Superlega: un caso da manuale di pessimo crisis management, con le inevitabili ricadute sulla reputazione dei protagonisti
Ieri sera, dietro la sede della FIGC a Roma, in via Giulio Caccini, è stato realizzato un murales che raffigura Andrea Agnelli, con un coltello che buca un pallone: il Presidente della Juventus è ritenuto responsabile – assieme a Florentino Perez del Real Madrid – del lancio del criticatissimo progetto “Superlega”, assurto in questi giorni agli onori delle cronache nazionali e internazionali. Il murales in questione è stato realizzato dalla street artist Laika MCMLIV, che ha chiamato l’opera “La morte del calcio”, aggiungendo peraltro:
“Il tentativo di creare una competizione a invito riservata ai club più ricchi è la morte dei sogni dei tifosi di tutto il mondo. Lo sport dovrebbe insegnare che con la fantasia, il talento e l’allenamento tutti possono provare a vincere. La Superlega, in nome di un business sempre più monopolizzato, sconfessa definitivamente questo sogno. L’idea che sia stato pensato fa paura perché tutto ciò non riguarda solo il calcio”.
Crisis Superlega: una breve cronistoria
Riepilogando quanto accaduto, per i pochi che non avessero seguito la polemica, si tratta del progetto di avvio di una competizione a cadenza annuale per una decina di Club calcistici alternativa alla Champions League, che avrebbe riunito alcune tra le migliori squadre europee in una sorta di campionato di super élite, organizzato autonomamente dai Club promotori. L’UEFA, in risposta, ha minacciato una causa milionaria contro tutti i club che avessero aderito al progetto, nonché esclusione degli stessi dalle competizioni ufficiali (Champions ed Europa League) come anche dei loro giocatori dalle Nazionali e da tutte le competizioni UEFA e FIFA, generando una rapida escalation a colpi di comunicati stampa che ha portato il tema Super Lega ad essere negli ultimi 3 giorni trend-topic oltre che su mass-media tradizionali anche e soprattutto su tutte le più importanti piattaforme digitali.
Un progetto, quella della Super League, durato il tempo di un respiro: a mezzanotte di domenica scorsa venne diffuso il comunicato che ne annunciava la costituzione, stanotte (il martedì successivo) alle 2 i promotori hanno ufficializzato la sospensione del piano a tempo indeterminato, di fatto prendendo atto del naufragio dello stesso.
Naufragio – un’ennesima volta – attribuibile in larga parte dall’ignoranza, da parte dei protagonisti della contesa, dei più elementari principi di reputation management e di crisis communication, ampiamente documentati in letteratura; a dimostrazione, una volta di più, che il “dimensionamento” dell’organizzazione (in questo caso alcuni dei più noti e prestigiosi Club calcistici del mondo) non va necessariamente d’accordo con l’efficacia e l’efficienza nella gestione di scenari critici, in grado di pregiudicare tangibilmente il valore per gli azionisti – confermato anche dal crollo in borsa delle azioni Juventus, arrivate a toccare il -13% in un’unica giornata – e in generale per tutti gli altri stakeholder.
Cattiva comunicazione e tono di voce arrogante: la tempesta perfetta
Criticità, quelle sopra richiamate, emerse peraltro fin dal primo momento, con una comunicazione dal tone of voice tendenzialmente arrogante: Agnelli ha provato fino all’ultimo a difendere la Super Lega, dichiarando in un’intervista pubblicata ieri mattina su Repubblica e Corriere dello Sport “Andiamo avanti, c’è un patto di sangue tra noi”, per poi ammettere poche ore dopo – con evidente carenza di coerenza – che non vi erano più le condizioni per proseguire nel progetto.
In realtà, la mancanza di compattezza granitica dei pool di Club coinvolti è emersa con estrema chiarezza non solo con il disimpegno rumorosissimo delle squadre inglesi, ma – non meno rilevante – anche con la mancata adesione di Amazon all’ipotesi Super League, con il gigante dell’intrattenimento dell’home-video che ha dichiarato di comprendere e condividere le preoccupazioni dei tifosi sul progetto Super Lega:
Crediamo che il dramma e la bellezza del calcio europeo arrivino dall’abilità di ogni club di raggiungere i successi tramite le performances sul campo
hanno commentato sollecitamente dal quartier generale di Seattle, dando quindi una prima inequivoca indicazione sotto il profilo della potenziale mancata monetizzazione dei diritti TV che le squadre coinvolte avrebbero voluto incassare.
La domanda che affolla le cronache è principalmente una: ha avuto senso per i Club promotori del progetto Super Lega dichiarare guerra in modo sprezzante ai tifosi, da un lato, e alle istituzioni calcistiche dall’altro?
Superlega: crisis management, questo sconosciuto
Un’evidente trascuratezza dei delicati meccanismi sottesi alla costruzione e gestione della reputazione, in quest’epoca liquida quanto mai da intendersi in chiave multi-stakeholder, nonché, come abbiamo già evidenziato, delle più elementari regole afferenti al mondo del crisis management, che vede nella simulazione preventiva degli scenari di crisi secondo il modello del whorst-case-scenario (immaginare a tavolino, in tempo di pace, il peggior scenario possibile, e attrezzarsi per gestirlo al meglio dal punto di vista della comunicazione) un proprio irrinunciabile pilastro, specie in un mondo dove il digitale, facendola da padrone, determina le caratteristiche Glocal (globali e locali assieme, ovvero tutto ciò che accade qui, accade ovunque…) di ogni crisi reputazionale.
La comunicazione dei leader dei Club promotori del progetto è apparsa invece inopportuna nei toni e nei tempi (era dall’epoca della confusa gestione dell’emergenza pandemica da parte del Governo Conte che non assistevamo a comunicati stampa diramati in piena notte, indici di pressapochismo e, appunto, di carenza di efficace programmazione) nonché caratterizzata da un apparente quanto evidente fuga in avanti nelle prime fasi del lancio, a fronte di una solo apparente compattezza d’intenti, sgretolata in poche ore dinnanzi alla presa di posizione – quella sì pressoché granitica – da parte della quasi totalità delle tifoserie nel mondo, sia di piccoli come di grandi Club.
La reputazione di Andrea Agnelli e di altri protagonisti dello sfortunato progetto pare non venir adeguatamente tutelata da loro stessi neppure in extremis, a posteriori, né – ad oggi – essi sembrano aver pronto un sollecito recovery plan: per contro, dopo la netta presa di distanza da parte dell’Arsenal, è intervenuto magistralmente il proprietario del Liverpool, l’americano John W. Henry, che ha pubblicato un vero e proprio video di scuse rinunciando a far parte della Super Lega, e rivolgendosi ai tifosi con una dichiarazione senza mezzi termini:
“Nelle ultime 48 ore abbiamo causato un disagio, ma va detto che il progetto presentato non sarebbe mai durato senza il supporto dei tifosi. In queste 48 ore siete stati molto chiari sul fatto che non avrebbe funzionato. E voglio scusarmi con i giocatori e tutti coloro che lavorano così duramente al LFC per rendere orgogliosi i nostri tifosi (…). Mi dispiace, e solo io sono responsabile della negatività inutile portata avanti negli ultimi due giorni. È qualcosa che non dimenticherò, e mostra il potere che i fan hanno oggi e che giustamente continueranno ad avere (…). È importante che la famiglia calcistica del Liverpool rimanga intatta, vitale e impegnata in ciò che abbiamo visto da voi a livello globale, con gesti locali di gentilezza e sostegno. Posso promettervi che farò tutto il possibile per promuoverlo”.
Una dichiarazione – quella del patron dei Reds – perfettamente in linea con le best practics del crisis management, che prevedono nella presentazione delle scuse incondizionate agli stakeholder il primo e irrinunciabile passo di un’efficace gestione di crisi.
In casa Juve, invece, ancora una volta arroganza e vanità, peccati peraltro assai gravi: “Vanitas vanitatum et omnia vanitas”, come ci ricorda il bellissimo libro dell’Ecclesiaste, che – fossimo a scuola – la Maestra condannerebbe Andrea Agnelli a rileggere ad alta voce almeno 50 volte; meglio in ginocchio sui ceci, dietro la lavagna.