Intervista a Luigi Tartarelli, esperto in Out placement (*)
In una situazione di crisi un programma di licenziamenti può generare panico in azienda. Come si può gestire internamente al meglio questo scenario?
Ufficialmente non vi sono molte soluzioni. Normalmente i manager trattano con il dipendente da estromettere una buona uscita straordinaria, magari anche in nero, ma questo può creare problemi con i sindacati o non rivelarsi favorevole all’azienda in caso di successiva causa di lavoro. Oppure i dirigenti avviano una vera e propria campagna di mobbing con pressioni di vario tipo finalizzate a convincere la persona ad andarsene di propria volontà. In quest’ultimo caso, viene messa in discussione la personalità stessa del collaboratore, con il rischio di far emergere malattie sintomatiche dell’ansia e dello stress, che tra l’altro rischiano di riflettersi anche sulla famiglia, a causa delle preoccupazioni, del nervosismo e del senso di precarietà. Di tutto ciò l’azienda potrebbe essere portata a rispondere anche in Tribunale. Tra l’altro il problema si riflette su tutta la forza lavoro, non solo sul dipendente da estromettere.
Il conflitto crea problemi di comunicazione interna e pregiudica il rendimento della produzione in genere?
Certamente sì, è del tutto normale che quando ci si trova a lavorare in un ambiente con un clima conflittuale la mente sia aggredita da input negativi che portano ad un imbarazzo nel confrontarsi con il proprio ambiente di lavoro. Si genera panico, un timore diffuso internamente alla società, la sindrome del “chi sarà il prossimo”, emotività che finiscono per pregiudicare la serenità dei dipendenti, a rendere critici i flussi di comunicazione interna, e a impattare anche sulla capacità di giudizio e di programmazione dei dirigenti, con risultati nefasti su tutta la produttività.
Qual’è quindi la soluzione con il miglior rapporto tra costi e benefici?
Premesso che è del tutto fisiologico che in un’azienda possa esserci una risorsa umana da rimuovere, la soluzione per minimizzare l’impatto del cambiamento è sicuramente l’out placement, o – come l’ho ribattezzato io – l’out head hunting, che mira a ridurre il grado di “violenza” proprio di questi scenari. Le persone avvicinate da un head hunter hanno spesso timore, anche perché non conoscono quel’è il reale motivo dell’incontro. Può capitare che – specie in momenti di crisi generalizzata quali quello che stiamo vivendo – le aziende facciano simulare da un terzo una proposta di lavoro per valutare la fedeltà del dipendente, quindi c’è sempre una diffidenza iniziale. Per questo il nostro è una specie di “corteggiamento”, al fine di costruire un rapporto di fiducia con il dipendente e portarlo a valutare i plus di un riposizionamento professionale. Mano a mano costruiamo un dossier sulla persona: valutiamo attentamente la risorsa, i suoi talenti, il suo orientamento, i desideri inespressi. Investighiamo nella sua mente, per certi versi rendiamo “seducente” per lui il cambiamento. Puntiamo anche sull’autostima, che è sempre un vettore potente di emozioni. Alla fine comunque devono vincere tutti: il lavoratore che esce da un ambiente critico e conflittuale, chi lo accoglierà, che fruirà dei vantaggi di una persona che ha voglia di riscattarsi e dare il meglio di se, il nostro committente, che potrà inserire una risorsa più consona alle proprie esigenze, e soprattutto l’azienda nel suo insieme, che ritroverà serenità.
E’ anche più “autentico” trattare per un out placement, piuttosto che dare battaglia internamente all’azienda?
Sicuramente si. Piuttosto che incancrenire la situazione con scontri continui, se è venuto meno definitivamente un rapporto di fiducia e collaborazione, è bene comunicare con schiettezza la situazione e analizzare quali possono essere le possibili opzioni. Ci si guarda in faccia e si trovano soluzioni in grado di non pregiudicare il futuro, sia del dipendente che dell’azienda stessa. Anche in questo caso, una piccola crisi ben gestita può generare un’opportunità, per entrambi.
(*) Luca Poma e Luigi Tartarelli non hanno alcun accordo di collaborazione o partnership