internet e delle sue potenzialità.
Attribuire, dunque, alle biblioteche di pubblica lettura una tale funzione significa anche ridurre notevolmente i costi di investimento necessari per una seria politica di diffusione di centri per la cultura digitale nel nostro Paese. Esiste già un’infrastruttura estremamente capillare; esistono professionisti altamente competenti su tutto il territorio nazionale. Non resta che affidare istituzionalmente questo ruolo alle biblioteche, dotarle di risorse, anche minime, attraverso le quali poterlo concretamente sviluppare, e favorendo altresì la partecipazione dei cittadini. Il tutto senza dover investire ulteriori risorse per definire degli spazi, risorse che, allo stato attuale, in molte città, può essere più funzionale destinare alle persone.




Pagamenti con CBDC, il futuro è vicino: previsioni sulle valute digitali delle banche centrali

Pagamenti con CBDC, il futuro è vicino: previsioni sulle valute digitali delle banche centrali

pagamenti digitali con CBDC (Central Bank Digital Currencies, le valute digitali delle banche centrali) sono un futuro non vicinissimo ma, probabilmente, nemmeno troppo lontano come si poteva immaginare qualche mese fa.

D’altronde, da più parti si sta sviluppando la ferma convinzione che saranno le CBDC a costituire il trampolino di lancio per una piena maturazione della blockchain e delle valute digitali, considerato che l’utilizzo di questo strumento aprirà alla massa degli utenti una migliore soluzione di pagamento, avvicinando così anche coloro che non sono nativi digitali a questo mondo.

A sostenere con vigore le previsioni più rosee sulla crescita delle CBDC è una recente ricerca di Juniper Research, che ha analizzato il mercato fintech e dei pagamenti, prendendo in considerazione cosa potrebbe accadere a CBD e stablecoin.

Certo, di previsioni piuttosto aleatorie si tratta. Basti considerare, ad esempio, che in un territorio così vasto e rilevante come l’Unione Europea non c’è ancora alcun progetto ufficiale per il lancio di un euro digitale che, in ogni caso, non dovrebbe arrivare prima dei prossimi 4-5 anni (ottimisticamente). Meglio stanno andando le cose in Cina e in India, dove alcuni progetti pilota sono stati lanciati con buoni risultati.

Insomma, al netto di tale aleatorietà, le previsioni parlano di una crescita straordinaria dell’uso delle valute digitali da parte degli utenti nei prossimi anni. Ma perché?

Tutti i vantaggi delle CBDC

A spingere verso un’adozione di massa delle CDBC, secondo Juniper, saranno principalmente i governi, che utilizzeranno queste valute digitali per promuovere l’inclusione finanziaria e aumentare il loro controllo sulle modalità di pagamento digitale. In altri termini, non solo un’arma di attacco, quanto anche di difesa contro le criptovalute private, più volte osteggiate in ambito internazionale per il timore che possano compromettere la stabilità del sistema finanziario.

Guai, però, a mettere in stretta correlazione le criptovalute con le CBDC: stiamo parlando di due cose molto diverse.

La CBDC, infatti, è una forma aggiuntiva di moneta emessa, monitorata e controllata da una banca centrale. Si tratta pertanto di una sorta di alter ego digitale della valuta fiat, anch’essa – come la controparte cartacea – influenzata dalle politiche monetarie di una banca centrale.

Ciò che rende la CBDC diversa dalle criptovalute è che, quando lo strumento è emesso dalla banca centrale, dovrà essere accettato come forma di pagamento da tutti all’interno del mercato di riferimento. Non vi è invece alcun obbligo di accettare come strumento di pagamento le criptovalute. Inoltre, le CBDC potranno ben svolgere il ruolo di riserva di valore sicura per tutti i consumatori e gli operatori.

Sulla base di ciò, i ricercatori si dicono molto ottimisti sul fatto che le CBDC miglioreranno l’accesso ai pagamenti digitali, soprattutto nelle economie emergenti, dove la penetrazione degli strumenti di pagamento mobili mobile è ancora molto più alta della penetrazione bancaria e della disponibilità di un conto.




ESISTE IL DIRITTO AD ESSERE DIMENTICATI?

ESISTE IL DIRITTO AD ESSERE DIMENTICATI

Una delle grandi questioni democratiche è il tema della governance della società digitale, che deve delineare il miglior equilibrio tra informazione e tutela della privacy. Ne abbiamo parlato con Rosalba Tubère, Avvocato del Foro di Torino, nota esperta di tematiche di eccezionale attualità come il diritto all’oblio.

Avvocato, il rapporto tra informazione, nuove tecnologie e la dignità della persona pone nuovi interrogativi e nuove sfide. Qual’è la situazione ad oggi?

La Corte di Giustizia Europea ha trattato questo rapporto nelle sentenze sin dal 2014, attraverso il prisma del diritto all’ oblio che è stato recepito nella normativa contenuta nel Regolamento Europeo per la protezione dei dati G.D.P.R. 2016/679 all’ art.17. È il diritto a non subire effetti pregiudizievoli dalla ripubblicazione a distanza di tempo di una notizia non più attuale.

Può esistere un equilibrio tra diritto all’informazione e diritto all’oblio?

Certamente, il rapporto tra attualità della notizia, pubblicazione e oblio è mutato profondamente con l’avvento delle nuove tecnologie, ma il legislatore ha preso in carico queste preoccupazioni. Quando esisteva solo la carta stampata come mezzo di informazione, la diffusione delle notizie coincideva con la conservazione fisica del giornale. La rete invece ospita senza soluzione di continuità notizie spesso superate dagli eventi e non più attuali: annulla le distanze temporali.

Quali danni può generare l’impropria permanenza di una notizia in rete, ad esempio una notizia parziale, od obsoleta, su un procedimento giudiziario concluso da tempo?

Le ricadute della permanenza dei dati riferiti a vicende personali nell’ambito lavorativo, politico, giudiziario, sanitario possano rivelarsi devastanti, e avere una portata negativa, generando un danno all’immagine, alla reputazione, un danno alla vita di relazione, a quella lavorativa e via discorrendo. Ricadute destinate potenzialmente a perpetuarsi con la permanenza dei dati nella rete, e tali da generare anche danni economici certamente rilevanti e intrinsecamente ingiusti.

Situazioni di questo genere possono anche essere eteroindotte?

Certo che si, purtroppo, si pensi ad esempio a chi voglia orchestrare una campagna in danno di una determinata persona per presunti precedenti giudiziari, omettendone l’esito. In generale l’esposizione mediatica negativa costituisce una forma di danno gravissimo. E lo sa bene anche chi desidera danneggiare intenzionalmente una persona.

Quale può essere la soluzione?

Si può porre rimedio a questi effetti distorsivi esercitando il diritto all’oblio: che consiste nel diritto a essere dimenticati, in relazione ai fatti in questione. Ed il ricorso da parte di cittadini a questo rimedio è sempre più rilevante, allo scopo di garantire il diritto al giusto ridimensionamento della propria visibilità mediatica, rispetto all’implicazione decisamente più incisiva, pervasiva e apparentemente permanente dell’informazione in rete. La potenza dell’indicizzazione di identità digitali connotate negativamente, e insensibili al trascorrere del tempo, può essere contrastata con mezzi totalmente legali, esercitando, appunto, un proprio diritto stabilito dalla legge.

Quale può essere il risultato di questa azione di tutela?

Il suo esercizio ha come effetto la cancellazione delle informazioni negative presenti nella rete internet e/o la deindicizzazione, ovvero il non mostrare al pubblico le pagine dei siti internet contenenti le informazioni stesse, e/o la anonimizzazione, con inserimento delle sole iniziali del nome e del cognome, dai motori di ricerca. Questa azione di tutela bilancia il diritto all’informazione di cui godono le testate giornalistiche online, e può essere esercitato, ad esempio, anche nei confronti degli Organi Parlamentari della Camera e del Senato per le informazioni su dati personali contenute negli atti parlamentari che si desidera rimuovere, insomma, verso qualunque informazione presente in rete. Non tutti sono al corrente di questo diritto garantito al cittadino, per questo è necessario fare sempre più cultura su questi argomenti di grande attualità che riguardano la tutela della sfera personale e della nostra dignità come esseri umani.




Loro Piana, deal con Aura blockchain per la tracciabilità

Loro Piana, deal con Aura blockchain per la tracciabilità

Loro Piana sempre più etica e sostenibile. L’azienda controllata dal colosso del lusso francese Lvmh ha firmato un accordo con Aura blockchain consortium per la tracciabilità dei suoi prodotti. L’associazione guidata dai più importanti gruppi del lusso come PradaOtb e Richemont, vuole essere un hub tecnologico a garanzia dell’autenticità, tracciabilità ed eccellenza dei prodotti. Su questa scia, la maison ha aderito al progetto realizzando un Qr code per le etichette di 20 capi che, a seguito della scansione con un device elettronico, fornisce le informazioni di tracciabilità del prodotto, nonché la storia della sua manifattura, dalla fattoria produttrice della fibra all’arrivo del capo finito in boutique. I capi selezionati per il progetto sono interamente realizzati in lana «The gift of kings», una particolare fibra brevettata dal brand ottenuta dalla tosatura di selezionati esemplari di pecore merino allevate in Australia e Nuova Zelanda.

Attraverso il Qr code, è inoltre possibile registrare la proprietà del capo che, secondo un approccio di tracciabilità ereditaria, sarà tramandato di generazione in generazione, previa trasmissione del suddetto certificato di proprietà. Infine, ciascuno dei venti pezzi è associato ad un’esclusiva opera d’arte digitale 3d realizzata dall’artista londinese Charlotte Taylor, che reinterpreta il viaggio del tessuti The gift of kings.

Lo store di Loro Piana a Palo Alto (courtesy Loro Piana)

Questa iniziativa farà il suo debutto nella nuova boutique di Palo Alto, in California. Inaugurato oggi, lo store presenta uno spazio minimalista dal design contemporaneo e dall’atmosfera sofisticata ma dinamica. La facciata in kummel, colore iconico di Loro Piana, accompagna la scelta dei i toni neutri degli interni in oro, beige e blu, che mettono in risalto le sfumature dei tessuti. Anche gli arredi in rovere e i rivestimenti in cashmere per pareti e imbottiti confluiscono nel creare un’esperienza multisensoriale. 

Dopo la California, tuttavia, a partire da metà marzo e con la collezione primavera-estate 2023, la certificazione digitale sarà estesa a tutti i nuovi capi realizzati con questo tessuto particolare e saranno disponibili in tutte le boutique Loro Piana nel mondo. Segno di un crescente investimento nel savoir faire artigianale e nell’attenzione all’ambiente, della biodiversità e delle comunità locali.




Metaverso, i tre architetti milanesi che progettano gli spazi digitali: «ll primo cliente? Una banca araba che voleva una sala riunioni per Zoom. Con due cammelli»

Hanno ampliato il loro orizzonte lavorativo portandolo nel digitale: «Le esperienze virtuali che generiamo sono un ampliamento e non la sostituzione dell’esperienza fisica

Da qualche anno la parola metaverso è entrata nel nostro dizionario. A questo ora si aggiunge quella di spazio virtuale. Due concetti da non confondere, ma parte della stessa rivoluzione che sembrerebbe in grado di dare una potente scossa alle nostre vite, seppur ancora agli albori. In questa precisa fase, sono nate figure in grado di inglobare lavori più tradizionali con nuove tecnologie. Sono gli architetti del metaverso

L’esperimento a Milano

A Milano tre giovani architetti, tra i 25 e i 30 anni, oltre a svolgere il lavoro tradizionale di architetti, creano spazi tridimensionali su commissione di brand e aziende, in cui i clienti possano muoversi sia attraverso dei semplici clic, magari con un avatar, sia indossando un visore, e quindi con il proprio corpo. Il loro studio si chiama SesamoLab, ha un anno di vita, e loro sono Marco Angrisani, Leonardo Sollami e Marco Grattarola. Al progetto lavora anche Ginevra Turco, collaboratrice game developer.

La definizione migliore

Quando li incontriamo sono seduti a un tavolo di un bar a Milano. Non serve nemmeno fargli delle domande, continuano a discutere tra di loro su come possa essere definito quello su cui lavorano. Fanno mente locale per spiegare i passaggi dei loro progetti, li disegnano anche su un tovagliolo per renderlo più chiaro possibile. Ogni fase è fatta di diverse strade da percorrere in base all’obiettivo del committente. Quindi, prima di vedere nel dettaglio come viene costruito uno spazio virtuale, bisogna capire il perché. 

L’obiettivo di creare spazi virtuali

Uno spazio virtuale può essere utilizzato come mezzo di comunicazione diretto. Le aziende che commissionano i progetti a Sesamo Lab lo fanno con l’intento di posizionarsi in un settore innovativo, fortemente tecnologico. O di raggiungere un pubblico più ampio. 

Il nuovo spazio

Cosa succede una volta trovato un cliente? Il primo passo è il brief: «Noi apriamo le porte di uno spazio che nemmeno conoscono – spiegano -. Fare un progetto significa mettere insieme diverse esigenze e dare una risposta spaziale». Prima di tutto però, bisogna immaginarlo. Molti committenti si affidano a loro al cento per cento, non conoscendo i limiti del mezzo e non sapendo fino a dove possono spingersi. Che il mezzo sia nuovo lo si capisce anche da come hanno ottenuto il primo lavoro: «Abbiamo trovato un annuncio su una community nel metaverso. Era una banca araba che voleva realizzare un centro per le riunioni dove i dipendenti potessero entrare e vivere un’esperienza diversa dalla classica chiamata su Zoom. Noi abbiamo risposto e ottenuto il lavoro» raccontano. 

Lo studio virtuale

Il secondo passo è quello di realizzare un progetto architettonico da trasformare poi in un modello tridimensionale. «Già dal primo incontro, invece della solita call, invitiamo il cliente all’interno del metaverso». Basta un link, e non bisogna per forza usare il visore. A seguire realizzano un concept, modellano lo spazio e pensano a funzioni e interazioni. Infine, la parte dell’allestimento: contenuti digitali, materiali e luci. Quello che ne esce è una sorta di cantiere virtuale dove il cliente può dare feedback e suggestioni prima della consegna finale. 

Le richieste dei clienti

«Generalmente il committente ci chiede una di queste due cose: o un’esperienza virtuale da usare nel corso di un evento, fruibile dai presenti tramite visore, oppure uno spazio virtuale online, accessibile a chiunque tramite il metaverso». Le differenze sostanziali tra spazio virtuale e metaverso sono due: lo spazio virtuale è privato, il metaverso è pubblico e permette all’utente di muoversi liberamente. E poi, la realtà virtuale è più versatile: «Attualmente esistono diverse infrastrutture che ospitano il metaverso. Quella più famosa è di Meta-Facebook ma esistono anche Roblox, Spatial e Decentraland. Ognuna di queste ha delle regole da seguire (come la quantità e la qualità delle interazioni possibili, la quantità di persone che possono fruire lo spazio allo stesso momento, la quantità degli oggetti che vanno ad allestire lo spazio, e molto altro, ndr) Invece, realizzare un’app offline da caricare sul visore non ha limiti, se non quelli che scegliamo noi di imporre». 

Metaverso, anche agli architetti la rivoluzione piace : «Apriamo uno spazio che i brand non conoscono»
Uno degli spazi lavorativi progettati da Sesamo

Progetti realizzati

Trattandosi di un mezzo nuovo, viene concesso un alto grado di libertà creativa, e lo confermano anche le loro esperienze: «La committenza si lascia guidare perché non sa come realizzarlo, quindi è difficile che modifichi drasticamente un nostro progetto». Al massimo può capitare di ricevere proposte strane. I proprietari della banca di Riyadh, che gli hanno commissionato il primo lavoro, non avevano alcun appunto da fare, se non che ci fossero almeno due cammelli che si aggiravano per la sala meeting. «All’inizio eravamo meno convinti dell’efficacia del concept – ammettono -. Adesso sappiamo che con l’approccio giusto si possono realizzare opere intelligenti e interessanti». 

Sette progetti

In meno di un anno – sono partiti a giugno 2022 – con Sesamo Lab hanno realizzato sette progetti. Il primo è stato pensato come un centro per il ritrovo dei dipendenti della banca, da fruire per delle riunioni o delle presentazioni. Hanno realizzato una passerella che accompagna i dipendenti dall’ingresso alla sala e lungo la quale è possibile scoprire la storia dell’azienda. Il logo della banca arreda il pavimento, mentre la sua forma, un esagono, è stata utilizzata per creare la struttura esterna della sala meeting. «Quando l’evento finisce lo spazio rimane, e continuerà a raccontare la loro storia senza costi di manutenzione o energia» aggiungono i tre. 

Le ultime sfide

Il progetto più recente, invece, lo hanno presentato a febbraio 2023 a Dubai. Si trattava di un’esperienza virtuale da vivere con il visore, presentata all’interno di una fiera. Il committente era un’azienda specializzata nella produzione di creme vegetali per cucinare: «Dovevamo trovare qualcosa in grado di far vivere al pubblico un’esperienza eccezionale. Molto difficile se il luogo di presentazione (Dubai, ndr) è un parco giochi urbano. Abbiamo quindi pensato di realizzare una navicella spaziale che entra nell’atmosfera terrestre e sorvola la città fino alla Tiffany Tower, la sede dell’azienda. Una volta entrata nella torre, inizia il gioco, un escamotage per far vedere tutti i brand del gruppo». 

L’impatto sulla realtà

Tra i punti del manifesto di Sesamo Lab uno recita: «Sappiamo che ciò che viene realizzato nello spazio virtuale ha conseguenze in quello fisico». Esattamente come ciò che condividiamo sui social ha un impatto sulla nostra quotidianità: «Le esperienze virtuali che generiamo – spiegano – sono un ampliamento e non la sostituzione dell’esperienza fisica. Proprio perché sappiamo che i nostri spazi influenzano le persone che ne fruiscono, cerchiamo di avere particolare attenzione in quello che creiamo. Non vogliamo fare una copia del mondo reale, o meglio, se così dovesse essere, almeno che venga rotto qualche schema, magari qualche legge della fisica».