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RATING ESG E LOTTA AL GREENWASHING, IL PARLAMENTO EUROPEO DISCUTE IL NUOVO REGOLAMENTO

Rating ESG e lotta al greenwashing, il Parlamento europeo discute il nuovo regolamento

A Bruxelles si discute la proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio europeo sulla trasparenza e sull’integrità delle attività di rating ambientale, sociale e di governance (ESG), messo recentemente a punto dalla Commissione europea.

“Il consiglio europeo ha approvato il mandato negoziale e dato il via libera per iniziare i negoziati interistituzionali informali senza bisogno di passare dall’assemblea plenaria. Lo scopo è cercare di licenziare il provvedimento già in questa legislatura“, spiega a Teleborsa, Luca Poma, Professore di Reputation Management all’Università LUMSA di Roma, aggiungendo che gli europarlamentari si sono incontrati lo scorso 11 gennaio, oggi, 23 gennaio, e si riuniranno ancora a fine mese. “Dal trilogo uscirà un accordo in prima lettura che potrà essere già ratificato dal parlamento europeo”, aggiunge il Professore.

Pur risultando centrale per agevolare il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo e delle Nazioni Unite, il mercato dei rating ESG è attualmente viziato da non conformità, elementi distorsivi e soprattutto rischio di greenwashing, con il risultato che la fiducia degli investitori può risultarne compromessa. Un problema dimostrato anche da una recente ricerca finanziata dall’Europarlamento stesso e presentata a Bruxelles nel giugno scorso, secondo la quale il 70% circa delle aziende che pubblicano bilanci di sostenibilità, convalidati da una Società di certificazione, confermano che il lavoro di quest’ultima si è basato solamente sull’analisi di documenti ed evidenze prodotte dall’azienda stessa, senza quindi venire sottoposti a una vera e propria verifica da parte dei Certificatori, mentre sono solo un quarto (25%) le organizzazioni che affermano di essersi sottoposte a uno specifico audit interno sulla rendicontazione dei criteri ESG.

Luca Poma, Professore di Reputation Management all'Università LUMSA di Roma

In particolare, i rating ESG sono ormai indispensabili ovunque per partecipare a bandi, appalti e anche solo beauty contest, ma il mercato appare come una giungla, e nella maggior parte dei casi le cosiddette “certificazioni ESG” altro non sono che banali validazioni di auto-dichiarazioni delle aziende stesse, spesso risultanti dalla compilazione di “checklist online” – ovviamente a pagamento – sulle quali non viene effettuato poi alcun controllo di autenticità.

“Non esistendo un quadro normativo specifico a livello europeo per i rating ESG, gli Stati membri, attualmente, operano indipendentemente l’uno dall’altro, generando eccessiva eterogeneità, possibili conflitti e una protezione ineguale degli investitori nei diversi Stati membri”, afferma Poma, che ha avuto modo di analizzare nel dettaglio la bozza di proposta ed avanzare alle autorità preposte alcune osservazioni di merito. “Questo strumento legislativo vuole garantire, attraverso dichiarazioni ESG credibili, autentiche e rilasciate da enti e agenzie autorizzate, una standardizzazione di questo genere di certificazioni, garantendo un approccio omogeneo tra gli Stati membri e una maggiore trasparenza e protezione degli investitori”.

Il valore di un simile intervento legislativo risiede quindi nell’offrire coerenza per un quadro normativo omogeneo che faciliterebbe la comparabilità tra i rating ESG, evitando l’emergere di norme diverse a livello nazionale, e garantendo attraverso un approccio uniforme su tutto il territorio europeo la riduzione delle incertezze per gli operatori del mercato.

Un passo importante nella lotta al greenwashing, ma non mancano le criticità, ha confermato il professore: “Per fare solo tre esempi tra tanti, la bozza per com’è ad oggi concepita prevede che l’ESMA (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dell’UE) abbia l’autorità per fare ispezioni solo in caso di segnalazione di violazioni e non di propria iniziativa. Senza ispezioni in loco, verifiche e altri meccanismi di controllo, non vi sarà alcuna certezza che i requisiti previsti dal regolamento siano mantenuti nel tempo dalle agenzie di certificazione. Poi, non è prevista la creazione di una banca dati delle aziende che hanno ricevuto il rating ESG e delle relative agenzie che le hanno certificare. Questo limita fortemente la trasparenza verso i cittadini, che dovrebbe invece essere una delle prerogative principali dell’UE. Infine, dovrebbero essere gli stessi fornitori di rating ESG a adottare le misure necessarie per garantire che i rating ESG forniti non siano influenzati da alcun conflitto di interessi, ma chi poi, dall’esterno, avrà la responsabilità di verificare che queste misure siano effettivamente rispettate? Insomma – ha concluso Poma – c’è molto di buono in questa proposta di regolamento, ma anche molto ancora da migliorare”.

Come combattere il greenwashing?
Sicuramente le nuove direttive Europee (quella sul greenwashing e quella sui rating ESG) daranno un contributo, ma l’arma più potente contro il greenwashing è il comprendere, da parte delle aziende, che costa molto meno (e fa guadagnare più soldi) comunicare in modo schietto e autentico, invece che tentare di manipolare i cittadini con comunicazione ingannevole, sottolinea Poma. Questo lo conferma tutta la letteratura scientifica in materia (teoria) come anche i case study concreti (pratica). Manipolare il mercato alla lunga espone a gravi rischi, pregiudica la reputazione, orienta negativamente i comportamenti di acquisto delle persone, che – deluse – comprano altri prodotti e distrugge valore. Per una volta possiamo dire convintamente che essere onesti costa meno e rende di più.

Come si può migliorare il regolamento europeo?
Il nuovo regolamento UE sugli ESG, spiega Poma, sta venendo discusso in questo periodo in Parlamento, e i rating ESG (Enviromental, Social and Governance) sono state praterie fertili per il greenwashing, se consideriamo che da una ricerca per la quale ho curato il coordinamento scientifico, finanziata proprio dal Parlamento Europeo, è emerso che circa il 70% delle “certificazioni” ESG sono emesse solo sulla base di validazioni di auto-dichiarazioni delle aziende stesse, senza alcuna verifica della veridicità delle loro affermazioni. Il nuovo regolamento mira a fare ordine tra le agenzie e società che rilasciano questi preziosi “bollini”, che sono ormai indispensabili per partecipare a qualunque gara come fornitori di prodotti o servizi in Europa: la bozza per com’è ad oggi concepita prevede che l’ESMA (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dell’UE) abbia l’autorità per fare ispezioni solo in caso di segnalazione di violazioni e non di propria iniziativa, e questo è un forte limite. Poi, non è prevista la creazione di una banca dati delle aziende che hanno ricevuto il rating ESG e delle relative agenzie che le hanno certificare, e questo limita fortemente la trasparenza verso i cittadini. Infine, dovrebbero essere gli stessi fornitori di rating ESG ad adottare le misure necessarie per garantire che i rating ESG forniti non siano influenzati da alcun conflitto di interessi, ma chi poi, dall’esterno, avrà la responsabilità di verificare che queste misure siano effettivamente rispettate? Insomma, c’è molto di buono in questa proposta di regolamento, ma anche molto ancora da migliorare, conclude Poma.




Rating ESG e lotta al greenwashing, il Parlamento europeo discute il nuovo regolamento

Rating ESG e lotta al greenwashing, il Parlamento europeo discute il nuovo regolamento

A Bruxelles si discute la proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio europeo sulla trasparenza e sull’integrità delle attività di rating ambientale, sociale e di governance (ESG), messo recentemente a punto dalla Commissione europea.

“Il consiglio europeo ha approvato il mandato negoziale e dato il via libera per iniziare i negoziati interistituzionali informali senza bisogno di passare dall’assemblea plenaria. Lo scopo è cercare di licenziare il provvedimento già in questa legislatura“, spiega a Teleborsa, Luca Poma, Professore di Reputation Management all’Università LUMSA di Roma, aggiungendo che gli europarlamentari si sono incontrati lo scorso 11 gennaio, oggi, 23 gennaio, e si riuniranno ancora a fine mese. “Dal trilogo uscirà un accordo in prima lettura che potrà essere già ratificato dal parlamento europeo”, aggiunge il Professore.

Pur risultando centrale per agevolare il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo e delle Nazioni Unite, il mercato dei rating ESG è attualmente viziato da non conformità, elementi distorsivi e soprattutto rischio di greenwashing, con il risultato che la fiducia degli investitori può risultarne compromessa. Un problema dimostrato anche da una recente ricerca finanziata dall’Europarlamento stesso e presentata a Bruxelles nel giugno scorso, secondo la quale il 70% circa delle aziende che pubblicano bilanci di sostenibilità, convalidati da una Società di certificazione, confermano che il lavoro di quest’ultima si è basato solamente sull’analisi di documenti ed evidenze prodotte dall’azienda stessa, senza quindi venire sottoposti a una vera e propria verifica da parte dei Certificatori, mentre sono solo un quarto (25%) le organizzazioni che affermano di essersi sottoposte a uno specifico audit interno sulla rendicontazione dei criteri ESG.

In particolare, i rating ESG sono ormai indispensabili ovunque per partecipare a bandi, appalti e anche solo beauty contest, ma il mercato appare come una giungla, e nella maggior parte dei casi le cosiddette “certificazioni ESG” altro non sono che banali validazioni di auto-dichiarazioni delle aziende stesse, spesso risultanti dalla compilazione di “checklist online” – ovviamente a pagamento – sulle quali non viene effettuato poi alcun controllo di autenticità.

“Non esistendo un quadro normativo specifico a livello europeo per i rating ESG, gli Stati membri, attualmente, operano indipendentemente l’uno dall’altro, generando eccessiva eterogeneità, possibili conflitti e una protezione ineguale degli investitori nei diversi Stati membri”, afferma Poma, che ha avuto modo di analizzare nel dettaglio la bozza di proposta ed avanzare alle autorità preposte alcune osservazioni di merito. “Questo strumento legislativo vuole garantire, attraverso dichiarazioni ESG credibili, autentiche e rilasciate da enti e agenzie autorizzate, una standardizzazione di questo genere di certificazioni, garantendo un approccio omogeneo tra gli Stati membri e una maggiore trasparenza e protezione degli investitori”.

Il valore di un simile intervento legislativo risiede quindi nell’offrire coerenza per un quadro normativo omogeneo che faciliterebbe la comparabilità tra i rating ESG, evitando l’emergere di norme diverse a livello nazionale, e garantendo attraverso un approccio uniforme su tutto il territorio europeo la riduzione delle incertezze per gli operatori del mercato.

Un passo importante nella lotta al greenwashing, ma non mancano le criticità, ha confermato il professore: “Per fare solo tre esempi tra tanti, la bozza per com’è ad oggi concepita prevede che l’ESMA (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dell’UE) abbia l’autorità per fare ispezioni solo in caso di segnalazione di violazioni e non di propria iniziativa. Senza ispezioni in loco, verifiche e altri meccanismi di controllo, non vi sarà alcuna certezza che i requisiti previsti dal regolamento siano mantenuti nel tempo dalle agenzie di certificazione. Poi, non è prevista la creazione di una banca dati delle aziende che hanno ricevuto il rating ESG e delle relative agenzie che le hanno certificare. Questo limita fortemente la trasparenza verso i cittadini, che dovrebbe invece essere una delle prerogative principali dell’UE. Infine, dovrebbero essere gli stessi fornitori di rating ESG a adottare le misure necessarie per garantire che i rating ESG forniti non siano influenzati da alcun conflitto di interessi, ma chi poi, dall’esterno, avrà la responsabilità di verificare che queste misure siano effettivamente rispettate? Insomma – ha concluso Poma – c’è molto di buono in questa proposta di regolamento, ma anche molto ancora da migliorare”.

Come combattere il greenwashing?
Sicuramente le nuove direttive Europee (quella sul greenwashing e quella sui rating ESG) daranno un contributo, ma l’arma più potente contro il greenwashing è il comprendere, da parte delle aziende, che costa molto meno (e fa guadagnare più soldi) comunicare in modo schietto e autentico, invece che tentare di manipolare i cittadini con comunicazione ingannevole, sottolinea Poma. Questo lo conferma tutta la letteratura scientifica in materia (teoria) come anche i case study concreti (pratica). Manipolare il mercato alla lunga espone a gravi rischi, pregiudica la reputazione, orienta negativamente i comportamenti di acquisto delle persone, che – deluse – comprano altri prodotti e distrugge valore. Per una volta possiamo dire convintamente che essere onesti costa meno e rende di più.

Come si può migliorare il regolamento europeo?
Il nuovo regolamento UE sugli ESG, spiega Poma, sta venendo discusso in questo periodo in Parlamento, e i rating ESG (Enviromental, Social and Governance) sono state praterie fertili per il greenwashing, se consideriamo che da una ricerca per la quale ho curato il coordinamento scientifico, finanziata proprio dal Parlamento Europeo, è emerso che circa il 70% delle “certificazioni” ESG sono emesse solo sulla base di validazioni di auto-dichiarazioni delle aziende stesse, senza alcuna verifica della veridicità delle loro affermazioni. Il nuovo regolamento mira a fare ordine tra le agenzie e società che rilasciano questi preziosi “bollini”, che sono ormai indispensabili per partecipare a qualunque gara come fornitori di prodotti o servizi in Europa: la bozza per com’è ad oggi concepita prevede che l’ESMA (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dell’UE) abbia l’autorità per fare ispezioni solo in caso di segnalazione di violazioni e non di propria iniziativa, e questo è un forte limite. Poi, non è prevista la creazione di una banca dati delle aziende che hanno ricevuto il rating ESG e delle relative agenzie che le hanno certificare, e questo limita fortemente la trasparenza verso i cittadini. Infine, dovrebbero essere gli stessi fornitori di rating ESG ad adottare le misure necessarie per garantire che i rating ESG forniti non siano influenzati da alcun conflitto di interessi, ma chi poi, dall’esterno, avrà la responsabilità di verificare che queste misure siano effettivamente rispettate? Insomma, c’è molto di buono in questa proposta di regolamento, ma anche molto ancora da migliorare, conclude Poma.




Rating ESG e lotta al greenwashing, il Parlamento europeo discute il nuovo regolamento

Rating ESG e lotta al greenwashing, il Parlamento europeo discute il nuovo regolamento

A Bruxelles si discute la proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio europeo sulla trasparenza e sull’integrità delle attività di rating ambientale, sociale e di governance (ESG), messo recentemente a punto dalla Commissione europea.

“Il consiglio europeo ha approvato il mandato negoziale e dato il via libera per iniziare i negoziati interistituzionali informali senza bisogno di passare dall’assemblea plenaria. Lo scopo è cercare di licenziare il provvedimento già in questa legislatura“, spiega a Teleborsa, Luca Poma, Professore di Reputation Management all’Università LUMSA di Roma, aggiungendo che gli europarlamentari si sono incontrati lo scorso 11 gennaio, oggi, 23 gennaio, e si riuniranno ancora a fine mese. “Dal trilogo uscirà un accordo in prima lettura che potrà essere già ratificato dal parlamento europeo”, aggiunge il Professore.

Pur risultando centrale per agevolare il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo e delle Nazioni Unite, il mercato dei rating ESG è attualmente viziato da non conformità, elementi distorsivi e soprattutto rischio di greenwashing, con il risultato che la fiducia degli investitori può risultarne compromessa. Un problema dimostrato anche da una recente ricerca finanziata dall’Europarlamento stesso e presentata a Bruxelles nel giugno scorso, secondo la quale il 70% circa delle aziende che pubblicano bilanci di sostenibilità, convalidati da una Società di certificazione, confermano che il lavoro di quest’ultima si è basato solamente sull’analisi di documenti ed evidenze prodotte dall’azienda stessa, senza quindi venire sottoposti a una vera e propria verifica da parte dei Certificatori, mentre sono solo un quarto (25%) le organizzazioni che affermano di essersi sottoposte a uno specifico audit interno sulla rendicontazione dei criteri ESG.

Luca Poma, Professore di Reputation Management all’Università LUMSA di Roma

In particolare, i rating ESG sono ormai indispensabili ovunque per partecipare a bandi, appalti e anche solo beauty contest, ma il mercato appare come una giungla, e nella maggior parte dei casi le cosiddette “certificazioni ESG” altro non sono che banali validazioni di auto-dichiarazioni delle aziende stesse, spesso risultanti dalla compilazione di “checklist online” – ovviamente a pagamento – sulle quali non viene effettuato poi alcun controllo di autenticità.

“Non esistendo un quadro normativo specifico a livello europeo per i rating ESG, gli Stati membri, attualmente, operano indipendentemente l’uno dall’altro, generando eccessiva eterogeneità, possibili conflitti e una protezione ineguale degli investitori nei diversi Stati membri”, afferma Poma, che ha avuto modo di analizzare nel dettaglio la bozza di proposta ed avanzare alle autorità preposte alcune osservazioni di merito. “Questo strumento legislativo vuole garantire, attraverso dichiarazioni ESG credibili, autentiche e rilasciate da enti e agenzie autorizzate, una standardizzazione di questo genere di certificazioni, garantendo un approccio omogeneo tra gli Stati membri e una maggiore trasparenza e protezione degli investitori”.

Il valore di un simile intervento legislativo risiede quindi nell’offrire coerenza per un quadro normativo omogeneo che faciliterebbe la comparabilità tra i rating ESG, evitando l’emergere di norme diverse a livello nazionale, e garantendo attraverso un approccio uniforme su tutto il territorio europeo la riduzione delle incertezze per gli operatori del mercato.

Un passo importante nella lotta al greenwashing, ma non mancano le criticità, ha confermato il professore: “Per fare solo tre esempi tra tanti, la bozza per com’è ad oggi concepita prevede che l’ESMA (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dell’UE) abbia l’autorità per fare ispezioni solo in caso di segnalazione di violazioni e non di propria iniziativa. Senza ispezioni in loco, verifiche e altri meccanismi di controllo, non vi sarà alcuna certezza che i requisiti previsti dal regolamento siano mantenuti nel tempo dalle agenzie di certificazione. Poi, non è prevista la creazione di una banca dati delle aziende che hanno ricevuto il rating ESG e delle relative agenzie che le hanno certificare. Questo limita fortemente la trasparenza verso i cittadini, che dovrebbe invece essere una delle prerogative principali dell’UE. Infine, dovrebbero essere gli stessi fornitori di rating ESG a adottare le misure necessarie per garantire che i rating ESG forniti non siano influenzati da alcun conflitto di interessi, ma chi poi, dall’esterno, avrà la responsabilità di verificare che queste misure siano effettivamente rispettate? Insomma – ha concluso Poma – c’è molto di buono in questa proposta di regolamento, ma anche molto ancora da migliorare”.

Come combattere il greenwashing?
Sicuramente le nuove direttive Europee (quella sul greenwashing e quella sui rating ESG) daranno un contributo, ma l’arma più potente contro il greenwashing è il comprendere, da parte delle aziende, che costa molto meno (e fa guadagnare più soldi) comunicare in modo schietto e autentico, invece che tentare di manipolare i cittadini con comunicazione ingannevole, sottolinea Poma. Questo lo conferma tutta la letteratura scientifica in materia (teoria) come anche i case study concreti (pratica). Manipolare il mercato alla lunga espone a gravi rischi, pregiudica la reputazione, orienta negativamente i comportamenti di acquisto delle persone, che – deluse – comprano altri prodotti e distrugge valore. Per una volta possiamo dire convintamente che essere onesti costa meno e rende di più.

Come si può migliorare il regolamento europeo?
Il nuovo regolamento UE sugli ESG, spiega Poma, sta venendo discusso in questo periodo in Parlamento, e i rating ESG (Enviromental, Social and Governance) sono state praterie fertili per il greenwashing, se consideriamo che da una ricerca per la quale ho curato il coordinamento scientifico, finanziata proprio dal Parlamento Europeo, è emerso che circa il 70% delle “certificazioni” ESG sono emesse solo sulla base di validazioni di auto-dichiarazioni delle aziende stesse, senza alcuna verifica della veridicità delle loro affermazioni. Il nuovo regolamento mira a fare ordine tra le agenzie e società che rilasciano questi preziosi “bollini”, che sono ormai indispensabili per partecipare a qualunque gara come fornitori di prodotti o servizi in Europa: la bozza per com’è ad oggi concepita prevede che l’ESMA (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dell’UE) abbia l’autorità per fare ispezioni solo in caso di segnalazione di violazioni e non di propria iniziativa, e questo è un forte limite. Poi, non è prevista la creazione di una banca dati delle aziende che hanno ricevuto il rating ESG e delle relative agenzie che le hanno certificare, e questo limita fortemente la trasparenza verso i cittadini. Infine, dovrebbero essere gli stessi fornitori di rating ESG ad adottare le misure necessarie per garantire che i rating ESG forniti non siano influenzati da alcun conflitto di interessi, ma chi poi, dall’esterno, avrà la responsabilità di verificare che queste misure siano effettivamente rispettate? Insomma, c’è molto di buono in questa proposta di regolamento, ma anche molto ancora da migliorare, conclude Poma.




I NUMERI DEL CALCIO

I NUMERI DEL CALCIO

18 gennaio 2024: la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) pubblica il Bilancio Integrato 2022, un articolato documento contenente informazioni, finanziarie e non, inerenti l’attività svolta sul pianeta calcio nel corso del 2022.

Molto bene: gli sforzi delle organizzazioni, imprenditoriali e non, verso una maggiore e migliore trasparenza vanno sempre accolti con favore. Se rendiconto e comunico quello che faccio, anche in assenza di precisi obblighi normativi, devo necessariamente assumermi la responsabilità di ciò che scrivo. Importante, quindi, uscire allo scoperto.

FIGC ha cominciato questo percorso già da diversi anni, e sicuramente non è facile rendicontare risultati e prospettive di un settore ad alta complessità (e tanti problemi) come quello del calcio.

Ma cos’è un bilancio integrato? La Federazione prende, come riferimento, l’Integrated Reporting Framework. Quindi:

  1. un Report Integrato è una comunicazione sintetica che ha lo scopo di illustrare e dimostrare agli stakeholder come la strategia, la governance, le performance e le prospettive di un’organizzazione consentono di creare valore nel breve, medio e lungo periodo nel contesto in cui essa opera;
  2. oltre ai fornitori di capitale finanziario, gli stakeholder interessati al Report Integrato possono includere: dipendenti, clienti, fornitori, partner commerciali e tecnologici, comunità locali, legislatori, regolatori, organismi di regolamentazione e policy makers;
  3. secondo il Framework internazionale <IR>, la determinazione del perimetro è relativa a due aspetti, ovvero l’entità che redige il bilancio e il complesso dei rischi, delle opportunità e dei risultati che sono attribuibili o associati ad entità e stakeholder diversi dall’organizzazione che redige il bilancio e che hanno un impatto sulla sua capacità di creare valore nel breve, medio e lungo termine.

Fatta questa premessa, e partendo dal presupposto che l’informativa sia perfettamente compliant, passo alle impressioni ricavate leggendo velocemente il documento.

Sinteticità e fruibilità

Non occorre un diluvio di informazioni: il report, per essere efficace, deve essere sintetico, chiaro ed essenziale nei suoi contenuti. Perché? Perché l’utilizzatore è interessato alle prospettive future dell’organizzazione, non solo a quanto la governance sostiene di essere o essere stata brava, di fare o aver fatto. Sul sito Figc sono disponibili:

  • bilancio integrato: file di 234 pagine, di cui 35 contenenti solamente foto (molto belle e di forte impatto, però non aggiungono nulla all’informativa);
  • cartella stampa completa con i principali highlights: file di 8 pagine, 3.396 parole, tanti numeri e informazioni, ma assenza totale di tabelle e grafici;
  • video della durata di poco più di 8 minuti: di fatto, un mega spot.

Francamente, tanto materiale. Forse troppo?

Il mio (opinabilissimo e poco autorevole) punto di vista: meno documenti, meno parole, più sintesi, più chiarezza. Molte pagine del report non sollecitano alla lettura, sembrano pensate più come un esercizio di grafica ed estetica (quindi comunicazione) che per un’esigenza di rendicontazione efficace, e le informazioni si perdono (penso, ad esempio, a un lettore dislessico).

In considerazione, poi, della voluminosità del documento, dei collegamenti ipertestuali sarebbero stati di grande utilità.

Stakeholder

I famosi portatori d’interessi, soggetti interni ed esterni all’organizzazione: a pagina 14 troviamo un bel dettaglio degli stakholder interni, mentre, per avere una panoramica di quelli esterni, occorre passare a pagina 76, dove si parla di stakeholder chiave, che influenzano e sono influenzati dall’organizzazione”. Con grande sorpresa non trovo espressamente indicate le banche (sono tra i fornitori?) nonché l’Agenzia Entrate ed enti previdenziale (rientrano tra i Ministeri?).

Impatti e rischi

Quali sono i rischi specifici e le opportunità che influenzano la capacità dell’organizzazione di creare valore nel breve, medio e lungo termine e in che modo sono gestiti? Nel documento vengono evidenziati gli impatti positivi del calcio sul sistema paese. E quelli negativi? Il report, secondo me, dovrebbe informare meglio (non necessariamente con “più dati”, bensì con dati più centrati) su alcuni passaggi chiave, come il modello di business e le problematiche economico-finanziarie.

Un esempio? Al tema Superlega, fortemente materiale, è dedicato soltanto questo passaggio di pagina 23: “Decisa opposizione della Federcalcio al progetto di creazione di una “Super League” chiusa (emanazione della cosiddetta norma “anti Superlega”)”. E se il progetto, invece, andasse avanti, quali sarebbero gli impatti sull’organizzazione e i suoi affiliati? E le alternative? Vista la rilevanza della questione, mi sarei aspettato qualcosa in più (descrizione rischio e potenziali impatti, piani di mitigazione, opportunità derivanti dal rischio, monitoraggio continuo, etc.).

Altro esempio? La sostenibilità economico-finanziaria. Potrebbe essere utile (per lo stakeholder esterno, ovviamente) avere un’idea dell’indebitamento verso banche e fisco e dell’incidenza sul totale, del numero di società in maggiore difficoltà, degli scenari ipotizzabili a seguito di uno stress test, etc.

Insomma le criticità si perdono in un mare di informazioni, dati, immagini e colori.

Gli SDGs

A pagina 17 sono riportati i “…9 SDGs che la Federazione Italiana Giuoco Calcio persegue maggiormente (insieme ad alcuni esempi di progetti), in coerenza con i propri obiettivi e la propria strategia…”. Mi chiedo: come sono stati individuati i 9 SDGs? Sono stati coinvolti gli stakeholder? Se sì, in che modo?

Rating Esg

Pagina 177: “…OpenEconomics, società specializzata in asset pricing e analisi economiche applicate all’industria del calcio, ha sviluppato in collaborazione con la FIGC la misurazione delle performance della Federcalcio nell’ambito della valutazione dei rischi Ambientali, Sociali e di Governance all’interno del contesto in cui la Federazione si trova ad operare. La FIGC è la prima Federazione sportiva in Italia che, oltre ad aver elaborato una propria Strategia di Sostenibilità, è stata in grado di misurare con una prima sperimentazione anche il relativo rating ESG…”. Ormai è la parola magica: rating Esg! Sorvolando sul dibattito su questo tema (e sull’affidabilità dei vari rating e punteggi…), ricordo solo che è in arrivo il regolamento comunitario che disciplinerà la materia. È vero, il rating raggiunto da FIGC è il risultato di una sperimentazione nata da una collaborazione con OpenEconomics: apprezzabile l’impegno, però i rating, per definizione, presuppongono, tra l’altro, terzietà del valutatore. Quelle che, però, maggiormente mi hanno colpito, sono le parole misurazione, valutazione, strategia: ma se ho elaborato una strategia di sostenibilità e sono in grado di misurarla, perché non scendere nel merito delle performance e dei risultati attesi, magari facendo ricorso allo standard GRI?

Conclusioni

Molto semplici, ho fatto vedere il documento a tre diciassettenni:

  1. ragazza che pratica ginnastica;
  2. ragazzo che pratica karate;
  3. giovane calciatore che pratica abitualmente attività agonistica con una Ssd.

Tutti e tre hanno un percorso scolastico regolare: 1 e 2 hanno risultati scolastici brillanti, 3 (il calciatore) naviga dignitosamente su livelli sufficienti, e dovrebbe comunque essere il soggetto maggiormente interessato. Risposte ottenute:

  1. “mi lascia indifferente”;
  2. “ma è celebrativo!”;
  3. “un file di 234, pagine non ci penso proprio ad aprirlo”.

Alè, oh oh! Alè, oh oh!




OnlyFans: La piattaforma di condivisione di contenuti che arricchisce i creators (?)

OnlyFans: La piattaforma di condivisione di contenuti che arricchisce i creators (?)

OnlyFans è la piattaforma di condivisione di contenuti che ha forse fatto più scalpore negli ultimi anni. Fondata nel 2016, ha creato una comunità online in cui creatori di contenuti possono condividere il loro lavoro e interagire direttamente con i propri fan.

Ma cos’è esattamente OnlyFans? È un social che permette ai creatori di pubblicare contenuti come foto, video e testi, e ai loro fan di accedere a questi contenuti pagando una tariffa mensile o a pagamento per post specifici. L’esplosione di OF si è realizzata con l’approdo di numerosissimi creators dediti all’industria dell’intrattenimento per adulti, ma in realtà la piattaforma ospita una vasta gamma di creatori che condividono contenuti su vari argomenti, come fitness, cucina, musica e molto altro.

OnlyFans era inizialmente diventato popolare tra influencer, modelli, artisti e appassionati di fitness che desideravano monetizzare il proprio rapporto con i followers. Grazie a OnlyFans, i creatori possono guadagnare direttamente dai loro fan, eliminando l’intermediazione tradizionale e ottenendo un maggior controllo sui propri guadagni. La piattaforma offre anche un modo per i fan di supportare direttamente i creatori che amano, fornendo loro contenuti esclusivi e l’opportunità di interagire con loro.

Tuttavia, l’uso di OnlyFans non è limitato solo ai creatori. Molte persone si iscrivono come fan per accedere a contenuti esclusivi e sostenere i loro creatori preferiti. Questo crea un ambiente di connessione e vicinanza tra creatori e fan, dove i fan possono sentirsi più coinvolti nel processo creativo.

Nonostante il successo e la crescente popolarità di OnlyFans, la piattaforma ha anche affrontato alcune controversie e critiche. Il suo legame con l’industria del porno ha portato a preoccupazioni riguardanti la sicurezza delle persone coinvolte e ha sollevato domande sulla regolamentazione e la tutela dei diritti dei lavoratori.

A causa di queste preoccupazioni, OnlyFans ha introdotto politiche più rigide per contrastare la diffusione di contenuti illegali o non consensuali. La piattaforma collabora con istituzioni finanziarie e enti regolatori e il fisco delle nazioni in cui opera per migliorare i processi di pagamento e contrastare fenomeni elusivi e di riciclaggio di denaro.

Nonostante – forse anche grazie – alla visibilità derivante dalle polemiche che ha solevato, OnlyFans continua a crescere come piattaforma di condivisione di contenuti. La sua capacità di consentire ai creatori di monetizzare il proprio lavoro e ai fan di connettersi direttamente con loro ha creato nuove opportunità per molte persone. Con l’aumento della domanda di contenuti personalizzati e di accesso diretto ai creatori, OnlyFans continua a offrire un ambiente unico per la condivisione e l’interazione.

È importante sottolineare che, nonostante la sua associazione con il lavoro sessuale, OnlyFans non è limitato a questo settore. La piattaforma offre un’opportunità per una vasta gamma di creatori di condividere le loro passioni, talenti e conoscenze con il loro pubblico. Dalla cucina all’arte, dal fitness alla musica, ci sono molte nicchie in cui i creatori possono esprimere se stessi e connettersi con i loro fan.

Per i creatori di contenuti che desiderano utilizzare OnlyFans come fonte di reddito, è fondamentale comprendere l’importanza di offrire contenuti di qualità e mantenere un rapporto diretto e autentico con i propri fan. La chiave del successo su OnlyFans è creare un equilibrio tra offrire contenuti esclusivi e coinvolgenti che soddisfino le aspettative dei fan e mantenere una comunicazione aperta e autentica.

OnlyFans è anche un esempio di come l’evoluzione della tecnologia e dei social media stia influenzando l’industria dell’intrattenimento e del contenuto online. La piattaforma ha aperto nuove strade per i creatori e ha ridefinito il concetto di “fan” e “celebrità”. Ora, chiunque abbia talento, creatività e una base di fan devota può sfruttare le potenzialità di OnlyFans per guadagnare e costruire una comunità di appassionati. Tuttavia, è fondamentale comprendere sia i vantaggi che le sfide associate a questa piattaforma e assicurarsi che vengano rispettate le norme e le regole per garantire un ambiente sicuro e sostenibile per tutti gli utenti.

Sarà interessante osservare come questa piattaforma si svilupperà e influenzerà ulteriormente l’industria dell’intrattenimento online nel futuro.